Mentre la propaganda anti-africana è il più delle volte implicita, la propaganda antisemita è invece esplicita

Immagine di un articolo della rivista ‘La difesa della razza’(sito Digiteca Bibris), qui ripresa da Léo Mathon, Op. cit. infra

Il regime fascista ha fatto propaganda anti-africana e propaganda antisemita; questo è un dato dimostrato molto tempo prima della mia ricerca di tesi, ed è stato menzionato dall’introduzione. Si tratta del punto di partenza del ragionamento, per cui ho scelto di rispettare l’ordine cronologico. A partire dall’insieme di fonti accuratamente delimitato, ho analizzato la propaganda mussoliniana per cercare di raggiungere obbiettivi di ricerca presentati in precedenza.
Innanzitutto, il mio progetto era quello di studiare la propaganda antisemita del regime fascista tramite i cinegiornali del Luce. La prima fase di utilizzo delle fonti ha mostrato che, tranne i discorsi del Duce come quello di Trieste in cui presenta pubblicamente la nuova politica razziale nel 1938, la propaganda antisemita è inesistente nei filmati. L’allargamento degli ambiti di ricerca così come delle fonti da utilizzare era quindi inevitabile.
La possibilità di interessarmi anche alla propaganda anti-africana mi è sembrata logica, a livello cronologico ed ideologico. In effetti, la persecuzione contro l’africano viene affiancata a quella contro l’ebreo perché si tratta comunque dell’attacco nei confronti dell’individuo umano. La stampa, mezzo di comunicazione di massa così come il cinema, è stata scelta in quanto secondo tipo di fonte; la rivista ‘La difesa della razza’ è del tutto adeguata per il tema della mia ricerca, per le copertine così come per gli articoli. Il giornale illustrato ‘La domenica del corriere’ invece non era a prima vista una scelta ovvia, ed è stato dopo il primo periodo di consultazione che ho preso la mia decisione definitiva. In definitiva, è stato l’intreccio dei diversi tipi di fonti a permettere il buon andamento della ricerca.
I cinegiornali e i numeri di giornali sono numerosissimi, perciò è stato necessario un lavoro preliminario di selezione delle fonti utili. Di fronte ad una tale abbondanza, il rischio era effettivamente quello di perdere di vista gli obbiettivi fissati all’inizio della ricerca.
I cinegiornali che trattano esplicitamente del colonialismo sono tanti. Innanzitutto, l’elemento che colpisce è l’assenza di violenza nei filmati; come afferma Gianmarco Mancuso, “tendenzialmente la guerra non è guerra nei video, ma è un’avanzata gioiosa e sicura <225.” Gli italiani sembrano di essere semplicemente accolti dagli indigeni, senza nessun segno di protesta da parte loro. Anzi, si afferma che i soldati sono “benedetti al loro passaggi <226” dalla popolazione. Il presunto dominio esercitato viene mostrato tramite la presenza dell’esercito italiano dentro luoghi simbolici così come la stazione di Addis Abeba, oppure anche attraverso scene in cui gli indigeni vengono a lasciare le proprie armi.
Un altro obbiettivo della propaganda è quello di presentare l’Altro, evocando feste locali, insistendo sulle divise tradizionali; si tratta sempre di filmati in cui le persone sembrano assolutamente felici. I filmati cercano di mostrare la diversità della cultura e delle persone africane, a modo di differenziarli dalla concezione dell’uomo nuovo.
Peraltro, si è verificato che il regime cercava di invogliare gli italiani ad andare a vivere nell’impero, che sarebbe simbolo di altre opportunità: “non impero di sfruttamento, ma impero del lavoro: è quello che l’italiano, soldato e agricoltore crea nell’Africa <227.” Il colonialismo viene presentato come missione civilizzatrice nella propaganda. L’agricoltura e i lavori stradali sono i due ambiti di lavoro più evocati. Alcuni filmati pretendono anche che italiani ed africani lavorano insieme; implicitamente però, la certa fratellanza evidenzia sempre la superiorità dell’uomo bianco.
Come accennato in precedenza, l’antisemitismo non si trova nei cinegiornali. La stampa invece testimonia della volontà di creare l’odio nei confronti degli ebrei. I metodi propagandistici non sono gli stessi di quelli contro gli africani, perché dovevano perseguitare persone italiane qualsiasi. Si insiste quindi sulla religione ebraica; i simboli dell’ebraismo vengono violentemente repressi, come indica la copertina in cui la stella di David è rappresentata come un’immondizia da buttare.
Mentre la propaganda anti-africana è il più delle volte implicita, la propaganda antisemita è invece esplicita. Il tema del lavoro, elemento fondamentale dell’ideologia fascista e della concezione dell’uomo nuovo, viene invece utilizzato per cercare di screditare la persona ebrea; si ricorda, a questo proposito, l’articolo che afferma “ebrei al lavoro: antica contraddizione in termini <228.”
L’aspetto esplicito della propaganda antisemita è però da sfumare. In effetti, la metafora del ragno viene anche scelta per rappresentare la persona ebrea, “metafora che evocava lo sforzo tenace e paziente compiuto dagli israeliti per arrivare al dominio del mondo <229.” Si deve quindi riconoscere l’immaginazione dimostrata dal regime, che cercava di colpire gli italiani in qualsiasi modo. L’obbiettivo del Duce essendo sempre, come accennato in precendenza, quello di esercitare il controllo delle coscienze.
Peraltro, la stampa simboleggia la fusione della due figure della discriminazione. In effetti, l’ebreo e l’africano vengono raggruppati sulle pagine de ‘La difesa della razza’. La paura del meticciato nelle colonie è ricorrente; si tratta di un discorso davvero diverso da quello dei filmati del Luce, in cui si presentano persone africane apparentemente felici. Ideologicamente, la stampa sarebbe quindi l’occasione di fare propaganda in modo molto più violento. In più, le tentative per presentare le “giustificazioni scientifiche” del razzismo sono molteplici ne ‘La difesa della razza’. Il regime ha scelto il media giornalistico, probabilmente perché considerava che conferiva più serietà dei cinegiornali dato che era riservato ad un cerchio abbastanza ristretto di persone alfabetizzate. Si ricorda la tabella che presenta le presunte gradazioni dei colori di pelle delle persone a seconda dei paesi di appartenenza. La precisione dell’articolo, oltre che essere del tutto scioccante, mostra la volontà di imporre il razzismo istituzionalizzato. La propaganda afferma addirittura che sarebbe più giusto parlare di razza invece di paese: “un paese (diremmo oggi razza) <230.” In più, il maschilismo, che è un altro fondamento dell’ideologia fascista si ritrova anche tra le “giustificazioni scientifiche” del regime.
Si individuano quindi diversi tipi di propaganda, che si possono raggruppare a livello ideologico perché comunque erano dovute ad un unico progetto; quello di separazione, parola che permette di sintetizzare l’iniziativa mussoliniana. Le fonti confermano l’unione delle due figure della discriminazione, e la volontà di creazione dell’uomo nuovo sta al centro del processo. Si deve quindi parlare di propaganda al singolare, e non di propagande al plurale. Vi sono somiglianze nei discorsi propagandistici, perché in realtà l’obbiettivo del Duce era sempre quello di paragonare le persone africane ed ebree all’uomo nuovo che è esistito solamente nella sua immaginazione. Si faceva propaganda anche per cercare di mantenere il rapporto tra il dittatore e il popolo, perché come accennato in precedenza la dittatura occorre per forza l’interazione. È molto complesso riuscire a valutare se Mussolini abbia mai riuscito ad esercitare il pieno controllo delle coscienze degli italiani; la sua influenza è stata comunque importante, se si considera la durata della sua permanenza al potere in Italia.
Mentre la propaganda anti-africana ha molto probabilmente contribuito a diffondere il sentimento di superiorità dell’uomo bianco all’epoca, i risultati della propaganda antisemita presso gli italiani non sono stati quelli voluti dal dittatore. In effetti, si è verificato che anche se non ci sono stati movimenti di solidarietà importanti nei confronti degli ebrei, non c’è stato nessun aumento dell’odio da parte del popolo che, in poche parole, avrebbe assistito alle persecuzioni antisemite senza intervenire massicciamente.
Malgrado la sua grande determinazione, Benito Mussolini non è riuscito ha imporre a lungo la società di cui sognava. La fine del ventennio fascista segna la volontà di cancellazione dei suoi progetti, che insomma non sono mai stati realizzati.
La comunicazione di massa di qualsiasi società deve comunque essere studiata, analizzata accaratamente perché si ricorda che la propaganda non è assolutamente propria ai regime totalitari.
[NOTE]
225 MANCUSO Gianmarco, “L’impero visto da una cinepresa. Il reparto foto-cinematografico “Africa orientale” dell’Istituto Luce”, in DEPLANO Valeria, PES Alessandro (a cura di), Quel che resta dell’impero. La cultura coloniale degli italiani, Milano – Udine, Mimesis, 2014, p. 267-268.
226 Cinegiornale del 22/4/1936, sito dell’Istituto Luce, http://www.archivioluce.com/archivio/jsp/schede/videoPlayer.jsp?tipologia=&id=&physDoc=11904&db=cinematograficoCINEGIORNALI&findIt=false&section=/, min. 1:06.
227 Cinegiornale del 3/9/1940, sito dell’Istituto Luce, http://www.archivioluce.com/archivio/jsp/schede/videoPlayer.jsp?tipologia=&id=&physDoc=19204&db=cinematograficoCINEGIORNALI&findIt=false&section=/, min. 0:02.
228 Articolo della rivista La difesa della razza, sito Digiteca Bibris, http://digiteca.bsmc.it/?l=periodici&t=Difesa%20della%20razza#, 1942 – 16.
229 MARIA FELTRI Francesco, Viaggio visivo nel novecento totalitario, sito dell’Assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna, http://www.assemblea.emr.it/cittadinanza/documentazione/formazione-pdc/viaggio-visivo/lideologia-nazista-e-il-razzismo-fascista/il-razzismo-fascista/la-difesa-della-razza.
230 Articolo della rivista La difesa della razza, sito Digiteca Bibris, http://digiteca.bsmc.it/?l=periodici&t=Difesa%20della%20razza#, 1939 – 3.
Léo Mathon, Discriminare. Le figure dell’individuo perseguitato dal regime fascista nella propaganda italiana degli anni Trenta e Quaranta, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Padova – Université Grenoble Alpes, Anno accademico 2016-2017