Partigiani alla battaglia di Pitigliano

Reparto “Lupi” Pitigliano
Fonte: Il Nuovo Corriere del Tufo
Pitigliano (Grosseto) – Foto: Gian-Maria Lojacono

L’11 giugno 1944 un improvvisato Comitato di Liberazione Nazionale pubblicò un manifesto che annunciava la liberazione della “Piccola Gerusalemme”: “Pitiglianesi! – esordiva lo scritto – Da oggi finalmente liberi dal giogo che per cinque lustri ha sistematicamente demolito le spirituali e materiali conquiste dei nostri avi, per il bene dei sopravvissuti dobbiamo nuovamente affratellarci per ricominciare dalle fondamenta l’edificio della libera Italia. Il lutto che si è abbattuto sul nostro popolo forte e laborioso, sciagura che mai potremo e dovremo dimenticare, sia da sprone al sentimento di fraterna solidarietà che occorre agli uomini per iniziare l’opera di ricostruzione. In tale solidarietà attendiamo tranquillamente che gli Italiani degni di farlo possano giudicare i malvagi che la Patria condussero a tale rovina. Lavoriamo concordi per il domani che Dio ci riserva e sia lungi da noi ogni sentimento d’inconsulta rappresaglia, perché non i singoli, spinti magari da malvagio personalismo devono giudicare i colpevoli, bensì gli uomini come noi liberi e onesti di cui l’Italia è orgogliosamente ricca, con l’aiuto delle libere Leggi che della Patria furono vanto indiscusso nei secoli. Ne sono garanti i sottoscritti in unione a coloro che ora giungono”. Il manifesto era firmato da Pietro Casciani, Luigi Becherini, Mario Barone, Luigi Brigida, Angelo Bennati, Pietro Bocini, Gennaro Fortunati, Augusto Fortunati e Silvestro Casciani. Ma che era successo nei giorni precedenti? Qualcosa si evince già dalla lettura dello straordinario documento che abbiamo riportato nella sua interezza, quando gli autori si riferiscono al “lutto che si è abbattutto sul nostro popolo…”. Quattro giorni prima, infatti, nel tardo pomeriggio del 7 giugno 1944, diciotto B 25 Mitchell del 428th Bomber Squadron, 310th Bomber Group degli Stati Uniti, guidati dal capitano Harry R. Boswell, sorvolarono la cittadina con l’obiettivo di distruggere il ponte sul torrente Meleta, peraltro già reso inutilizzabile da precedenti azioni di sabotaggio. Gli americani sganciarono 48 ordigni da 500 libbre, alcuni dei quali, almeno 8 secondo vari testimoni, colpirono per errore il cuore di Pitigliano, provocando 80 morti e una ventina di feriti.
Nel successivo rapporto, gli equipaggi riferirono di vari ordigni che “si snocciolano” sulla città, mentre esclusero qualsiasi contraerea: “No flake” recita la relazione americana, cioè nessuna contraerea, appunto [1]. Erano le 18,36 quando le bombe stritolarono il “salotto bono”, cioè la piazza principale di Pitigliano èin provincia di Grosseto], dove si trovava l’edificio del Monte dei Paschi di Siena e quello del Consorzio Agrario. Qualche ora dopo, un gruppo di partigiani guidati da Pietro Casciani, comandante del Reparto Lupi, entrarono in paese dalla porta di Capisotto. Lo scenario che apparve ai loro occhi era apocalittico: nella piazza principale cumuli di macerie e polvere ovunque e sopra le macerie pochi volenterosi, fra i quali Don Gennaro Fortunati, che scavavano per soccorrere i vivi ed estrarre i corpi di decine di esseri umani dilaniati.
Ma chi erano quei partigiani e perché si trovavano nelle vicinanze di Pitigliano in quei primi giorni di giugno? Comandato dai fratelli pitiglianesi Pietro e Silvestro Casciani, il Reparto Lupi era nato nella prima decade di ottobre del 1943 nella zona di Concelli [2]. A dicembre i partigiani si erano stabiliti a Montauto di Manciano, presso l’accampamento del capitano Arancio, il fondatore della prima banda della Maremma tosco-laziale. Il Reparto Lupi, pur appartenendo alla “Montauto” era un gruppo autonomo, come il Reparto Lamone, comandato dall’ischiano Domenico Federici [3]. Nei nove mesi di occupazione nazifascista i partigiani di Pitigliano si resero protagonisti di varie azioni: attentati a gerarchi repubblichini, imboscate a colonne tedesche con uccisione di nemici, atti di sabotaggio, distruzione di ponti e danneggiamento di strade, attacchi al paese di Pitigliano e vari altri colpi di mano. Da Montauto, Casciani e i suoi uomini si spostavano continuamente, anche se le macchie del mancianese furono sempre, per ogni evenienza, il loro rifugio più sicuro. Tutto ciò almeno fino al 20 maggio del 1944, quando centinaia di nazifascisti sferrarono un attacco ben pianificaro al nucleo centrale dei combattenti di Monte Maggiore-Montauto. Per timore di aggressioni partigiane, nell’imminenza del passaggio del fronte, i tedeschi vollero “ripulire” quella zona, così da evitare di trovarsi fra due fuochi: gli alleati che avanzavano da sud e i partigiani alle spalle. Così giunsero in Maremma reparti teutonici già addestarti alla lotta alle bande in Umbria e comandati dal capitano Volker Seifert. Alle ore 5,30 del mattino di quel 20 maggio i tedeschi, accompagnati da una spia, catturarono il partigiano Delio Ricci di Montefiascone al fontanile del Tafone e lo impiccarono dopo terribili torture. Ricci, anche se interrogato, non parlò e morì al grido di “W l’Italia”. E’ medaglia d’oro al Valor Militare della “Montauto”. Poi i tedeschi e i fascisti attaccarono la base partigiana a colpi di cannone, provocando l’abbandono del campo da parte dei combattenti che, lasciata la zona, si avvicinarono ai loro paesi d’origine per agire al momento dell’arrivo degli alleati.
Così verso la fine di maggio del 1944 Pietro Casciani e i suoi uomini erano nei dintorni di Pitigliano e il 2 giugno s’incontrarono, in base a precedenti accordi, ai Pianetti di Sovana con il comandante dei partigiani soranesi Mario Salera e il tenente dei reali carabinieri di Pitigliano Luigi Brigida [4]. Secondo relazioni partigiane presentate dopo la guerra, il tenente Brigida mise a disposizione dei partigiani le armi automatiche della caserma e anche la propria autovettura per il trasporto di queste a Sorano, che fu effettuato dal carabiniere Francesco Zazza. Qualche giorno dopo anche i partigiani del “Tenente Antonio”, che operarono per la Liberazione del Comune di Manciano, recuperarono le armi lanciate dagli alleati a Baccinello di Scansano [5]. Nell’imminenza del passaggio del fronte, i combattenti erano dunque armati e pronti ad agire, compresi quelli che si erano “sbandati” dopo il rastrellamento del 20 maggio e che si trovavano quasi tutti nella zona di Capalbio.
In quei primi giorni di giugno, dopo la Liberazione di Roma, avvenuta il 4, l’avanzata degli alleati procedette velocissima verso la Toscana e i tedeschi si ritiravano spediti alla ricerca di luoghi adeguati per opporre resistenza. Non potevano immaginare che si sarebbe verificato il peggio, cioè che si sarebbero trovati fra due fuochi proprio al loro ingresso in Toscana.
Fu in questo contesto di passaggio del fronte che avvenne il bombardamento del 7 giugno e il successivo ingresso dei partigiani nella cittadina. In tarda serata, infatti, Pietro Casciani, Silvestro Casciani [6] (medaglia di bronzo al Valor Militare), Elio Lupi (Croce al merito di guerra), Alberto Allegrini, Prospetto Capponi, Aldo Magrini, i russi Ciurka e Costantin e altri entrarono nella Piccola Gerusalemme devastata e arrestarono i pochi tedeschi rimasti presso il deposito degli autobus, trasformato già da tempo in una sorta di salumificio [7].
Intanto il fronte aveva raggiunto l’alto viterbese, dove i partigiani si erano incontrati con i reparti francesi e americani, che combatterono in piena Selva del Lamone e poi raggiunsero le polverose strade della Toscana. In questo situazione, il 10 giugno del 1944, avvenne la battaglia di Pitigliano. Quel giorno una colonna di soldati ciclisti della 20. Luftwaffe-Feld-Division, preceduti da alcuni mezzi ruotati, salivano la ripida via che conduce al paese, quando vennero attaccati dai partigiani. Alcuni fuggirono in direzione di Sorano e fu allora che gli uomini di Casciani catturarono un cannone da 88 mm che era rimasto incastrato nel ponte del Prochio, precedentemente danneggiato. Nella relazione del Tenente Antonio Lucchini, a pagina 6, si legge che “Dopo una violenta battaglia durata 26 ore i nemici venivano messi in fuga, ciò che permise agli alleati una veloce avanzata di 25 Km senza incontrare alcuna resistenza. Durante l’azione i partigiani ebbero due feriti e un altro ferito si ebbe tra la popolazione civile. Le perdite tedesche ammontarono a 25 morti (tra i quali un capitano), diversi feriti (che riuscirono a fuggire con le truppe in ritirata) e 22 prigionieri [8]”. Alla battaglia di Pitigliano avevano partecipato anche alcuni carabinieri della locale caserma, fra cui si distinse il milite Francesco Zazza e anche altri pitiglianesi, come Vincenzo Paris, ricordato come eccellente nell’uso della mitragliatrice.
La notizia di quanto accaduto a Pitigliano giunse subito agli alti comandi tedeschi e, come era ovvio, si scatenò il panico. Il 12 giugno 1944 il XIV Panzer-Korps cominicava al Gruppe del Generalleutnant Hellmuth Pfeiffer, che comandava la 65. Infanterie-Division, quanto segue: “Fra la 162. Infanterie-Division e la 20. Luftwaffw-Feld-Division l’attività delle bande è molto forte. Il nemico è riuscito, grazie a partigiani che li hanno guidati attraverso le montagne, con forze corazzate e fanteria ad avanzare da sud via Monte Cavallo a Manciano, e verso nord est a Pitigliano. Questo posto è quello in cui quasi tutta la popolazione ha partecipato alla lotta contro le nostre truppe ed era già prima dell’arrivo del nemico nelle mani di un forte gruppo partigiano. Prima di Pitigliano a nord-est, il nemico ha raggiunto il fianco della 20.Luftwaffe-Feld-Division mentre a sud-ovest dalla Selva del Lamone, attaccando l’ala destra della 20. Luftwaffe-Feld-Division, ha ripreso S.Quirico [9]”. Praticamente, mentre fra il 10 e l’11 giugno gli americani della 36° Divisione di Fanteria “Texas” liberavano Capalbio dalla 162. Infanterie-Division Turkmena, i partigiani di Casciani sbaragliavano i ciclisti della 20 Divisione da campo della Luftwaffe, aprendo così una falla nel fronte, peraltro fluido, di 35 Km, grazie alla quale gli americani arrivarono a Manciano, il giorno 12, senza bisogno di sparare un colpo. L’attacco del Reparto Lupi costrinse i tedeschi a ripiegare verso La Rotta-S.Quirico, dove, il giorno 13, si affrontarono il 40. Reggimento Jaeger della Luftwaffe, composto da 500 uomini, e il 4° Reggimento Tunisino. Proprio in quella zona, presso la frazione del Casone, alcuni partigiani di Onano erano giunti a dar man forte ai combattenti di Pitigliano, secondo gli accordi presi fra il Comitato di Liberazione onanese e il nucleo centrale della Banda Arancio [10].
I tedeschi, però, non si diedero per vinti e tentarono un contrattacco su Pitigliano nella notte fra il 10 e l’11 giugno, adoperando le forze che avevano a disposizione, appartenenti alla 90. Panzer-Grenadier-Division. Nei documenti tedeschi si legge che: “Un gruppo reggimentale della 90.Panzer-Grenadier-Division ha effettuato, dalla zona a sud-ovest di Onano, un contrattacco su Pitigliano per cercare di riportare sulla vecchia linea di combattimento il fianco destro della 20. Luftwaffe-Feld-Division”. E il giorno dopo i tedeschi constatavano che “Pitigliano è stata occupata da un forte gruppo di partigiani. L’attività delle bande in questa zona è molto forte, tanto che ufficiali d’ordinanza e veicoli singoli cadono quasi sempre nelle mani dei partigiani. Una forza nemica, con circa 20 carri armati, probabilmente guidata da partigiani italiani attraverso i monti a sud di Manciano, ha raggiunto Pitigliano e colpisce il fianco profondo della 20. Luftwaffe-Feld-Division… [11]”. Malgrado il contrattacco tedesco con mezzi corazzati dalla parte di Sorano, i partigiani mantennero il paese nelle loro mani e reagirono sparando anche con il cannone da 88 mm precedentemente catturato. Dopo quella notte i tedeschi non si fecero più vivi.
Il 12-13 giugno giunsero le avanguardie degli alleati, ma in prossimità del fiume Meleta si verificò un incidente, per fortuna destinato a non avere conseguenze irreparabili: una jeep francese in perlustrazione, scambiata per un mezzo tedesco, fu attaccata dai partigiani, che ferirono e catturarono un giovane militare, mentre gli altri a bordo tornarono repentinamente indietro ad avvisare i loro commilitoni, che stavano giungendo con i loro pesanti mezzi corazzati. Quando i partigiani compresero l’errore condussero il soldato francese, un sergente di nome Gabriel, in ospedale per le cure del caso. Il sergente scrisse un biglietto in francese che fu recapitato da un patriota in bicicletta agli alleati, che vennero così rassicurati. Verso le 16 del 13 giugno gli americani della Task Force del colonnello Ramey [12], che apparteneva al IV Corpo d’Armata USA, e i francesi del CEF raggiunsero Pitigliano, che così si lasciava definitivamente alle spalle la guerra e il ventennio fascista [13]. Il 12 giugno “la resistenza tedesca si irrigidì […]. La 3° Divisione Francese Algerina venne contrattaccata nella zona di Latera-Monte S. Magno […] a sinistra, una Task Force, detta Ramey, operava sull’asse Farnese-Pitigliano-Montebuono. Questa unità si trovava a un Km da Pitigliano… Il 13 giugno, la 20 Lf. Div. […] contrattacava la 3° D.F.A che respinse l’attacco e, a sera, tagliava la SS. 74 a Bagni Termali, circa 3,5 Km nord-est da Pitigliano e verso Poggio Pinzo. Pitigliano e Manciano erano, intanto, stati conquistati dal IV Corpo d’Armata. Essi sono i primi paesi toscani di una certa consistenza, a essere liberati dagli alleati [14]”.
Riassumendo, gli americani della Task Force Ramey erano stati condotti, fra il 10 e l’11 giugno, dai partigiani lungo la strada, fra l’altro minata dai pionieri tedeschi, presso le rovine di Castro, in prossimità della Selva del Lamone, sbucando a destra dello schieramento tedesco. Gli alleati liberarono facilmente Manciano il giorno 12 e si incontrarono con il “Tenente Antonio” che aveva combattuto presso Montemerano e Saturnia. Poi la Ramey raggiunse Pitigliano il giorno 13 e la trovò già liberata dai partigiani. Come si è detto, la “Battaglia di Pitigliano”, assieme alla liberazione di Capalbio, aprì un varco nello schieramento tedesco di 35 Km e creò nei germanici forti preoccupazioni, riscontrabili in cio che essi scrissero nei loro diari, cioè che “i soldati alleati, guidati dai partigiani pratici dei luoghi, sono riusciti ovunque ad aggirare i deboli reparti di retroguardia e ad eliminarli”.
Per la conquista di Pitigliano Pietro Casciani venne insignito della medaglia d’argento al Valor Militare. Casciani, che era stato istruttore premilitare fascista prima della guerra, aveva partecipato al conflitto dal 1939 al 1943 con il grado di sergente autiere [15], era partito in jeep da Caltanisetta, dove si trovava alla data dell’8 settembre, per raggiungere Roma. Dalla capitale “mio padre venne a casa, a Pitigliano, a piedi e ricordo che quando arrivò, aveva addosso soltanto le mutande e le scarpe. Ricordo che mia nonna, conosciuta la cosa corse a portargli dei panni in campagna e poi il giorno dopo andammo a trovarlo anche noi figli. Anche il segretario politico del fascio, Guido Corsi, venne a sapere che mio padre era tornato e allora lo mandò a chiamare, anche perché si conoscevano, anzi erano proprio amici. Infatti prima della guerra mio padre era stato fascista, come tutti del resto, ma lui era stato anche istruttore premilitare per i giovani fascisti… [16]”. Alle insistenze dei repubblichini che lo volevano dalla loro parte, Pietro rispose scegòiendo la lotta partigiana, nonostante avesse moglie e tre figli piccoli [17] e con lui anche il fratello Silvestro e gli altri del Reparto Lupi.
Dopo il passaggio del fronte non furono fatte violenze ai fascisti: “Dopo la liberazione mio padre, anche dietro consiglio di Don Gennaro, diede ordine di non far male a nessuno, di non toccare nessuno per carità. L’unico che fu picchiato fu l’amministratore del marchese Ciacci, quel famoso Cavallari […]. Nel 1945 o 1946 mio padre fu decorato di medaglia d’argento al Valor Militare, anzi gliene diedero due, una con ancora lo stemma dei Savoia, l’altra, tempo dopo, con quello della Repubblica. Così quella Regia ce l’ho io, mentre l’altra l’ha mia sorella [18]”.
Pietro Casciani, che dopo la guerra aveva ripreso a fare il meccanico, si dedicava anche a disinnescare le bombe di aereo per recuperare la polvere da usare nelle cave locali. Il 6 agosto 1947 morì in località Valle Vergara, per l’esplosione di un ordigno bellico che cercava di disattivare. Di lui il comandante Arancio scrisse: “Non ci sono parole per elogiare l’opera patriottica svolta da Casciani a puro e semplice fine nazionale. Per il suo eroico comportamento, per l’abilità dimostrata nell’attacco di Pitigliano, se è doverosa la conferma del grado commessogli sin dall’inizio della lotta partigiana, è certo meritevole di una ricompensa al valor militare, che premi nel modo più luminoso il valore di quest’uomo d’azione [19]”.

Formazione Partigiana di Pitigliano Reparto “Lupi”
GRUPPO FUGGIASCHI ALLA MACCHIA
Pietro Casciani (Comandante), Silvestro Casciani (Vice-comandante), Alberto Allegrini, Umberto Calò, Michele Braca, Remo Del Convito, Ermanno Desideri, Giovanni Franceschi, Settimio Franceschi, Elio Lupi, Nello Lupi, Serafino Lupi (morto a Montauto per incidente il 28 marzo 1944), Prospetto Capponi, Aldo Magrini, Santi Mancini, Angelo Palombi, Francesco Pasqualini, Elio Pepi, Bruno Zacchei, Antonio Zaganella, Elio Desideri, Giuseppe Francardi, Giovanni Forti, Felice Benci.
GRUPPO DEGLI AGGREGATI
Antonio Antichi, Assuero Bardani, Mario Bernardini, Renato Bindi, Giovanni Busi, O. Caporali, Eugenio Ceccolungo, Alberto Denci, Giovanni Drovandini, Dino Franceschi, Pietro Gervasi, Rodolfo Mambrini, Umberto Mambrini, Giovanni Marrani, Vincenzo Massieri, Vitaliano Mazzoni, Amedeo Micci, Spartaco Nasini, Emilio Pepi, Elvezio Savelli, Giuseppe Savelli, Ivo Savelli, Sesto Sestegiani, Ubaldo Sovani, Quinto Stefanelli
PATRIOTI
Ferrero Pizzinelli, Fernando Franci, Giocondo Carletti, Augusto Fortunati, Silvio Cioni, Guido Mengoni, Vincenzo Paris, Casciani Giovan Battista, Dott. Bruno Bognomini
REALI CARABINIERI DELLA STAZIONE DI PITIGLIANO (dalla Relazione di Sante Arancio del 1946)
Tenente Luigi Brigida (Tenente), Salvatore Vidili (Maresciallo Maggiore), Vito Vangelisti, Emanuele Tagliavini, Giovanni Manfré, Francesco Zazza, Franco Dominici

NOTE

[1] NARA (National Archives and Records Administration), Whashington, RG 18.

[2] Testimonianza di Ferrero Pizzinelli, classe 1921.

[3] I due Reparti agirono insieme in più di un’occasione, specie nelle azioni di sabotaggio di ponti e strade fra i comuni di Ischia di Castro e quelli di Pitigliano e Manciano.

[4] Si veda F. Dominici, Cent’anni di Storia. Sorano 1860-1960, Stampa Alternativa, Roma 2001, pag. 169. Al convegno del 2 giugno fu presente il partigiano Corrias, per conto della “Montauto”.

[5] G. Betti-F. Dominici, Banda Armata Maremmana. La Resistenza, la guerra e la persecuzione degli ebrei a sud di Grosseto, Effigi, Arcidosso 2014, pag. 152.

[6] Si dovette a Silvestro Casciani il collegamento fra i partigiani di Pitigliano e quelli di Montauto, grazie a un incontro avvenuto a metà ottobre del 1943.

[7] Numerosi furono i furti di bestie suine operate da soldati teutonici nella zona fra Pitigliano e Sorano, come emerge da vari documenti fascisti. Si veda Il Comune di Sorano nella guerra di Liberazione, Effigi, Arcidosso 2013, pp. 24-26.

[8] Relazione del Raggruppamento Monte Amiata VII Gruppo Bande settore B, pag. 6. Testimonianza del “Tenente Antonio” raccolta da Giulietto Betti il 20 marzo 1987. Secondo varie testimonianze il numero dei morti fu inferiore, ma i prigionieri furono almeno una quarantina.

[9] NARA (National Archives and Records Administration), Whashington, KTB n. 4 AOK 14, microfilm T 312, roll 491.

[10] Relazione della Banda Arancio Montauto, pag. 131. Il giorno 9 giugno era morto in combattimento il partigiano di Onano Rolando Mochi, in località Orticaia, presso il Casone, dove furono rinvenuti anche i corpi di soldati tedeschi uccisi dai combattenti del viterbese.

[11] NARA (National Archives and Records Administration), Whashington, KTB n. 4 AOK 14, microfilm T 312, roll 491.

[12] Il colonnello Ramey comandava il 361° Reggimento di fanteria della 91° Divisione di Fanteria Usa. Oltre alla fanteria, la sua Task Force era dotata di artiglieria, carri armati e mezzi da ricognizione.

[13] G. Betti-F. Dominici, Banda Armata Maremmana, cit., pp. 175-176.

[14] Claudio Biscarini, 1944: I francesi e la liberazione di Siena, Nuova Immagine Editrice, Siena 1992, pp. 32-33; Si veda anche: Le C.E.F. en Italie 1943-1944, pag. 174.

[15] AISGREC (Archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea), Fondo ANPI, II, 4, f. 116, Casciani Pietr.

[16] Testimonianza di Mario Casciani, figlio di Pietro, raccolta in data 17 febbraio 2000 da Giulietto Betti, pag. 1.

[17] Pietro Casciani era sposato con Lidia Francardi e i figli erano Mario, della classe 1932, Benito ed Edda, di coppia, del 1938.

[18] Testimonianza di Mario Casciani, cit., pag. 5.

[19] Relazione della Banda Arancio Montauto, cit. pag. 34.

Una vista da Pitigliano (Grosseto) – Foto: Gian-Maria Lojacono

Redazione, La Battaglia di Pitigliano: 10-11 Giugno 1944, Il Nuovo Corriere del Tufo, Pillole di storia, 30 dicembre 2016

Fonte: Il Pane e le rose cit. infra

[…] A capo della Bam era il Comandante Sante (o Santi) Gaspare Arancio. Nato in Grecia, perito minerario a Manciano (Grosseto), già noto Antifascista prima degli eventi del 25 Luglio, quando si adoperava per formare un gruppo armato, tenuto a battesimo poi il 17 settembre del 1943, in collegamento con il Raggruppamento Monte Soratte (che coordinava le bande partigiane Cln dell’Alto Lazio) e il Monte Amiata (per la Bassa Toscana). Arancio era conosciuto come comunista dai nazifascisti ma la sua collocazione politica risulta un po’ vaga, tantoché la Dc si assumerà, o tenterà di farlo, l’eredità politica del gruppo. I giudizi sulla persona del Comandante giunti a noi sono, altresì, spesso in contrasto e qui ne troviamo riportati alcuni. Carismatico, lo si vede nell’immagine suggestiva presa qui a copertina: la famiglia partigiana al completo, con la moglie, Virginia Cerquetti, e i due figli, Mario e la neonata Annabella, partorita proprio alla macchia. Riceverà gli encomi dal Regio esercito, dagli Alleati, dai sovietici e la Medaglia d’argento al valor militare. Morirà nel 1986, a Roma.
Sull’attività, alla Bam, sono riconosciuti, si legge nel quadro riassuntivo, 95 attacchi, detti anche “terroristici” (l’aggettivazione non aveva ancora evidentemente valenza negativa), 92 distruzioni e danneggiamenti di veicoli, 10 sequestri di animali da soma, interruzioni di 4 ponti e di una rotabile, cattura di 101 moschetti, 20 mitraglie, una contraerea e materiale vario, sequestri di derrate alimentari poi distribuite alla popolazione in ingenti quantità, nonché lavoro d’intelligence. Tra le perdite inflitte al nemico, si contano 186 uccisi in combattimento, 131 feriti e 70 prigionieri consegnati agli Alleati. Tra le perdite proprie: 16 caduti in combattimento, 2 fucilati, un impiccato, 2 fucilati per rappresaglia e 4 dispersi. Tra i decorati, oltre ad Arancio, Pietro Casciani, Medaglia d’Argento, poi morto in un incidente sul lavoro nel 1947, e Delio Ricci, Medaglia d’argento alla memoria, nel 1991 convertita in oro, proveniente dalla banda Bartolomeo Colleoni, non ancora ventenne, arrestato, torturato e impiccato dai nazisti nel maggio 1944. Era originario di Montefiascone (Viterbo), ove la Sezione Anpi ora porta il suo nome.
A colpire di questa Banda, che in più casi ha liberato i centri abitati ancor prima dell’arrivo degli Alleati, è la nazionalità dei suoi combattenti. Sono censiti 46 “russi”, cioè soldati sovietici fuggiti dai campi di prigionia, ovunque maestri in tecniche militari, soprattutto per quanto concerne l’attività di sabotaggio, 17 africani, 6 polacchi, 4 tedeschi, 4 austriaci, 2 indiani, un neozelandese, un messicano, uno statunitense e ben 8 “spagnoli rossi”, vale a dire combattenti antifranchisti poi espatriati – nell’elenco sono riportati i nomi di Angelo Aristeguez e Juan Blanco – che, in un certo senso, hanno così realizzato la profezia pronunciata esatti ottant’anni fa da Carlo Rosselli su Radio Barcellona, “Oggi in Spagna, domani in Italia”.
Silvio Antonini, “Banda Arancio Montauto, 1943-1944, La Resistenza fra Toscana e Lazio”, Il Pane e le rose, 22 novembre 2016