Lo sbarco di Salerno è stata una delle operazioni meno felici della seconda guerra mondiale

Salerno (Archivio del Comune di Salerno) – Fonte: Angela Olita, Op. cit. infra (foto 1)
Salerno (Archivio del Comune di Salerno) – Fonte: Angela Olita, Op. cit. infra (foto 2)
Eboli (Archivio del Comune di Eboli) – Fonte: Angela Olita, Op. cit. infra (foto 3)

L’operazione militare che dall’8 settembre 1943 fino alla fine del mese vide impegnate le truppe alleate contro l’esercito tedesco in una battaglia campale combattuta tra il golfo di Salerno e il suo entroterra ebbe come nome in codice “operation Avalanche”. Il nome si rivelò appropriato, perché, come ricorda Hugh Pond, un giornalista e ufficiale inglese che ha scritto uno dei più noti resoconti sullo sbarco a Salerno, mai prima di allora si era tentata una simile operazione anfibia accompagnata da una tale “enorme valanga di bombe e di proiettili” sganciati dai mezzi aeronautici, con la quale gli alleati avevano infine rovesciato le sorti della guerra in loro favore <8.
Il cosiddetto “sbarco a Salerno” fu secondo solo allo sbarco in Normandia come dispiegamento di uomini e mezzi da parte dell’esercito anglo-americano, e i raid aerei furono del tutto paragonabili per intensità e capacità distruttiva nei due territori dell’avanzata continentale alleata <9. Se gli aspetti tattici degli sbarchi sono stati ampiamente documentati, compresi gli errori strategici che portarono al massacro di migliaia di uomini sulle coste normanne e salernitane, meno studiati, almeno fino ad anni recenti, sono stati i risvolti ugualmente tragici delle offensive aereo-navali sulla popolazione civile <10. Riferendoci al territorio dello sbarco a Salerno, i centri <11 compresi tra il fuoco dei due eserciti contendenti subirono distruzioni immani [foto 1-2-3], e centinaia di abitanti trovarono la morte nei lunghi giorni della battaglie che portarono alla liberazione di tutto il Mezzogiorno a sud di Napoli: la città capoluogo fu liberata solo il primo ottobre 1943, a causa della strenua difesa che i tedeschi opposero all’avanzata anglo-americana proprio nell’entroterra salernitano.
Uno studioso dell’ Operation Avalanche, Massimo Mazzetti, confermando l’interpretazione prevalente della storiografia militare, ha recentemente scritto: “ lo sbarco di Salerno, avvenuto in concomitanza con l’armistizio tra l’Italia e gli anglo-americani, è stata una delle operazioni meno felici della seconda guerra mondiale” <12, sottolineando come gli alleati, pur tra le diverse opzioni tattiche sostenute dagli inglesi e dagli americani, finirono per scegliere un’area ben difesa dalle truppe naziste, dove era presente “l’unica divisione corazzata a pieno organico tedesca posizionata in Italia centro-meridionale” <13, e dove inoltre la stessa conformazione geografica della zona era favorevole ai nemici, che potevano, dall’alto dei rilievi circostanti la valle del Sele, dove sbarcò il grosso delle truppe alleate, efficacemente contrastarne l’avanzata, come in effetti fecero. Il deciso contrattacco tedesco diede luogo a un’aspra battaglia; l’esercito anglo-americano riuscì infine ad avere la meglio solo per la superiorità numerica dei mezzi di aviazione e grazie al supporto della potente artiglieria navale <14.
Altavilla Silentina, una postazione strategica per il generale Clark, fu conquistata e persa dagli alleati in più riprese; Battipaglia ed Eboli furono quasi rase al suolo e molti altri comuni compresi tra le colline costiere di Salerno e i monti Picentini subirono lutti e distruzioni spropositati. Battipaglia fu definita “Guernica”, Eboli la “Cassino del Sud” <15. Gli stessi alleati, entrando nei paesi e nelle città liberate vi constatarono la tremenda distruzione arrecata. Alcuni ufficiali, vedendone le conseguenze, dubitarono persino della razionalità delle offensive aeree.
Il comandante della 36° divisione, generale Walker, riferendosi ad Altavilla, scrive nel suo diario di guerra: “sono passato di nuovo da Altavilla oggi. Le case sono distrutte, le strade sono bloccate dai detriti, c’è ancora puzza di cadaveri. Il bombardamento di questa città, piena di famiglie abbandonate, fu brutale e senza alcuno scopo” <16.
Visitando Battipaglia il generale rimase “enormemente depresso dalla completa distruzione di questa antica città dalla nostra marina e aviazione. Non c’era un edificio intatto” <17. Anche a Battipaglia la vista delle macerie e l’odore insopportabile dei cadaveri sono il triste, diretto impatto con una realtà prima filtrata e resa astratta dalle cartine militari. Saputo che il generale comandante Clark aveva disposto il bombardamento di Altavilla, il generale Walker scrive: “non vedevo come la distruzione di fabbricati e l’uccisione della popolazione civile di Altavilla avrebbero potuto migliorare la nostra situazione […]. Una città segnata su una carta forma un bersaglio ottimo per qualsiasi centrale di tiro…può essere colpita con la massima facilità… In verità tale distruzione migliorò poco o niente la nostra situazione tattica ma causò molti danni e perdite ingenti tra la popolazione civile e, a mio parere, non era affatto giustificata” <18. Un altro soldato, Ray Wells, scrive nelle sue memorie: “non avevamo idea di cosa fosse una vera battaglia […]. Avevamo già visto soldati, amici morti, ma non penso ce ne fossimo resi conto fino a quando non attraversammo il villaggio di Altavilla, sentendo l’odore dei cadaveri e vedendo, con i nostri occhi, i miseri resti dei nostri commilitoni, uomini e donne civili e, peggio di tutti, quei poveri piccoli bambini innocenti, i loro vestiti bruciati dalla morte” <19.
Questi resoconti riflettono bene quella bitterness <20, quella sensazione di una vittoria amara che è il sentimento comune tra le truppe che mettono piede per la prima volta nell’Europa continentale, scoprendo di persona i tragici risvolti di una guerra condotta fino ad allora dall’alto in Italia e, se si eccettua la Sicilia, senza il diretto coinvolgimento sul fronte degli uomini. A Salerno la guerra degli obiettivi strategici da centrare con i bombardieri si affianca a una sanguinosa battaglia campale. La prima divisione americana a essere scaricata sulle spiagge di Paestum è la 36°, chiamata la “Texas Army”, capitanata da Walker: molti soldati sono texani e portano con sé il “mito della frontiera”, ma l’illusione di una facile conquista si infrange contro la violenza dello scontro diretto tra gli eserciti. I soldati della trentaseiesima sono descritti come “pateticamente giovani”, inesperti della battaglia; eppure affrontarono dei combattimenti tra i più duri di tutta la guerra. Secondo Thomas Row, l’espressione “battesimo del fuoco” non rende giustizia alle orrende esperienze di quanti furono in prima linea a combattere <21.
Altrettanto atroci furono le sofferenze della popolazione civile, ma, per una serie di ragioni che qui sarebbe complesso riassumere, destinate a rimanere nell’ombra per molti anni <22. Molte vittime non vennero nemmeno ricordate con una lapide, non ebbero l’attestazione monumentale dei cimiteri di guerra. Quando pure sorse una lapide, come a Campagna dove il 17 settembre 177 persone <23 vennero uccise in un’incursione aerea, il ricordo delle vittime stentò ad emergere come memoria pubblica, nel caso specifico travalicato dalla memoria del campo di internamento ebraico e dalla figura di Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna, che aiutò i confinati lì presenti, permettendo loro scampare la morte nei campi di concentramento <24.
La maggior parte delle vittime del 17 settembre, trucidate mentre erano in fila per la distribuzione dei viveri nella piazza principale del paese, erano sfollati ebolitani che avevano abbandonato la città già dall’inizio dell’estate del 1943, ritenendo più sicure le località lontane dai principali collegamenti ferroviari, presi di mira da giugno dai bombardieri alleati con violenti raid, in preparazione delle successive operazioni militari. E così, mentre donne, uomini e bambini inermi furono uccisi da quegli stessi “liberatori” che di lì a poco sarebbero entrati nel paese, bruciando i resti dei cadaveri che non erano stati ancora rimossi, “le ‘vittime civili’ dei bombardamenti di Campagna divennero un mero numero” <25.
A Campagna, come in altre località credute più defilate rispetto a quelli che potevano essere i “razionali” obiettivi militari, si erano dunque rifugiati gli abitanti delle città più attaccabili perché sede di snodi ferroviari importanti, come Salerno, Eboli, Battipaglia.
Tra il 21 e il 22 giugno, nei dintorni delle stazioni ferroviarie di Salerno e Battipaglia, erano state sganciate centinaia di bombe – si calcolarono 230 bombe cadute nella sola Salerno – , provocando altrettante vittime tra la popolazione. Se gli avvenimenti di settembre provocarono un numero di morti relativamente contenuto nei principali centri abitati dello sbarco, ciò si deve all’“esodo totalitario” <26 che avevano innescato queste incursioni.
Come si legge in un rapporto della protezione antiaerea di Salerno stilato in occasione di un altro pesante bombardamento avvenuto esattamente un mese dopo – quando tra il 21 e il 22 luglio caddero circa 350 bombe “dirompenti e incendiare” sulle abitazioni civili, sul centro ferroviario e sui quartieri industriali della città – il numero di vittime “insignificante rispetto alla violenza del bombardamento” fu conseguenza del “fatto che la popolazione di questo capoluogo, non sentendosi sufficientemente protetta contro gli attacchi aerei, ha abbandonato totalitariamente la città subito dopo le incursioni del 21 e 22 giugno, riversandosi nelle campagne e nei comuni viciniori” <27.
In questo esodo generalizzato si diedero alla fuga anche le autorità civili, il podestà, il prefetto, il questore e gli altri funzionari del regime che “con grosse automobili sfrecciavano davanti alla folla sbandata” <28.
Il fronte esteso del conflitto si allarga, costringendo la popolazione ad adottare nuove strategie di sopravvivenza nella illusoria ricerca di un rifugio sicuro. Alcuni dei nuovi sfollati da Salerno erano giunti in precedenza da Napoli, dove i bombardamenti imperversavano dall’inizio della guerra <29.
La violenza delle incursioni su Salerno è impressa nella memoria di un testimone che, con la sua famiglia, era scappato da Napoli “Mentre la guerra veniva considerata una cosa che non potesse coinvolgere noi direttamente in prima persona, la fase della conclusione della guerra ci vide coinvolti proprio direttamente, rimanemmo coinvolti nella… proprio nella zona di combattimento, prima con i bombardamenti su Napoli, poi il bombardamento su Salerno che subimmo perché abitavamo a Salerno fuggendo da Napoli. Terribile il bombardamento di Salerno. Io vidi le fortezze volanti, guarda che è una cosa terrificante vedersi scendere le bombe sopra. E noi ci vedemmo scendere le bombe sopra, c’era questa incursione, queste fortezze volanti, e ad un certo punto io dissi: “guarda ci sono quelle cose che vengono giù d’argento! Che sono?” Erano le bombe che scendevano.
Noi abitavamo vicino alla ferrovia, qui, a via Balzico e quindi fu terribile, terrificante. Le bombe caddero tutte intorno a dove abitavamo. Rimanemmo salvi, non si sa, ma io non so come, non so proprio come. Da lì poi, da Salerno, ci siamo rifugiati un momento a Cava e poi subito dopo siamo andati nell’Alto Sele, a Santomenna, dove avevamo una casa, avevamo delle proprietà, e dove pensavamo di stare tranquilli, almeno lì…” <30
Un altro testimone, Enea Cervasio, ricorda il primo corredo di distruzione e macerie apportato dalle incursioni estive su Salerno, collegandolo alla terribile potenza distruttiva degli ordigni portati in grembo dalle navi dello sbarco a settembre “Salerno è stata martoriata dalle bombe. Ci sono state intere strade di Salerno che erano completamente distrutte. C’era una strada, la ricordo, fra la zona del Carmine, che scendeva giù e per l’interno portava alla stazione ferroviaria, era una lunga strada, non c’era un palazzo in piedi. O distrutto o inagibile, o distrutto o inagibile. Tutti i bombardamenti che fecero in quel periodo. Finirono i bombardamenti, cominciarono i cannoneggiamenti navali, qualcosa di pauroso. Si immagini che ogni colpo di cannone, noi eravamo a sei, sette chilometri dalla città, e circa dieci, dodici, da Battipaglia, oltre la zona di mare, dove ci stavano queste navi, si sentiva tremare il terreno, tremava il terreno, era qualcosa di spaventoso. La notte, poi, era un folklore che sembrava Piedigrotta, traccianti di tutti i tipi e … eravamo in piena zona di operazione” <31.
Giuseppe Manzione si trovò durante lo sbarco a Persano, teatro di una delle più lunghe e difficili battaglie di tutta l’operazione Avalanche: il tabacchificio di Persano, dove lavorava il testimone, fu aspramente conteso tra tedeschi e alleati; questi ultimi volevano impadronirsene per dare protezione alle spiagge di invasione e per controllare la zona circostante. La battaglia iniziò il 10 settembre e si concluse solo il 19 successivo con la definitiva presa di Persano da parte della 36° divisione americana, la “Texas Army” <32. Il testimone rievoca la sera dello sbarco e l’avvicendamento dei soldati a Persano, i molti morti prodotti dagli scontri e i ricoveri di fortuna dove i lavoratori del tabacchificio si ripararono dai fuochi incrociati: [A settembre] “Io mi trovavo a Persano, lavoravo là.. [quindi lo sbarco l’ha visto?] Eh l’ho visto sì perché poi andavamo a ricoverarci in ricoveri sottoterra scavati, coperti da tronchi di alberi e quella notte andammo un po’ tutte le famiglie su una collinetta nella zona tra Persano e Altavilla… non mi ricordo come si chiama, mi pare la Madonna della Neve… e di lì vedemmo tutte le luminarie, le luci che venivano dal mare. Poi si dice “lo sbarco di Salerno” ma in effetti non è stato proprio a Salerno ma è stato nella piana del Sele… comunque… E ho visto pure i morti là. Che tra l’altro, quel posto lì vicino la casa nostra di mio zio, c’ erano accampati un gruppo di tedeschi giovani ai quale mio zio offriva ogni tanto qualcosa, anche perché poi mio zio stava bene, la moglie faceva il pane, insomma, cresceva il maiale. Sti poveri giovanotti, questi giovani soldati tedeschi facevano pena, mangiavano pane nero fatto 15 giorni prima e mio zio gli offriva delle uova, qualche cosa. Presidiavano quella zona quasi vicino alle case di questi dipendenti. E ci fu uno scontro durante… tra tedeschi e americani in questa zona qua. La sera c’erano i tedeschi lì dove stavamo noi e la mattina c’erano gli americani, i tedeschi erano scappati. Insomma si combattevano. E in un fossato, mi ricordo, nel bosco di Persano vidi pure dei morti, erano soldati. Insomma so’ tragedie queste…” <33
Negli ultimi atti dell’operazione Avalanche, un’altra carneficina avvenne in un paesino lontano dalla zona degli sbarchi, Buccino, posto su un’altura al confine con la Basilicata. Come Altavilla, il paese si trova in una posizione strategica di controllo: lungo la strada a valle, la SS. 91, stanno risalendo i tedeschi, impossibilitati a percorrere la strada costiera. Qui, il 16 settembre, un bombardamento preceduto da un mitragliamento aereo della RAF fecero insieme 45 vittime. Nel mitragliamento morirono dieci ragazzini, uccisi mentre giocavano nella piazza San Vito <34. Nicola Tuozzo, fratello di una delle vittime, Francesco, riassume laconicamente quella strage di innocenti: “il 16 settembre verso le quattro e mezzo comparvero uno stormo di aerei: io arrivai a contarne fino a diciassette. E poi successe la fine del mondo” <35. Un’altra testimone ricorda il ritrovamento del fratellino esanime, stretto tra altri corpi dei suoi amici: il suo petto era stato dilaniato dai colpi e la gamba, staccata dal corpo, non si trovava più; nell’incursione su San Vito “la prepotenza della mitraglia e gli spostamenti d’aria provocati dalle esplosioni delle bombe avevano spinto alcuni corpi a centinaia di metri e i loro brandelli erano arrivati anche sugli alberi” <36.
Francesco Tuozzo è stato invece ferito gravemente a una gamba ma morirà dopo un paio di giorni, non essendo stato possibile un intervento chirurgico: “Nel mitragliamento che avvenne a San Vito dove morirono molti miei compagni di giochi e di scuola, oltre che compagni di classe, quinta elementare maschile del ’43… e… tra questi c’era anche il mio compagno di banco Ettore Scaffa. E tanti altri. E fu una giornata proprio terribile, mostruosa. La sera quando arrivò mio padre trovò mio fratello che era stato già portato da un medico, però fece delle fasciature alla buona, perché non c’erano mezzi, non c’era niente… La sera poi mio padre portò me dai nonni e gli altri due figli in altrettante case di famiglia, in campagna, perché dovevano accudire mio fratello che era ferito, il quale visse forse quarantott’ore, cinquanta ore… e poi naturalmente morì… […] Fu portato da un medico anziano del paese a duecento metri di… nemmeno duecento metri di distanza da casa… e per portarlo ci fu la mano del… fu difficilissimo! Perché non era che c’era qualcuno, ognuno cercava di pensare a sé stesso, e fu un vero problema portarlo. E naturalmente [il medico] che fece… dovette fare qualche fasciatura alla buona, ma non c’era… si doveva amputare, si doveva portare in ospedale… e [il fratello] morì per la cancrena. Se era in tempi normali, si amputava una gamba… e sopravviveva” <37.
I pochi episodi qui riportati non sono che una parte della più grande esperienza di morte e sofferenza attraversata dalla popolazione coinvolta “nell’infuriare della battaglia” <38 seguita alla sbarco.
Altri numerosi eventi non riguardarono comunità estese, ma furono ugualmente tragici.

[NOTE]
8 H. Pond, Salerno!, Longanesi, Milano, 1966
9 G. Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940-44, Bollati Boringhieri, Torino 2005; O. Wieviorka, Lo sbarco in Normandia, (ed. or. 2007) il Mulino, Bologna 2009
10 Le coste francesi e italiane furono teatro di imponenti operazioni di sbarco, decisive per gli esiti del conflitto, e come tali esaminate quasi esclusivamente dalla prospettiva della storia militare; d’altro canto, l’industria culturale occidentale, e in special modo il cinema, hanno prodotto un mito popolare della guerra e dei D-day nel continente europeo, di cui le produzioni sull’operazione “Overlord” – lo sbarco in Normandia – sono l’esempio più noto. Questi elementi hanno fatto sì che la memoria degli sbarchi si sia incentrata sugli eserciti combattenti, come se gli schieramenti si fossero fronteggiati su un campo di battaglia “tradizionale”, dove gli unici protagonisti sono gli uomini in armi. Se pure è possibile rintracciare elementi tradizionali, forse anche forme arcaiche di guerra – come la lotta all’arma bianca nei bocage normanni (Wieviorka 2007) -, in realtà l’aspetto nuovo del secondo conflitto mondiale è l’inedito e intenso coinvolgimento di civili, di donne, uomini, bambini che vengono improvvisamente a ritrovarsi all’interno di sanguinosi teatri di guerra
11 Per gli eventi luttuosi che interessarono diversi comuni della valle del Sele, dove avvenne lo sbarco, si veda P. Tesauro Olivieri, Settembre 1943, La tragedia delle popolazioni dei Comuni della Valle del Sele e dintorni, Edizioni P, Salerno 1979; per Buccino cfr. E. Catone, 16 settembre 1943… quando i padri seppellirono i figli, a cura dell’autore, 2013
12 M. Mazzetti, Salerno 1943 in R. Dentoni Litta (a cura di), Schegge di Storia, Salerno e l’operazione Avalanche, Archivio di Stato di Salerno, Catalogo della mostra, 2014, p.13. C. Iorio ha opportunamente intitolato un capitolo del suo libro su una delle più lunghe battaglie dell’Operazione Avalanche “Una valanga di fuoco o una valanga di errori?”, cfr. C. Iorio, Quota 424. Battaglia per Altavilla Silentina, 11-17 settembre 1943, Palladio, Salerno, 2003
1 3M. Mazzetti, Salerno 1943… p.14
14 Ivi p.15
15 C. Tarsia (a cura di), I racconti di Avalanche, n.2, supplemento de “Il Mattino”
16 Citato in G. Iorio, Quota 424… p. 107
17 Ivi, p. 108
18 Ivi, p. 109
19 Ivi, pp. 107-108
20 T. Row, The Anglo-American landings at Salerno in the light of recent military historiography, in Salerno 1943. Cinquant’anni dopo lo sbarco, Atti del convegno, 3-4 settembre 1993, Laveglia, Salerno, 1994, pp. 9-12
21 Ibidem
22 Sul tema della scarsa attenzione alle vittime civili dei bombardamenti e delle azioni di guerra, nel discorso pubblico e nella storiografia pre-1989, si rimanda alle riflessioni di G. Gribaudi, in particolare Guerra totale… p. 604 e ss.; (id) Le memorie plurali e il racconto pubblico della guerra. Il ruolo delle fonti orali nella riflessione storiografica sul secondo conflitto mondiale, in “Italia contemporanea”, n. 275, 2014, pp. 217-249
23 Comune di Campagna, “elenco ufficiale dei caduti nel bombardamento del 17 settembre 1943 a 60 anni dal tragico evento”
24 A Campagna è stato allestito un museo-memoriale sulla Shoah nell’ex convento di San Bartolomeo, che fu adibito a campo di internamento per gli ebrei in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. I rapporti tra la popolazione di Campagna e gli internati furono improntati alla solidarietà, tanto che un gruppo di ebrei decise di trasferirsi in zona, cfr. F. Corbisiero, Storia e memoria dell’internamento ebraico in Campagna durante la seconda guerra mondiale in G. Chianese (a cura di), Mezzogiorno: percorsi della memoria tra guerra e dopoguerra, numero monografico di “Nord e Sud”, 6, 1999
Il vescovo di Campagna Giuseppe Maria Palatucci, con l’aiuto del nipote Giovanni, commissario della questura di Fiume, avrebbe aiutato diversi ebrei a scampare ai campi di sterminio, riuscendo a far trasferire qualcuno anche a Campagna. Ultimamente, alla luce di nuova documentazione, sono stati avanzati dei dubbi sull’effettivo contributo di Giovanni Palatucci nel salvare migliaia di ebrei a Fiume.
La lapide per le vittime dell’incursione aerea del 17 settembre 1943 venne posta nel 1965, cfr. P. Tesauro Olivieri, Settembre 1943…p. 56. L’autore riporta la notizia che furono gli internati a procedere con la pietosa raccolta dei resti umani, innalzando una pira per evitare l’insorgere di un’epidemia.
25 V. Pindozzi, Eboli 1940-45, in N. Oddati (a cura di), L’immagine, la memoria, la storia. Salerno, Eboli, la guerra, Paguro edizioni, Salerno, 2004, p.46
26 ACS, Mi, Dir. Gen. protezione civile e servizi antincendi, Unione nazionale di protezione antiaerea – UNPA (1934 – 1946), AG 18, Relazioni incursioni aeree, b. 108, f. 496, “73. Salerno”, Relazioni sulle incursioni del 21 e 22 giugno 1943. I primi dati a disposizione del comitato provinciale protezione antiaerea registrano a Salerno 91 morti civili e 150 feriti, 12 morti e 6 feriti tra i militari; a Battipaglia 2 militari morti, 15 civili feriti e 30 morti.
Altrove (scheda storica sui bombardamenti a Salerno, museo dello sbarco e Salerno capitale) si legge che nella sola Salerno i morti del raid di giugno sono circa 600.
Per un racconto dal basso dei bombardamenti e delle esperienze della guerra dei salernitani, cfr. A Palo, Salerno: i ragazzi del ’43. La guerra e la memoria, Scrittorio edizioni, Cava dei Tirreni (Sa), 2013; A. Valletta, Salerno e i salernitani nella Seconda Guerra Mondiale, Printart edizioni, Nocera Superiore (Sa), 2013
27 Ivi, Relazioni sulle incursioni del 21 e 22 luglio 1943, la protezione antiaerea annota 3 vittime e 5 feriti. Un’altra incursione con vittime era stata registrata nella notte tra l’11 e il 12 luglio: 6 morti tra i militari (5 italiani e un tedesco) e 7 civili morti (di cui 4 bambini)
28 A. Valletta, Salerno e i salernitani nella Seconda Guerra Mondiale… p. 43
29 Sui bombardamenti a Napoli e le vittime civili si veda G. Gribaudi, Guerra Totale…
30 Intervista a Pietro di Maio (1930), 12 aprile 2014
31 Intervista a Enea Cervasio (1931) di Gabriella Gribaudi, 2 maggio 2013, visionabile sul sito www.memoriedalterritorio.it
32 A. Konstam, Salerno 1943. Gli alleati invadono l’Italia meridionale, Leg, Gorizia, 2013
33 Intervista a Giuseppe Manzione (1927), 16 maggio 2015
34 E. Catone, 16 settembre 1943…
35 Intervista a Nicola Tuozzo (1932), 30 maggio 2014, intervistato anche da Catone, ivi
36 E. Catone, 16 settembre 1943… p. 42
37 Intervista a Nicola Tuozzo (1932), 30 maggio 2014
38 A. Carucci, A Salerno nell’infuriare della battaglia, diario del settembre 1943, Sirio Fameli, Salerno, 1945
Angela Olita, Risorgendo dalle macerie. Ricostruzione urbana ed edilizia dopo lo sbarco a Salerno, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Napoli Federico II, 2016

Fu, così, che maturò la decisione di costituire un distaccamento dell’OSS a sostegno della V Armata in procinto di compiere nel luglio ’43 l’operazione di sbarco a Salerno, nota col nome in codice di Avalanche. La gestazione dell’OSS-V Army Detachment fu alquanto complessa e travagliata. Alla luce della storiografia ufficiale <38 e della documentazione disponibile -ci si riferisce in particolare al rapporto dell’OSS qui in esame- la decisione può farsi risalire al luglio ’43, quando il generale Donovan e il generale Mark Clark s’incontrarono in Marocco. La costituzione di una nuova unità da aggregare alla Quinta Armata si prefisse il conseguimento dei seguenti scopi: -infiltrazione degli agenti speciali attraverso le linee nemiche e intelligence, sfruttando la confusione dello sbarco alleato nel vecchio continente; -instaurazione di collegamenti con la Resistenza e selezione di agenti scelti tra italiani in loco, più che tra italo-americani che mancavano dall’Italia da decenni, in vista della conduzione di operazioni speciali; -individuazione degli agenti nemici o potenzialmente pericolosi; -in generale attività di spionaggio. Secondo la testimonianza di
Max Corvo, invece, la costituzione della nuova unità non ebbe altra ragione che quella di creare una nuova struttura di comando per sistemare poltrone e favorire carriere in favore di personaggi ambiziosi dell’OSS di Washington, i quali non avevano alcuna competenza né consapevolezza della realtà delle operazioni dell’OSS in Sicilia e Italia ed ebbe quale unico effetto quello di creare competizione all’interno del Teatro operativo italiano, aggravata dalla frequente presenza del generale Donovan in persona, le cui decisioni, ancorché fondate su uno spiccato pragmatismo, furono talora troppo repentine e, pertanto, non contribuirono a far luce nella confusa fase di avvio della campagna dei servizi segreti americani in Italia.
[…] Si può ora passare a trattare dei primi contatti dell’OSS con i partigiani italiani, proprio a cominciare dalle missioni di supporto alla citata operazione militare Avalanche del settembre 1943.
Donald Downes e i suoi dell’OSS/V Army Detachment sbarcarono sulla “spiaggia rossa“ nelle vicinanze dei famosi templi di Paestum la mattina del 9 settembre.
Dopo qualche giorno Downes ricevette l’ordine di recarsi a Maiori, dove erano sbarcati i Rangers <25 del colonnello William Darby, per portare loro aiuto. Donald Downes dispose, dunque, che l’OSS formasse delle squadre per fornire rifornimenti e prestare interpreti al servizio dei Rangers, nonché individuare gli agenti nemici che, a loro volta, erano alle costole del colonnello Darby.
Secondo la testimonianza di Max Corvo, che, a sua volta, ha riportato il rapporto redatto dal citato capitano André Pacatte, uno degli ufficiali del SI assegnato alla nuova unità dell’OSS presso la V Armata, che copre il periodo dal 9 al 26 settembre 1943, il distaccamento di Donald Downes si compose di due stazioni radio di base, denominate Concord, una serie di jeep e camion, venti uomini e due ufficiali (che erano i sunnominati Pacatte e Cagiati) <26.
A detta di Corvo, questo sarebbe stato l’unico rapporto sulla missione del distaccamento dell’OSS presso la V Armata, mentre sappiamo che esiste anche un altro rapporto, cioè quello redatto dal capitano Alex Cagiati, l’altro ufficiale del SI distaccato presso l’OSS/V Army Detachment, che narrò le attività dell’OSS in Italia lungo un periodo assai più lungo e, precisamente, da gennaio 1943 a giugno 1945.
Orbene, secondo la testimonianza di Cagiati, il distaccamento agli ordini di Mr. Donald Downes fu composto, oltre che dal suo Comandante in Capo, dallo stesso capitano Cagiati e altri due agenti, il citato André Pacatte e il capitano André Henri Emile Burgoin <27.
[NOTE]
38 E multis, Kermit Roosevelt, The war report of the OSS cit.
26 M. Corvo, La campagna d’Italia dei servizi segreti americani cit., pp. 151-152.
27 Il Maggiore André Henri Emile Bourgoin, reclutato nell’OSS da Donald Downes sin dal 1942, dopo aver lavorato al suo servizio nel Marocco Francese, fu assegnato all’OSS/V Army Detachment in Italia agli ordini di Mr. Donald Downes e fu così che il 20 settembre 1943 atterrò a Paestum per poi raggiungere lo stesso giorno il suo capo nella sede operativa di Amalfi e, da subito, iniziare a lavorare per la nuova unità dell’OSS.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012

La pagina iniziale del diario di Luigi Centola, cit. infra

Incominciammo ad essere ansiosi di notizie specialmente di Salerno, ma non è facile recarvisi: anche per la montagna vi sono ancora pericoli.
Così il lunedì 27 calma quasi completa, riepilogammo gli ultimi avvenimenti: parecchie vittime del bombardamento. Alla Clinica dove è Maria è deceduto l’avv.to Capone che vi fu ricoverato insieme con la moglie.
In questi giorni così tragici, la zia Caterina Fattorusso è stata assai male, con un principio di trombosi: abbiamo temuto una catastrofe da un momento all’altro, ma per grazia di Dio si è andata man mano ripigliando nonostante la sua tarda età.
Il problema dell’alimentazione si aggravava sempre più: feci venire un sacco di pasta a mezzo di Monetti ed altro ne avrebbe portato fra giorni. Ormai era la sola nostra risorsa: in quel tempo la nostra alimentazione si basava soprattutto sulla frutta (fichi ed uva), oltre alla poca farina che ancora ci restava. Per la popolazione, data l’interruzione della vita cittadina, vi era poco o nulla e sembrarono giustificati alcuni saccheggi di negozi. Ma la popolazione presto trascese e così i saccheggi si moltiplicarono per tutti i negozi.
Il 28, essendo stato fatto un ponte metallico presso Villa Alba, scesi a Cava per rendermi conto dell’accaduto e cercare di essere autorizzato a recarmi a Salerno.
Ma nessun permesso autorizzavano gli inglesi a causa dell’intenso traffico di mezzi bellici che salivano da Salerno <45.
Nel pomeriggio, avendo appreso che a Baronissi era stata uccisa da una scheggia la figlia di Marano, Franca, cara amica di Giuliana e Teresa, mi recai a S. Pietro a Cava dal gen. Amendola, dove la notizia mi fu confermata.
In quel pomeriggio, dopo tanto tempo, capitò la prima pioggia: ciò che provocò in tutte le case seri inconvenienti giacché la maggior parte delle case avevano i tetti sfondati e rotti per gli scoppi delle granate.
Il 29 ritornai a Cava sperando di avere il permesso di andare a piedi a Salerno per la strada rotabile, ma durava sempre la proibizione perché interminabili colonne vi salivano. Decido andarci per la montagna.
Infatti al mattino seguente, giovedì 30, con Marino e Lucrezia Biasucci, per Croce andiamo a Salerno. Vi è molta gente che fa la stessa strada, ed alcuni che rientravano con masserizie.
Mi dirigo alla nostra casa, ma questa è occupata dai militari e mi impediscono di accedervi. Già avevo saputo che era stata anche saccheggiata. Debbo mettermi in giro per la città per ottenere un permesso per accedervi e ci riesco alle 12. Fu ben triste quella visita: passando mi affacciai sulla casa di Giovannino dove vidi non esserci più le nostre casse e bauli che vi avevamo portato negli ultimi giorni per poterli far trasportare a Cava. Tutti gli usci erano scardinati. La casa Santoro in grande disordine e già occupata da soldati. La mia, alla quale mancava metà della partita dell’uscio, era devastata ma non ancora occupata, forse lo sarebbe stata tra breve. Nello studio tutte le carte erano ammucchiate per terra: vi mancavano molti oggetti e subito rilevai la mancanza del grande ritratto ad olio di mia madre, unico quadro che io vi avevo lasciato allorché portai tutti gli altri nello scantinato, quasi per affidare alla sua protezione la mia casa. Mancava la cassetta del livello e quella del cinema <46. Non vidi in nessuna stanza il pianoforte. Il sottufficiale che mi accompagnava mi dava fretta e si infastidiva. Io altro non avevo da fare che
osservare gli scassinamenti e le devastazioni, e raccomandare che avessero avuto cura delle mie cose: ciò che mi si affermava seriamente assicurando che nulla sarebbe stato toccato, ma invece raccolto in una sola stanza (lo studio) che sarebbe rimasta chiusa.
[…] Nel pomeriggio discesi in città per sapere se potevo riuscire ad ottenere di poter prendere possesso della mia casa, e la sera pernottai da Manzo, dove Peppino era ritornato da poco da Pellezzano dove era rimasto rifugiato, mentre la moglie era rimasta sola alla casa di Salerno, che del resto non aveva subito alcun danno.
Il successivo giorno, venerdì 1° ottobre <47, ridiscesi al centro e continuai la mia peregrinazione per ottenere la casa. Fui al Municipio dove parlai con Cuomo <48, che era stato eletto Commissario al Comune, e che mi disse nulla poter fare, che anzi la sua stessa casa era occupata dagli inglesi ed egli era costretto a stare ad Ogliara.
In città, che è tutta un bivacco di militari, c’è un movimento spaventoso di mezzi bellici. Nel mare si vedono una cinquantina di navi che sbarcano ogni cosa: alcune, adatte alle operazioni di sbarco, operano alla spiaggia dei bagni. Un altro imponente nucleo si vede all’altezza di foce Tusciano, e nelle ore di maggiore schiarita ancora un altro all’altezza di Pesto.
[NOTE]
45 La mattina del 28, dopo che le unità della 46a Divisione Alleata raggiunsero finalmente Nocera, la 131a Brigata Motorizzata della 7a Divisione Corazzata passò attraverso le linee del fronte e raggiunse Scafati.
46 Si trattava della raccolta di numerose pellicole girate con una delle prime cineprese “Pathé baby”, di grande importanza documentaria oltre che affettiva.
47 Alle ore 9,30 dello stesso giorno pattuglie corazzate del Reggimento King’s Dragoon Guards entrarono in Napoli. L’operazione “AVALANCHE” iniziata sulle coste del Salernitano il 9 settembre 1943, D DAY, era conclusa.
48 Giovanni Cuomo dopo pochi mesi fu ministro della Pubblica Istruzione nel governo Badoglio.
Eugenia Granito, Vivere sotto le bombe. Diari, memorie e testimonianze di guerra: Luigi Centola, Memorie di guerra in (a cura di) Renato Dentoni Litta, Schegge di Storia. Salerno e l’operazione Avalanche. Documenti, diari, memorie e reperti. Catalogo della mostra, Archivio di Stato di Salerno, aprile-dicembre 2013, Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo – Direzione Generale per gli Archivi – Servizio III – Studi di ricerca, 2014

A Salerno e provincia la situazione era disastrosa con danni ingenti a cose e persone e i centri abitati coinvolti dai combattimenti ridotti a cumuli di rovine. La città capoluogo ebbe un terzo dei suoi edifici danneggiati, con oltre settecento morti, di cui seicento solo nei primi due bombardamenti del 21 e 22 giugno 1943 <206. Dunque moltissime costruzioni erano state devastate o compromesse dai bombardamenti e i pochi edifici rimasti in piedi vennero occupati dalle unità militari alleate <207. Battipaglia, occupata dagli americani il 18 settembre 1943, fu quasi completamente distrutta a causa di un violentissimo bombardamento sulla zona della stazione (il 5 settembre 1943), mentre centri come Eboli, Campagna e Serre, dove il fronte dei combattimenti fu particolarmente acceso, oltre ai danni al patrimonio edilizio contarono un notevole numero di caduti, tra le percentuali relativamente più alte in Italia <208. Alla fine delle operazioni alleati, la maggior parte di queste cittadine si presentava come uno sconfortante scenario di macerie.
A riprova del fatto che la provincia salernitana fosse stata attraversata da una furiosa battaglia e non fosse stata risparmiata da incendi e devastazioni, numerose richieste per il risarcimento dei danni di guerra furono inviate al governo militare alleato nei mesi successivi allo sbarco <209.
Nell’emergenza bellica, la potente macchina burocratico-amministrativa alleata dovette fronteggiare la sfida rappresentata dal dramma degli sfollati <210, ossia l’estremo tentativo da parte degli abitanti di sottrarsi alla guerra, giunta ormai, letteralmente, nelle loro case.
Durante i giorni della battaglia ben pochi civili erano rimasti in città, i più, in gruppi, avevano evacuato i centri abitati sconvolti dalle distruzioni e dai bombardamenti alla ricerca di rifugi più sicuri nelle campagne, giungendo anche fuori regione. Molti trovarono riparo in vecchie masserie abbandonate, altri si rifugiarono nelle grotte.
In una comunicazione ufficiale il CAO del distretto di Eboli informava il Senior Civil Affairs Officer (SCAO) della provincia di Salerno che nelle vicinanze della stazione di Montecorvino gli sfollati avevano dato vita a una sorta di baraccopoli (slums) formata da catapecchie occupate da un gran numero di famiglie senza casa, provenienti da Battipaglia (ogni baracca ospitava in media sei famiglie con circa sette figli ciascuna). L’ufficiale notava inoltre che le costruzioni si trovavano in uno stato pessimo, erano sporche e del tutto inadatte ad alloggiare le truppe. Le precarie condizioni igienico-sanitarie unite all’affollamento rendevano tale area particolarmente esposta al rischio di un’epidemia di tifo. D’altro canto, non era possibile trovare dei ricoveri alternativi decenti per quelle famiglie visto che quasi tutti gli edifici della zona erano stati distrutti. Non era ingiustificato, allora, il timore del diffondersi di malattie che avrebbero potuto contagiare gli stessi soldati <211.
Tuttavia, stando alle testimonianze dei sopravvissuti, dopo qualche mese di lontananza le famiglie sfollate facevano ritorno nei loro paesi, dove oltre agli affetti avevano lasciato abitazioni ed esercizi commerciali incustoditi. Approfittando dell’assenza delle autorità, nelle cittadine deserte non erano mancati nel frattempo episodi di saccheggio finalizzati a rubare soprattutto derrate alimentari. Così, man mano che gli sfollati tornavano in città, le vecchie miserie si aggiungevano alle nuove, trovando con amara sorpresa le case danneggiate e con grossi buchi nelle pareti esterne, oltre ai negozi sventrati e svuotati della merce. Non risultava sempre possibile rientrare immediatamente in possesso delle proprie abitazioni: alcune erano state distrutte, altre saccheggiate, altre ancora occupate dagli sfollati o requisite dai comandi alleati <212.
Sul tema dei rifugiati nella provincia di Salerno insistevano diversi documenti che indirettamente studiavano la capacità di accoglienza dei territori rispetto alle forze di occupazione alleate. Da essi apprendiamo che, dopo un attento studio del territorio, era stata tracciata una linea immaginaria che da Agropoli, all’estremità meridionale del golfo salernitano, andava fino a Sala Consilina, usata come discriminante per l’accesso o meno dei rifugiati. Infatti, se a sud di questa linea, in un’area quasi spopolata e puntellata da Comuni di piccole dimensioni (con una popolazione complessiva di 162.396 abitanti al 1° aprile 1943), era consentito l’ingresso ai rifugiati, a nord della stessa, dove era situata anche la città di Salerno che da sola aveva una popolazione di quasi 75.000 persone e in totale contava 581.580 abitanti, i rifugiati non erano ammessi. Ne derivava, come riportato in un telegramma della Commissione Rifugiati in Italia, che in base alle stime demografiche complessivamente non più di 800 rifugiati potevano essere accolti nella provincia salernitana <213.
[NOTE]
206 Oltre l’80% degli immobili nel capoluogo di provincia era stato danneggiato e un quarto dei fabbricati industriali distrutto. Secondo i dati del Genio Civile, 7.627 vani erano stati completamente distrutti, 4.940 semidistrutti e 21.800 parzialmente danneggiati, per un danno complessivo di circa tre miliardi (cfr. C. Carucci, Diario – La battaglia di Salerno, Tip. Il Progresso, Salerno, 1946).
207 Tra gli edifici non compromessi dalle bombe, requisiti dagli alleati per stabilirvi i loro uffici o alloggi, si ricordano: il Palazzo di Giustizia divenuto la sede della Commissione Alleata di Controllo; molti istituti scolastici che furono trasformati in dormitori per i soldati; alcuni orfanotrofi adibiti a ospedali; e in campagna la tenuta agricola Ricciardi occupata dagli ufficiali alleati per circa due anni.
208 Cfr. M. Scozia, La sciarpa, op. cit., pp. 101-104; e A. Carucci, Lo sbarco anglo-americano a Salerno: settembre 1943, op. cit., p. 7.
209 Le lettere inoltrate all’AMGOT sono oggi raccolte e consultabili presso il Museo dello Sbarco di Salerno: esse tracciano una mappa abbastanza precisa dell’impatto della «guerra totale» nel territorio salernitano. Ne emerge che i segni dei combattimenti furono registrati specialmente nelle zone dove più accanito era stato lo scontro tra tedeschi e alleati, come le parti elevate della città (ad esempio, la collina de La Mennola e il Gelso fino a Fratte).
210 Si dissero «sfollati» coloro che abbandonavano le città, dove la vita era diventata più pericolosa per i bombardamenti e più difficile per la scarsità di generi alimentari, e si rifugiavano in campagna.
211 ACS, Roma, Barracks Buildings, District Eboli, s.d., in «Miscellanous File, 1st Jacket, vol. 1, september 1943-january 1944», ACC AMG/S/8, 10241/115/7, B811, 152.
212 Cfr. Antonio Palo, Salerno: I Ragazzi del ’43. La guerra e la memoria, cit., p. 126.
213 ACS, Roma, Refugees – HQ Region III, 6 April 1944, in «Allied e Italian Refugees», 811B, 152, Gen. 115/20. Sulla base dei dati demografici, era poi calcolata anche la ripartizione dei profughi nei vari Comuni che si trovavano a sud della linea Agropoli-Sala Consilina (ACS, Roma, List A: Communes North of the Line, List B: Communes South of the Line e Schema di Smistamento Profughi, 26 April 1944, in «Allied e Italian Refugees», 811B, 152, Gen. 115/20).
Maria Vittoria Albini, Lo sbarco di Salerno nella seconda guerra mondiale dalla prospettiva alleata, Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, 2015