Nel 1947 una serie di articoli di giornale cominciò ad attaccare Hudal e il Vaticano

La già citata massiccia evacuazione di criminali di guerra dall’Europa era un’impresa titanica la cui entità soverchiava anche le risorse dei servizi segreti di Peròn e del gruppo di ex agenti nazisti e collaborazionisti membri di ODESSA. Si dovette, infatti, provvedere a rifornire clandestinamente migliaia di ex ufficiali nazisti, rexisti, vichysti e ustascia, di pseudonimi, documenti di viaggio, alloggi sicuri e biglietti per il Sud America. Solo la Chiesa cattolica riuscì a coordinare con successo un’operazione così rischiosa e di così grandi dimensioni. La via di fuga di padre Draganovic, la DAIE di Fuldner in Europa, la SARE di Daye, lo scalo di Milano di Rauff e quello di Genova di Monsignor Siri: tutti questi canali confluivano a Roma. Va detto che lo scandalo delle “ratlines” cominciò con buone intenzioni da parte della Chiesa di Roma; come esposto precedentemente, negli ultimi anni del conflitto, le vittime innocenti del Nazismo in Europa erano già centinaia di migliaia. Molte di queste erano di confessione cattolica, per cui non fu un caso che il Vaticano si adoperò per loro e non destò sospetti la richiesta di Pio XII agli Alleati di poter fornire assistenza materiale e spirituale a civili e criminali di guerra rinchiusi nei campi di prigionia. Per contro, tra le masse di innocenti, si nascondevano criminali nazisti col sangue di milioni di persone sulla coscienza. <7 Il determinante contributo della Chiesa all’operazione ODESSA cominciò dunque a partire dall’agosto 1944, quando il Papa, tramite il Segretario di Stato Vaticano, richiese agli Alleati il permesso per un vescovo da lui stesso designato di fare visita ai rifugiati nei campi di prigionia nonché ai civili di lingua tedesca internati in Italia. Il vescovo scelto dal Pontefice fu Alois Hudal.
[…] Perché proprio Hudal? Vescovo austriaco, Alois Hudal, era Rettore del Collegio Teutonico Santa Maria dell’Anima di Piazza Navona a Roma e per sua stessa definizione “capo spirituale dei cattolici tedeschi in Italia”. Fervido sostenitore di Hitler, aveva celebrato funzioni religiose per gli invasori nazisti in Italia e ostentato con fierezza il suo tesserino dorato di iscrizione al partito di Hitler. Al pari di altri collaborazionisti che aiutarono criminali di guerra a fuggire in Argentina, Hudal aveva tentato di conciliare il cristianesimo con l’hitlerismo. Nel 1937 scrisse un’apologia del nazismo, “I fondamenti del nazionalsocialismo”, in cui nonostante criticasse alcuni aspetti della filosofia nazista, affermò che Hitler stesse agendo con lo scopo di consolidare un’Europa cristiana, pensiero condiviso in pieno anche dal nazionalista clero argentino. Ben presto divenne l’uomo di fiducia di Hitler in Vaticano. Nelle sue stesse memorie, “Diari romani”, Hudal non esitava ad ammettere l’aiuto prestato ai criminali in fuga, anzi, si vantava di averne messi in salvo molti in America del Sud e soprattutto in Argentina. In base a quanto affermato dal Monsignore stesso, egli agì su incarico del Vaticano, forte anche delle importanti amicizie che aveva in Austria, nella Germania di Bonn e tra le autorità americane di stanza in Europa. <8 Tra le testimonianze che contribuiscono a confermare la consapevole implicazione del Vaticano nelle operazioni di fuga dei gerarchi, di particolare rilievo è il memorandum segretissimo inviato nel maggio del 1947 al Segretario di Stato USA, George Marshall, dall’addetto militare a Roma, Vincent LaVista, nel quale si definisce la Chiesa come “la principale organizzazione implicata nel movimento illegale” di persone e si forniscono dettagli sul funzionamento di una gigantesca rete di fuga. <9
L’organizzazione vantava una rete di conoscenze personali che consentiva ai profughi di ottenere asilo, denaro e documenti, prima di imbarcarsi verso lidi sicuri. La rete di fuga in cui la Chiesa intervenne direttamente, rete che si snodava fra l’Italia settentrionale, Roma e l’Argentina, fu decisamente la più efficace di tutte e fu soprannominata “via dei topi” o “via dei monasteri” perché i sacerdoti, soprattutto francescani e trappisti, erano soliti spostare clandestinamente i fuggiaschi da un convento all’altro, sinché essi non venivano accolti a Roma nel convento di via Sicilia, che apparteneva all’Ordine francescano e che divenne un regolare centro di transito di criminali nazisti. Restavano in questi istituti religiosi fino al momento in cui venivano forniti loro i documenti necessari per l’imbarco a Genova, a Cadice o a Vigo. <10 Alcuni dei criminali, tra cui Adolf Eichmann e Ante Pavelic, giunsero in Sudamerica indossando addirittura la tonaca. Secondo le stime, almeno 5000 capi nazisti riuscirono a scappare grazie ai servizi dell’organizzazione. La sua sede centrale di Roma, dove operava sotto la copertura della Commissione Pontificia di Assistenza, era magistralmente gestita proprio dal vescovo Hudal. Il Vaticano ha sempre negato il proprio coinvolgimento nelle citate operazioni di fuga e ha sempre sostenuto di non essere a conoscenza della vera identità dei nazisti soccorsi dai vari ecclesiastici. Tuttavia, ciò che emerge chiaramente da altre testimonianze oltre a quella di LaVista, rivela una realtà ben diversa. Di rilievo è quella di Franz Stangl, comandante del campo di sterminio di Treblinka. Catturato dagli americani e successivamente imprigionato a Linz in Austria, riuscì a fuggire e si recò a Roma; qui, secondo le sue stesse parole, trovò rifugio grazie all’aiuto di Monsignor Alois Hudal, il quale dopo breve tempo gli fornì un nuovo passaporto, un passaporto della Croce Rossa Internazionale, grazie al quale riuscì ad imbarcarsi per la Siria. <11
La domanda da porsi, a questo punto, è se il caso di Stangl fu un caso isolato, un mero errore di valutazione oppure se fu parte di una rete ben organizzata di aiuti prestati dalla Chiesa a criminali nazisti in fuga dall’Europa. Secondo le ricerche di Simon Wiesenthal, responsabile della cattura di Stangl in Brasile nel 1967, non si trattò affatto di un errore: il Vaticano avrebbe creato in breve tempo un efficace network di fuga; questo sarebbe confermato anche dal fatto che i nazisti erano perfettamente a conoscenza di tali vie di fuga e sapevano di doversi recare a Roma e chiedere aiuto a Monsignor Hudal per quanto riguarda la reperibilità dei documenti per l’espatrio. Sempre secondo Wiesenthal, Hudal sarebbe stato direttamente responsabile della fuga non solo di Stangl e del suo caro amico Wagner ma anche di quella di criminali di grosso calibro tra i quali Adolf Eichmann, “architetto” dell’Olocausto, il quale ricevette da lui una nuova identità e fu poi inviato a Genova e nascosto da Monsignor Siri prima di imbarcarsi per il Sud America. Questa tesi è stata rifiutata dallo storico ufficiale del Vaticano, Padre Robert Graham, secondo il quale si trattò di una serie di errori commessi da Monsignor Hudal, all’insaputa della Chiesa in quanto istituzione e di Pio XII, nel tentativo di salvare vittime innocenti del conflitto e giustificata dal grande caos che seguì la fine delle ostilità. Tuttavia, ciò che fa sorgere ulteriori dubbi è che nonostante Padre Graham abbia confermato l’atteggiamento decisamente filonazista e ferocemente anticomunista di Hudal, questi non solo non fu allontanato dalla Chiesa ma fu addirittura nominato vescovo nel 1933. <12 Nonostante l’inspiegabile promozione, Graham ha continuato a distanziare l’operato del Monsignore da quello della Chiesa; per contro, secondo la testimonianza di Padre Jacob Weinbacher, Rettore del Collegio dell’Anima di Roma dal 1952, tra Hudal e Pio XII c’era una solida amicizia risalente addirittura agli anni ’20. <13 È dunque decisamente improbabile che il papa non fosse a conoscenza delle attività clandestine del vescovo. Tra gli amici stretti di Hudal, oltre al Sommo Pontefice, figuravano anche altre personalità di rilievo della Chiesa e non, quali Monsignor Giovanni Montini, dall’agosto del 1944 a capo della Commissione Pontificia di Assistenza ai rifugiati e Walter Rauff, il già citato criminale nazista membro di ODESSA che si adoperò per dare vita allo “scalo” di Milano. <14 Fu proprio Montini, che lavorava direttamente per il Papa, a permettere a Hudal di accedere ai passaporti vaticani e ad altri documenti di viaggio, oltre che alla Caritas Internazionale, associazione cattolica che secondo Wiesenthal avrebbe pagato per la fuga sia di vittime innocenti che di criminali nazisti. <15 Nel 1947 una serie di articoli di giornale cominciò ad attaccare Hudal e il Vaticano, sollevando sospetti sulle misteriose attività del Monsignore. Nel 1951 egli fu dunque rimosso dal ruolo di Rettore del Collegio dell’Anima di Roma. Nonostante lo scandalo del 1947, la rete di fuga sponsorizzata dal Vaticano continuò a restare in attività, una volta sostituito Hudal con ecclesiastici ben più discreti e di più basso profilo. La Chiesa, dunque, non si limitò agli aiuti umanitari ma favoreggiò attivamente la fuga di criminali dall’Austria all’Italia. Altra testimonianza lampante è una lettera del 31 agosto 1948 indirizzata sempre dal vescovo Hudal al Presidente argentino Juan Peròn, in cui si richiedevano ben 5000 visti per “soldati” tedeschi e austriaci. Secondo quanto scritto dallo stesso Hudal, non si trattava di rifugiati bensì di combattenti anticomunisti il cui “sacrificio” di guerra aveva salvato l’Europa dal dominio sovietico. In altre parole, si trattava di nazisti tedeschi e austriaci. Tra gli ecclesiastici coinvolti nelle operazioni di fuga emerge anche il nome del cardinale Eugène Tisserant, figura chiave nel rapporto di collaborazione presto stabilito dal Vaticano con l’Argentina. Analizzando gli archivi di svariate organizzazioni religiose e in particolare il carteggio tra l’Ambasciata argentina a Roma e il cardinale, lo storico Matteo Sanfilippo ha avuto modo di provare l’intervento del porporato francese presso la sede diplomatica in favore dei collaborazionisti del governo di Vichy. Originario della Lorena e profondamente anticomunista, questi trascorse l’intera vita a Roma e nonostante durante la guerra avesse censurato il comportamento dei cattolici compromessi con il regime di Vichy e favorito l’incontro tra il generale De Gaulle e Pio XII all’indomani dell’entrata degli Alleati a Roma, in una lettera del maggio 1946 indirizzata all’Ambasciatore argentino scrisse: “Quando Sua Eminenza il cardinale Caggiano (all’epoca primate d’Argentina) e Sua Eccellenza monsignor Barrère (vescovo di Tucmàn, nel Nord dell’Argentina) si trovavano a Roma, mi hanno lasciato capire che il governo della Repubblica argentina sarebbe disposto ad accogliere francesi la cui attitudine politica nel corso della recente guerra li esporrebbe, rientrando in Francia, a misure di rigore o a vendette private”. <16
Grazie agli sforzi profusi da Tisserant, Caggiano e Barrère, criminali di guerra francesi riuniti attorno a Charles Lesca riuscirono a sfuggire alla giustizia. Poco tempo dopo la visita dei due ecclesiastici, nel giugno 1946, il Segretario di Stato Vaticano, Giovanni Battista Montini, sollevò la questione con l’ambasciatore argentino presso la Santa Sede. Montini espresse l’interesse di Pio XII a organizzare l’emigrazione di non solo italiani in Argentina, definito come l’unico paese in cui gli emigrati avrebbero potuto trovare una soluzione soddisfacente alle loro esigenze. Il diplomatico ben comprese le intenzioni del Papa e riferì a Buenos Aires. Nell’Archivio del Ministero degli Esteri della capitale è tuttora conservata la lettera dell’Ambasciatore argentino presso la Santa Sede, datata 13 giugno 1946, che dà conto del colloquio con Monsignor Montini. Il Segretario di Stato e futuro papa aveva appunto espresso al delegato argentino la preoccupazione di Pio XII circa i cattolici, non solo italiani, che mancavano dei mezzi di sussistenza e che non potevano reintegrarsi nella società e gli proponeva un piano d’azione congiunto tra Santa Sede e Argentina. <17
Chi erano questi misteriosi cattolici senza patria? Si allude a sbandati che si trovavano in Italia e a perseguitati politici oltre che a vittime del Comunismo nei paesi dell’Est. Non si parlava esplicitamente di dare asilo a criminali nazisti ma non si escludeva neanche tale eventualità. Dunque la Chiesa cattolica fu perlomeno connivente. A riprova c’è sia l’attività di Tisserant che quella di Hudal e di Montini ma non va dimenticata quella del francescano ustascia, padre Draganovic. Troppi dati per ignorare che da parte delle personalità ecclesiastiche ci fosse la volontà di agevolare l’ingresso in Argentina di determinati personaggi. Benché le operazioni più audaci siano da ricondurre al giudizio dei singoli religiosi, è improbabile che nel disegno generale dei piani di fuga non fossero coinvolte le alte sfere del Vaticano. Difficile stabilire quali furono le ragioni che spinsero questi preti. Da un lato, molti preti e frati riconobbero in Hitler l’anticristo ed esercitarono la carità cristiana aiutando migliaia di ebrei romani a sopravvivere, la maggior parte di loro nascosti in conventi, altri addirittura in Vaticano. Dall’altro, molti vedevano nei nazisti una forza da contrapporre alla secolarizzazione e soprattutto al pericoloso diffondersi del bolscevismo e si adoperarono per salvare i gerarchi. Banalmente, cattolici e nazisti avevano nemici comuni: ebrei e comunisti. Dopo la fine del conflitto, di fronte alla pericolosa avanzata dei comunisti in Europa, i nemici di un tempo, i nazisti, si erano trasformati negli amici di oggi. Anche a giudizio di LaVista, il Vaticano agì in tal senso al fine di infiltrare individui ferocemente anticomunisti in paesi europei e dell’America Latina. Accanto alla Chiesa, un comprovato ruolo di primo piano venne svolto anche dalla Croce Rossa. <18 Fu infatti con carte rilasciate dal Comitato Internazionale dell’ente umanitario, ufficio di Genova, che arrivò in Argentina il grosso dei nazisti. Si trattò di un patto di indulgenza tacitamente sottoscritto dagli Alleati, dalla Chiesa e dalla Croce Rossa. Un patto al quale aderì anche Peròn, per ragioni che avevano certamente a che fare con le sue simpatie per l’Asse ma che sarebbe semplicistico ridurre soltanto ad una questione di credo politico condiviso. Del resto, quella dell’esodo post-bellico fu anche e soprattutto la storia di un lucroso traffico di persone dettato dai potenziali guadagni in ballo e dall’ opportunismo dei singoli attori corrotti. Nonostante l’ammissione di responsabilità e le pubbliche scuse della Croce Rossa, <19 la posizione ufficiale della Chiesa cattolica in merito è rimasta per anni invariata: la Chiesa è stata, si, molto cauta nei riguardi di Hitler, ma doveva salvaguardare i suoi figli nei Paesi occupati e soprattutto non poteva in alcun modo influenzare un regime anticattolico e pagano come lo era il Nazismo. Nulla dunque deve esserle imputato. In realtà, oltre alla volontà di infiltrare cattolici nel mondo intero, tra le ragioni che spinsero il Vaticano c’era quella di voler liberare l’Europa post-bellica, cattolica e pacifica, dalle migliaia di sbandati e senza casa che affollavano le prigioni italiane e non. Di questa presenza indesiderata volevano liberarsi proprio tutti, compresi gli Alleati, i vertici della Croce Rossa e le autorità italiane. Al compito di smaltire queste centinaia di migliaia di profughi provvidero la Pontificia Commissione di Assistenza e un’altra decina di enti, tra cui le organizzazioni diocesane chiamate Auxilium, la più importante delle quali era retta dal cardinale [n.d.r.: non ancora tale alla data qui sottesa] Siri a Genova.
[NOTE]
7 M. AARONS, J. LOFTUS “Unholy Trinity” [1991], New York, St. Martin’s Press, 1998 pp. 25-47.
8 J. CAMARASA, op.cit., pp.13-26.
9 J. CAMARASA, op.cit., pp.13-26; M. AARONS, J. LOFTUS, op.cit., pp. 42-43.
10 J. CAMARASA, op.cit., pp. 13-26.
11 M. AARONS, J. LOFTUS, op.cit., pp. 25-47.
12 M. AARONS, J. LOFTUS, op.cit., pp. 26-31.
13 M. AARONS, J. LOFTUS, op.cit., pp. 32; J. CAMARASA, op.cit., pp. 17-18.
14 M. AARONS, J. LOFTUS, op.cit., pp. 33.
15 M. AARONS, J. LOFTUS, op.cit., pp. 34-35.
16 G.M. PACE “La via dei demoni” [2000] Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2000, pp. 12-13; U. GÕNI “Operazione Odessa” [2002] Milano, Garzanti Libri, 2012, pp. 136-141.
17 G.M Pace, op.cit., pp. 14-15.
18 M. AARONS, J. LOFTUS, op.cit., pp. 40-41.
Livia Zampolini, Operazione ODESSA: la svastica e la croce. Complicità nella fuga dei criminali nazisti verso il santuario argentino, Tesi di Laurea, Università LUISS “Guido Carli”, Anno Accademico 2012-2013