‘L’aspra stagione’ è una narrazione che muove proprio da questa sconfitta storica

Tuttavia la presenza di un pubblico di lettori che hanno già assorbito le novità formali del testo, e l’overdose di opere e romanzi sugli anni Settanta che nel corso degli anni Zero hanno saturato il panorama letterario italiano hanno contribuito ad inibire la diffusione del libro. Forse anche per questi motivi “L’aspra stagione” non riesce ad imporre un dibattito sul periodo storico sebbene questo rappresenti, come sostiene Loredana Lipperini nella presentazione del romanzo, «un passaggio ancora da esplorare» <400.
Montaggio
Secondo la stessa ammissione degli autori, è il montaggio lo strumento che determina la differenza tra “L’aspra stagione” e una qualsiasi biografia. Come già nella stagione letteraria dell’Avanguardia, il montaggio diventa lo strumento con cui si tenta di mettere in crisi le certezze di una forma narrativa che non sembra più adeguata ad una narrazione dei fatti. Ciò consente certo di collegare “L’aspra stagione” alle pratiche postmoderne già analizzate, sebbene sia legittimo fare riferimento anche all’opera di Nanni Balestrini, citato esplicitamente all’interno del romanzo, in particolare a proposito de “Gli Invisibili”. I due libri hanno infatti numerosi punti in comune a partire dal fatto che entrambi mettono in discussione la definizione di ciò che è possibile considerare un “romanzo”. In secondo luogo Balestrini compie, seppure in un contesto radicalmente diverso, un’operazione politica simile a quella proposta da Tommaso de Lorenzis e Mauro Favale, ossia il recupero della memoria della stagione politica della fine degli anni Settanta e dell’inizio degli anni Ottanta, attraverso le narrazioni di chi ha vissuto sulla propria pelle i cambiamenti in atto. Si tratta di una delle ultime pagine de “Gli invisibili” quando, dopo che le rivolte in carcere si sono concluse con una dura repressione. Nelle ultime righe del testo, la voce narrante percepisce la fine di un momento di fervore politico e la solitudine a cui buona parte di una generazione è condannata. “L’aspra stagione è una narrazione che muove proprio da questa sconfitta storica:
“Dove siete?
Quando eravamo mille diecimila centomila…
Non è possibile che fuori non c’è più nessuno.
Non è possibile ce non sento più niente che non sento più una voce un rumore un respiro non è possibile che fuori c’è solo un immenso cimitero dove siete mi sentite non sento non vi sento non sento più niente”. <401
Sin dalle prime pagine il libro descrive la conclusione del processo storico già ampiamente noto, ossia lo sgretolarsi del movimento e il cambio dei rapporti di forza su cui si basa l’equilibrio del paese, che viene tuttavia riletto secondo altri punti di vista.
L’ultimo elemento che i due libri condividono è proprio il montaggio della narrazione, prima di tutto attraverso una ricostruzione dei fatti che non segue rigorosamente il criterio progressivo. Sebbene le sezioni de “L’aspra stagione” seguano effettivamente un ordine cronologico, al loro interno questo ordine non viene decostruito, in particolare nella struttura modulare delle sezioni 2 e 3, dedicate rispettivamente agli anni 1977 e 1978. Tale struttura si articola innanzitutto in un primo capitolo che fornisce uno sguardo ampio sui principali avvenimenti dell’anno (rispettivamente le manifestazioni a Roma del 1977 e il rapimento Moro), passando ad un secondo capitolo che ripercorre il coinvolgimento di Carlo Rivolta in questi eventi, per poi riportare nel terzo capitolo gli articoli da lui scritti.
Attraverso questo meccanismo, le cronache di Rivolta assumono una profondità storica che mette in luce le contraddizioni del suo lavoro: egli infatti non è separato da quanti vivono dentro al movimento, di cui spesso condivide l’ideologia e pertanto. Simbolo di questa contiguità è il tentativo da parte di Carlo Rivolta di analizzare il rapimento Moro senza dare rilievo al versante istituzionale, bensì continuando a indagare nelle assemblee e rivolgendosi ai gruppi politici autorganizzati. Si tratta però di una formula che non paga in termini economici, dal momento che è proprio in questo momento che “La Repubblica” cambia la sua linea, abbandonando l’interesse nei confronti del movimento, optando per la linea dura: «le fonti che l’anno prima costituivano un valore aggiunto, ora risultano equivoche. Le confidenze che nel ’77 contribuivano alla stesura di cronache impeccabili, adesso creano imbarazzo. E c’è il rischio che la vicinanza a certi contesti confonda, invece di chiarire» <402.
In questo modo emerge un’altra storia, fatta di analisi sbagliate e previsioni indovinate. Da questo punto di vista valgono le riflessioni di Giuliana Benvenuti riguardo alla narrativa di Wu Ming: “i fatti sono talmente noti, o meglio lo è la loro narrazione da parte dei vincitori, da configurare fin da subito il racconto come se fosse preceduto in un salto nel futuro. Il lettore, prima ancora di leggere, sa già com’è finita la vicenda, e per mezzo di questa preconoscenza dal futuro torna al passato remoto, per poi essere ricondotto al futuro: là dove ha sempre saputo che sarebbe stato condotto”. <403
Sono le cronache dello stesso Carlo Rivolta a facilitare i salti temporali attraverso alcune sue intuizioni, prima fra tutte quella sul commercio degli stupefacenti, di cui il cronista anticipa l’esplosione attraverso numerosi articoli di cui, all’interno del libro, vengono riportati alcuni estratti, che gli autori commentano così: “siamo a febbraio, il ’76 è appena cominciato. Il «riflusso» è di là da venire. La marea sta salendo. Eppure, al cronista non sfugge quella polvere che invade le borgate, avvelenando la suburra. Carlo ascolta i rumori della città per raccontarne le trasformazioni. Sempre in anticipo sul tempo”. <404
È proprio durante una crisi di astinenza di eroina che Carlo Rivolta muore nel 1982 ed i segni premonitori sono resi ben evidenti dagli autori. Significativo da questo punto di vista il passaggio dalla sezione 2 alla sezione 3. La sezione 2, intitolata “Doppio 7”, si chiude con l’articolo di Rivolta sulla manifestazione romana del 12 marzo 1978, «una delle manifestazioni più violente dell’Italia repubblicana» <405. Si tratta del momento di distacco ideologico di Carlo Rivolta, che pure continua a sentirsi estremamente legato al movimento, nonostante da alcune voci gli venga attribuito l’attributo di “Delatore”.
Tuttavia gli autori riportano la voce della madre di Rivolta, Isabella Chidichimo, detta Lilli, che contrasta con la descrizione di questo clima cupo: «Per Carlo fu l’anno più bello: quello più felice» <406.
L’allontanamento dall’attivismo politico, l’aumento del consumo di stupefacenti, l’irrigidimento delle istituzioni, il cambio di linea politica di “La Repubblica”, «riflusso, siringhe, armi»: il 1978 sancisce quindi l’ingresso in una fase differente della storia italiana, di cui il rapimento e l’uccisione di Moro diventa il simbolo che copre ogni altra sfumatura.
[NOTE]
400 Loredana Lipperini, “Tommaso de Lorenzis presenta L’aspra stagione”, Faharenheit, 17/05/2012.
401 NOTA
402 Tommaso de Lorenzis, Mauro Favale, L’aspra stagione, Torino, Einaudi, 2012, p. 122.
403 Giuliana Benvenuti, Romanzo neostorico italiano. Storia, memoria, narrazione, Carocci, Roma, 2012, p. 80.
404 Ibid., p. 56.
405 Ibid., p. 76.
406 Ibid., p. 79.
Paolo La Valle, Raccontare la storia al tempo delle crisi, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2015