Mattei era costantemente attaccato dalla stampa che in Italia veniva gestita esclusivamente dai grandi privati

Figura 1. «Il Giorno» primo numero 21 aprile 1956. Fonte: Sara Esposito, Op. cit. infra

«Il Giorno» nacque con la pubblicazione del suo primo numero ufficiale il 21 aprile 1956 in Via Settala a Milano come proprietà della Sofid, finanziaria del gruppo Eni. La rivoluzione di questo giornale si basava su tutti i suoi aspetti: dal linguaggio ai contenuti, dal desiderio di originalità alla voglia di modificare radicalmente il panorama dell’informazione italiana. Anche se la sua comparsa effettiva è tutt’oggi inserita in un’aura di mistero determinato probabilmente dall’appartenenza della maggioranza a un ente statale, le figure che determinarono la sua nascita furono tre: Enrico Mattei, presidente Eni, Gaetano Baldacci, ex-giornalista del «Corriere della Sera» e Cino Del Duca, maestro della stampa rosa francese. Quest’ultimo desiderava trasferire in Italia la stessa aria di novità che era stato in grado di apportare in Francia; quando conobbe le intenzioni degli altri due, spinse per un progetto innovativo che si avvicinasse a «France Soir» dal punto di vista della grafica, inserendo alcune delle idee più rivoluzionarie nell’aspetto dell’offerta giornalistica del «Giorno». Tuttavia, nel momento in cui l’investimento iniziò a farsi più oneroso del previsto, fu il primo ad abbandonare la nave. Gaetano Baldacci, di cui si parlerà molto in seguito, aveva già da tempo intenzione di lasciare il “pantofolaio” Missiroli che gestiva il «Corriere» per un giornale completamente suo, in cui poter esprimere le sue idee, un foglio politicamente attivo e impegnato, capace di attirare l’attenzione dei giovani. Mattei, infine, era colui che aveva creato Eni dal nulla: quando fu nominato commissario dell’Agip dal Governo, nonostante gli fosse stato chiesto di chiudere tutto, ne fece una grande società pubblica per la gestione dei carburanti.
Proprio a causa di questa sua decisione nonché della sua posizione politica, Mattei era da sempre nel mirino dell’opposizione: erano gli anni del Governo Segni, con al Quirinale Gronchi della sinistra di Democrazia cristiana, intanto gestita da Fanfani; per questo motivo Confindustria, destra della Dc, liberali e socialdemocratici erano tutti contro il presidente Eni e le sue idee. Nel frattempo, Mattei si batteva per un rinnovamento italiano partendo dai poteri degli enti pubblici ed era a favore della bonifica del Mezzogiorno e della creazione un paese forte e stabile.

Figura 2. Enrico Mattei, presidente Eni. Fonte: Sara Esposito, Op. cit. infra

Ciò lo indusse a pensare a un giornale; le idee di Leo Longanesi lo scoraggiarono dalla sua intenzione di creare un periodico, orientandolo verso la scelta di un quotidiano. Probabilmente, l’idea dell’amico di Mattei era anche quella di opporsi al monopolio dell’informazione lombarda gestita unicamente dal noto «Corriere».
Quando i tre si conobbero, gli accordi per la nascita della testata non furono semplici: sia Mattei che Del Duca volevano la maggioranza, ma a conclusione delle trattative la società che avrebbe prodotto «Il Giorno» – la Società Editrice Lombarda – era nelle mani di Angelo Ranieri (nipote di Del Duca) in quota minoritaria, una parte andò a Baldacci e il restante fu affidato a Oreste Cacciabue che invece deteneva le quote di maggioranza e appariva come rappresentante di Mattei che si ostinò a non comparire nel progetto – almeno per i primi anni.
Le questioni di attribuzioni di questo enorme programma giornalistico non furono semplici nemmeno negli anni a seguire. Infatti, quando si scoprì il legame tra Eni e la testata si crearono due punti di vista diversi tra le due persone che ne avevano vissuto la nascita: da una parte Mattei affermava di averlo acquistato solo su richiesta di esponenti politici; dall’altra Baldacci sosteneva che il suo giornale fosse stato acquistato con l’inganno dallo stesso Mattei. Non fu mai chiaro chi dei due avesse ragione e col tempo si avanzarono anche altre tesi che riguardarono nello specifico le figure proprio di Cino Del Duca e di Leo Longanesi riguardo all’idea citata precedentemente di sfida verso il monopolio del «Corriere della Sera».
Analizzando attentamente la storia pochi anni prima della nascita del «Giorno», risultava evidente che Mattei, avendo trasformato la richiesta di smantellamento di Agip in una nuova azienda petrolifera, stava attirando già da un decennio i riflettori sui suoi movimenti. Infatti, nonostante la sua idea fosse acclamata per la capacità di sviluppare un progetto di tale portata, Mattei era costantemente attaccato dalla stampa che in Italia veniva gestita esclusivamente dai grandi privati. Fu così che il presidente del gruppo Eni, abituato a lavorare in sordina proprio per evitare le numerose accuse già a lui rivolte, fece in modo di non comparire nella creazione del «Giorno». Tuttavia, qualcuno doveva apparire come finanziatore: la testata fu dichiarata agli atti come di proprietà della «Società Editrice Lombarda» – di cui si parlerà a breve – e sarà trasformata poi in Segisa, lasciando ufficialmente il nome di Mattei lontano dall’origine del giornale. Ciò garantiva comunque a quest’ultimo l’opportunità di avere qualcosa che potesse difenderlo con lo stesso mezzo che più spesso gli si era rivolto contro: la stampa giornalistica.
A impegnare l’Eni e Mattei erano tutti gli altri progetti che l’ente portava avanti, oltre che le difficoltà legate alle classi politiche governanti. Infatti, Ezio Vanoni, uno dei suoi più grandi sostenitori, morì dopo aver tenuto un discorso importante in Senato e la perdita di una figura così rappresentativa spinse Mattei a dare il via al suo disegno editoriale che partì ufficialmente pochi mesi dopo.

Figura 3. Gaetano Baldacci. Fonte: Sara Esposito, Op. cit. infra

Baldacci, dal suo canto, fu da sempre alla ricerca di un progetto giornalistico audace. Per questo aiutò Mattei alla creazione del «Giorno», ma il carattere polemico e spregiudicato del giornalista costò al presidente Eni tanti dissapori politici. A causa di ciò, quel quotidiano che stava nascendo, destinato a conquistare prima la stampa lombarda e poi quella italiana, fu spesso ostacolato da questi rapporti ostili. Infatti, quando il [futuro] presidente della Repubblica Segni sconfisse le idee progressiste di Fanfani – sostenitore di Mattei -, il presidente Eni si trovò a compiere una scelta difficile che lo costrinse ad allontanare proprio Baldacci. Erano anni di grande cambiamento politico che causarono anche disordini nella testata e ostacolarono la sua affermazione come giornale italiano statale: “Le trasformazioni nel clima politico italiano a partire dal 1959 e il deterioramento dei risultati economici delle due imprese portò progressivamente alla “normalizzazione” di una situazione fino a quel momento molto fluida. Le pressioni che si esercitavano sull’Eni si riflessero sul giornale con estrema forza, portando al clamoroso allontanamento di Baldacci nel 1960”. <22.
Tuttavia, a remare contro il giornale non era solo questo dissidio creatosi tra Eni e Baldacci: da una parte incisero anche le somme ingenti per il mantenimento della testata, sempre più onerose per le casse dello Stato, e dall’altra l’incertezza del sostegno del Governo verso la società di Mattei. Baldacci, infatti, negli anni da direttore attaccò in modo diretto Antonio Segni che – come si è anticipato – dopo aver sconfitto i sostenitori di Mattei lo mise in una situazione difficile portando Eni ad allontanare Baldacci dalla testata. Questo licenziamento del direttore fu considerato il “male minore” per riconquistare la benevolenza di Segni da parte di Mattei. Tuttavia, anche se Baldacci fu il capro espiatorio di questi dissidi, la sua partecipazione fu fondamentale per la nascita del giornale lombardo.
Contribuirono alla creazione anche altre figure, tra cui Paolo Murialdi il quale all’avvio della testata ricopriva il ruolo di viceredattore capo. Dopo la sua esperienza al giornale, negli anni in cui diresse la sua rivista «Problemi dell’informazione», Murialdi dedicò un articolo a una delle testate più formative della sua carriera da giornalista, intitolato “Nascita e crescita del «Giorno»”, in cui espose le ragioni che l’avevano spinto alla scrittura: non intendeva difendere il giornale in sé, ma piuttosto raccontare dall’interno cos’era avvenuto durante i primi quattro anni di esistenza del «Giorno» e il motivo che, a suo dire, spinse al cambio da Baldacci a Italo Pietra. In quell’occasione Murialdi ricordò che a suscitare una netta differenza tra questa nuova testata e le altre preesistenti era soprattutto la questione legata alla politica e al mondo dell’informazione.
Il primo punto espresso da Murialdi fu che l’Eni di Enrico Mattei era un ente tra i maggiormente influenti in quel periodo storico. Un altro fattore fu, naturalmente, quello della direzione. Non fu un caso che il giornale subì continui attacchi da altre testate. «Il Giorno», oltre a rubarne i lettori, era anche un motivo di invidia per gli altri giornali: si trattava di un quotidiano innovativo, di proprietà pubblica, con dei costi relativamente onerosi e in cui nel corso del primo ventennio comparvero tra le più importanti firme dell’informazione italiana.
Murialdi nel suo articolo sottolineò anche la rilevanza e l’innovazione del messaggio che «Il Giorno» voleva mandare al pubblico italiano soprattutto perché non esisteva nessun quotidiano con il suo stesso carattere rivoluzionario. Infatti, l’informazione più nuova era data solo da due settimanali che si distinguevano per la propensione alla modernizzazione: «Il Mondo» e «L’Espresso».
La prima volta che Murialdi sentì parlare del «Giorno» sia lui che Baldacci si trovavano ancora al «Corriere della Sera». Era metà del 1955 e in quel periodo la testata andava sempre più discostandosi dalle idee rivoluzionarie dell’informazione italiana, preferendo una linea sempre più moderata di Democrazia cristiana. Non a caso, gli incontri per la ricerca di collaboratori che aderissero al progetto si svolgevano in segreto nell’auto di Baldacci, il quale -sosteneva Murialdi – aveva tra le sue conoscenze la famiglia Mattei e fu questo a permettergli di partecipare all’iniziativa.
In questa prima fase organizzativa della futura redazione, oltre a Murialdi, fu incluso anche il grafico Giuseppe Trevisani. Nel suo articolo, infatti, il giornalista genovese raccontò dei dubbi emersi in seno ad alcune decisioni che Baldacci prese al varo nel creare lo scheletro del giornale. Dalle sue scelte di alcuni collaboratori come Umberto Segre e Vittorio Orilia – rispettivamente per la politica interna ed estera – sembrava chiaro che per Baldacci «Il Giorno» dovesse somigliare ai quotidiani tedeschi o svizzeri, in cui mancava del tutto la cronaca. Murialdi, a quei tempi, propose al direttore di modificare alcune decisioni come quella di selezionare tre redattori capo per le diverse aree e propose anche alcune figure che sarebbero divenuti membri importanti per una testata nascente, come Angelo Rozzoni che dal Sessanta diventerà vicedirettore e che secondo Murialdi sarebbe stato un ottimo collaboratore per la sezione di cronaca.

Figura 4. Cino Del Duca. Fonte: Sara Esposito, Op. cit. infra

Anche se le parole di Murialdi non furono ascoltate da Baldacci, un cambiamento vi fu ugualmente e in poco tempo e molte impostazioni furono passate al varo e modificate. Ciò avvenne, secondo il giornalista, grazie all’intervento di Cino Del Duca: “Il cambiamento ha un nome: Cino Del Duca. Abbandonata l’Italia perché avverso al fascismo, Del Duca aveva fatto fortuna a Parigi nella stampa periodica. […] Da tempo desiderava entrare sulla scena editoriale italiana […] quale occasione migliore del lancio di un quotidiano a Milano? Nello stesso tempo quale migliore copertura per celare la partecipazione dell’Eni?” <23
Nacque in questo modo la «Società Editrice Lombarda» della quale il presidente era – almeno sulla carta – il commercialista Oreste Cacciabue; Baldacci ottenne la sua parte insieme alla carica di direttore del quotidiano, mentre Cino Del Duca – che di fatto entrò a far parte del Consiglio il 21 dicembre 1955 – deteneva ufficialmente il ruolo di editore con carichi esecutivi gestiti dal suo rappresentante (e nipote) Angelo Ranieri.
In questo quadro, la decisione di non comparire come proprietario del giornale di Mattei aiutò i piani di Del Duca che attuò tutte quelle modifiche grafiche per lui fondamentali: introdusse i rotocalchi, i servizi fotografici, i fumetti, gli oroscopi e i cruciverba. Del Duca voleva presentare un quotidiano completamente diverso da quelli già esistenti attribuendo al «Giorno» un’immagine di sé stravagante e rivoluzionaria. Tutti i supplementi e gli inserti decisi da Del Duca avevano lo scopo di attrarre i lettori dei settimanali piuttosto che quelli dei quotidiani veri e propri. Inoltre, l’impostazione era quella di due giornali (uno della mattina e uno del pomeriggio) con una grafica possibile soltanto grazie alle capacità tipografiche di Trevisani. La presenza di quest’ultimo al giornale, tuttavia, non fu lunga: per motivi sconosciuti allo stesso Murialdi, Baldacci licenziò Trevisani che venne sostituito da Franco Nasi, il quale svolse il ruolo importante di «coordinatore fra la direzione e la redazione da una parte e i tipografi dall’altra» <24.
Precedendo l’analisi sui trascorsi politici anche negli anni successivi che videro protagonisti «Il Giorno» e la classe politica al Governo, si andranno ad analizzare a seguire anzitutto gli aspetti legati ai contenuti offerti dal quotidiano in questa prima fase di cambiamento. A quei tempi tanti collaboratori si spostarono dal «Corriere» per intraprendere questa nuova sfida giornalistica. Tra questi vi fu Gianni Brera che riuscì a dare alla sezione sportiva del «Giorno» un’efficienza e una fama che probabilmente non avrebbe ottenuto altrimenti.
Le grandi capacità di Del Duca riguardarono anche il lancio del giornale. Per l’occasione Murialdi ricorda con esattezza la pagina promozionale: “Il lancio pubblicitario e promozionale fu grandioso, degno di un imprenditore come Del Duca: un manifesto di Savignac nel quale un omino in pigiama apriva la finestra e leggeva nel cielo la prima pagina del «Giorno»; un concorso che prevedeva 25 milioni di premi (due automobili, un televisore, un frigorifero, una macchina per cucire, un ciclomotore sono i principali) poi contestato da altri editori; installazione del telefono in tutte le edicole di Milano”. <25.
Già all’epoca di quel primo numero (fig. 1), il giornale aveva dei tratti distintivi come nel caso della rubrica fatti della vita, l’assenza di pubblicità nella prima pagina, oppure la presenza di quegli aspetti così importanti per Del Duca quali il cruciverba e l’oroscopo. Alle tre del mattino, il giornale era pronto a uscire in tutte le edicole. Nel frattempo, anche l’edizione della sera aveva le sue caratteristiche principali: si trattava di dodici pagine di rotocalco con fotografie ed elementi che richiamavano le riviste come «Oggi» e «Gente» rendendo il quotidiano tanto distinto quanto simile alle pubblicazioni francesi con le quali Del Duca era entrato in contatto.
«Il Giorno» ebbe un tale successo da approdare sulle pagine dei giornali esteri: il «Times» fu uno di questi, ma anche altre riviste italiane come «L’Espresso» scrissero al riguardo. La ventata di novità che era approdata nel mondo dell’informazione nostrana aveva attirato l’attenzione di molti lettori, i quali iniziarono a preferirlo ad altre testate più “anziane”, conquistando persino alcuni tra i più “tradizionalisti”. Con 100.000 tirature per l’edizione della mattina e 50.000 per quella della sera, sbaragliò la concorrenza e si avvicinò alle 400.000 copie vendute del grande «Corriere».
I primi numeri comparvero nelle edicole con una prima pagina che sconvolse quelle preesistenti: il nuovo quotidiano presentava otto colonne di testo contro l’assetto a nove di tutti i concorrenti e una spalla dedicata non più all’editoriale ma alla nuova rubrica “Situazione”, che descriveva i fatti di politica più importanti della giornata. Questo ritaglio per il primo numero fu utilizzato da Baldacci e Del Duca per presentare il giornale insieme – evento mai accaduto nei i quotidiani – e in cui i due preannunciarono già l’idea di dedicare nei numeri successivi la spalla alla nuova rubrica.
IL GIORNO
Questa prima colonna, non più destinata al “fondo” classico di tutti i giornali italiani, ma, nel nostro, ad una “Situazione”, che segnalerà con breve commento i punti fondamentali della giornata politica nel mondo, ci sia consentito d’adoperarla, questa prima volta, per presentare IL GIORNO ai lettori.
Se n’è molto parlato, del GIORNO. E noi siamo grati a tutti coloro che ne hanno parlato, anche se, privi di notizie sicure, ci hanno, talvolta, attribuito legami d’interessi i più disparati, intenzioni che non abbiamo, simpatie politiche le più varie e le più discordi.
La verità è, anzitutto, che IL GIORNO nasce come impresa editoriale fine a se stessa, ossia senza secondi fini. Se questo è o non è, nel campo dei quotidiani, in Italia, un fatto nuovo, non sta a noi giudicare.
Come impresa editoriale, IL GIORNO si propone di dare ai lettori il massimo di informazioni col massimo di obbiettività.
[…]
È ovvio che dal modo di presentare i fatti, dalla evidenza maggiore o minore in cui IL GIORNO li porrà, dal legame che stabilizzerà fra di essi salterà fuori, alla fine, un atteggiamento del giornale. Quale? L’onesta ricerca e la difesa costante della verità.
E poiché in questa ricerca e difesa non siamo legati a preconcetti, né ci lasceremo guidare da simpatie o antipatie naturali, ma anzi cercheremo di cogliere, fin dove è possibile, l’aspetto di buona fede che ogni azione umana può avere in sé, ci auguriamo di essere compresi e seguiti con spirito aperto: lo stesso spirito aperto, la stessa fiducia della libertà con cui noi intraprendiamo la nostra opera.
CINO DEL DUCA
GAETANO BALDACC
I” <26
Il direttore e l’editore non si astennero già da questa prima uscita a dichiarazioni quantomeno dissociative dal resto dei giornali italiani, sottolineando la mancanza di un quotidiano indipendente nel panorama italiano e impegnandosi per un foglio totalmente disinteressato e fondato su un’idea di totale onestà. In aggiunta a queste dichiarazioni, in questo primo numero avvenne quella rivoluzione culturale di cui si è parlato spesso, ovvero la sostituzione della pagina culturale: “Lo spazio delle altre pagine del giornale viene distribuito con formule nuove: la seconda pagina ha la testatina “I fatti della vita” ed è dedicata alla cronaca nazionale; la terza, “Notizie dall’Estero”, con redazioni a Parigi, a Londra, negli Stati Uniti, in Germania, a Vienna, a Ginevra e poi a Mosca; la quarta “Notizie dall’Interno”; la quinta “Notizie dello sport” diretta dal più grande giornalista sportivo, Gianni Brera. La sesta pagina con la testatina “Gli spettacoli” non si limita alle manifestazioni cittadine, ma riporta, con una punta di civetteria mondana, notizie da tutto il mondo, oltre ai programmi tv e radio (nessun giornale dedicava tanto spazio al mondo degli spettacoli). Poi, per la prima volta nel panorama dei giornali italiani, appare una pagina dedicata all’economia e finanza con notizie e servizi che accompagnano la Borsa e i cambi. La cronaca cittadina, ampia e vivacemente polemica è affidata al “Diario di Milano”. Particolari edizioni a colori sono riservati per la domenica” <27.
In questa cornice, descritta da Giulio Guizzi nel suo saggio “Vicende e protagonisti (1956-1959)”, risultava evidente come l’aspetto estetico del «Giorno» si opponesse agli schemi che l’industria giornalistica aveva seguito per decenni. È doveroso specificare che l’operazione del «Giorno» riguardo alla famosa “terza pagina” non consisteva nella scomparsa della sezione di cultura, bensì l’intenzione della redazione era quella di trattare la letteratura come un fatto di cronaca, presentando il libro nella sua interpretazione culturale e sociale e dedicando, invece, alle recensioni una pagina “autonoma” che verrà poi integrata proprio da «Giorno Libri».
Nonostante le grandi vittorie ottenute soprattutto al cospetto di altri giornali locali, apparentemente insoddisfacenti per molti lettori, il giornale non riuscì a contenere i costi a causa del mercato milanese già saturo. La direzione iniziò a effettuare consistenti tagli, prima eliminando l’edizione della sera e successivamente dimezzando le pagine del rotocalco. Molti collaboratori avevano il timore che il giornale avrebbe presto chiuso i battenti con quello che Murialdi definì «un fallimento più clamoroso di quello che nel 1948 aveva colpito il “Corriere di Milano”» <28. Era il periodo dei primi contrasti ai vertici di chi aveva generato il quotidiano: Enrico Mattei e Del Duca erano ormai su fronti opposti, l’apparente direttore della «Società Editrice Lombarda» scomparve, Baldacci fu costretto a rinunciare alla sua quota e, infine, era chiaro che dietro «Il Giorno» fosse coinvolta la figura di Mattei. Per i primi tempi, tuttavia, la società fu gestita da Felice Camoni, «manager sconosciuto nel mondo editoriale» <29.
Così Murialdi ricorda nel suo articolo questo periodo: “«Il Giorno» venne rilanciato sia migliorandone la qualità e l’intraprendenza sia lanciando un primo inserto settimanale a colori per i ragazzi. Certo il nostro fu un giornalismo “corsaro” perché la presenza di Mattei fu per molto tempo coperta; ma fu anche un giornalismo che produsse inchieste su aspetti e problemi della vita sociale che i quotidiani tradizionali non facevano” <30.
Il 31 dicembre 1959 il nome di Enrico Mattei fu associato alla testata giornalistica e Baldacci era prossimo al suo licenziamento. A peggiorare la situazione del presidente Eni furono le sue decisioni di mercato prese per la società che spinsero molte testate ad attaccare il quotidiano, ritenendolo il suo punto debole; l’informazione accusava Eni di detenere un giornale che costava 2 miliardi l’anno. Nel frattempo sia Mattei che Baldacci subivano continui affronti in quanto vertici della testata. «Il Giorno», tuttavia, non cedette facilmente alle diffamazioni che riceveva; furono pubblicate inchieste e presentati aspetti della società che gli altri giornali tendevano a nascondere e nel frattempo il numero di copie vendute aumentava: “Frattanto il giornale, arricchito di altri supplementi, stava conquistando copie. A metà del 1959 venne raggiunta una diffusione media di 150 mila copie. Era la dimostrazione che si poteva insidiare il reame del Corrierone partendo dalla sua capitale; che il progetto del centro-sinistra camminava; infine, che la società italiana stava proprio cambiando” <31.
Dal mese di maggio con un’interrogazione del Senato venne dichiarato che la testata «apparteneva per il 49 per cento a Eni, per il 49 per cento a Iri <32 e per il 2 per cento al suo ministero» <33.
[NOTE]
22 Daniele Pozzi, L’Eni e «Il Giorno»; vite parallele, in Ada Gigli Marchetti, «Il Giorno». Cinquant’anni di un quotidiano anticonformista, Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 37-52 (48).
23 Paolo Murialdi, Nascita e crescita del «Giorno», «Problemi dell’informazione», XXII, 3, settembre 1997, pp. 423-436 (426).
24 Ivi, p. 427.
25 Paolo Murialdi, Nascita e crescita del «Giorno», cit., pp. 428-429.
28 Paolo Murialdi, Nascita e crescita del «Giorno», cit., p. 432.
29 Ibidem.
30 Ibidem.
31 Ivi, p. 434.
32 Iri acronimo per Istituto per la Ricostruzione industriale fu un ente pubblico per la politica industriale fondato nel 1933 sotto la dittatura fascista. In poco tempo divenne una grande società mondiale e cessò soltanto nel 2002.
33 Paolo Murialdi, Nascita e crescita del «Giorno», cit., p. 435.
Sara Esposito, L’inserto culturale «Giorno Libri», Tesi di Laurea, Università degli Studi di Genova, Anno Accademico 2020-2021