Stalin, l’Armata Rossa, il terrore, l’invasione tedesca

Boris Michajlovič Šapošnikov – Fonte: Wikipedia
Mikhail Tukhachevsky – Fonte: Wikipedia

A partire dal 1935, sull’URSS si riversò una formidabile ondata di terrore, che toccò il proprio culmine negli anni 1937-1938. Il dato più impressionante riguarda le condanne a morte, che furono (stando ai documenti ufficiali) 681 692 (353.074 nel 1937 e 328.618 nell’anno seguente). Sempre secondo i dati ufficiali, nell’intero arco di tempo 1921-1940 le condanne a morte sarebbero state 749.421: le esecuzioni degli anni terribili, dunque, rappresentano ben l’85% del totale. A questi dati, vanno poi aggiunti i morti per tortura durante le indagini e quelle che la polizia definiva esecuzioni supplementari non ratificate. Sommando anche tutti questi decessi, è verosimile parlare di 800 000 morti violente negli anni 1937-1938.
Il gruppo più numeroso che venne preso di mira fu quello denominato, in modo alquanto vago, degli “ex kulak, criminali e altri elementi antisovietici”. Questa “operazione repressiva di massa”, pare, provocò la morte di 320.000 individui, molti dei quali erano effettivamente ex kulak, cioè contadini deportati nel 1930-1931, che erano riusciti a fuggire dalle zone remote in cui erano stati confinati: i documenti, ad esempio, registrano 207.010 fughe nel 1932 e 215.856 fughe nel 1933. Ovviamente, Stalin temeva questi individui, che avevano vissuto la terribile esperienza della deportazione; la paura principale del dittatore era che, in caso di conflitto con una potenza straniera, essi avrebbero costituito una specie di quinta colonna interna ostile.
Per lo stesso motivo, il grande terrore degli anni 1937-1938 colpì molto duramente anche tutte le minoranze nazionali (tedeschi, polacchi, estoni, lettoni, ucraini…) presenti sul territorio sovietico. Un ordine emanato personalmente da Stalin il 20 luglio 1937, ad esempio, recitava: “TUTTI i tedeschi che lavorano nelle nostre fabbriche militari e chimiche, nelle centrali elettriche e nei cantieri delle grandi opere in TUTTE le regioni debbono essere TUTTI arrestati”. Furono circa 72.000 i cittadini sovietici di origine tedesca arrestati durante il Grande Terrore; un prezzo ancora più alto, però, fu pagato dai polacchi (in Ucraina e in Bielorussia), con 120.000 arresti.
La repressione colpì anche moltissimi cittadini sovietici che si consideravano veri comunisti fedeli a Stalin, ma che ugualmente (in base all’art. 58 Codice penale) vennero condannati ai lavori forzati in lager. Solo nel 1937, furono internati nel GULag 700.000 prigionieri.
Stando alle testimonianze dei detenuti più critici nei confronti del sistema staliniano, solo pochissimi dei comunisti arrestati assunsero atteggiamenti ostili. In genere, approvavano la repressione generalizzata, ritenevano che Stalin e le autorità fossero nel giusto e che solo nel loro caso specifico avessero commesso un clamoroso errore.
Infine, nel 1937, venne colpita anche l’Armata Rossa, con l’arresto del maresciallo Michail Tuchacevvskij (il comandante che aveva guidato le azioni repressive a Kronstadt e a Tambov) e sette generali. Nel complesso, tra il maggio 1937 e il settembre 1938 furono arrestati o espulsi 35.000 ufficiali.
Redazione, Il grande terrore, Regione Emilia Romagna – Assemblea Legislativa

Il grande Terrore è stato il punto d’arrivo, radicale e micidiale, di una serie di operazioni repressive di massa, somiglianti a una vera e propria impresa d’ingegneria sociale, messa in atto dal regime staliniano tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta e conclusosi solo con la morte del dittatore, datata 1953. Sono necessarie due considerazioni preliminari: il grande Terrore, ebbe sì ufficialmente un inizio e una fine ben precisi, dal luglio 1937 al novembre 1938, ma va considerato “solo” come un tassello di un vero e proprio mosaico di morte architettato da Stalin negli anni della sua leadership. Non può essere considerato come un fenomeno a sé stante, limitandolo al biennio 1937-1938.
[…] Esso fu quindi una macchina perfetta che trasformò nel giro di pochi anni quella che doveva essere la dittatura del proletariato prima in una dittatura del Partito sul proletariato e successivamente una dittatura del leader sul Partito, ripulendo lo stesso dagli oppositori, plasmando il proletariato ed eliminando quella parte di esso che veniva considerato per un qualsivoglia motivo sospetto, pericoloso.
[…] Tradimento e controrivoluzione. Queste erano le due parole che tuonarono non solo nella Sala d’Ottobre, ove si svolgeva il processo, ma in tutta la Federazione. Il grande Kamenev, eroe rivoluzionario, aveva tramato, insieme ad altri quindici ex “fedelissimi” , contro lo Stato, voleva ribaltarlo in nome dell’interesse personale e contro il socialismo stesso. Il nemico interno esisteva davvero allora, Stalin aveva ragione. O perlomeno questo si faceva intendere. Tutto era organizzato nel minimo dettaglio, le parole erano precise, “giuste”, dovevano incastrarsi perfettamente nella sceneggiatura che andava poi a realizzare questo splendido film propagandistico. Anche il ruolo degli imputati doveva essere recitato alla perfezione. Le ultime affermazioni di questi dovevano portare l’esempio, o meglio l’immagine, del buon comunista che, disciplinatamente, rientrava nei ranghi dopo lunghi anni di smarrimento politico e ideologico, riconosceva la propria colpevolezza e quasi auspicava la condanna, come se volesse liberare l’anima da tanta infamia commessa.
[…] Abbiamo già sottolineato come le due vie del Terrore viaggiassero parallele, come due purghe distinte ma intrecciate, una “bassa” che colpì la gente comune, e una “alta” che colpì le élites, atta a ripulire il Partito fino a fondo, dai dirigenti di primo piano fino ai piccoli emissari regionali <18. Questa culminò nel marzo 1938 con il terzo processo pubblico di Mosca, mentre l’altra proseguì fino a novembre <19. La condanna dei ventuno, fra cui spiccavano i nomi di Nikolaj Bucharin, Aleksej Rykov e Genrich Jagoda <20, fu l’ultimo atto dell’epurazione ufficiale che sancì la definitiva e irreversibile vittoria della linea staliniana. Non c’era ormai in tutto il paese alcun cervello capace di rilanciare un’alternativa alla formulazione staliniana della teoria marxista-leninista. Il grande insegnamento storico di quest’ultimo processo consisteva infatti nella condanna dell’ultima, forse della più forte e reale, opposizione allo stalinismo, il bucharinismo <21.
[…] Ma perché Stalin decise di colpo di fermare il Grande Terrore? Anzitutto perché, già dall’estate del 1938, si era reso conto che i pieni poteri concessi all’Nkvd avevano introdotto un pericoloso squilibrio nel funzionamento del sistema e potevano porre le condizioni per la creazione di una possibile opposizione. In più la conferenza di Monaco mostrò come la politica di sicurezza collettiva condotta dalla metà degli anni Trenta era miseramente fallita. Il mancato invito dell’URSS in quella che sarà l’ultima conferenza in periodo di pace, il patto di non aggressione tra Francia e Germania e il patto anti-Comintern, stipulato dallo stesso Reich col Giappone, sembravano concretizzare quell’«accerchiamento imperialista» che terrorizzava l’Unione Sovietica sin dai tempi di Lenin. Questa delicata situazione internazionale ebbe, senza dubbio alcuno, un peso determinante sulla decisione di Stalin di porre fine al Terrore e ai disordini da esso provocato, non solo nella popolazione, ma anche all’interno dello stesso Nkvd <25.
[NOTE]
18 La cosiddetta purga delle élites riguardò piccoli dirigenti regionali. Come a Mosca, anch’essa fu pubblica, anche se logicamente ebbe meno risonanza. Ad essa si può affiancare anche la purga degli ufficiali, che colpì gran parte dei piani alti dell’Armata Rossa, in primis Tuchachevskij. Questa, però, essendo stata svolta nella più completa segretezza, non ha fonti totalmente attendibili; per questa ragione si è deciso di non trattarne direttamente.
19 GRAZIOSI, Andrea, op. cit., p. 417.
20 Quest’ultimo predecessore di Ezov alla guida dell’Nkvd.
21 WERTH, Nicolas, Storia della Russia nel Novecento, p. 306.
25 Questo fu l’ultimo settore purgato prima del conflitto. Ezov e altri numerosi dirigenti furono arrestati e condannati a morte.
Filippo Ferrara, «Pulizia, giustizia e potere», Diacronie, N° 14, 2 – 2013

Manifesto sovietico: «Lo spirito del grande Lenin e la sua bandiera vittoriosa ci ispirerà ora nella grande guerra… (Stalin)» – Fonte: Franco Seccia, art. cit. infra

[…] Tornando alle purghe staliniane, oggi è doveroso ricordare l’assassinio del maresciallo Michail Nikolaevic Tuchacevskij e di altri sette alti ufficiali dell’Armata Rossa avvenuto il 12 giugno 1937 a seguito di un processo farsa che finì per decapitare lo stato maggiore dell’esercito sovietico.
Un processo farsa come i tanti verificatisi nel periodo delle grandi purghe sovietiche che costarono la vita a un numero incalcolabile di uomini e donne russe colpevoli di non allinearsi al volere del despota.
Il caso del processo ai generali colpisce particolarmente perché le cosiddette prove furono letteralmente fabbricate dalle SS naziste che avevano interesse ad allontanare dai vertici della gerarchia militare russa un nemico giurato della Germania quale si mostrava il maresciallo Michail Nikolaevic Tuchacevskij per i suoi continui contatti con la diplomazia occidentale alla quale manifestava le sue preoccupazioni per la crescente rinascita militare tedesca. Ma Stalin, che in quel periodo preparava l’alleanza con Hitler, non poteva sopportare l’ingerenza del militare negli affari di politica estera e inoltre mal digeriva l’antica amicizia di Tuchacevskij con Trotsky e, perciò, pur conoscendo la falsità e la provenienza dei documenti contro Tuchacevskij lo fece condannare e ammazzare.
Restano ancora poco noti i verbali di quel finto processo e le modalità dell’esecuzione di quegli otto alti ufficiali dell’Armata Rossa. Si sa per certo quanto scritto da Alexander Solzenicyn nel suo “Arcipelago Gulag”: “Quando Tuchacevskij fu, come si suol dire, represso, non soltanto venne dispersa e messa dentro tutta la sua famiglia (non menziono neppure che sua figlia fu espulsa dall’università) ma arrestarono anche i suoi due fratelli con le mogli, le quattro sorelle con i mariti, tutti i suoi nipoti furono dispersi per gli orfanatrofi ed ebbero il cognome cambiato in Tomasevic, Rostov e così via. Sua moglie fu fucilata in un lager del Kazakhistan, la madre si ridusse a chiedere l’elemosina per le vie di Astrachan, dove morì. Lo stesso si può dire di altri giustiziati di rilevo”.
Nel 1963 dopo la denuncia dei crimini di Stalin da parte di Nikita Krusciov la memoria del maresciallo Michail Nikolaevic Tuchacevskij è stata riabilitata ma nulla si è fatto è nulla si è potuto fare per ripagare la tragica fine della sua intera famiglia.
Franco Seccia, 12 giugno 1937, le purghe staliniane e l’assassinio del Maresciallo Tuchacevskij, com.unica, 12 giugno 2021

Fonte: Storia Universale cit. infra

«Molti osservatori onesti furono profondamente turbati dagli avvenimenti in Unione Sovietica. Il carattere e la tecnica della quinta colonna erano ancora sconosciuti. Il 4 luglio 1937, Joseph E. Davies, ambasciatore statunitense a Mosca, ebbe un colloquio col Ministro degli Esteri sovietico Maksim Litvinov. Disse francamente a Litvinov che l’esecuzione dei generali e i processi dei trockijsti avevano suscitato un’impressione sfavorevole negli Stati Uniti e in Europa. L’ambasciatore americano comunicò al Ministero degli Esteri sovietico: “Ritengo che l’opinione di Francia e Gran Bretagna in merito alla forza dell’Unione Sovietica di fronte a Hitler ne sia rimasta scossa”.
Litvinov fu egualmente franco. Disse all’ambasciatore Davies che il governo sovietico doveva “assicurarsi”, mediante quei processi e quelle esecuzioni, che non ci fossero traditori in grado di cooperare con Berlino e Tokyo all’inevitabile scoppio della guerra.
“Un giorno”, disse Litvinov, “il mondo capirà quello che abbiamo fatto per proteggere il nostro governo dalla minaccia del tradimento. […] Noi abbiamo reso un servizio a tutto il mondo, proteggendo noi stessi contro la minaccia di un dominio hitleriano e nazista sul mondo intero, e facendo in tal modo dell’Unione Sovietica un forte baluardo contro la minaccia nazista”.» <170
Marcello Grassi <170 spiega che «la purga investì l’esercito, ma non nella misura indicata dai vari Conquest, Medvedev ecc. […] Anche in questo caso furono gli alti gradi ad essere più colpiti». Due parole in più sulle purghe militari sono doverose, dato che le forze armate sovietiche persero 3 marescialli su 5, 8 ammiragli su 8, i 9 decimi dei comandanti di corpo d’armata e migliaia di ufficiali. Dato però che la storiografia borghese ha parlato del 50% degli ufficiali totali arrestati, occorre dare alcuni dati ulteriori, utili a chiarire meglio le modalità di questa “purga”: il numero di persone a capo dell’Armata Rossa (gli ufficiali e i commissari politici), sono stati 144.300 nell’anno 1937, raggiungendo la cifra di 282.300 nell’anno 1939. Durante le Grandi Purghe del biennio 1937-1938 sono 34.300 (numero totale) gli Ufficiali e Commissari Politici espulsi per motivi politici, ma già nel mese di maggio del 1940, in prossimità dell’imminente conflitto, 11.596 sono stati riabilitati e restituiti ai loro posti. Tra coloro che sono rimasti epurati dall’esercito la ripartizione è la seguente: 13.000 ufficiali, 4.700 ufficiali dell’Armata Rossa e 5000 commissari politici. Tenendo anche conto dei commissari politici, la quota di ufficiali effettivamente epurati raggiungerebbe circa il 15% facendo riferimento ai dati del 1937, senza cioè contare la crescita dei nuovi ufficiali. Tra i circa 23 mila “epurati” alcuni sono stati condannati come traditori, ma la stragrande maggioranza (il 65% circa) sono stati congedati e quindi sono tornati alla vita civile. Alcuni di questi sapranno riscattarsi svolgendo anche un ruolo di primo piano nella epica battaglia di Stalingrado. Occorre anche tenere conto che il numero di quadri epurati decresce in maniera verticale man mano che si discendono i gradi gerarchici (ridotti a 50), ossia man mano che si procede dal grado di Generale (ridotti a 30) a quello di Capitano (elevati a 200), per annullarsi al livello dei Tenenti (elevati a 350). Inoltre i buchi vengono colmati da una nuova leva di 3000 ufficiali, formatisi a partire dal 5 maggio 1922 e provenienti dalle fila operaie e contadine. L’origine e l’appartenenza di classe erano infatti requisiti indispensabili per accedere all’Accademia Militare e ricoprire i gradi nell’Armata Rossa nell’epoca socialista di Stalin. Non deve stupire quindi l’alto numero di ufficiali superiori condannati, molti dei quali ancora di “provenienza zarista”, quindi più inaffidabili politicamente. <172 Stalin e il gruppo dirigente, lungi dall’essere impazziti o assetati di sangue, avevano le loro precise ragioni per agire in tal modo. La “purga” iniziò con l’arresto dei massimi vertici militari. Andrew e Gordievskij <173 riportano che «il maresciallo Vorosilov riferì che gli imputati avevano “ammesso il proprio tradimento, il sabotaggio e lo spionaggio”. In seguito fu rivelato che erano stati in combutta tanto con Trockij, quanto con la Germania nazista. Per quanto esagerate fossero queste dichiarazioni, Stalin ed Ezov […] sembrano aver temuto sul serio un colpo di Stato militare».
[…] Facciamo un passo indietro e vagliamo altre fonti: V. Ličacev era, negli anni 1937-38, ufficiale dell’Armata Rossa in Estremo Oriente. Nel suo libro La conspiration en Extreme-Orient, affermò che c’era stato un grande complotto all’interno dell’esercito. Il giornalista Alexander Werth scrive, nel libro Moscou 41, un capitolo intitolato Le Procès de Toukhatčevskij. Vi si legge: «Sono anche convinto che la purga nell’Armata Rossa avesse molto a che vedere con la paura di Stalin di una guerra imminente con la Germania. Chi era Tuchačevskij? Delle persone del “Deuxième Bureau” francese mi dicevano che da lungo tempo Tuchačevskij era filo-tedesco. E i Cechi mi raccontarono la storia straordinaria della visita di Tuchačevskij a Praga, quando, alla fine di un banchetto – in cui si era ben bene ubriacato – si lasciò scappare che un accordo con Hilter sarebbe stata la sola speranza per la Cecoslovacchia e per la Russia. E cominciò a insultare Stalin. I Cechi non mancarono di fare rapporto al Cremlino, e fu la fine di Tuchačevskij e di molti suoi oppositori».
L’ambasciatore americano a Mosca, Joseph Davies, scrisse le sue impressioni il 30 giugno e il 4 luglio 1937: «Ho detto a Litvinov che le reazioni suscitate negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale da queste purghe e dalle esecuzioni dei generali erano decisamente cattive. […] Litvinov fu molto franco. Disse che il governo aveva dovuto premunirsi per mezzo di queste purghe, che non ci sarebbe stato tradimento possibile in Russia a favore di Berlino e di Tokyo e aggiunse che il mondo avrebbe capito, un giorno, che il governo sovietico aveva agito in quel modo per proteggersi contro una minaccia di tradimento. In effetti, disse, la Russia rende un favore al mondo intero proteggendosi contro quella minaccia che è il sogno di Hitler e dei nazisti di dominare l’universo e conservando così la forza dell’Unione Sovietica come baluardo contro la minaccia nazista. Un giorno, disse, il mondo vedrà che grande uomo è Stalin».
Più avanti Davies scrisse: «Le persone più serie sembrano credere che molto probabilmente fosse in corso un complotto in previsione di un colpo di Stato da parte dell’esercito, un complotto diretto meno contro la persona di Stalin che contro il sistema amministrativo del Partito e che Stalin abbia colpito con la sua prontezza, la sua audacia e la sua forza consueta».
Churchill scriveva nelle sue Memoria che Hitler aveva promesso a Benès, il presidente della Cecoslovacchia, di rispettare l’integrità del suo paese, a patto che esso si impegnasse a restare neutrale in caso di guerra franco-tedesca:
«Nell’autunno del 1936, il presidente Benès ricevette un messaggio di un’alta personalità tedesca che lo informava che, se voleva trarre profitto dalle proposte di Hitler, bisognava che si sbrigasse, perché ben presto sarebbero successi degli avvenimenti in Russia che avrebbero permesso alla Germania di fare a meno dell’aiuto dei Cechi. Mentre Benès meditava sul senso di questa allusione inquietante, venne a sapere che il governo tedesco era in contatto con delle importanti personalità russe attraverso il canale dell’ambasciata sovietica a Praga. Ciò faceva parte di quella che è stata chiamata la cospirazione militare e il complotto della vecchia guardia comunista, che mirava a rovesciare Stalin e a introdurre in Russia un nuovo regime la cui politica sarebbe stata filo-tedesca. Poco dopo fu messa in atto nella Russia sovietica una purga spietata, ma senza dubbio utile, che epurò gli ambienti politici ed economici. […] L’esercito russo fu epurato dei suoi elementi filo-tedeschi e la sua capacità militare ne risentì duramente. Il governo sovietico era ormai fortemente prevenuto contro la Germania. Beninteso, Hitler lesse molto chiaramente negli avvenimenti ma, che io sappia, ai governi britannico e francese non fu chiaro quel che succedeva. A Chamberlain, agli stati maggiori britannici e francesi, l’epurazione del 1937 apparve soprattutto come l’episodio di una rivalità che lacerava interiormente l’esercito russo, e dava l’immagine di un’Unione Sovietica divisa in due da odi e vendette inspiegabili».
Il trockijsta Deutscher, storico di tendenza antistalinista, a proposito dell’esecuzione di Tuchačevskij scrisse: «Tutte le versioni non staliniane concordano su un punto: alcuni generali progettarono veramente un colpo di Stato. Lo fecero per ragioni personali e su loro propria iniziativa, senza essersi messi d’accordo con alcuna potenza straniera. L’episodio principale di questo colpo di Stato sarebbe dovuto essere una rivolta di palazzo al Cremlino, che sarebbe culminata con l’assassinio di Stalin. Un’operazione militare decisiva era anche stata progettata al di fuori del Cremlino, la presa d’assalto del quartier generale della GPU, Tuchačevskij era l’anima della cospirazione. […] Era d’altronde il solo fra tutti i capi militari e civili dell’epoca che, sotto molti aspetti, assomigliava al Bonaparte originale e che avrebbe potuto avere il ruolo di Primo Console Russo. Il commissario politico in capo dell’esercito, Gamarnik, che più tardi si suicidò, faceva parte del complotto. Il generale Jakir, comandante di Leningrado, doveva assicurare la cooperazione della sua guarnigione. I generali Uborevič, comandante dell’Accademia militare di Mosca, Primakov, collaboratore di Budennyj alla testa della cavalleria, e qualche altro, erano anch’essi implicati nel complotto».
[…] Il problema per i cospirazionisti è che durante l’epurazione del gruppo Bucharin (la “deviazione di destra”) e di quello del maresciallo Tuchačevskij, la maggior parte del gruppo di Tokaev fu arrestata e fucilata: «I circoli vicini al “compagno X” furono distrutti quasi completamente. La maggior parte degli arresti erano in relazione alla “deviazione di destra”.» Lo spiega Tokaev stesso. Infine, anche di fronte allo scetticismo sulle fonti dirette e indirette (ma con un simile scetticismo diventa impossibile la stessa disciplina scientifica della storia) c’è la realtà dei fatti: «Ma non è aberrante supporre che dei generali dell’Armata abbiano potuto prendere in considerazione una collaborazione con Hitler? Se questi militari non erano dei buoni comunisti, non erano, almeno, dei nazionalisti? A questa domanda rispondiamo prima di tutto con una contro-domanda. Perché questa ipotesi sarebbe più aberrante in Unione Sovietica piuttosto che in Francia, per esempio? Il maresciallo Pétain, il vincitore di Verdun, non era forse il simbolo del patriottismo sciovinista francese? Il generale Weygand e l’ammiraglio Darlan non erano forse dei difensori accaniti del colonialismo francese? Eppure divennero i personaggi chiave del collaborazionismo francese. L’abbattimento del capitalismo in Unione Sovietica e la repressione della borghesia non costituivano forse, per tutte le forze nostalgiche della libera impresa, dei motivi supplementari per collaborare con il “capitalismo dinamico” tedesco? E la Seconda Guerra mondiale, non ha forse mostrato che questa tendenza […] esisteva anche in alcuni ufficiali sovietici? Alla fine del 1941, il generale Vlasov ebbe un ruolo importante durante la difesa di Mosca. Arrestato nel 1942 dai Tedeschi, passò dalla loro parte. Solamente il 16 settembre 1944, dopo un incontro con Himmler, ricevette un’autorizzazione speciale a creare il suo esercito di liberazione russo, di cui aveva formato la prima divisione nel 1943. Altri ufficiali prigionieri si misero al servizio dei nazisti, ed ecco alcuni nomi. Il maggiore generale Truhin, capo della sezione operativa dello stato maggiore della regione baltica, professore dell’Accademia dello stato maggiore generale. Il maggiore generale Malyškin, capo di stato maggiore della 19° armata. Il maggiore generale Zakutnij, professore dell’Accademia dello stato maggiore generale. I maggiori generali Blagovečenskij, comandante di brigata, Sapolavov, comandante di un corpo di fucilieri, e Meandrov. Il commissario di brigata Zilenkov, membro del Consiglio militare della 32° armata. I colonnelli Malcev, Zverev, Nerjanin e Bunjačenko, quest’ultimo comandante della 389° divisioni blindata. Qual era il profilo politico di questi uomini? L’ex agente segreto britannico e storico dei servizi di informazione Cookridge scrive: “L’ambiente di Vlasov era un curioso miscuglio. Il più intelligente dei suoi ufficiali era il colonnello Miletij Zykov, un Ebreo. […] Aveva fatto parte del movimento dei ‘deviazionisti di destra’ di Bucharin e, nel 1936, era stato mandato in Siberia da Stalin, per scontarvi quattro anni. Il generale Malyškin, ex capo di stato maggiore d’Oriente, era anche lui un sopravvissuto ai processi di Stalin. Era stato imprigionato al momento del caso Tuchačevskij. Il generale Zilenkov era un ex commissario politico dell’esercito. Come molti altri ufficiali reclutati da Gehlen, erano stati ‘riabilitati’ all’inizio della guerra, nel 1941”.
Così veniamo a sapere che diversi ufficiali superiori, condannati e mandati in Siberia nel 1937, poi riabilitati all’inizio della guerra, passarono dalla parte di Hitler! A quanto pare, le sanzioni prese durante la Grande Purga avevano spesso una motivazione reale».
Tra le motivazioni addotte da Vlasov per spiegare il proprio tradimento ci fu anche quella di voler far integrare una Nuova Russia nell’Europa tedesca: «costruire una Russia nuova, senza bolscevichi e senza capitalisti. […] Gli interessi del popolo russo si sono sempre armonizzati con quelli del popolo tedesco, con gli interessi di tutti i popoli d’Europa. Il bolscevismo ha isolato il popolo russo dall’Europa con un muro impenetrabile».
Un discorso “anticapitalista” che faceva la gioia di Hitler… <174
[NOTE]
170. M. Sayers & A. E. Kahn, La grande congiura, cap. 20, paragrafo 3 – Azione a maggio.
171. M. Grassi, Alcune verità sulla storia sovietica, cit.
172. Dati riportati, sulla base della consultazione delle fonti più recenti (che però non vengono dal trascrittore riportate), in G. Apostolou (trascrizione a cura di), Nel suo rapporto segreto, Chruščev disse:, Scintilla Rossa, 24 gennaio 2016.
173. C. Andrew & O. Gordievskij, La storia segreta del KGB, cit., p. 156.
174. Fonte usata, da cui sono stati tratti i passaggi: L. Martens, Stalin, pp. 207-208, 218-225.
Redazione, 6.10. Le purghe militari, Storia Universale

Propaganda nazista tendente ad associare ebraismo e bolscevismo – Fonte: Storia Universale cit.
Il generale Terentij Shtykov esamina le munizioni degli uomini dell’Armata Rossa durante la guerra sovietico-finlandese del 1939-1940: 1° dicembre 1939 – Fonte David Trachtenberg/Sputnik, qui ripresa da Russia Beyond
Georgij Zhukov in Mongolia – Fonte: Viktor Temin/Sputnik, qui ripresa da Russia Beyond

Nell’ambito del piano «preventivo e categorico» delle purghe degli anni Trenta <111, nel 1937 la mannaia si era abbattuta sui quadri dell’Armata Rossa che ne erano risultati decimati. Stalin nutriva verso gli ufficiali, soprattutto se di formazione zarista, un forte sospetto, e non tollerava, come è tipico dei dittatori, idee indipendenti; apprezzava piuttosto la sudditanza intellettuale.
Sul tema della «pulizia» tra gli alti comandi vi è stato un ampio dibattito che ha visto alcuni storici condannare la decisione di Stalin, che avrebbe indebolito i quadri militari: gli ufficiali epurati sarebbero stati sostituiti da altri impreparati ad affrontare un attacco così imponente, provocando le iniziali disfatte dell’Unione Sovietica, la ritirata e le conquiste tedesche <112. Secondo un’altra teoria invece le purghe servirono a Stalin a gettare le basi della potenza del regime sovietico e a preparare il paese alla guerra: senza di esse nei primi giorni o nelle prime settimane dell’attacco tedesco ci sarebbe stato certamente un golpe militare o una rivolta popolare contro il dittatore <113. Ecco perché le purghe avrebbero avuto un carattere preventivo, profilattico. Secondo le stime, nei quattro anni successivi al 1937, fino all’invasione tedesca, sparirono migliaia di ufficiali sovietici: tra 75.000 e 80.000, e almeno 30.000 furono imprigionati o giustiziati.
Tra gli arrestati il generale Kostantin Rokossovskij, uno degli artefici della vittoria, che fu liberato dopo quindici mesi di prigionia. Senza dubbio Rokossovskij odiava Stalin, ma non lo confidò mai a nessuno. Era un uomo particolarmente bello, secondo alcuni con un fisico da dio greco, che in prigionia per le torture aveva perso nove denti; gli avevano rotto tre costole e durante un interrogatorio con un martello gli avevano schiacciato le dita dei piedi. Tuttavia, si rifiutò ostinatamente di dichiararsi spia polacca. Fu scarcerato nel marzo 1940 e divenne uno dei protagonisti della vittoria sovietica. Servì prima come generale d’armata, alla guida della 9a brigata meccanizzata, poi come maresciallo, sul fronte centrale e sul fronte di Stalingrado.
Rokossovskij era consapevole del fatto che le purghe avevano eroso la riserva di professionalità degli ufficiali e sapeva che in caso di attacco gli effetti sarebbero stati catastrofici.
Per avere un’idea generale delle purghe, si pensi che nel 1937 la polizia politica arrestò 936.750 persone, condannandone 790.665, di cui 353.074 a morte (più di un terzo degli arrestati).
Nel 1938 vi furono invece 638.509 arresti e 554.258 condanne, di cui 328.618 a morte. In due anni furono quindi colpite circa 1,6 milioni di persone di cui, secondo i dati sovietici del 1953, circa 680.000 furono giustiziate, quasi tutte dopo il luglio 1937.
Le cifre non tengono conto di quanti perirono sotto tortura o furono eliminati illegalmente.
Si può perciò ragionevolmente pensare che i soli morti – senza considerare chi languiva nei lager – furono almeno 750.000114. Come ha riportato Graziosi, Bucharin aveva perfettamente colto il piano staliniano di eliminare preventivamente le categorie sociali e politiche pericolose, nonché ogni possibile quinta colonna in vista della guerra.
Per compiacere Stalin, nel 1937, egli dalla prigione aveva così commentato in una lettera: “C’è qualcosa di grandioso e audace nell’idea politica di una purga generale. Essa è connessa a) alla vigilia della guerra e b) alla transizione alla democrazia. La purga riguarda 1) i colpevoli; 2) i sospetti; 3) le persone potenzialmente sospette”. <115.
Tuttavia agli inizi del 1941 Žukov e gli altri ufficiali potevano sentirsi relativamente tranquilli, visto che Stalin aveva fatto arrestare e fucilare Nikolaj Ežov, capo della polizia e capro espiatorio delle purghe <116, salvo sostituirlo però con Lavrentij Berija, georgiano come lui, uomo di particolare crudeltà e di scarsissimi principi.
Già pochi giorni dopo l’attacco, Žukov non si sentiva al sicuro, temeva di finire vittima di una nuova ondata di purghe. Del resto gli era noto che poco prima dell’inizio della guerra erano stati arrestati almeno 200 fra generali e ufficiali superiori, finiti nelle carceri della Lubjanka <117. Stalin avrebbe dovuto far costruire una seconda linea di difesa tra Mosca e il fronte occidentale, invece si preoccupò di trovare capri espiatori e ricorse alle solite purghe. Una delle vittime fu Kirill Mereckov: ex capo di Stato Maggiore, arrestato il 23 giugno 1941 e torturato <118.
Al dramma delle purghe si aggiungevano i numerosi cambi al vertice sopraggiunti dopo la guerra d’inverno contro la Finlandia, e l’impreparazione iniziale dell’Armata Rossa, sia sul piano strategico sia su quello logistico. Per quanto riguarda il primo aspetto, il più immediato cambiamento era stato la nomina di Timošenko a commissario del popolo alla Difesa – in virtù dei risultati ottenuti nella guerra d’inverno – al posto di Kliment Vorošilov, che ritroveremo al comando delle truppe sul fronte di Leningrado. Boris M. Šapošnikov <119, inascoltato quando aveva avvertito sulla preparazione dei finlandesi, era stato sostituito da Mereckov a capo dello Stavka, l’alto comando sovietico. Žukov, che aveva sostituito Timošenko al comando dell’importante distretto militare di Kiev, in seguito, nel giugno 1941, fu promosso capo dello Stavka al posto di Mereckov che, come si è visto, era stato epurato.
Questi avvicendamenti al vertice avrebbero avuto dei benefici sul lungo periodo ma, nell’immediato, provocarono disorientamento del personale e molta inefficienza. Del resto la più alta struttura militare, lo Stavka, aveva cambiato tre diversi capi in soli otto mesi.
Nel giugno del 1941 il 75% di tutti gli ufficiali si trovavano nelle loro posizioni da meno di un anno. Riguardo al secondo aspetto, i dati sul potenziale militare sovietico erano eloquenti: nel 1937, su una popolazione di 167 milioni di abitanti contro i 68 milioni della Germania, l’Urss aveva un reddito nazionale che superava di poco quello tedesco: 19 miliardi di dollari contro i 17 della Germania; di questo reddito l’Urss destinava alle spese per la difesa il 26,4%, la Germania il 23,5%. Malgrado ciò, il potenziale bellico dell’Urss era del 14%, di poco inferiore a quello della Germania, che era del 14,4%.
Dal gennaio 1939 al 22 giugno 1941 l’Armata Rossa ricevette dall’industria bellica oltre 7.000 carri armati; solo nel ’41 l’industria poteva già fornirne circa 5.500 di vario tipo e all’inizio della guerra la produzione bellica fu in grado di sfornare 1.861 carri KV-1 e T-34; ma, come osservava lo stesso Žukov, «era comunque poco» <120. Questo nella fase iniziale. Se nel 1940 la produzione di carri armati equivaleva quasi a quella tedesca (2.200 carri armati per la Germania e 2.700 per l’Urss), nel 1942 i sovietici arrivarono a produrre quasi il triplo dei carri armati fabbricati nel Reich: 24.400 contro 9.300. Nel 1944 la produzione sarebbe ritornata quasi alla pari, con 27.300 carri tedeschi contro i 28.900 sovietici <121. I T-34 sovietici erano più pesanti, più veloci e meglio armati dei panzer tedeschi, mentre i KV-1 da 47,5 t erano invulnerabili a quasi tutte le armi controcarro tedesche, eccetto il cannone da 88 mm. Pochi però disponevano di radio – problema comune a tutte le unità, come vedremo – e ciò rendeva difficile il comando, il controllo e la coordinazione dei mezzi in combattimento.
Come si è visto, nell’immediato l’aviazione sovietica non costituiva una minaccia per i tedeschi: sebbene i suoi 9.576 aerei da combattimento, secondo le stime, la rendessero la forza aerea più grande del mondo, in realtà molti velivoli erano obsoleti e con problemi di manutenzione. Riguardo alle cifre, nel 1941 l’Urss disponeva di 15.735 aerei, la Germania di 11.776; il picco di produzione di velivoli da guerra di entrambe si ebbe nel ’44 quando l’Urss arrivò a contare 40.300 aerei e la Germania 39.807.
Per quanto riguarda gli armamenti, dal 1° gennaio 1939 al 22 giugno 1941 l’Armata Rossa ricevette dall’industria bellica 29.637 pezzi di artiglieria e 52.407 mortai; a questi si aggiunsero i cannoni anticarro, per un totale di 92.578 pezzi. Secondo il giudizio di Žukov l’artiglieria era insufficiente; inoltre, solo dalla primavera del 1941 si avviò la formazione delle brigate di artiglieria anticarro che a giugno non erano ancora completate <122.
In un incontro nella dacja di Stalin, Žukov consigliò di prendere misure immediate e tempestive per risolvere «le carenze difensive esistenti ai confini occidentali e nell’organizzazione delle forze armate. Molotov allora gli chiese se ciò significava dichiarare guerra ai tedeschi; ma Stalin lo interruppe e invitò tutti a pranzo» <123.
Nel marzo 1941 lo Stato Maggiore generale aveva elaborato il piano di produzione industriale militare «in caso di guerra», che fu inviato al Comitato centrale del partito insieme a una relazione interamente dedicata alle carenze dell’artiglieria. Dopo aver consultato il piano insieme ai responsabili del ministero della Difesa, Stalin dichiarò che «effettivamente si doveva e si poteva fare qualcosa». N.A. Voznesenskij e altri invece affermarono che le richieste erano esorbitanti e comunicarono a Stalin che per il 1941 si poteva soddisfare una quantità di ordinativi solo per il 20% <124. Dunque, l’Urss non era in grado di affrontare un attacco di grosse dimensioni.
Dopo aver esaminato una serie di relazioni in merito, Stalin stabilì che la produzione militare sarebbe aumentata in modo significativo nella seconda metà del 1941-inizi ’42.
[NOTE]
111 Secondo Terry Martin e Oleg Chlevnjuk, che hanno svolto studi sul tema del terrore staliniano basati sulla nuova documentazione d’archivio, dobbiamo parlare di sterminio, e lo sterminio attuato nei campi di concentramento dell’Urss era di tipo categorico e profilattico. Viste con gli occhi di Stalin, le violenze e le repressioni sociali non furono arbitrarie e casuali, ma piuttosto razionale liquidazione preventiva di gruppi ben individuati, ritenuti pericolosi in vista dell’inevitabile conflitto mondiale. O. Chlevnjuk, I nuovi dati, in «Storica», 18, 2002, pp. 13-21, p. 18; il testo di Chlevnjuk insieme a quello di T. Martin, Un’interpretazione contestuale alla luce delle nuove ricerche, ibidem, pp. 23-35, con un’introduzione di Andrea Graziosi, ridiscutono il tema del Grande Terrore stalinista alla luce dei nuovi documenti emersi e che sono ivi pubblicati, pp. 39-61.
112 Per questa tesi si veda Glantz e House, La grande guerra patriottica dell’Armata Rossa: 1941-1945, cit., p. 31.
113 Per quest’altra interpretazione si veda Pleshakov, Il silenzio di Stalin, cit., p. 24.
114 Graziosi, L’Urss di Lenin e Stalin, cit., p. 419. In totale negli anni Trenta la repressione colpì quasi un quarto della popolazione adulta sovietica: ibidem, p. 426.
115 Ibidem, p. 425.
116 Stalin imputò tutte le colpe delle purghe a Ežov orchestrando anche una campagna che serviva a sviare i sospetti dai veri responsabili: cfr. Chlevnjuk, Stalin, cit., pp. 196-197.
117 A.D. Mirkina, Ne skloniv golovy [Senza piegare la testa], in A.D. Mirkina e V.S. Jarovikov (a cura di), Maršall Žukov: polkovodec i čelovek [Il maresciallo Žukov: comandante e uomo], Moskva, APN, 1988, pp. 54-55, e N.G. Pavlenko, Razmyšlenija o sud’be polkovodca [Riflessioni sul destino di un comandante], ibidem, p. 99.
118 Stalin gli aveva dato il compito di controllare i distretti militari di frontiera; soddisfatto del suo rapporto, gli aveva affidato la supervisione di due Fronti e di due Flotte a nord. Cfr. K.A. Mereckov, Na Službe narodu [Al servizio del popolo], Moskva, Politizdat, 1970, pp. 202-205, 209-214.
119 Šapošnikov era uno dei pochi generali dell’Armata Rossa che aveva ricevuto un vero addestramento militare e non era iscritto al partito, motivo questo per cui Stalin si fidava di lui. Nel 1937 era stato nominato capo di Stato Maggiore al posto di Michail Tuchačevskij, vittima delle purghe.
120 Žukov, Vospominanija, cit., p. 212.
121 MacKenzie, La seconda guerra mondiale in Europa, cit., pp. 20, 55.
122 Žukov, Vospominanija, cit., p. 213.
123 Ibidem, p. 224. Žukov parla di un sabato, ma non riporta la data dell’incontro che, presumibilmente, si svolse all’inizio della primavera.
Maria Teresa Giusti, La campagna di Russia. 1941-1943, Società editrice il Mulino, Bologna, 2016