Il comandante partigiano genovese che amava il rugby

Giovanna Sissa, art. cit. infra

Minareti indica un punto appena distinguibile su una ingiallita carta geografica di El Alamein dell’Africa Korps, piegata da mio padre nel 1943. Doveva avere avuto un significato particolare per lui, poiché ha scelto proprio Minareti come suo nome di battaglia nella Resistenza <1. I motivi per i quali è stato costretto poi a cambiarlo in Franzi sono alla base di questo contributo.
Giovanni Sissa, partigiano combattente, era nato nel 1909 a Genova, dove ha vissuto e studiato, facendo parte in gioventù dei gruppi universitari sportivi di boxe, pallanuoto e rugby, nel Cus Genova (allora Guf). La sua visibilità nel mondo universitario come campione nazionale di pugilato nei pesi medi nel 1929 e il suo ruolo nella squadra di rugby sono stati, come vedremo, significativi nella sua storia di partigiano.
Laureato nel 1932 in chimica, dopo un periodo come assistente universitario, era entrato nel 1934 alla Siac (Società italiana acciaierie Cornigliano), nel laboratorio di ricerca siderurgico, al reparto ‘collaudi’. Nell’ottobre del 1939 era stato ammesso al corso Iri di preparazione alle carriere dirigenziali industriali; ciò significava che sarebbe presto diventato dirigente <2.
Parlando in azienda con dei colleghi, proprio in quel periodo del 1939, esclamò che se l’Italia fosse entrata in guerra l’avrebbe persa, a causa della pessima qualità dell’armamento; nel 1931 era stato allievo al corso ufficiali di complemento della scuola di artiglieria da campagna di Lucca e dunque aveva piena conoscenza del problema. A causa di tale affermazione fu denunciato per disfattismo da due colleghi, uno dei quali era uno squadrista della prima ora <3. Questi, all’alba del 25 luglio 1943, si sarebbe precipitato a chiedere di essere trasferito, quando la situazione stava capovolgendosi e la sua posizione diventava scomoda.
La Siac era un’azienda di produzione bellica, soggetta alla disciplina del Commissariato generale per le Fabbricazioni di guerra <4 e la denuncia di disfattismo comportava per un dipendente l’espulsione dal Pnf, il licenziamento e il rischio del confino. Nel 1939 però la squadra di rugby – di cui mio padre era titolare – era entrata in finale del campionato italiano. L’allenatore del Guf Genova rugby si adoperò per far sospendere il procedimento contro di lui e consentirgli di concludere il campionato. Mio padre non andò al confino, ma gli impedirono di andare a Roma per il corso Iri. Non vi andò neppure dopo la guerra: quella denuncia significò l’addio a una vera carriera.
Da lì a pochi mesi l’Italia entrò in guerra e all’inizio del 1941 fu mandato in Africa del nord, dove rimase quasi due anni. A El Alamein era tenente, in prima linea al comando di una batteria del 46o reggimento artiglieria divisione Trento. Dopo avere contratto l’ameba, ridotto quasi in fin di vita, fu imbarcato a Derna sulla nave ospedale Virgilio il 2 novembre 1942 <5 e rimpatriato. Restò a lungo in ospedale militare, sempre in pericolo di vita, fino al reintegro.
Nel promemoria autografo (conservato nel suo fascicolo del fondo Ufficio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani presso l’Archivio centrale dello Stato a Roma) <6 racconta che l’8 settembre 1943 si trovava a Trento, presso il 46o reggimento artiglieria della divisione Trento, e che nella notte del 9 settembre fu attaccato dai tedeschi e costretto alla resa. Riuscì a fuggire, insieme a dieci suoi soldati, sulle montagne del bresciano e a rientrare a Genova, dove iniziò i suoi rapporti con elementi antifascisti “vecchi amici” <7 di Gl. La sua prima azione risale all’ottobre del 1943 <8: “Assieme al Dott. Renato Negri ed all’Avv. Lanfranco rimasi alcuni giorni a Genova, assieme al paracadutista alleato “Zama” ed ebbi l’incarico di svolgere un lavoro con questi. Successivamente lo condussi in Asti, da dove egli procedette nella sua missione nella zona della Valle Pelice. In questa occasione detto paracadutista fu consegnato a me alla stazione Principe dall’Avv. Lanfranco assieme al Prof. Zino <9 ed al Prof. Ferruccio Parri. Ad Asti lo consegnai al Dott. Renato Negri”.
Il paracadutista alleato Zama è il partigiano Zamacois, ovvero Eduardo Zapata Granja <10, nato in Ecuador nel 1916 e che aveva studiato a Genova <11. Dopo essersi arruolato nelle Brigate internazionali per difendere la repubblica spagnola, nel 1939 era riparato in Francia, dove i combattenti delle Brigate internazionali venivano internati in campi di prigionia. Per uscirne si arruolò nella Legione straniera, cambiò il suo nome in Eduardo Zamacois e fu addestrato nel campo di Sidi Bel Abbes in Algeria. Quando gli alleati sbarcarono nell’Africa del nord combatté a fianco degli inglesi e venne arruolato nel Sas (Strategic air service) come ufficiale. Per la sua conoscenza dell’italiano gli fu affidata una missione dietro le linee nemiche nell’Italia settentrionale. Il 13 luglio 1943 fu paracadutato nelle retrovie del fronte nei pressi di Alessandria, ma fu subito catturato e imprigionato a Torino. Doveva essere fucilato il 26 luglio, ma il 25 luglio le carceri furono assaltate e i detenuti liberati. Dopo l’8 settembre Zamacois raggiunse le formazioni partigiane piemontesi, portando con sé la sua conoscenza di radio e di lanci alleati <12: “Zama quando è stato paracadutato in Italia aveva le parole d’ordine per i lanci, però messo in prigione e compagnia bella non aveva più nulla con sé. L’unica cosa che serviva eran forse le parole, le frasi, cioè lui, sentendo alla radio una certa frase poteva dire: è per noi, non è per noi”.
Poco noto il suo passaggio a Genova, che viene descritto da Mario Zino <13: “C’era Zama quella volta piovuto dal cielo, mesi addietro, a Frugarolo [vicino ad Alessandria] con i nostri nomi nella testa, arrestato quando aveva appena seppellito l’apparecchio radio. […] Zama, strano tipo italo-anglo-sudamericano, si presentava con molti dati che noi volevamo credere, ma un diavoletto sopravviveva, […] si voleva tuttavia rizzare un parafulmine contro i crolli e l’imprevisto. Il parafulmine fu la partenza di Zama per il Piano del Re sul Monviso, […], messo a Principe nelle mani di un amico boxeur, che aveva l’ordine di farlo fuori solo che Zama sgarrasse, avviato ad Asti e da Asti al Monviso con un piano bloccato e continuo come un tunnel, […] mancando prove e conferme esterne, ci fidavamo di lui solo al 95% e che, al residuo 5% egli doveva se, solo sul Monviso, avrebbe potuto soffiarsi il naso, trovando un fazzoletto, con piena libertà. Quale gioia di tutti noi, quando giunse notizia da Algeri che Zama era un pezzo assai pregiato nel suo lavoro e ci si raccomandava di averne ogni cura”.
Zamacois è un personaggio importante e conosceva i nomi dei resistenti Gl genovesi con cui avrebbe dovuto mettersi in contatto prima del 25 luglio 1943, ma ha una storia talmente densa da sembrare un avventuriero. Rappresentava una straordinaria opportunità, ma anche “il gioco più audace che Lanfranco guidava con tutta la sua versatile irruenza”. Lanfranco e i compagni di Gl devono prendere delle precauzioni affinché non possa in qualche modo tradirli. Fanno sì che la sua partenza da Genova sia orchestrata in modo tale che, giocando sulla sorpresa, sia messo nella “impossibilità di soffiarsi anche solo il naso” finché non sia giunto a destinazione. La responsabilità di accompagnare Zamacois, sorvegliandolo, è affidata a mio padre – “l’amico boxeur” – che ad Asti lo consegnerà a Renato Negri. Zama conosceva i codici degli alleati e sapeva usare una radio; quando si resero conto della sua importanza egli aveva già raggiunto
il movimento di resistenza piemontese.
Dopo questo primo atto dell’attività resistenziale, sarà purtroppo centrale per mio padre la cattura dei suoi riferimenti principali – Bottaro e Lanfranco – e l’allontanamento da Genova di Renato Negri. Tutti e tre sono più vecchi di qualche anno e possono averlo conosciuto all’università. Renato Negri (Renato II), classe 1900, è un chimico di valore <14, come mio padre. Instancabile cospiratore <15, è commissario politico di Gl, membro del Comando militare regionale ligure <16. Molto amico di Lanfranco (che lo chiamava “Nenne”), fa la spola fra Piemonte e Liguria e a lui mio padre consegna il paracadutista alleato. Verrà catturato dal commissario Veneziani, detenuto a Marassi nella 4ª sezione – quella dei politici – e ucciso a Bornasco il 25 aprile 1945. Il Comando alleato gli assegnò una decorazione alla memoria. Il professor Giuseppe Bottaro (Pilly), nato a Genova nel 1905, era stato uno studente di economia, presidente della Federazione nazionale studenti, poi sciolta dal fascismo. Rifiuta di prendere la tessera del Pnf e deve così insegnare in scuole private. Dopo il 25 luglio 1943 rifonda la Giovane Italia <17, nucleo di studenti e cittadini senza partito. Catturato l’8 marzo 1944 dalla Gestapo, torturato, imprigionato nella 4ª sezione del carcere di Marassi <18, verrà trucidato il 19 maggio nell’eccidio del Turchino. Di Eros Lanfranco (Lanata) <19, nota figura della Resistenza genovese che verrà arrestato l’8 marzo 1944, imprigionato nella 4ª sezione di Marassi e deportato nel giugno 1944, aggiungo una nota personale. Ogni volta che mio padre ne parlava sorrideva, dicendo che era una persona straordinaria.
[…] La cattura degli amici porta mio padre a cercare altri, di cui conosceva in precedenza <21 l’impegno antifascista, cui unirsi per continuare la lotta resistenziale: “Frattanto riprendevo contatto con gli operai dello stabilimento S.I.A.C dove io lavoravo ed entrai qui in contatto con elementi delle G.A.P. Anche insieme al Prof. Pilly Bottaro io lavorai nella organizzazione di Brigata fino al suo arresto, che gli costò poi la morte. Dopo detto arresto perdetti il collegamento con Renato Negri e rimasi invece insieme ai comunisti”. Arrestati o irreperibili i suoi riferimenti principali, di Giustizia e libertà, resta con gli operai comunisti alla Siac. Chi fossero gli elementi dei Gap con cui era entrato in contatto lo dice Francesco Salaris (Spartaco) <22, comandante della brigata Sap Casalini: “Il Dott. Sissa era organizzato con me e con il defunto compagno Jori, fin dal mese di Novembre 1943 in squadre cosidette di punta, ed ha partecipato a più di tre azioni armate. In tale dichiarazione Salaris afferma inoltre di non aver potuto dichiarare l’appartenenza di mio padre alla brigata poiché era egli stesso a sua volta ricercato. Curiosa la definizione di
“Dott. Sissa”, che troveremo usata anche in altre testimonianze. Indica quanto fosse inusuale alla Siac l’appartenenza di un laureato in quella formazione partigiana. Egli ricopriva un ruolo in cui svolgeva funzioni dirigenziali, era vice capo sezione nel reparto ‘trattamenti termici’, e aveva abituali rapporti con gli operai in stabilimento, ma in tale ruolo aziendale.
Questo momento è particolarmente critico, gli avvenimenti si susseguono fitti. Gino Dani dichiara <23: “[il Sissa] Sviluppa allora la sua attività presso i comunisti [alla Siac] e prese parte con Franco Salaris alla organizzazione e raccolta di armi presso lo stabilimento”. L’attività ora consiste nella raccolta di armi presso la Siac che era azienda di produzione e interesse bellico, dunque presidiata dai tedeschi. Nei suoi racconti mio padre non mi ha mai parlato di appartenenza ai Gap, mentre mi ha sempre detto di avere partecipato alla fondazione delle Sap (Squadre d’azione patriottica) e di esserne stato il primo Capo di stato maggiore, come conferma Gino Dani <24.
Dalla loro fondazione, a giugno del 1944, fino alla fine di agosto 1944 Giovanni Sissa è dunque Capo di stato maggiore delle Sap, come lui stesso afferma aggiungendo alcuni dettagli <25: “Alla costituzione della Brigata S.A.P. di Genova partecipai in qualità di Capo di Stato Maggiore e qui rimasi dalla preparazione dei piani militari fino a tutto Agosto assieme a “Luigi “ (Dante Conte), Rico e Franco Diodati. Allego alla presente la dichiarazione che conferma la mia appartenenza alle SAP dalla fondazione”. Suoi compagni sono ora Dante Conte (Luigi), Rico (Capra Aderito) e Arrigo Diodati (Franco), appartenenti alle formazioni comuniste. Alla formazione delle Sap dunque opera con i comunisti.
Gelasio Adamoli e Giuseppe Noberasco <26 dichiarano che Giovanni Sissa ha fatto parte del comando S.A.P. di Genova in qualità di capo di stato maggiore fin dalla costituzione (giugno 1944) all’Agosto dello stesso anno epoca in cui ha dovuto sospendere le sue attività per ragioni di prudenza essendo ricercato.
Viene a conoscenza di essere attivamente ricercato.
Gli era infatti giunto, dalla 4ª sezione di Marassi, un biglietto – lui mi raccontava che fosse stato scritto su una cartina di sigaretta – che diceva: “Minareti, ti cercano o vivo o morto”. Purtroppo non conosco il nome di chi glielo aveva inviato. Ricordo solo che citava l’autore come “il povero…”, intendendo che questo suo compagno aveva subito una tragica sorte e che lui non lo aveva mai più visto né potuto ringraziare per questo. Questo bigliettino e chi abbia potuto essere il suo ignoto autore sono al centro del presente contributo.
È necessario dire che fra le azioni cui ha partecipato mio padre ci fu il tentativo fallito di liberazione di Riccardo Masnata. Gino Dani testimonia la partecipazione di mio padre a quest’azione, affermando che “Sviluppa allora la sua attività presso i comunisti […] e successivamente alla organizzazione del colpo di mano all’ospedale San Martino per la liberazione del povero Masnata, colà in stato di arresto” <27. Oltre a quanto detto da Dani, mio padre stesso parla in prima persona della sua partecipazione a tale azione: “[…] rimasi invece insieme ai comunisti. Con questi presi parte alla spedizione per la liberazione di Masnata dall’Ospedale di S. Martino assieme ad un compagno Franco Salaris detto “Fran”” <28. Il fallito tentativo di liberazione di Masnata avviene nel momento più tragico della lotta di liberazione a Genova, nell’agosto 1944, e su di esso molto è stato scritto. Sappiamo come il furgone sia stato proprio l’elemento cruciale nel fallimento dell’azione, che avviene il 23 agosto. A proposito del coinvolgimento di elementi della Siac, vale la pena citare un tentativo infruttuoso di rubare un furgone <29 proprio nello stabilimento di Campi, in data 21 agosto. Nel telegramma del capo della provincia Arturo Bigoni al ministero dell’Interno, datato 23 agosto <30, si legge che: “Undici individui mascherati tutti armati di mitra e bombe a mano montati su autocarro fermavansi in prossimità di Caserma marina Repubblicana San Fruttuoso sembra con intento assaltare Caserma stessa e permettere ad altro gruppo fermo in lontananza prelevare da ospedale San Martino detenuto ferito Masnata Riccardo […]. Tentativo veniva sventato da pronto intervento comandante et elementi Marina repubblicana distaccamento San Fruttuoso che venuti a conflitto con suddetti ne uccidevano due e ferivano altri tre, mentre altri sei riuscivano allontanarsi lasciando sul posto autocarro che incendiavasi. Subito dopo conflitto interveniva Comando SS tedesco che svolge indagini al riguardo. Riservandomi ulteriori notizie anche circa identità morti e feriti che avrebbero agito per incarico Partito di Azione”.
Sono citati due gruppi di partigiani nell’azione. Uno si ferma all’altezza della caserma marina repubblicana di San Fruttuoso con intento di assaltarla per permettere all’altro gruppo di agire. L’altro gruppo, che è fermo in lontananza, dovrebbe prelevare Masnata dall’ospedale San Martino. La comunicazione si conclude dicendo che avrebbero agito per conto del Partito d’azione. L’azione fu condotta da membri del Fronte della gioventù, formazione giovanile comunista. Gli undici partigiani che parteciparono furono tutti identificati e fra loro mio padre non compare. L’azione fu comandata da Renato Quartini. Però nella relazione redatta dal comando Sap sull’attività di Renato Quartini <31, inclusa nel fascicolo ‘Quartini’ del fondo Ricompart, viene indicato in tredici il numero delle persone coinvolte nel tentativo di liberare Riccardo Masnata.
Torniamo all’autore del biglietto e osserviamo la sequenza temporale di alcuni eventi. I suoi compagni della prima ora, Lanfranco e Bottaro, nella primavera del ’44 sono rinchiusi proprio nella 4ª sezione del carcere di Marassi – da cui proveniva il biglietto – e Negri lo sarà successivamente. L’autore potrebbe essere uno di loro, ma l’esecuzione di Bottaro e l’internamento nel lager di Lanfranco avvengono prima, nei mesi di maggio e giugno del 1944. Potrebbe essere stato lo stesso Masnata che, nonostante le ferite, fu trasferito dall’ospedale San Martino a Marassi dopo il fallito tentativo di liberazione. Anche alcuni partecipanti all’azione erano stati catturati e la stessa notte trasferiti sempre nella 4ª sezione. Come detto sopra, purtroppo non riesco a ricordare il nome – che mio padre mi aveva detto – ma ricordo che parlava di qualcuno che era morto da lì a poco, cui lui era legato ed a cui è intitolata una strada di Genova. Ricordo solo che era una storia estremamente complicata. Vorrei ricordare come mio padre mi abbia sempre parlato con grande commozione e gratitudine di chi gli ha inviato quel biglietto salvifico. Invece non mi ha mai fatto cenno a chi lo avesse identificato, né io gli ho mai inteso esprimere qualsivoglia recriminazione o giudizio in merito.
Era un partigiano di città, appartenente alla classe borghese e in servizio in un’azienda di tipo militare. Ho citato all’inizio la delazione da parte dei colleghi che gli costò la carriera. Penso che questa esperienza gli avesse lasciato un segno, rendendolo consapevole di come il silenzio e la clandestinità dovevano essere vissuti in modo totale. Dunque il patto di segretezza con i compagni doveva essere rispettato in modo rigoroso: così lui ha fatto, fino in fondo e per sempre.
Tra la primavera e l’estate del 1944 molti furono gli arresti in Liguria. In particolare al centro della vita partigiana di Genova nell’estate del 1944 c’è il famigerato ‘rapporto Veneziani’ <32, che determinò il punto più critico per le formazioni resistenziali cittadine. Dei settantuno ribelli in esso indicati, molti restano non identificati, nonostante vari studi e ricerche. Ad oggi, almeno a quanto risulta dai documenti dell’archivio ILSREC, non sono stati mai identificati almeno sei partigiani. Fra di essi, alcuni presentano qualche tratto descrittivo che potrebbe essere ascrivibile a mio padre: “Ingegnere”, “Dario” e “Bruno”. Il profilo delineato nel ‘rapporto Veneziani’ di “Ingegnere” è forse il più plausibile. Si riferisce a un esperto di esplosivi – e mio padre era un ufficiale di artiglieria e un chimico – e l’appellativo legato alla qualifica ne indica il tratto anomalo, quello di essere un laureato. L’ambito di azione e di relazioni fra partigiani è quello di Cornigliano e della Siac. La posizione di mio padre è atipica nell’ambito delle formazioni partigiane nelle fabbriche genovesi nel 1944. Mentre al momento dell’armistizio aveva collaborato con elementi giellisti, vecchi antifascisti e appartenenti al suo stesso strato sociale, dopo la loro cattura, ha ‘ripreso’ contatti con gli operai comunisti della Siac. In questo secondo periodo della sua vita di partigiano di città i suoi compagni resistenziali in azienda appartengono ad una fascia sociale diversa dalla sua; dunque i rischi sono per lui enormi. La relazione di Giusto Veneziani, capo dell’Ufficio politico della questura di Genova è del 3 agosto, l’azione per liberare Riccardo Masnata da San Martino è del 23 agosto. A fine mese mio padre deve abbandonare la sua azione di partigiano a Genova in quanto ricercato, allontanarsi all’inizio del settembre 1944 per restare nell’Oltrepò Pavese <33 fino al dicembre 1944 <34. A rendere la ricerca più complessa si aggiunge il fatto che alcuni documenti della Rsi rilevanti sono stati a suo tempo requisiti dalla Corte di assise straordinaria. Nell’ordine di sequestro <35 di documenti inerenti l’attività di Arturo Bigoni, nell’elenco figurano, in particolare <36: “relazione 1° agosto 1944 n. 1788-situazione politica luglio 1944; minuta telegramma n. 1821 25 luglio 1944-arresto di terroristi; minuta di telegramma n. 1821, 7 agosto 1944-processo banda terroristi <37; minuta di telegramma n. 1821 27 agosto 1944-processo banda terroristi”.
Di nuovo con Gl: la liberazione di Bolis e l’insurrezione
Nei primi mesi del 1945 mio padre ritornò a Genova e riprese il suo inquadramento nelle formazioni gielliste: “Successivamente, dopo un breve periodo trascorso nella zona dell’Oltrepo Pavese assieme a Edoardo (Italo Pietra) ritornai a Genova ed entrai a far parte in qualità di capo di stato maggiore delle SAP del Gruppo G.L. assieme a “Negrini” (Giuseppe Ferrari), “Gigi” (Rocco Barbera), “Alberto” (Gino Dani), assumendo il nome di battaglia “Franzi” <38.
Cambiò nome di battaglia e divenne Franzi <39.
Entrò a far parte come Capo di stato maggiore della Sap del gruppo Gl, dove i suoi riferimenti sono Giuseppe Ferrari (Negrini), Rocco Barbera (Gigi), Gino Dani (Alberto). Dalla Commissione riconoscimenti qualifiche partigiani Liguria, risulta che Sissa Giovanni (Minaretti) <40 di Enrico da Genova 24-7-1909 era inquadrato nel Comando delle brigate Gl città, dal 1° aprile 1944 al 30 agosto 1944 e dal 5 gennaio 1945 al 30 aprile 1945, e viene ivi elencato fra i partigiani combattenti volontari della libertà.
In questo terzo periodo della sua vita da partigiano combattente, che lo vede nuovamente con i giellisti e inquadrato nel comando delle brigate cittadine, l’azione più clamorosa fu l’organizzazione ed esecuzione della liberazione di Luciano Bolis. Si tratta di un episodio saliente della Resistenza genovese, raccontato dal Bolis stesso nello splendido testo autobiografico “Il mio granello di sabbia” <41. Va ricordato come Luciano Bolis, importante membro del Cln, fosse stato catturato nel febbraio del 1945 e rinchiuso prima alla Casa dello studente e poi nella caserma di via Monticelli, dove subì atroci torture per alcune settimane. Quando sentì di non poter più resistere cercò di suicidarsi tagliandosi la gola. Fu trasportato all’ospedale di San Martino in gravissime condizioni, per essere curato e poi trasferito nuovamente nei luoghi degli atroci interrogatori. La sua liberazione non poteva più essere procrastinata, la fine dei tedeschi era imminente e certamente Bolis non sarebbe stato risparmiato. Da tempo si susseguivano progetti per tale azione, che presentava rischi enormi: il prigioniero era un elemento importantissimo del movimento di resistenza e serrata dunque la sua custodia. L’episodio è stato ripreso in anni recenti da Guido Levi <42, che ha introdotto alcune importanti precisazioni. Cercherò qui di fornire ulteriori elementi, anche per offrire agli storici nuovi spunti di studio. Mio padre riassume l’azione negli elementi essenziali: “[…] assumendo il nome di battaglia “Franzi” e partecipando alla organizzazione della Brigata, comandai la spedizione all’Ospedale di S. Martino, per la liberazione di Luciano Bolis (“Fabio”), con esito favorevole. Azione avvenuta con altri cinque elementi delle Brigate G.L. e delle SAP comuniste <43. Provo a focalizzare l’attenzione sui mezzi utilizzati e le persone coinvolte. Nel precedente tentativo di liberare Riccardo Masnata il mezzo di trasporto, mal funzionante e inadeguato, era stato l’elemento cruciale che aveva determinato il fallimento dell’azione”. Penso che tale esperienza tragica sia stata importante per mio padre, al fine di evitare di commettere gli stessi errori. Nell’organizzare questo nuovo audacissimo colpo viene data molta cura ai mezzi di trasporto, anche nei dettagli. Attenzione che si rivelerà essenziale al successo. Mio padre – è un particolare inedito <44 – mi ha raccontato che avevano rubato un furgone (di uno zuccherificio, forse dell’Eridania) e lo avevano nascosto in un garage (credo nel quartiere di San Fruttuoso, che lui conosceva bene perché abitava in piazza Martinez) situato così abbastanza vicino all’ospedale, anche se a poche centinaia di metri proprio dalla Casa dello studente. In una notte lo avevano dipinto di bianco con una croce rossa per camuffarlo da ambulanza. Nel fondo della Repubblica sociale italiana, ora disponibile presso l’Archivio di Stato di Genova, due documenti si riferiscono alla liberazione di Bolis: un telegramma e un rapporto.
Nel telegramma del capo della provincia Bigoni al ministero dell’Interno, si legge: “Ieri 18 corrente ore 17.15 individui sconosciuti indossanti divisa brigate nere penetrati Ospedale San Martino at bordo autoambulanza con stemma locale municipio, dopo aver imbavagliato e colpito al capo con calcio rivoltella squadrista Belloni Antoni del 2 battaglione 4 Compagnia Brigata Nera “Silvio Parodi” addetto  piantonamento detenuti precennato Ospedale riuscivano a far evadere detenuto politico sedicente Colombo Ettore fu Adolfo colà ricoverato” <45.
[…] Mio padre testimonia <49 che, al suo fianco nell’azione, ci fu Stefano Zaino (Stefano), comandante della 2ª brigata Gl <50. La brigata Sap garibaldina Bellucci fornì autista e due vigilanti <51.
Per concludere va aggiunto che, durante le giornate dell’insurrezione a Genova, fece parte, come capo di Stato maggiore, del Comando Piazza. In poche scarne parole descrive così la sua attività <52: “Alla insurrezione presi parte alle azioni della caserma “Nino Bixio” e della G.N.R. in Via Elba. Diressi le operazioni contro la colonna dei tedeschi in Piazza De Ferrari, ecc., ecc”.
Nell’elenco delle qualifiche gerarchiche partigiane riconosciute dalla Commissione ligure, figura nel Comando Piazza “Sissa Giovanni di Enrico, 15/02/45-30/04/45, C.S.M., Capitano” <53. Per il suo contributo alla lotta partigiana nel 1978 venne conferita a Giovanni Sissa la medaglia d’argento al Valor militare. Le motivazioni <54 sottolineano il suo apporto decisivo nella vicenda della liberazione di Bolis: “[…] Offertosi volontario per una rischiosa azione tendente alla liberazione di un partigiano detenuto all’ospedale “San Martino”, riusciva nell’impresa dopo aver sopraffatto ed immobilizzato il piantone di guardia. Esempio di altruismo, di coraggio e di fede”.
La sua storia è movimentata, complessa, e caratterizzata da momenti critici, rischi enormi e cambiamenti resi necessari dalle contingenze. È caratterizzata da una militanza nelle file di Giustizia e libertà, interrotta a causa della cattura dei suoi riferimenti in tale formazione, della successiva militanza con i comunisti, interrotta perché ricercato lui stesso, e dalla rinnovata militanza in Gl. La sua appartenenza sociale è quella di laureato che in azienda svolge funzioni dirigenziali, ma nell’azione resistenziale è a fianco degli operai. È caratterizzata infine da un doppio nome di battaglia: a Minareti segue Franzi. Di cui non si trova traccia nella storiografia del periodo. Solo la lettura parallela di vari documenti consente di rilevare complessità e valore della sua storia. Due schede la sintetizzano. Una è la scheda del Clnai-Cvl n. 12520 <55, redatta il 3 luglio 1945, con nome di battaglia Minareti-Franzi. Redatta su carta di colore rosa, è ricca di dettagli e interamente dattiloscritta. L’altra è la sua scheda di smobilitazione di partigiano combattente nella VI Zona operativa ligure <56, purtroppo senza data, con nome di battaglia Minaretti. Redatta su carta di colore verde, presenta anche delle annotazioni manuali […]

Giovanna Sissa, art. cit. infra
Giovanna Sissa, art. cit. infra

[NOTE]
1 Le carte relative all’attività resistenziale di Giovanni Sissa (Genova, 24 luglio 1909 – 20 dicembre 1985) sono state depositate in copia presso l’archivio ILSREC, contribuendo alla creazione del fondo “Giovanni Sissa”.
2 Archivio privato Sissa, lettera di ammissione al corso Iri, ottobre 1939.
3 Archivio di Stato di Genova (d’ora in poi Asg), fondo Prefettura di Genova, b. 145, lettera di Gino Vizzotto al prefetto, 7 agosto 1943.
4 Commissariato generale per le Fabbricazioni di Guerra (CoGeFaG) cfr. http://www.esercito.difesa.it/storia/Ufficio-Storico-SME/Documents/150312/F16.pdf
5 Archivio privato Sissa, Giovanni Sissa, stato di servizio militare 27° reggimento artiglieria da campagna, n. di matricola 246850.
6 Archivio centrale dello Stato-Roma (d’ora in poi Acs), fondo Ufficio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani (d’ora in poi Ricompart), b. 225, fasc. Giovanni Sissa, relazione autografa di G. Sissa al Comando gruppo brigate cittadine Gl su attività militare, 24 settembre 1946.
7 Ibidem.
8 Ibidem.
9 Mario Zino, dopo l’8 settembre, riceve incarico da Ferruccio Parri di organizzare il Comitato militare clandestino.
10 E. Artom, Diari di un partigiano ebreo: gennaio 1940-febbraio 1944, a cura di G. Schwarz, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, p. 73, n. 33.
11 F. Bossa, Zama: Un partigiano sudamericano nella resistenza, tesi di laurea, relatore D. Adorni, Università di Torino, Facoltà di Lettere e filosofia, a.a. 2006-07, pp. 6-8.
12 Testimonianza orale di L. Scanferlato, in Bossa, Zama: Un partigiano sudamericano nella resistenza, op. cit, p. 21.
13 M. Zino, Eros Lanfranco, in F. Parri et al., Piu duri del carcere, Casa editrice Emiliano degli Orfini, Genova, 1946, pp. 94-95.
14 Ivi, p. 20.
15 G. Trombetta, Renato Negri, in Ivi, pp. 147-156.
16 Acs, fondo Ricompart, scheda Renato Negri, 17 gennaio 1946.
17 G. Gimelli, La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, a cura di F. Gimelli, vol. I, Dall’8 settembre alla stagione dei grandi rastrellamenti, Carocci, Roma, 2005, p. 41.
18 M. Zino, Eros Lanfranco, in Parri et al., Piu duri del carcere, op. cit., pp. 95-96.
19 G. Levi, Appunti per una biografia di Eros Lanfranco, in “Storia e Memoria”, n. 2, 2006, pp.157-180.
21 Relazione autografa di G. Sissa, cit.
22 Acs, fondo Ricompart, b. 225, fasc. G. Sissa, dichiarazione di Francesco Salaris (Spartaco) comandante brigata Sap Casalini, s.d.
23 Relazione di G. Dani su attività svolta da G. Sissa, cit.
24 Ibidem.
25 Relazione autografa di G. Sissa, cit.
26 Acs, fondo Ricompart, b. 225, fasc. G. Sissa, dichiarazione di Gelasio Adamoli (Secondo), già capo di Stato maggiore, e di Giuseppe Noberasco (Gustavo), già comandante, per l’ex Comando Sap e Gap, Genova, 23 settembre 1946 (Il documento integrale è riportato a p. 215).
27 Relazione di G. Dani su attività svolta da G. Sissa, cit.
28 Relazione autografa di G. Sissa, cit.
29 Asg, fondo RSI, b. 55, Ministero dell’Interno-Direzione generale Pubblica sicurezza, telegramma del capo della provincia A. Bigoni al ministero dell’Interno, 21 agosto 1944.
30 Asg, fondo RSI, b.23, telegramma cifrato “urgentissimo” di A. Bigoni al ministro dell’Interno-Gabinetto Maderno, 23 agosto 1944.
31 Acs, fondo Ricompart, fasc. Renato Quartini, relazione sull’attività svolta dal partigiano caduto Quartini Renato proposto per la medaglia d’oro al Valor militare a firma del Comando Sap., s.d.
32 Archivio Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’eta contemporea-Genova (d’ora in poi AILSREC), fondo “Genny Burlando”, b. 8, fasc. 6, Relazione della questura repubblicana di Genova al procuratore di Stato presso il Tribunale speciale di Genova, su attività antinazionale e terroristica in Genova e provincia, 3 agosto 1944.
33 Relazione autografa di G. Sissa, cit.
34 Acs, fondo Ricompart, b.225, fascicolo G. Sissa, dichiarazione integrativa per l’equiparazione ai fini amministrativi delle qualifiche gerarchiche partigiane, 30 agosto 1949.
35 Asg, fondo RSI, b. 24, ordine di sequesto di documenti inerenti “l’attività di BIGONI Arturo ex Prefetto di Genova”, di Giulio Ronca, sostituto dell’ufficio del pubblico ministero presso la Corte di assise straordinaria, 2 agosto 1945
36 Asg, fondo RSI, b. 24, elenco documenti requisiti dalla Corte di assise speciale contro Bigoni Arturo, 2 agosto 1945.
37 Acs, Ministero dell’Interno-Direzione generale di Pubblica sicurezza, segreteria del capo della polizia, Rsi 1943-45, b. 55. Il capo della provincia di Genova Bigoni comunica al ministero dell’Interno l’inizio del processo e indica che gli imputati sono 83, di cui trenta detenuti e 53 fra latitanti o non identificati.
38 Relazione autografa di G. Sissa, cit.
39 AILSREC, fondo “Giovanni Sissa”, Cln-Clv, Comando regionale militare ligure, tessera di riconoscimento n. 07008 di Sissa Giovanni (Minareti-Franzi), firmata dal commissario Negrini e dal comandante Miro, Genova, 6 luglio 1945.
40 AILSREC, fondo DV, b. 19, fasc. 1, Commissione riconoscimenti qualifiche partigiani Liguria, elenco tratto da “Il Partigiano”, carta 54.
41 L. Bolis, Il mio granello di sabbia, introduzione di G. De Luna, Einaudi, Torino, 1995. Sulla liberazione cfr. pp. 81-87.
42 G. Levi, Luciano Bolis partigiano: due necessarie integrazioni, in Id., Resistenza a Genova: momenti e figure, De Ferrari-Genova University Press, Genova, 2012, pp. 173-180.
43 Relazione autografa di G. Sissa, cit.
44 Ne ho parlato io per la prima volta in una occasione pubblica nel 2006, come dirò più avanti.
45 Asg, fondo RSI, b. 22, telegramma del capo della provincia A. Bigoni al ministero dell’Interno, Gabinetto, Capo polizia, Direzione generale Polizia, 19 aprile 1945.
50 Acs, fondo Ricompart, scheda Stefano Zaino.
51 AILSREC, fondo “Giorgio Gimelli”, terzo versamento, b. 59, Azioni armate compiute dalla brigata Sap garibaldina “Bellucci 863”.
52 Relazione autografa di G. Sissa, cit.
53 AILSREC, fondo DV, b. 19, fasc.1, Commissione riconoscimenti qualifiche partigiani Liguria, elenco tratto da “Il Partigiano”, carta 45.
54 Decreto del presidente della Repubblica del 18 agosto 1978, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”, 20 febbraio 1979, p. 1.645.
55 Acs, fondo Ricompart, b. 225, fasc. Giovanni Sissa, Clnai-Cvl, Centro raccolta patrioti di Genova, scheda n. 12520 di Sissa Giovanni (Minareti-Franzi), Genova, 3 luglio 1945 (Il documento integrale è riportato a p. 218).
56 Acs, fondo Ricompart, scheda di smobilitazione del partigiano combattente VI Zona Sissa Giovanni, con nome di battaglia Minaretti, Genova, s.d. (Il documento integrale è riportato a p. 219).

Giovanna Sissa, art. cit. infra

Giovanna Sissa, “Minareti ti cercano vivo o morto”. Memorie su Giovanni Sissa in Storia e Memoria, n. 2, 2016, Ilsrec. Istituto ligure per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea