La strage di Bologna è la prima a trovare giustizia in un’aula di tribunale

Estate 1980. È il primo sabato d’agosto, quello delle partenze estive dalla stazione di Bologna.
Alle 10 e 25 minuti un ordigno esplode nella sala d’aspetto di seconda classe e una miscela di tritolo e T4 lascia dietro sé 85 corpi senza vita e oltre 200 feriti <518.
È passata alla Storia come la strage più sanguinosa dell’Italia Repubblicana, le cui vittime si aggiungono alla già tragica conta degli anni della strategia della tensione: l’ultima efferata barbarie risale al 1974 e ha colpito, appena qualche mese dopo l’ordigno di Brescia, gli innocenti viaggiatori del treno espresso Roma – Brennero.
Di fatti, come in molti sottolineeranno, «sarà forse una coincidenza, ma il 4 agosto ricorre il triste anniversario d’un’altra strage: quella del treno “Italicus”. E sarà forse un’altra coincidenza, ma l’altro ieri sera è stata emessa la sentenza di rinvio a giudizio per Tuti e gli altri imputati di quel sanguinoso attentato.» <519
Nel pomeriggio del 2 agosto, è il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, giunto precipitosamente a Bologna in elicottero per incontrare i feriti all’ospedale Maggiore, ad offrire una prima interpretazione della strage: “Signori, non ho parole. Siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”.
Nell’immediatezza della deflagrazione, invece, radio, televisione e una quota della stampa nazionale, danno inizialmente spazio all’eventualità che non si sia trattato di un episodio delittuoso ma di un terribile incidente.
Il “Corriere della Sera” pone l’interrogativo già in prima pagina, all’indomani del disastro: “Una strage che non ha precedenti in Italia. Due ipotesi: attentato o sciagura”. <520
La prima pagina de “La Stampa” tuona invece immediatamente contro i neofascisti dei Nar, <521 di cui riporta le rivendicazioni telefoniche, pur non mancando di sottolineare che l’ipotesi dell’attentato è stata tenuta in sospeso sino all’ultimo «per il rifiuto di accettare l’orrore». <522
Anche “L’Unità” racconta di piste investigative alternative al «sospetto di un atroce attentato fascista» <523, facendo riferimento all’esplosione di una caldaia o a una fuga di gas.
In ogni caso, scrive il foglio comunista, «nell’attesa di accertamenti più esatti […] si è riacceso nella nostra mente un decennio di sangue, di barbaria politica e morale». <524
Qualcuno, da subito incline all’ipotesi criminale, avanza una prima distinzione fra terrorismo rosso e nero, che ricorda quelle già incontrate in relazione alla strage di Brescia, asserendo che «se da sinistra la società e l’ordine democratico venivano colpiti attraverso la classe dirigente, con uno stillicidio oculato e crudele di assassinii, da destra […] vengono attaccati spargendo il terrore cieco, indiscriminato, della strage popolare». <525
L’iter giudiziario della strage di Bologna risulta articolato e complesso come tutti quelli che abbiamo finora incontrato, e si muove su tre differenti livelli, poi unificati: il delitto di strage, l’appartenenza a banda armata e infine i reati di depistaggio (con la calunnia contestata a Licio Gelli, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte).
Il processo si avvia soltanto il 19 gennaio 1987, per terminare l’11 luglio dell’anno seguente.
Sono condannati all’ergastolo – come esecutori – Francesca Mambro, Giuseppe Valerio Fioravanti, Massimiliano Fachini e Sergio Picciafuoco, tutti esponenti dell’estrema destra o dell’organizzazione terroristica dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari.
Sono invece riconosciuti colpevoli di depistaggio, Gelli, Pazienza, Belmonte e Musumeci.
Per il reato di banda armata sono giudicati responsabili Paolo Signorelli, Roberto Rinani, Egidio Giuliani, Gilberto Cavallini, e i già citati Fioravanti, Mambro, Picciafuoco e Fachini (con pene che variano dai 6 ai 16 anni di carcere).
Avverso la sentenza propongono ricorso in Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna (che chiede l’inasprimento delle pene); gli imputati (Cavallini, Giuliani, Fioravanti, Mambro, Musumeci, Belmonte e Pazienza); le parti Civili e l’Avvocatura dello Stato; la Regione Emilia-Romagna; il Comune di Bologna; Paolo Bolognesi, Umberto Vale e Anna Garofali.
Il processo presso la Corte di Assise d’Appello inizia il 25 ottobre del 1989 e la sentenza del 18 luglio 1990 assolve, inaspettatamente, tutti gli imputati dal reato di strage, emettendo condanne per i soli reati di banda armata e depistaggio.
Lo stravolgimento della sentenza di primo grado suscita forti reazioni: l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, costituita il 1 giugno 1981, si dichiara indignata e giudica la sentenza una mera “provocazione”; il Movimento Sociale Italiano invoca invece, a gran voce, l’eliminazione dell’aggettivo “fascista” dalla lapide posta in stazione e il Presidente della Repubblica, l’onorevole Francesco Cossiga, chiede ufficialmente scusa all’MSI all’unisono col Presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
Avverso il dispositivo viene eccepito ricorso in Cassazione sino alla pronuncia della Suprema Corte del 12 febbraio 1992. È deciso che il processo d’appello sia integralmente ripetuto perché la sentenza del ‘90 risulterebbe illogica, priva di coerenza, immotivata o comunque scarsamente motivata. Inoltre, i giudici non avrebbero valutato correttamente prove e indizi né tenuto conto dei fatti precedenti e successivi all’evento, decontestualizzando la strage, e avrebbero ammesso tesi inverosimili – non sostenute peraltro nemmeno dalla difesa – .
Nell’ottobre del 1993 ha quindi inizio il secondo processo d’Appello che, il 16 maggio del ’94, conferma l’impianto accusatorio del processo di primo grado. Fioravanti, Mambro e Picciafuoco sono condannati all’ergastolo per il reato di strage, mentre per Fachini è decisa l’assoluzione.
Belmonte, Gelli, Musumeci e Pazienza sono nuovamente dichiarati colpevoli di calunnia aggravata al fine di garantire impunità agli autori della strage.
Il 23 novembre 1995 la suprema Corte conferma la sentenza di condanna del secondo processo d’appello, rendendola definitiva. Dispone però un nuovo processo per Picciafuoco, che sarà assolto dalla Cassazione nell’aprile 1997. L’ultima condanna, dieci anni più tardi, è quella di Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti e condannato a trent’anni come esecutore materiale.
La strage di Bologna è dunque, tra le tre stragi da noi analizzate, la prima a trovare giustizia in un’aula di tribunale. L’iter giudiziario è stato comunque accompagnato da numerose polemiche di carattere politico che hanno scandito nel tempo la memoria pubblica della strage.
Conflittualità non tanto legate agli esiti giudiziari, ma anche e soprattutto alle loro implicazioni ideologiche e politiche: l’attribuita paternità neofascista dell’eccidio disturba la Destra mentre riaccende fuochi di antifascismo militante a Sinistra. Frequenti e virulente sono state le diatribe attorno all’appropriatezza o meno dell’aggettivo “fascista” che definisce la strage sulla lapide posta a memoria delle vittime.
L’esigenza forzata di una “memoria pacificata” e condivisa, di una “riabilitazione” delle forze politiche in campo nel lungo decennio dei Settanta, auspicata in particolar modo dall’ala afferente la destra italiana, ingaggia uno scontro aperto con le risultanze processuali, la ricostruzione storica e alcune categorie interpretative, in cui l’antifascismo riveste un ruolo affatto secondario.
[NOTE]
518 Le vittime: Antonella Ceci Anni, Angela Marino, Leo Luca Marino, Domenica Marino, Errica Frigerio In Diomede Fresa, Vito Diomede Fresa, Cesare Francesco Diomede Fresa, Anna Maria Bosio In Mauri, Carlo Mauri, Luca Mauri, Eckhardt Mader, Margret Rohrs In Mader, Kai Mader, Sonia Burri, Patrizia Messineo, Silvana Serravalli In Barbera, Manuela Gallon, Natalia Agostini In Gallon, Marina Antonella Trolese, Anna Maria Salvagnini In Trolese, Roberto De Marchi, Elisabetta Manea Ved. De Marchi, Eleonora Geraci In Vaccaro, Vittorio Vaccaro, Velia Carli In Lauro, Salvatore Lauro, Paolo Zecchi, Viviana Bugamelli In Zecchi, Caterine Helen Mitchell, John Andrew Kolpinski, Angela Fresu, Maria Fresu, Loredana Molina In Sacrati, Angelica Tarsi, Katia Bertasi, Mirella Fornasari, Euridia Bergianti, Nilla Natali, Franca Dall’Olio, Rita Verde, Flavia Casadei, Giuseppe Patruno, Rossella Marceddu, Davide Caprioli, Vito Ales, Iwao Sekiguchi, Brigitte Drouhard, Roberto Procelli, Mauro Alganon, Maria Angela Marangon, Verdiana Bivona, Francesco Gomez Martinez, Mauro Di Vittorio, Sergio Secci, Roberto Gaiola, Angelo Priore, Onofrio Zappalà, Pio Carmine Remollino, Gaetano Roda, Antonino Di Paola, Mirco Castellaro, Nazzareno Basso, Vincenzo Petteni, Salvatore Seminara, Carla Gozzi, Umberto Lugli, Fausto Venturi, Argeo Bonora, Francesco Betti, Mario Sica, Pier Francesco Laurenti, Paolino Bianchi, Vincenzina Sala In Zanetti, Berta Ebner, Vincenzo Lanconelli, Lina Ferretti In Mannocci, Romeo Ruozi, Amorveno Marzagalli, Antonio Francesco Lascala, Rosina Barbaro In Montani, Irene Breton In Boudouban, Pietro Galassi, Lidia Olla In Cardillo, Maria Idria Avati, Antonio Montanari.
519 E. Scalfari, Un demonio manovra questa follia, “La Repubblica”, 4 agosto 1980, raccolto in E. Scalfari, Articoli. La Repubblica dal 1976 al 1984, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2004, cit. p. 710.
520 Scoppio apocalisse a Bologna: 76 morti, 147 feriti in stazione, “Corriere della Sera”, 03 agosto 1980, p.1.
521 Salta in aria la stazione di Bologna 76 morti, 203 feriti: è un attentato?; R. Lugli, “Le prime ispezioni escludono un incidente”, “La Stampa”, 03 agosto 1980, p. 1.
522 L. Mondo, “Paese senza pace”, “La Stampa”, 03 agosto 1980, p.1.
523 Una strage spaventosa. Oltre settanta morti e 180 feriti. Sospetto di un atroce attentato fascista, “L’Unità”, 03 agosto 1980, p.1.
524 La pietà e il dubbio, “L’Unità”, 03 agosto 1980, p.1.
525 Delitto di Stato, “Il Tempo”, 03 agosto 1980, p.1, riportato in T. Secci, Cento milioni per testa di morto. Bologna 2 agosto 1980, Targa Italiana Editore, Milano, 1989, cit. p. 23.
Claudia Sbarbati, Le stragi e lo Stato. Narrazioni su carta dello stragismo italiano: cronaca, memoria e storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2018

Similmente sul Capra, Chittolini, Della Peruta, si legge “L’insicurezza e le difficoltà furono poi accresciute dal dispiegarsi della così detta «strategia della tensione», un disegno di destabilizzazione volto a favorire una soluzione autoritaria e fondato su una progressione di provocazioni di attentati riconducibili quasi certamente a una matrice di estrema destra. Questa strategia prese l’avvio con la strage di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), dove l’esplosione di una bomba nei locali della banca nazionale dell’agricoltura provocò 17 morti e un centinaio di feriti. La polizia addebitò inizialmente l’attentato agli anarchici, ma la versione ufficiale si sgretolò presto mentre sospetti sempre più fondati si addensavano su gruppuscoli di neofascisti collegati ai servizi segreti. Nel dicembre 1970 ci fu poi il tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese, già comandante della X flottiglia Mas durante la Repubblica di Salò, che riuscì a occupare per alcune ore il Ministero dell’Interno. Il terrorismo nero proseguì negli anni seguenti con uno stillicidio di attentati mirati a seminare il panico tra la popolazione, che culminarono nella strage di piazza della Loggia a Brescia (dove nel maggio 1974 una bomba scoppiata durante una manifestazione antifascista causò 8 morti), nell’attentato al treno «Italicus» (agosto 1974, con 12 morti) e nella gravissima esplosione provocata il 2 agosto 1980 nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna, che fece 85 vittime”.
Ed anche il Veggetti Concino “gruppi fascisti che godevano di appoggi anche all’interno dello Stato (servizi segreti, qualche capo militare) passano così al terrorismo: il 12 dicembre 1969 una bomba in una banca a Milano uccise 16 persone. Nel 1970 scoppiò a Reggio Calabria una rivolta diretta da elementi fascisti che sfruttavano l’esasperazione del popolo meridionale per la sua miseria e la sua arretratezza. Questa politica del terrore (che fu chiamata strategia della tensione) continuò con attentati sanguinosi. Nel 1974, decine di persone morirono a Brescia per l’esplosione di una bomba durante una manifestazione sindacale e vicino a Bologna per l’attentato a un treno. Nel 1980 una bomba alla stazione di Bologna fece quasi un centinaio di vittime”. <63
A parte le differenze di stile nell’argomentare, che a volte fa ricorso a locuzioni dubitative quasi a limitare il peso di una affermazione come ad esempio «attentati di matrice, quasi certamente, di estrema destra» <64, l’immettere o meno qualche riferimento sull’assenza di sentenze e qualche piccola imperfezione o indeterminazione sul numero delle vittime, lo schema interpretativo è quello riportato dai saggi storiografici. La strage di piazza Fontana risulta inevitabilmente legata al tentativo di addossare la colpa agli anarchici, di piazza della Loggia si sottolinea la particolarità di essere stata collocata durante una manifestazione sindacale antifascista e la bomba di Bologna è sempre ricordata come quella che ha causato il massacro più efferato e “Il più drammatico di questi attentati si verificò a Bologna il 2 agosto 1980 quando terroristi di destra misero nella sala d’aspetto della stazione una bomba che costò la
vita a decine di persone”. <65
Il testo che forse in modo più esteso si occupa dello stragismo, il Fossati Luppi, Zanette, si sofferma in modo chiaro sulla strategia delle stragi, richiamando anche il contesto internazionale:
“[…] La strategia della tensione raggiunse il suo culmine con la bomba ad altissimo potenziale esplose nella stazione di Bologna il 2 agosto 1980, che provocò ottantacinque morti e duecento feriti, la strage per motivi politici più grave nella storia italiana ed europea. Gli obiettivi delle stragi nere (che causarono 186 vittime fra il 1969 e il 1982) e della strategia della tensione erano abbastanza chiari: condurre un attacco alle istituzioni democratiche e alle conquiste ottenute dalle forze popolari per favorire un disegno eversivo, autoritario, antidemocratico. Se sono chiari gli obiettivi strategici del terrorismo nero, assai più oscuro e torbido è invece il rapporto che il terrorismo nero ha avuto, nelle sue diverse fasi, con i servizi segreti italiani e stranieri (nel clima della guerra fredda)”. <66
[…] A livello locale la situazione cambia in relazioni alle città in cui sono avvenute le stragi. A Milano pare di assistere ad una più diffusa dimenticanza, a Brescia il ricordo è tenuto vivo soprattutto dal sindacato, vista la dinamica della strage, mentre a Bologna la bomba ala stazione è comunque fra gli eventi più ricordati dai cittadini. Specchio di queste memorie locali si ritrova nella toponomastica e, soprattutto, nelle lapidi che ogni città ha voluto porre nel proprio tessuto urbano, anche in questo caso lapidi discusse, contese, divise.
[NOTE]
63 M. Vegetti, M. Coccino
64 F. Della Peruta, G. Chittolini, C. Capra
65 De Bernardi A., Manuale di storia
66 Fossati M., Luppi G., Zanette E.
Cinzia Venturoli, Stragi fra memoria e storia. Piazza Fontana, Piazza della Loggia, La stazione di Bologna: dal discorso pubblico all’elaborazione didattica. Il data base per la gestione delle fonti, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Anno accademico 2006-2007