Non è documentata nessuna relazione organica tra le divisioni partigiane autonome delle Langhe e la Patria

Una zona delle Langhe. Fonte: Wikipedia

La Patria fu una vera divisione partigiana, o si tratta solamente di una definizione formale che venne adottata per garantire agli uomini e alle donne che parteciparono ad alcune azioni di resistenza (armata e non) ricevessero il giusto riconoscimento? Quali sono le caratteristiche essenziali, i tratti fondamentali che devono essere rilevati nelle attività di un gruppo di oppositori alla Repubblica Sociale e che li qualificano come partigiani?
In primo luogo, per essere riconosciuti partigiani bisognava soddisfare il requisito temporale dell’appartenenza alle formazioni partigiane per almeno tre mesi: la costituzione della divisione è tardiva e forse dettata da ragioni politiche contingenti <138, ma l’inizio dell’attività militare è precedente a tale data e ci fornisce alcuni elementi di analisi.
È anche possibile ritenere che il numero di effettivi che hanno ricevuto il certificato di patrioti sia anche stato soggetto ad alcuni limitati ritocchi in cui la successiva attività del suo comandante Martino come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per l’assistenza a reduci e partigiani nei primi governi repubblicani potrebbe aver influito, annoverando tra i partigiani alcuni che potrebbero essersi dedicati prevalentemente ad attività cospirativa o di ordine pubblico nei giorni immediatamente circostanti la Liberazione, non dando luogo ai richiesti tre mesi di servizio effettivo o a una collaborazione fattiva. Ma non c’è niente di anomalo o incomprensibile in tale fenomeno che, seppur limitato, intersecava l’interesse democristiano a «pesare» il più possibile tra i partecipanti alla resistenza armata per arginare eventuali tentativi di monopolio della guerra di liberazione da parte delle forze politiche di sinistra sia a livello nazionale che locale.
Però è innegabile che la divisione Patria avesse una propria organizzazione militare, con un comando definito coerentemente con le disposizioni del Corpo Volontari della Libertà, anche se solo verso la fine della guerra di liberazione (presumibilmente intorno al marzo del 1945 <139), a sua volta pienamente riconosciuto e sottoposto al Comando Regionale; vi sono dei comandi territoriali <140 ad esso collegati e la piena partecipazione al comando della VII zona piemontese <141. Probabilmente la struttura finale della divisione fu il risultato di un processo di aggregazione di formazioni autonome avvenuto nel tempo, ma questo fenomeno è comune a tutte le formazioni partigiane a causa dei continui frazionamenti provocati dai rastrellamenti piuttosto che dallo scioglimento invernale delle brigate.
Riguardo alla vera e propria attività militare svolta dagli autonomi della Patria, essa si attiene a quanto si ricava dagli Atti del Comando Generale Corpo Volontari della Libertà: <142 nella circolare n. 4 del 3 luglio 1944 vengono definite le attività delle squadre di difesa e di assalto, tra cui «impedire arresti e razzie, […], compiere azioni di sabotaggio, disarmare militari e fare colpi di mano» <143, con la circolare n.5 dell’8 luglio 1944, vengono impartite disposizioni per evitare che «la trebbiatura si svolga sotto il controllo nazifascista e la relativa requisizione del prodotto» <144.
Le azioni messe in atto dalle brigate Patria dimostrano che ci si attenne a queste disposizioni, magari solo in parte e forse non con la medesima frequenza e intensità delle altre formazioni; in alcuni casi sicuramente non vennero mai compiute le azioni richieste, privilegiando altri tipi di attività o l’incolumità dei combattenti e delle popolazioni.
Ma la domanda è: può questo bastare per affermare che questi uomini e donne non furono dei combattenti? Esiste una «quantità», una misura di grandezza, un criterio per riconoscere i combattenti della guerra di liberazione?
Se tale misura è il soddisfacimento anche solo parziale delle richieste che provenivano dal Comando Generale del C.V.L., tale condizione venne certamente soddisfatta. L’obbedienza stessa a queste disposizioni <145 e il riconoscimento della loro legittimità è a mio avviso un valido indicatore dell’esistenza di un gruppo di combattenti, e ritengo quindi che alla Patria si possa riconoscere il titolo di formazione partigiana combattente nella guerra di Liberazione: nella pluralità di anime della Resistenza, ci deve essere uno spazio anche per la pluralità di modalità di aggregazioni e di azioni che si sono realizzate <146.
A ciò si vanno poi ad aggiungere la letteratura storica in merito alla Resistenza italiana e piemontese, cui si aggiungono la lettera di riconoscimento dell’ufficiale inglese stabilitosi presso le brigate del Monferrato, il magg. Leach <147, nonché il contenuto dei documenti raccolti nell’archivio del comandante Malerba [Edoardo Martino].
La Patria, formazione autonoma
Ma chi sono gli autonomi e le loro formazioni nella Resistenza? Nella fase di incubazione e di preparazione che avrebbe portato alla costituzione del Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà è un termine che non rende appieno il dibattito che sta dietro a questa definizione. Ben più indicative sono le definizioni che emergono nel lungo dibattito necessario ad organizzare il suddetto comando: «badogliane», «apolitiche», «nazionali», «militari», «al di fuori del CLN», quando non «attesiste», «reazionarie», «di tendenza capitolarda» <148 rendono al meglio non tanto il loro reale orientamento, quanto piuttosto quello presunto.
D’altro canto in questo stesso periodo che va dal settembre ’43 al febbraio ‘44 dire autonome senza aggiungere altro è dire troppo poco, perché tali sono di fatto tutte le bande esistenti.
Sarà dal febbraio 1944, con le famose direttive «per la lotta armata» che la questione verrà chiusa, quantomeno sancendo l’autonomia di comando e di scelta degli obiettivi, dato che «sarebbe assurdo voler regolare dal centro l’azione periferica, che deve necessariamente essere rimessa allo spirito d’iniziativa e al buon senso di chi, caso per caso, e spesso all’improvviso, è chiamato ad operare. […] Questo principio ha per contropartita il senso di responsabilità nella scelta degli obiettivi e della condotta dell’azione» <149.
In questo quadro la divisione Patria si costituisce come formazione autonoma, una formazione orientata a rispondere al bisogno del momento con senso di responsabilità inserita in un contesto regionale in cui abbondano esempi simili.
In Piemonte, infatti, le formazioni «autonome» per eccellenza sono quelle sottoposte al comando di Mauri [Enrico Martini]: tuttavia non è documentata nessuna relazione organica tra le divisioni autonome delle Langhe e la Patria <150: Mauri non vi si riferisce mai quando comunica ai vari comandi l’elenco delle formazioni alle sue dipendenze.
D’altra parte emergono comunque alcune differenze di orientamento ideale tra le divisioni alpine di Mauri e la Patria, tali da escludere l’inquadramento esplicito tra le divisioni alpine: tanto la subordinazione alle direttive del CLNAI quanto la politicizzazione in senso partitico della Resistenza in Alta Italia trovarono forti resistenze da parte delle formazioni raccolte sotto il comando di Mauri, che preferiva muoversi in autonomia sia dal punto di vista militare (al punto da meritarsi i richiami ufficiali del Comando Generale a causa della costituzione dell’«Esercito Italiano di Liberazione Nazionale» <151) che dal punto di vista politico.
Questa rivendicazione di autonomia militare e di apoliticità non sembra appartenere fino in fondo ai comandi della divisione Patria: ex militari, ritenevano probabilmente conclusa una fase storica, per cui era necessaria un’organizzazione adatta allo Stato nascente, anche per arginare i propositi rivoluzionari comunisti; per via di una robusta matrice cattolica, si riconoscevano nella nascente Democrazia Cristiana <152, e da essa attingevano la loro formazione politica. Ciò non esclude affatto che all’interno delle varie formazioni vi fossero elementi più orientati verso la continuità delle istituzioni regie, ma non era sicuramente questo l’orientamento prevalente ai vertici della catena di comando.
Le formazioni di Mauri però ci offrono alcuni spunti: il 7 agosto 1944 fu sottoscritto tra il comando delle divisioni alpine e le formazioni GL un Memorandum <153 da cui possiamo ricavare alcuni orientamenti ideali di parte delle formazioni piemontesi: tra le formazioni di Mauri e le formazioni azioniste infatti c’era un accordo sostanziale, pur non entrando nel merito della questione istituzionale (su cui l’intransigenza del monarchico Mauri doveva essere nota). Emerge dalla scelta di siglare tali accordi quantomeno una forte ricerca dell’unità d’intenti tra le formazioni: per alcuni aspetti, come la «necessità di un orientamento politico» che producesse la consapevolezza che il fine ultimo dell’azione militare è il «radicale rinnovamento politico, morale e sociale del Paese[…] l’instaurazione di una sana democrazia […] una vera comunità europea». Orientamenti ideali coerenti con quelli che muovevano Malerba e i suoi sottoposti; per altri aspetti, invece, il massimalismo e il rigore tipico tanto di Mauri che dei giellini non poteva essere condiviso, come quando si pone a «condizione per il rinnovamento politico, morale e sociale […] un’opera di severa giustizia e di radicale epurazione che valga a colpire con le più gravi sanzioni i responsabili della rovina del Paese». Per cui, per quanto vi siano dei punti di contatto anche tra le differenti esperienze delle formazioni cosiddette «autonome», non bisogna cercare di fornire una interpretazione univoca a un fenomeno che già dal nome preannuncia una pluralità di forme, di cui una è quella assunta dalla divisione Patria.
Tutto ciò non esclude categoricamente che vi siano stati contatti tra le brigate della Patria e le divisioni alpine, anzi, le necessità belliche probabilmente li reclamavano: il comando di Mauri estendeva la sua area di influenza fino al Monferrato astigiano, dove era di stanza la VI divisione Asti, e dove tardivamente (dal gennaio 1945 <154) nascerà dalle ceneri di altre formazioni la XV divisione Alessandria, che si attesterà nella bassa valle del Tanaro e nella bassa valle Belbo, sulle colline tra Asti e Alessandria.
Neppure la VII divisione Monferrato, che «confinava» con la Patria <155, compare nelle relazioni di Mauri, ragione per cui risulta arduo ritenere che i collegamenti tra le formazioni fossero assidui; piuttosto si può dare credito a eventuali relazioni occasionali, con un’intensità sicuramente maggiore nel 1945, quando i contatti si fanno più frequenti e organizzati per l’intervento degli Alleati e delle missioni aviolanciate in Piemonte di cui diremo più avanti, per la aumentata efficienza dei Comandi di zona e per la piena partecipazione della divisione Patria alle decisioni del Comando regionale degli autonomi.
[NOTE]
138 L’elevazione a divisione della Patria risale al marzo del 1945 secondo Pansa, ISRAL, Fondo Pansa, busta 2, fascicolo 12.
139 ISRAL, Fondo Pansa, busta 2, fascicolo 12. In particolare in data 22 febbraio il capo collegatore Cherubino, dopo aver ricevuto una lettera di sfogo di Malerba, chiede con forza chiarimenti in merito all’«elevamento a divisione della brigata Patria e alla sua nomina a Comandante».
140 W. VALSESIA – F. GAMBERA, La Resistenza in provincia di Alessandria, cit., pag. 120.
141 Lo stesso comando piemontese delle formazioni GL manifestò alcune perplessità sulla reale consistenza degli Autonomi in questa zona, chiedendo ai comandanti delle proprie formazioni , pur «mantenendo la massima riservatezza allo scopo di non urtare la suscettibilità delle formazioni consorelle», di verificare le forze degli Autonomi operanti nella VII zona, quantificati negli specchi allegati al piano insurrezionale E27 in 470 unità, facenti capo alla brigata Petri (ovviamente si tratta di una distorsione di Patria). Cfr ISRAL, Fondo Pansa, busta 2, fascicolo 17.
142 G. ROCHAT, Atti del Comando Generale del CVL, Milano, Franco Angeli, 1975.
143 Ibid, pp. 58 -61.
144 Ibid, pp. 61-62.
145 Vi sono altre disposizioni che possono essere ritenute marginali su cui troviamo impegnati anche i componenti di questa divisione, come la diffusione di stampa antifascista e giornali delle divisioni, ibid, p. 189. La divisione Patria editava infatti un giornale della brigata, il Ten Dur, di cui una copia è conservata nell’Archivio Martino, fascicolo 13.
146 Cfr. E. AGA ROSSI, Fare i conti con il proprio passato: la resistenza in Italia tra mito e realtà, in «Ricerche di Storia Politica», 1/2002, pp. 9-16.
147 C. TORRIANI, Uomini di buona volontà, cit., p. 229. Una copia ciclostilata della lettera conservata in Per una descrizione del fondo Martino. Resistenza, fascicolo 11, Lettera del maggiore Leach.
148 G. ROCHAT, Atti del Comando Generale del CVL, cit., pp. 509-582.
149 Ibid. p. 547.
150 Cfr. Relazione agli Alleati sulle possibilità d’impiego delle formazioni autonome del Piemonte, 20 aprile 1945, in G. PERONA, Le formazioni autonome nella Resistenza, cit., pp. 420-426.
151 G. ROCHAT, Atti del Comando Generale del CVL, cit., pp.162-164.
152 In molti conservano ancora, infatti, le prime tessere clandestine.
153 Cfr. Memorandum per gli accordi con le formazioni GL, Valle Pesio, 7 agosto 1944, in G. PERONA, Le formazioni autonome nella Resistenza, cit., pp. 363-364. Va tuttavia sottolineato che tale accordo fu successivamente annullato dal CLNRP, Comunicazione di Mauri a Cosa sull’annullamento degli accordi con le formazioni GL, 4 settembre 1944, ibid., pp. 373-374.
154 R. AMEDEO, La lotta partigiana della XV divisione Alessandria, Mondovì, La Ghisleriana, 1983.
155 La Divisione Monferrato, però, faceva riferimento alla VIII zona operativa piemontese, gravitando più sulla zona dell’Astigiano e del Torinese.
Lodovico Como, Dall’Italia all’Europa. Biografia politica di Edoardo Martino (1910-1999), Tesi di Dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Anno Accademico 2009/2010