La strategia del consenso adottata dal regime fascista si basava sull’educazione del lavoratore

Dal balcone di Piazza Venezia Mussolini annunciò l’11 dicembre del 1937 l’uscita dalla Società delle Nazioni che, a sua volta, comportò l’uscita anche dalla Lotta Internazionale contro la Tratta delle Bianche.
Al di là dell’effettivo contrasto alla Tratta delle Bianche, il regime aveva saputo capitalizzare il fenomeno in chiave propagandistica: in primo luogo in termini di tutela del decoro e dell’ordine pubblico e di promozione di una immagine dell’Italia quale Nazione moderna e pronta di fronte alle questioni di ordine sociale.
A titolo esemplificativo, si riporta l’articolo del 5 dicembre 1929, uscito su La Stampa, che dava notizia di una «una sorpresa della Squadra Mobile in un caffè dove si esercitava la Tratta delle Bianche». Il locale del malaffare era in Via Gallari dove «si radunavano frequentemente alcuni di questi negrieri nuovo stile». Gli arrestati furono tre – un tunisino e due francesi – che «oltre a mantenere la loro… giurisdizione su malcapitate di nazionalità italiana, incontrate sul loro cammino durante il loro soggiorno in Italia, avevano importato alcune francesi dalla loro patria» <177. Nel corso delle indagini poi finirono in prigione anche due italiani, complici dei tre lenoni. Il giornalista, sottolineò come Torino fosse una città tranquilla e sicura, ma evidenziò anche l’importanza dell’intervento della squadra mobile, dove ci fosse bisogno, per stroncare «la malapianta». L’articolo, nonostante parlasse di Tratta delle Bianche, prostituzione e delinquenza, trasmetteva ai lettori un messaggio positivo e di fiducia: il senso del pezzo era quello di rassicurare i lettori sul fatto che Torino fosse sostanzialmente una “città sana” e in cui l’operato della polizia avrebbe eliminato eventuali criminali. Nel capoluogo piemontese l’«indubbia esiguità di piaghe sociali cancrenose» <178 non aveva distolto la squadra mobile dalla propria missione di rendere la città ancora più sicura e migliore. L’autore dell’articolo, poi, enfatizzando l’efficacia dei provvedimenti presi dalle autorità giudiziarie, per reprimere la malavita torinese, elencò una serie di iniziative intraprese per tutelare la moralità negli esercizi: “In Torino gli spacci di vino e liquori sono molti, e in certe località soprattutto quelle periferiche, gli esercizi di questo genere si trovano addirittura l’uno a pochi passi dall’altro. Gli ubriaconi che escono da un locale […] continuano così a ingurgitare bevande alcooliche fino a raggiungere un grado di ebrietà ripugnante. Un’apposita Commissione che fa capo alla Prefettura e sovrintende agli spacci di vino e liquori, non manca, tutte le volte che se ne presenta l’occasione, e dietro segnalazioni della Polizia, di provvedere alla soppressione di qualche esercizio, e contemporaneamente provvede a negare l’autorizzazione ad aprirsi di nuovi spazi” <179.
Poi proseguiva trionfalmente «quest’opera salutare di epurazione dà buoni frutti» <180.
L’articolo di giornale faceva riferimento alle misure di controllo dell’ordine pubblico e della “pubblica morale” intraprese dal fascismo. Con il Testo Unico di Pubblica Sicurezza, infatti, al Capo II, venivano disciplinati gli «esercizi pubblici», aumentando l’attenzione della polizia proprio nei confronti dei locali dediti alla vendita di alcolici. L’articolo si conclude con l’elenco dei vari provvedimenti presi dalla polizia e che condussero alla chiusura di molti esercizi, alcuni anche «sotto l’imputazione di favorire la prostituzione clandestina» <181.
L’attenzione della propaganda al decoro e alla sicurezza urbana rifletteva l’obiettivo fascista di controllare ogni aspetto della vita quotidiana degli italiani per ottenere una «fascistizzazione della società volta a creare un nuovo ordine sociale e morale» <182. Come si è scritto, i principali luoghi oggetto dell’azione repressiva del governo furono le bettole e le sale da ballo, dato che ospitavano i «disoccupati professionali» <183 e i «membri non produttivi» <184 della società, ovvero coloro che minavano l’armonia della collettività nazionale con le loro trasgressioni.
Stefano Cavazza ha, per esempio, spiegato come la propaganda fascista denunciasse l’abuso di alcol e i suoi effetti sull’individuo. In “Piccole patrie” Cavazza ha dimostrato che, seppur la propaganda consigliasse di assumere vino «in dose misurate» durante le feste popolari a cui il fascismo dette sostegno, allo stesso tempo condannava l’usanza di bere vino presso le «fumos[e] bettole», percepite dal fascismo come luoghi di abbrutimento morale e sociale.
La lotta del fascismo contro il degrado urbano mirava, quindi, a «spiritualizzare» la massa, preservandola dai problemi causati dal vivere industriale e educandola ad ottenere una «elevazione fisica e morale» <185.
La prostituzione clandestina si svolgeva in questi luoghi, ove anche si vendeva vino e si trasgrediva alle norme morali sostenute dal regime.
Appare dunque evidente come l’articolo sopracitato sia stato assolutamente strumentale a propagandare l’idea fascista. Come ha dimostrato Corner, inoltre, repressione della quotidianità e consenso, nel ventennio fascista, andavano di pari passo. La strategia del consenso adottata dal regime si basava sull’educazione del lavoratore e la repressione del trasgressore <186. Una siffatta strategia mirava anche a creare una «maggiore intesa tra le classi sociali» <187, togliendo «spazio alla formazione di una coscienza di classe antagonista del potere» <188. L’articolo come quello sopra analizzato rientrava, pertanto, nella concezione fascista di repressione e organizzazione del consenso <189: ciò che risulta interessante è che questo genere di propaganda usò l’accusa di essere un trafficante di donne, in modo strumentale, per delegittimare i nemici dello Stato.
[NOTE]
176 Archivio Centrale dello Stato, Min. Int., D.G.P.S., Interpol, Tratta delle Bianche, b. 1,4.
177 Una sorpresa della Squadra Mobile in un caffè dove si esercitava la Tratta delle Bianche, «La Stampa», 5 dicembre 1929, p. 5.
178 Ibidem.
179 Ibidem.
180 Ibidem.
181 Ibidem.
182 Philp Morgan, Italian fascism, cit., p.128. Emilio Gentile ha definito il fascismo come un «fenomeno politico moderno, nazionalista e rivoluzionario, antiliberale e antimarxista» che mirava alla «creazione di un nuovo ordine e di una nuova civiltà», si rimanda a Emilio Gentile, Fascismo. Storia e Interpretazione, Laterza, Bari, 2002, pp. 9-10
183 Stefano Cavazza, Piccole patrie. Feste popolari tra regione e nazione durante il fascismo, Bologna, il Mulino, 1997, (ed. consultata anno 2009, p.118)
184 Ruth Ben-Ghiat, La cultura fascista., cit., p. 37.
185 Angelo Ventrone, La seduzione totalitaria. Guerra, modernità violenza politica (1914-1918), Roma, Donzelli, 2003, pp.133-152.
186 Paul Corner, Popular Opinion., cit., p.126.
187 Victoria De Grazia, Consenso e cultura di mass nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1981 (The Culture of Consention Organizing in Fascist Italy, 1981), p.31.
188 Stefano Cavazza, Dimensione massa., cit., p.256.
189 Paul Corner, Popular Opinion., cit., p.122-148.
Sara Ercolani, La Tratta delle Bianche in Italia e in Gran Bretagna. Dall’associazionismo alla Societá delle Nazioni, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2018