Le prime due fasi dell’epurazione, quella ad opera della Resistenza e quella ad opera degli alleati, avvennero in Alto Adige simultaneamente

Bolzano – Fonte: Mapio.net

Il 25 aprile 1945 in Alto Adige non ci fu l’insurrezione generale, come si è visto nel secondo capitolo. Le truppe germaniche erano ancora in assetto di guerra, affiancate dalle frange più fanatiche del SOD e per la maggior parte della popolazione, l’arrivo delle truppe angloamericane il 4 maggio non fu la liberazione, ma solo la fine della guerra. In Alto Adige non ci fu l’ondata giustizialista che percorse l’Italia settentrionale, non ci furono i tribunali del popolo istituiti dal CLN contro chi aveva militato nella RSI. Non ci fu la caccia ai brigatisti neri, prima di tutto perché il Partito fascista era stato vietato durante l’occupazione tedesca nella zona dell’Alpenvorland e i fascisti volonterosi erano emigrati dopo l’8 settembre a sud di Ala, nelle file della Repubblica sociale, mentre quelli rimasti avevano collaborato come avevano potuto con il regime di Hofer, con il fine di “salvare l’onore dell’Italia (che aveva tradito l’alleato) e l’italianità della regione”.
Per l’epurazione nell’Italia settentrionale, lo storico Hans Woller ha individuato uno schema in tre fasi: una prima fase di “epurazione spontanea” per opera della Resistenza e del CLN, una fase di “prima epurazione” per opera del governo militare alleato e infine una fase di “epurazione burocratica” condotta dall’Alto commissariato del governo italiano. Questo schema non può essere applicato in questa sequenza all’Alto Adige, perché le tre fasi si sovrapposero e se ne aggiunsero altre due: la fase della “soluzione privata”, relativamente pacifica condotta in alternativa a quella burocratica, e la fase connessa alla revisione delle opzioni del 1939.
4.1 L’epurazione in Alto Adige.
In Alto Adige le tre fasi dello schema individuato da Woller, si sovrapposero prima di tutto perché la legislazione italiana entrò in vigore il 14 luglio 1945, cosicché la prima sentenza della Corte d’assise straordinaria di Bolzano fu il 6 settembre 1945 e non in maggio come nel resto d’Italia. Il governo provvisorio italiano, tre giorni prima dell’insurrezione generale aveva varato un decreto (DDL 22 aprile 1945 n° 142) che aggiornando e integrando le precedenti disposizioni sull’epurazione fascista (DLL 27 luglio 1944 n° 159) aveva previsto la costituzione in tutte le province dell’Italia settentrionale, di Corti d’assise straordinarie. Il loro compito sarebbe stato quello di giudicare i reati più gravi previsti dal precedente decreto e quelli di “collaborazionismo con il tedesco invasore” commessi da cittadini italiani dopo l’8 settembre 1943. Il decreto disponeva che le Corti d’assise straordinarie fossero presiedute da un giudice designato dal Presidente della corte d’appello competente per il territorio, affiancato da quattro giudici popolari che dovevano essere estratti a sorte dal Presidente della corte, da appositi elenchi di almeno cento cittadini, indicati dai partiti presenti nei CLN locali. Le procedure, secondo il decreto, dovevano essere snelle, pertanto sarebbe stato ammesso soltanto il ricorso in Cassazione per le sentenze di primo grado e le Corti d’assise straordinarie avrebbero dovuto concludere il loro lavoro entro sei mesi.
L’opera delle Corti, alla scadenza stabilita, era lontana dalla conclusione e poiché la loro istituzione aveva creato una disparità tra gli organi giudiziari tra il nord e il sud d’Italia, le Corti d’assise straordinarie cessarono la loro attività e al loro posto, con il DDL 5 ottobre 1945 n° 625, furono istituite in tutto il territorio nazionale delle Sezioni speciali delle Corti d’assise ordinarie e furono unificati organi e procedure. Il compito di queste Sezioni speciali fu quello di proseguire ad applicare le sanzioni previste contro i reati di collaborazionismo con gli occupanti tedeschi e di terminare la loro attività entro un anno. La composizione delle Sezioni speciali delle Corti d’assise ordinarie rimase la stessa delle Corti d’assise straordinarie.
In Alto Adige, dove non c’erano state le brigate nere della Repubblica sociale e dove le truppe della Wehrmacht erano state accolte dalla maggior parte della popolazione civile come liberatrici dalla persecuzione fascista, i collaborazionisti con l’occupante tedesco erano diversi da quelli del resto d’Italia. Chi era stato dunque responsabile in Alto Adige, durante l’occupazione tedesca, di aver collaborato alla cattura di almeno un centinaio di persone che finirono sotto il giudizio del Tribunale speciale (istituito a Bolzano) o nel campo di transito di Bolzano?
Durante l’Alpenvorland erano state istituite diverse formazioni di polizia ausiliaria al comando dell’ADO (Arbeitsgemeinschaft der Optanten für Deutschland), la società fondata nel 1939, incaricata di gestire il trasferimento dei sudtirolesi che avevano optato per la Germania. Le formazioni erano il SOD (Südtiroler Ordnungsdienst) nella provincia di Bolzano e il CST (Corpo di sicurezza trentino) nella provincia di Trento ed erano composte da uomini abili alla leva che avevano scelto di arruolarsi nelle formazioni di polizia locali, piuttosto che nell’esercito tedesco e partire per il fronte.
Gli uomini arruolati nel SOD e nel CST non erano dunque strettamente dei volontari, tra di essi c’era chi aveva semplicemente preferito non andare al fronte a combattere, ma anche chi colse l’occasione per perseguitare esponenti fascisti particolarmente odiati. Il SOD e il CST avevano avuto il compito di dare la caccia ai soldati italiani sbandati dopo l’8 settembre, ai partigiani italiani e ai disertori della Wehrmacht <2 e di perseguitare gli optanti per l’Italia, i membri del movimento di resistenza sudtirolese e i fascisti. Il SOD si rivelò anche lo strumento diretto della politica razziale nazionalsocialista, con la cattura e la deportazione degli ultimi membri della comunità israelitica ancora presenti a Merano. <3
Queste formazioni di polizia furono quindi il braccio armato dell’ADO e della Deutsche Volksgruppe, che avevano rappresentato la struttura parapartitica nazista presente nella zona di occupazione dell’Alpenvorland, visto che, oltre a quello fascista, era stato proibito anche il partito nazionalsocialista (NSDAP). A livello locale il potere e l’influenza dell’ADO e della Deutsche Volksgruppe furono paragonabili a quello esercitato in Germania dal NSDAP ed erano formate da cittadini tedeschi, soprattutto austriaci (tirolesi) nei ruoli chiave, mentre nei livelli più bassi trovarono posto anche i sudtirolesi.
Le prime due fasi dell’epurazione, quella ad opera della Resistenza e quella ad opera degli alleati, avvennero in Alto Adige simultaneamente.
Nel mese di maggio 1945, il CLN e l’AHB collaborarono con gli alleati per scovare e catturare nazisti che avevano ricoperto incarichi di rilievo, SS e criminali di guerra, cosicché furono arrestati subito circa duecento funzionari della Deutsche Volksgruppe. Gli alleati internarono per breve tempo anche i membri del SOD, ma a parte pochi elementi, furono tutti rilasciati in quanto – secondo gli alleati – avevano svolto soltanto funzioni di sorveglianza costretti dai tedeschi e non si erano macchiati di crimini di guerra.
Il caso di epurazione spontanea condotto dai partigiani avvenne due settimane dopo la fine della guerra in Val Gardena. <4 Il 15 maggio 1945 i partigiani della Brigata Valcordevole giunsero in Val Gardena, accompagnati da membri del servizio segreto americano (OSS) <5, per arrestare – nell’ambito delle operazioni di prima epurazione alleata – dei presunti collaboratori. La lista comprendeva una cinquantina di persone, sulla base di denunce presentate da abitanti della vallata: ne furono catturate una decina, in quanto la maggioranza era riuscita a fuggire tra le montagne.
Le persone arrestate, furono condotte al quartier generale partigiano a Corvara, dove furono interrogate con metodi brutali e dopo alcune settimane furono rilasciate, tranne cinque persone, che avrebbero dovuto essere state condotte a Belluno per essere processate dal tribunale. Un rapporto americano informò che essi rimasero uccisi durante il trasferimento, nel corso di un tentativo di fuga, mentre un secondo rapporto riferì di torture con esiti mortali.
Il “massacro della Val Gardena” non era stato concordato con il governo militare alleato in Alto Adige, che subito condannò l’accaduto in una lettera al CLN e sollecitò i partigiani a non esercitare giustizia sommaria, in quanto compito del potere esecutivo.
L’episodio destò profonda preoccupazione nell’opinione pubblica sudtirolese, che temette per l’imminente allontanamento dell’esercito statunitense, quale unico deterrente contro la vendetta partigiana. Soprattutto l’area di Brunico fu rastrellata dai partigiani del bellunese, che però si limitarono a isolate requisizioni e perquisizioni domiciliari o a cancellazione della toponomastica tedesca, azioni contrarie ai principi dello stato di diritto, ma che non possono essere scambiate per azioni criminali.
La fase dell’epurazione spontanea da parte dei partigiani in Alto Adige, fu quindi limitata all’uccisione di cinque gardenesi, che avevano svolto funzioni di rilievo durante l’occupazione nazista in Alto Adige e che erano stati denunciati da loro concittadini, probabilmente membri delle famiglie di Dableiber da essi perseguitati. <6
La “prima epurazione” condotta dal governo militare alleato riguardò da una parte gli esponenti di spicco del regime nazista e dall’altra i vertici amministrativi della provincia e fu perseguita in collaborazione con il CLN.
La denazificazione della pubblica amministrazione cominciò subito nel maggio 1945 – con decreto prefettizio corredato di visto dell’AMG – con l’esonero dei commissari prefettizi nei comuni della provincia e la loro sostituzione con uomini nuovi o provenienti dalle fila del CLN locale o da questo nominati. <7 Un altro decreto prefettizio del 19 luglio dispose la riassunzione di tutti i pubblici dipendenti allontanati dal loro incarico dopo l’8 settembre 1943 per motivi politici, spesso nascosti da argomentazioni come “scarso rendimento” o “mancanza della conoscenza del tedesco”.
L’epurazione della pubblica amministrazione trovò una base giuridica con il decreto provinciale n° 8 sulla sospensione o licenziamento dei funzionari ed impiegati nazisti o fascisti in provincia di Bolzano, emesso dal AMG e che entrò in vigore l’11 luglio 1945.
Il decreto metteva sotto processo di denazificazione le seguenti categorie di persone: coloro che erano stati nazionalsocialisti attivi ed avevano fatto propaganda per quel partito; coloro che dovevano il loro mandato esclusivamente al sostegno dei nazionalsocialisti; i capi del SOD a livello locale o superiore; i funzionari del tribunale speciale di Bolzano, gli Ortsgruppenleiter, Kreisleiter, Ortsgruppenführer, Kreisbauernführer, tutti i responsabili in funzione commissariale, i membri o collaboratori delle SA, delle SS, del SD o di altre organizzazioni partitiche o di polizia nazionalsocialista; chi aveva avuto una carica di carattere esecutivo o amministrativo nella OT (Organization Todt), nell’ADERSt (Amtliche Deutsche Ein-und Rückwandererstelle) o nella DAT (Deutsche AbwicklungsTreuhandgesellschaft mbH); i fornitori di enti militari tedeschi e tutti coloro che avevano rivestito una carica presso la Wehrmacht o gli Standschützen.
Il decreto istituì a tal fine una commissione di epurazione con la competenza a decidere in materia di sospensioni e licenziamenti, formata da dieci membri di lingua italiana e tedesca dal passato irreprensibile designati dal AMG. L’individuazione dell’eventuale passato nazionalsocialista, a seguito del quale sarebbe stato avviato il procedimento di epurazione, sarebbe avvenuta tramite la formulazione di un questionario da parte delle persone impiegate nella pubblica amministrazione, in enti o aziende parastatali o in aziende di interesse nazionale, oppure tramite le denunce pervenute alla commissione da privati cittadini. L’efficacia di questo procedimento sarebbe quindi dipeso dall’intransigenza o meno della commissione di epurazione, che come si vedrà nel secondo paragrafo, fu piuttosto mite.
La cessazione del governo militare alleato il 31 dicembre 1945 comportò anche lo scioglimento della commissione di epurazione fino a quel momento esistente e la necessità di istituire nuovi organi di verifica, estendendo in Alto Adige l’applicazione della legge sull’epurazione del 9 novembre 1945 in vigore nel resto d’Italia. Questa legge però, applicata alla situazione altoatesina, comportò alcune storture. Da una parte sfuggivano alla verifica gran parte dei livelli funzionali medi e inferiori, poiché escludeva dalla procedura di epurazione gli appartenenti alle seguenti categorie: avessero prestato servizio civile o militare con i tedeschi dopo l’8 settembre 1943; fossero stati iscritti al Partito fascista della RSI (proibito nella provincia di Bolzano); si fossero arruolati volontari nell’esercito della RSI; avessero partecipato ad esecuzioni; avessero rivestito alte cariche in seno al partito o allo Stato. Dall’altra, come denunciò la SVP [Suedtiroler Volkspartei] sui quotidiani e presso i prefetti, queste disposizioni penalizzavano il gruppo etnico tedesco rispetto a quello italiano, poiché colpivano maggiormente i funzionari tedeschi lasciando indenni quasi tutti gli italiani che erano stati fascisti, ma che non risultavano tali, perché non iscritti alla Repubblica sociale.
Nel 1947 fu esteso all’Alto Adige anche il DLL 5 ottobre 1944 n° 249, che aveva annullato nell’Italia settentrionale tutte le assunzioni operate dalla RSI, con l’ulteriore estensione a quelle operate dall’amministrazione tedesca tra l’8 settembre 1943 e aprile 1945. Il presidente della SVP Erich Amonn lamentò in una lettera al presidente del consiglio De Gasperi, quanto la nuova disposizione andasse ad aggiungersi alle precedenti nel ridurre il numero di altoatesini di lingua tedesca impiegati nella pubblica amministrazione, mentre gli ex fascisti restavano intoccati, se non addirittura riassunti, a causa del fatto che a licenziarli era stato il regime di Hofer. Amonn rilevò anche quanto questa disposizione fosse in contrasto col generale clima politico in Italia, secondo il quale si cominciava a considerare chiuso il capitolo della resa dei conti. <8
Gli effetti di questo clima politico portarono al DLL 7 febbraio 1948, che prevedeva la riassunzione di tutti i funzionari licenziati durante l’epurazione e la sospensione dei procedimenti di licenziamento in corso.
Queste disposizioni rappresentarono per l’Italia la fine delle epurazioni e la riabilitazione della maggior parte degli ex fascisti e collaboratori. In contrasto con quanto appena approvato dalla Costituente, il 5 febbraio 1948 entrò in vigore in Alto Adige il decreto di revisione delle opzioni.
L’obiettivo del decreto di revisione delle opzioni – come si è visto nel precedente capitolo (quarto paragrafo) – era stato quello di dare la possibilità ai sudtirolesi che nel 1939 avevano optato per la Germania, di conservare o riacquistare la cittadinanza italiana e restare in Alto Adige.
Tuttavia, in base all’art. 5, le apposite commissioni incaricate di valutare singolarmente i casi in questione, avrebbero dovuto escludere a priori dalla possibilità di rioptare, le seguenti categorie di persone: ufficiali e
sottoufficiali delle SS, Ortsgruppenleiter, collaboratori della Gestapo, del SD e comandi superiori del SOD, giudici e pubblici ministeri dei tribunali speciali tedeschi, funzionari dirigenti nelle Zone di operazioni, nonché dell’ADERSt e dell’ADO. Erano esclusi anche i semplici membri delle SS e le persone che si erano distinte quali nazionalsocialisti fanatici e avevano mostrato atteggiamento antiitaliano, tutti i criminali di guerra e i collaboratori anche se già condannati. In contrasto con quanto aveva stabilito l’amnistia del 1948, l’art. 5 del decreto di riopzione lo trasformava in un atto di epurazione, solamente per una parte dell’Italia.
Il provvedimento interessò un migliaio di altoatesini, tra i quali molti membri della SVP come Karl Tinzl e Fritz Führer. <9
A compromettere agli occhi dell’opinione pubblica altoatesina la credibilità delle decisioni delle commissioni di valutazione per il riacquisto della cittadinanza, concorse il fatto che uno dei suoi presidenti fu il P.M. Faustino Dell’Antonio, conclamato fascista e collaboratore della Germania nazista.
La sfiducia nella giustizia italiana fu rappresentata dall’atteggiamento che assunsero gli ex disertori della Wehrmacht, particolarmente minacciati dal regime nazista che aveva dato loro la caccia in montagna e mandato spesso i loro famigliari nel campo di transito di Bolzano. La loro reazione nei confronti degli ex persecutori fu raramente quella della denuncia, ma principalmente quella della “soluzione privata”. <10
Questa fase di epurazione, la più diffusa e sentita da parte della popolazione altoatesina, consisteva in una sonora bastonata o in un bagno gelato nella fontana del paese dopo la messa domenicale o ad altre forme di umiliazione pubblica, come la consegna di una corda a quei nazisti fanatici che avevano annunciato l’intenzione di impiccarsi, se la Germania di Hitler avesse perso la guerra. Altre volte gli ex perseguitati si accontentavano di un indennizzo o di semplici scuse pubbliche.
La SVP dovette intervenire in alcune zone della provincia, per ridimensionare il fenomeno. Friedl Volgger, membro della SVP incaricato di intervenire in Val d’Ultimo, si sentì rispondere che l’immersione della fontana del paese era una vecchia usanza di giustizia locale che non aveva mai ucciso nessuno e che se la gente non avesse potuto farsi giustizia da sé, avrebbe dovuto ricorrere alla giustizia italiana, che nessuno voleva. La gente della Val d’Ultimo non avrebbe denunciato nessuno, ma avrebbe fatto fare un bagno nella fontana ad ancora un po’ di gente. <11 La mancanza di collaborazione da parte della popolazione altoatesina con la giustizia “italiana”, è un aspetto da tenere presente, per una valutazione complessiva dell’epurazione in Alto Adige.
[NOTE]
1 Bibliografia quarto capitolo: C.H.von Hartungen, Zur Lage der Südtiroler in der Operationszone Alpenvorland (1943-1945), in Geschichte und Region, 1994; H. Woller, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia (1943-1948), Bologna, 1997; G. Delle Donne, Alto Adige 1945-1947. Ricominciare, Bolzano, 2000; L. Steurer, M. Verdorfer, W. Pichler, Verfolgt, verfemt, vergessen. Lebensgeschichtliche Erinnerungen an der Widerstand gegen Nationalsozialismus und Krieg. Südtirol 1943-1945, Bolzano, 1993; H. Heiss, G. Pfeifer, Südtirol in der Stunde Null? Das Kriegsende in Deutschland, Italien und Österreich, Bolzano, 2000.
2 I disertori avevano trovato aiuto dal movimento di resistenza dell’Andreas Hofer Bund di Egarter; Vedi secondo capitolo primo paragrafo.
3 F. Steinhaus, Ebrei/Juden. Gli ebrei dell’Alto Adige negli anni trenta e quaranta, Firenze, 1994 (pp. 95-97) e C. Villani, Ebrei fra leggi razziste e deportazioni nelle province di Bolzano, Trento e Belluno, Trento, 1996 (p. 175).
4 G. Steinacher, Nicht vergessen, nur verschwiegen. Das “Massaker von Gröden” 1945 und die OSS-Mission “Tracoma”, in Geschichte und Region/Storia e regione, 1997.
5 Vedi secondo capitolo, primo paragrafo.
6 I cinque gardenesi uccisi erano: Adolf Senoner-Vastlé era stato commissario prefettizio di Selva Gardena dal 1943 al 1945, fiduciario della Deutsche Volksgruppe e nell’esercizio delle sue funzioni aveva fatto spedire al fronte vari Dableiber; Gabriel Riffeser: era stato comandante del SOD di Selva Gardena; l’insegnante Josef Pitscheider era stato Ortsgruppenleiter di Selva Gardena; Engelbert Ploner era stato comandante del SOD di Santa Cristina e considerato un noto nazista del luogo; Kosmas Demetz era stato comandante del SOD a Ortisei, responsabile dell’intero settore Val Gardena, molto sollecito nel fare catturare soldati italiani e Dableiber all’arrivo delle truppe tedesche nel 1943, per la qual cosa sarebbe stato anche decorato.
7 Non sempre erano uomini nuovi: anche dalle fila dell’ADERST e del PNF prima dell’8 settembre, come Natale Bruni, ultimo podestà fascista di Brunico, che il 18 giugno 1945 fu nominato vicesindaco accanto al nuovo sindaco Hans Le iter, che sostituì Ernst Lüfter.
8 Lettera 20 luglio 1947.
9 La maggior parte degli esclusi dal riacquisto della cittadinanza italiana, la riottennero negli anni cinquanta a seguito di ricorsi (Tinzl nel 1953).
10 L. Steurer, Verfolgt verfemt vergessen.
11 F. Volgger, Sudtirolo al bivio. Ricordi di vita vissuta, Bolzano, 1985, p. 154.
Jessica Fedele, Le origini della Suedtiroler Volkspartei (1945-1948), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, 2008