La prima partigiana italiana caduta

Alma Vivoda. Fonte: Claudia Cernigoi, art. cit. infra

Alma (all’anagrafe Amabile) Vivoda nacque a Chiampore, una località nei pressi della cittadina di Muggia, il 23 gennaio 1911. Iscritta al Partito Comunista, negli anni Trenta gestì assieme al marito Luciano Santalesa (anche lui comunista) l’osteria “La Tappa”, che divenne un punto di ritrovo per gli antifascisti della zona. Santalesa fu arrestato nel 1940 e l’anno dopo la polizia impose la chiusura del locale. A quel punto Alma Vivoda iniziò a tenere i contatti con le formazioni partigiane italiane e slovene. Alma, nonostante avesse frequentato soltanto le elementari, era una donna di vivida intelligenza. Attenta ai problemi dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo, aveva promosso la diffusione della stampa clandestina ed era arrivata a curare di persona la redazione del foglio “La nuova donna”. Anche per questo Alma era braccata dalla polizia fascista, che aveva posto sulla sua testa una taglia di 10.000 lire dell’epoca. Nel gennaio 1943, dopo la spiata di un delatore, fu costretta ad entrare in clandestinità; aiutò il marito ad evadere e a raggiungere le file partigiane in Istria dove sarebbe caduto combattendo di lì a poco. Alma fu uccisa il pomeriggio del 28 giugno 1943, mentre, assieme a Pierina Chinchio, si recava ad un appuntamento con la staffetta partigiana Ondina Peteani della “Brigata Proletaria” che raccoglieva fra le sue file centinaia di operai dei cantieri di Monfalcone (allora Cantieri Riuniti dell’ Adriatico).
All’indomani della morte di Alma Vivoda, il nome della prima donna italiana caduta nella Resistenza fu assunto da un battaglione autonomo della 14a Brigata “Garibaldi Trieste”, composto da partigiani italiani, sloveni, russi, da marinai romagnoli e da diverse compagne di lotta di “Maria”. La brigata “Alma Vivoda” partecipò fra l’altro fra il 4 ed il 25 novembre 1944 alla battaglia di Kucibreg, nei boschi attorno alle località di Hrvojj in Slovenia e Kucibreg in Croazia, a pochi chilometri da Trieste.
[…] Dopo la Liberazione, ad Alma Vivoda sono stati intitolati il Circolo di cultura popolare di Santa Barbara (Muggia) ed una strada di Chiampore. Nel 1971, nel luogo dove Alma fu colpita, è stato eretto un monumento a suo ricordo. Alma Vivoda non ha ricevuto nessuna medaglia alla memoria; a Trieste nessuna via le è stata dedicata; la lapide che ricorda il luogo del suo sacrificio è stata ripetutamente imbrattata.
Così Pierina Chinchio ricorda quel tragico pomeriggio del 1943.
“Alma ed io salivamo per la via Pindemonte. Incontrammo un milite della Polizia Ferroviaria, voltammo il viso per non essere riconosciute. Scorgemmo allora, tra i cespugli, un carabiniere a noi ben noto, di servizio a Muggia. Tutto accadde repentinamente. Il carabiniere cominciò a sparare, per fermarci. Alma estrasse una pistola e una bomba a mano, forse per dare anche a me un’arma per difenderci. Il carabiniere continuò a sparare all’impazzata e colpì Alma alla tempia. Io ero a terra, insanguinata. Egli mi affrontò (forse per eliminare l’unico testimone). Gli gridai se fosse impazzito. Intervenne il milite della Polizia Ferroviaria; il carabiniere gli ordinò di tenermi sotto tiro. Arrivò la Croce Rossa. Ritrovai Alma all’ospedale. Fino all’ultimo le restai vicina, tenendole la mano. Il suo sguardo in quell’istante non era di odio verso il suo assassino, ma di profonda tristezza, come di una madre che vede un proprio figlio su una mala strada”.
Il carabiniere si chiamava Antonio Di Lauro e fu insignito, per questa azione, della medaglia di bronzo al valore militare: ma non fu l’Italia di Mussolini a dargli questa onorificenza, bensì la Repubblica Italiana nata dalla Resistenza, addirittura nel 1958.
Paolo Geri, Alma Vivoda, la prima donna italiana caduta nella Resistenza, Bora.La – Scampoli di Storia, 5 agosto 2010

La particolarità di Trieste, la sua multietnicità che per gli sloveni è binazionalità, si riflette anche nella lotta politica: a Trieste operano sia il PCI che il PCS, oltre all’OF (Osvobodilna Fronta/Fronte di Liberazione) sloveno. Le differenze di strategia tra i due PC si delineano con chiarezza in rapporto ai referenti della loro azione: quello italiano punta sulle concentrazioni operaie dei centri urbani; quello sloveno alla lotta armata partigiana che parte e si sviluppa dalle campagne contro l’occupatore. Il PCI viene visto dagli sloveni, almeno fino all’estate del ’44, come non all’altezza dei compiti e della mobilitazione necessari. Il rapporto fra i due partiti comunisti è dialettico, la collaborazione non si ferma mai. I militanti comunisti triestini, addirittura, seguono entrambi i partiti nelle loro indicazioni politicomilitari.
È noto il caso di Alma Vivoda che, continuando ad operare, come prima della guerra, nella rete clandestina del PCI, partecipava almeno dall’estate del 1942 a riunioni clandestine dell’OF e incontrava formazioni partigiane slovene.
Sergio Mauri, Partigiani a Trieste. I Gruppi di Azione Patriottica e Sergio Cermeli, Hammerle, Trieste, 2014

Alma (Amabile all’Anagrafe) Vivoda nacque a Chiampore, presso Muggia, il 23/1/11. Negli anni Trenta gestì assieme al marito Luciano Santalesa l’osteria La Tappa, che divenne un punto di ritrovo per gli antifascisti della zona. Santalesa fu arrestato nel 1940 e l’anno dopo la polizia impose la chiusura del locale. A quel punto Alma Vivoda iniziò a tenere i contatti con le formazioni partigiane italiane e slovene; successivamente il marito, gravemente malato, fu ricoverato nel sanatorio di Aurisina, ed Alma dovette affidare il figlio Sergio, di otto anni, ad un collegio di Udine. Nel gennaio 1943, dopo la denuncia di un delatore, fu costretta ad entrare in clandestinità; aiutò il marito ad evadere dal sanatorio ed a raggiungere le file partigiane in Istria. Alma fu uccisa il pomeriggio del 28 giugno 1943, mentre si recava ad un appuntamento con la staffetta Ondina Peteani <7 assieme alla compagna Pierina Chinchio, che così ha ricordato quel tragico pomeriggio […]
7 Ondina Peteani, nata nel 1925, fu la prima staffetta partigiana: operò tra Trieste e Monfalcone, fu catturata nel 1944, torturata, internata ad Auschwitz; riuscì a fuggire ai primi di aprile ’45 durante una marcia di trasferimento e poté rientrare a Trieste in luglio.
Redazione, Luoghi della Memoria a Trieste, Supplemento al n. 393 – 22/1/20 de “La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”, Trieste, 2020

Alma (Amabile all’Anagrafe) Vivoda nacque a Chiampore, una località nei pressi della cittadina di Muggia, il 23/1/11. Negli anni Trenta gestì assieme al marito Luciano Santalesa l’osteria “La Tappa”, che divenne un punto di ritrovo per gli antifascisti della zona. E come accadeva in quegli anni difficili, durante gli incontri non si parlava solo di politica, ma si faceva una sorta di scuola per coloro che, di famiglia proletaria come Alma, non avevano potuto studiare. Ricorda il figlio Sergio, nato nel 1933, che la madre gli leggeva i libri di Jack London, lo scrittore statunitense che viene ricordato di solito per i suoi libri di avventure, ma che fu un grande analista sociologico della situazione del proletariato, e che scrisse un romanzo di fantapolitica, quel “Tallone di ferro” che funse da formazione politica per intere generazioni di antifascisti.
Alma aveva fondato una “scuola di comunismo”, che continuò negli anni, e che raccolse tantissime persone, dove il comunismo (così ricordava Ondina Peteani, giovanissima staffetta partigiana) per le donne della sua generazione significava essere donne emancipate che sapevano fare di tutto, dalla calza all’avvitare la lampadina, ad imbracciare un’arma per dimostrare concretamente di avere le stesse capacità degli uomini.
Per Alma la battaglia per i diritti delle donne era parte integrante della lotta per costruire una società più giusta; fu per questo che promosse la diffusione della stampa clandestina e curò di persona, anche dal punto di vista finanziario, la redazione del foglio “La nuova donna”.
Nel 1940 Luciano Santalesa fu arrestato e l’anno dopo la polizia impose la chiusura del locale. A quel punto Alma iniziò a tenere i contatti con le formazioni partigiane italiane e slovene; successivamente il marito, gravemente malato, fu ricoverato nel sanatorio di Aurisina, ed Alma dovette affidare il figlio Sergio, di otto anni, ad un collegio di Udine. Nel gennaio 1943, dopo la spiata di un delatore, fu costretta ad entrare in clandestinità ed assunse il nome di Maria; aiutò il marito ad evadere dal sanatorio ed a raggiungere le file partigiane in Istria.
Alma fu uccisa il pomeriggio del 28 giugno 1943, mentre, assieme alla compagna Pierina Chinchio, si recava ad un appuntamento con la staffetta Ondina Peteani […]
Claudia Cernigoi, Un fiore per Alma Vivoda, La Bottega del Barbieri, 24 giugno 2022

 

[…] Alma era cresciuta così, forte, intelligente e con una grande forza d’animo.
Educata secondo i più alti ideali di libertà, entrò ben presto a far parte del Partito Comunista, diventando attiva nella cellula del Soccorso rosso.
Si sposò con Luciano Santalesa, anche lui militante nel Partito, nel 1931.
Insieme ai genitori gestivano la trattoria, che purtroppo entrò presto nel mirino dei fascisti come luogo di attività sospetta.
Le autorità fasciste imposero la chiusura dell’esercizio nel mese di marzo del 1940. E così Alma e Luciano decisero di dedicarsi completamente alla lotta per la libertà. Nel frattempo avevano avuto un figlio, che chiamarono Sergio. Decisero di affidarlo ad un collegio di Udine, perché non potevano farlo vivere con loro in clandestinità.
Alma prese il nome di Maria.
Divenne una delle dirigenti più attive dell’organizzazione “Donne Antifasciste”, assicurando i collegamenti tra l’antifascismo triestino e le formazioni partigiane dell’Istria.
Entrò in stretto contatto con uno dei più importanti dirigenti del Partito Comunista di Muggia, Giovanni Postogna, e con le prime formazioni partigiane slovene e croate in Istria.
Era molto attenta ai problemi dell’emancipazione femminile e dell’internazionalismo. Per questo aveva promosso la diffusione della stampa clandestina ed era arrivata a curare di persona la redazione del foglio “La nuova donna”.
Il suo instancabile attivismo la mise nel mirino dalla polizia fascista, che mise sulla sua testa una taglia di 10.000 lire, una somma molto importante per quell’epoca.
Un giorno Luciano fu arrestato e imprigionato.
A causa delle sue precarie condizioni di salute, venne ricoverato in ospedale.
Maria decise di organizzarne l’evasione. Era la primavera del 1943.
Luciano, aiutato dalla moglie, riuscì ad evadere e a raggiungere i partigiani istriani. Si separarono non sapendo che non si sarebbero mai più rivisti.
Il 28 giugno del 1943, Alma era impegnata in una missione alla Rotonda del Boschetto, in zona Trieste.
Venne riconosciuta da un carabiniere che aveva frequentato il suo locale.
L’uomo tentò di arrestarla. Ne seguì uno scontro a fuoco durante il quale Alma fu ferita alla tempia. Trasportata all’ospedale, spirò dopo poche ore, assistita da Pierina Chinchio Postogna, catturata insieme a lei, ma ferita più leggermente.
Alma morì senza sapere che il suo amato Luciano era stato ucciso pochi giorni prima durante uno scontro a fuoco […]
Rosella Reali, Alma Vivoda, la prima donna caduta nella Resistenza, I Viaggiatori Ignoranti, 19 luglio 2022