Tale Mario Grecchi in data odierna è stato condannato alla pena di morte dal Tribunale di guerra Tedesco

Mario Grecchi
Fonte: ANPC Nazionale

Mario Grecchi a 20 anni entra nella formazione di bande partigiani nella provincia di Perugia.
E’ da poco uscito dall’Accademia militare di Modena e partecipa alla costituzione di una brigata che sarà chiamata “ Brigata Leoni”.
La brigata opererà nella zona di Deruta, Bettona, Collemancio, Castel Leone, Casilina. Nella stessa zona operava la brigata comunista Francesco Innamorati con un raggio d’azione un po’ più ampio, arrivando nel folignate. Fra le due brigate i rapporti erano ottimi e spesso si scambiano viveri e vestiario , a volte armi ed uomini.
In una delle prime azioni, nel febbraio del 1944, le due brigate disarmarono le caserme dei carabinieri e della Guardia Repubblichina di Deruta e distribuiranno viveri e vestiario alla popolazione del luogo.
Il comando della Leoni era sistemato in una altura fra Castelleone e Bettona, (Torre Burchio). Operava a piccoli gruppi di tre o quattro elementi sabotando le vie di comunicazione, disarmando i fascisti e tedeschi.
Purtroppo nella zona c’erano anche spie che dettero informazioni ai tedeschi per un rastrellamento in tutto il territorio.
Così la famigerata Divisione di paracadutisti “ Goering”, appoggiata da elementi della Guardia Repubblicana inviati dal prefetto Rocchi tra il 6 e l’8 marzo 1944 operarono una vasto rastrellamento in tutta la zona e dopo un bombardamento con mortai e l’uso di carri armati riuscirono a circondare un gruppo di partigiani della Brigata Leoni e due della Brigata Innamorati, comandati dal giovane cadetto Mario Grecchi. Constatato il pericolo, Grecchi, ferito da una granata, ordinava ai suoi uomini di fuggire e salvarsi mentre lui cercherà di trattenere i nazisti e repubblichini, tanto che con una rivoltellata ucciderà il capitano del gruppo nazista che lo aveva circondato.
Grecchi verrà portato all’ospedale di Perugia per una sommaria medicazione, tanto da permettergli di restare in vita per essere fucilato il giorno dopo nel poligono di Tito di Porta San Pietro assieme ad altri otto partigiani catturati nella stessa occasione. […]
Bartolo Ciccardini, 17 Marzo 1944. In ricordo di Mario Grecchi…, ANPC Nazionale, 17 marzo 2014

Cippo commemorativo alla Brigata “Leoni”, sul monte dei Cinque Cerri, nei pressi di Castelleone di Deruta
Fonte: Wikipedia

[…] La Brigata Garibaldi “Francesco Innamorati” fu una formazione partigiana operante nei dintorni di Perugia tra il novembre del 1943 e il marzo del 1944, inquadrata nelle Brigate Garibaldi.
La volontà di organizzare un movimento partigiano per la lotta armata contro i nazifascisti, sull’esempio delle bande nate nel resto Dell’Umbria lungo tutta la dorsale appenninica, è nella zona di Perugia per lungo tempo frustrata dalla situazione politica locale; caratterizzata da una scarsa unità di vedute delle forze antifasciste locali, dove a prevalere era una linea attendista; e una presenza del potere fascista ben radicato e organizzato, essendo la città capoluogo di regione e sede del prefetto Armando Rocchi.
Un gruppo di giovani cresciuti alla scuola di Aldo Capitini tra i quali Riccardo Tenerini, avvicinatosi poi alle posizioni del PCI, decise di salire in montagna nell’autunno del 1944, installandosi sul Monte Malbe.
I primi mesi della formazione furono difficili, causa la scarsità di uomini, equipaggiamenti ed esperienza militare di guerriglia, nonché contrasti con la stessa dirigenza clandestina del PCI perugino. A inizio di gennaio del 1944, i partigiani si spostano nelle campagne e sui colli della piana del Tevere, tra Deruta e Torgiano. La formazione assume il nome di Brigata Francesco Innamorati, in onore del dirigente comunista folignate, Francesco Innamorati, caduto il 4 gennaio del 1944 durante un’azione tedesca contro la IV Brigata Garibaldi.
In pochi mesi arrivò a contare circa 150 uomini, e moltiplicò le azioni di distribuzione degli ammassi alla popolazione civile e le azioni di sabotaggio. Si trovò a operare a contatto con una piccola formazione di Giustizia e Libertà, la Brigata Leoni, operante anch’essa nei dintorni di Deruta. A seguito di un’azione della Brigata Leoni, il 6 marzo 1944 la zona fu rastrellata dalle truppe tedesche. La Brigata Innamorati e la Brigata Leoni riesciurino a sganciarsi evitando grosse perdite, ma furono costrette allo sbandamento. Tra i partigiani catturati vi furono lo studente azionista Mario Grecchi, gravemente ferito, curato e fucilato alcuni giorni dopo, decorato poi con la medaglia d’oro al valor militare e Pasquale Tiradossi (torgianese) fucilato a Perugia il 06.04.1944. […]
Attilio Gambacorta, La Brigata Partigiana Leoni – Innamorati, Associazione Culturale Umbrialeft, 29 aprile 2020

Lapide commemorativa di Mario Grecchi a Perugia
Fonte: Wikipedia
L’ultima lettera di Mario Grecchi alla famiglia
Fonte: Isuc cit. infra

Nasce [Mario Grecchi] a Milano il 30 settembre 1926. Allievo del Collegio militare di Milano. Trascorre la giovinezza fra Milano e Perugia insieme ai genitori, due fratelli e una sorella. Portati a termine gli studi ginnasiali (durante i quali divide la classe con alcuni futuri compagni nella Resistenza, come Augusto Del Buontromboni), decide di seguire le orme paterne, richiedendo l’ammissione al Collegio militare di Milano. Questa esperienza lo appassiona ed emoziona, come non manca di manifestare ai genitori nella corrispondenza. Emerge in lui anche l’avversione per il fascismo e dopo l’otto settembre, nonostante le pressioni ricevute dai superiori affinché rimanga a Milano come istruttore, decide di tornare a Perugia. Si dedica immediatamente, non ancora entrato in clandestinità, a tessere contatti e riunire gruppi in città. Il 19 febbraio 1944, a bordo dell’automobile sottratta al gerarca perugino Cavallotti Felicioni, raggiunge insieme a quattro compagni Torre Burchio (Bettona, Pg), dove ha sede il comando della banda «Leoni» fondata da Alberto Del Buontromboni, padre di Augusto. Nella formazione si registra una tendenza politica vicina al Pda e anche Mario manifesta un’affinità con essa. Nonostante la giovanissima età, dimostra subito notevoli capacità militari e spiccate doti di comando, ricevendo l’incarico di guidare diverse azioni. All’alba del 6 marzo 1944 inizia sulle colline fra Deruta, Bettona, Cannara e Bevagna il rastrellamento con cui i tedeschi intendono colpire la «Leoni» e la banda «Francesco Innamorati», lì stanziate e operanti in piena collaborazione. L’accerchiamento è immediato e pressoché totale, così alcuni gruppi ricevono l’ordine di cercare lo sganciamento combattendo. Fra i più impegnati proprio quello a lui affidato. Egli, dopo avere visto alcuni compagni morire, cade gravemente ferito nel primo pomeriggio. Prima di essere catturato, riesce a sparare e uccidere il militare tedesco che si sta avvicinando a lui. L’8 marzo, al Poligono di tiro di Perugia, vengono eseguite le prime delle nove fucilazioni di prigionieri catturati due giorni prima nel rastrellamento. Grecchi è tenuto in vita dai tedeschi, ricoverato all’Ospedale civile e curato affinché possa almeno stare in piedi e dare informazioni, per essere poi fucilato da solo. Nella tarda mattinata del 17 marzo 1944, dopo un’ultima trasfusione di sangue, viene condotto al Poligono e ucciso. Dopo la liberazione di Perugia, viene costituita in città, con l’assenso degli Alleati, una brigata «Mario Grecchi» composta da giovani antifascisti ed ex partigiani, con l’incarico di collaborare per alcuni giorni alla gestione dell’ordine pubblico nel capoluogo e nelle vicinanze. Riconosciuto partigiano combattente della banda «Leoni» dal 28 gennaio al 17 marzo 1944, con la qualifica di commissario di guerra e il grado di tenente. Nel 1944 viene decorato con Medaglia d’oro al Valore militare: «Allievo della Scuola militare di Milano, partigiano, comandante di una banda della brigata “Leoni” (alla memoria). Giovanissimo e ardito vice comandante di una banda di partigiani operante nella zona dei monti di Bettona, Deruta, Collemancio [(Cannara, Pg)], fu sempre di esempio nel condurre i suoi uomini nella azioni più rischiose. Accerchiata la zona ad opera di una Divisione tedesca si offriva volontario con sei uomini per tenere una posizione chiave e dar tempo al resto della banda di mettersi in salvo. Sosteneva il combattimento contro un battaglione tedesco, riuscendo senza alcuna arma automatica a tenere la posizione dalle 9 del mattino alle 17 del pomeriggio. Ferito gravemente da 12 pallottole, veniva catturato. All’ufficiale tedesco che gli intimava la resa, rispondeva con un colpo di pistola uccidendolo. Moribondo gli veniva fatta una trasfusione di sangue per farlo vivere fino al mattino e fucilarlo. Affrontava serenamente il plotone di esecuzione e, dopo avere rifiutato la benda, cadeva al grido: “Viva l’Italia”. Deruta (Perugia), 6 marzo 1944; Perugia, 17 marzo 1944».
Fonti e bibl.: Mario Grecchi e Primo Ciabatti. Due vite per la libertà. Note e appunti di storia contemporanea, Istituto Umbro Studi e Ricerche “Pietro Farini”, Perugia 1965; Grecchi Mario, in Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, II, D-G, La Pietra, Milano 1971, p. 647.
Tommaso Rossi, Grecchi Mario, Dizionario Biografico Umbro dell’Antifascismo e della Resistenza, Istituto per la Storia dell’Umbria Contemporanea

Monumento ai partigiani della brigata Leoni e Innamorati a Bettona
Fonte: Pietre della Memoria

[…] Dal 6 ottobre 1943 un gruppo di partigiani perugini si era stabilito nei boschi di Monte Malbe per organizzare la resistenza ai nazi-fascisti. Quasi tutti i componenti della Brigata Francesco Innamorati erano poco più che diciottenni e si batterono eroicamente insieme alla Brigata Leoni, questi rimasero sul monte per circa due mesi e nel dicembre 1943, essendo aumentati di numero, si spostarono nei boschi sopra Bettona, Deruta e Tavernelle per affrontare il nemico con maggior efficacia. I comandanti delle brigate si incontrarono il 20 febbraio 1944 per organizzare un piano d’azione comune. Alcuni giovani di Castelleone provenienti dalla Brigata Innamorati, insieme ad altri volontari si trasferirono nella zona di Torre Burchio dove venne fissato il comando della Leoni. Il 22 febbraio 1944 la brigata compì la prima azione e alla stessa prese parte un partigiano che si è distinto per il suo coraggio, Mario Grecchi (nato a Milano nel 1926 e morto a Perugia il 17 marzo del 1944).
Il giorno 3 marzo una pattuglia della Leoni sorprese sei tedeschi delle SS. Nello scontro a fuoco quattro tedeschi muoiono e gli altri avvertono i loro camerati. La pattuglia ritorna nei boschi con armi e munizioni. A questo punto la dirigenza fascista perugina, venuta a sapere della presenza partigiana, ordina il rastrellamento.
Il 5 marzo i nemici circondano la zona, penetrando nei boschi e per due ore essi tengono sotto fuoco i partigiani. All’alba del 6 marzo, alle ore 6:30, le staffette provenienti dalle zone di Bettona comunicano ai comandi partigiani che un centinaio di camion tedeschi trasportano soldati nazisti e stanno in attesa di movimenti. Dopo poco tempo altre staffette provenienti da tutte le zone di osservazione avvertono i comandi che durante la notte la zona è stata interamente circondata. La brigata non ha più munizioni ed è costretta a fuggire. Il vice comandante Grecchi decide di rallentare le manovre tedesche con un’imboscata, insieme a cinque uomini per permettere agli altri di fuggire. Il gruppo di partigiani prende posto alle 11 del mattino e lo scontro a fuoco, contro nemici bene armati ed addestrati, finisce alle 3 del pomeriggio. Nello scontro solo Grecchi rimane in vita, anche se gravemente ferito. Un ufficiale che gli intima la resa viene ucciso da Grecchi, però, viene catturato. Una volta trasferito al poligono di tiro di Perugia, viene tenuto in vita da continue trasfusioni di sangue per essere fucilato il 17 marzo 1944. Sugli scritti che ricordano l’episodio si legge: Affrontava serenamente il plotone di esecuzione e, dopo aver rifiutato la benda, cadeva al grido di «Viva l’Italia».
La Brigata Garibaldi “Francesco Innamorati” fu una formazione partigiana operante nei dintorni di Perugia tra il novembre del 1943 e il marzo del 1944, inquadrata nelle Brigate Garibaldi.
La nascita del movimento partigiano a Perugia
La volontà di organizzare un movimento partigiano per la lotta armata contro i nazifascisti, sull’esempio delle bande nate nel resto dell’Umbria lungo tutta la dorsale appenninica, è nella zona di Perugia per lungo tempo frustrata dalla situazione politica locale, caratterizzata una scarsa unità di vedute delle forze antifasciste locali, dove a lungo tende a prevalere una linea attendista, e una presenza del potere fascista repubblicano ben radicata e organizzata, essendo la città capoluogo di regione e sede del prefetto, Armando Rocchi. Un gruppo di giovani cresciuti alla scuola di Aldo Capitini, tra i quali Riccardo Tenerini, e avvicinatosi poi alle posizioni del PCI, decide di salire in montagna nell’autunno del 1944, installandosi sul Monte Malbe, a ovest di Perugia. I primi mesi della formazione sono difficili, causa la scarsità di uomini, equipaggiamenti ed esperienza militare di guerriglia, nonché contrasti con la stessa dirigenza clandestina del PCI perugino.
Lo spostamento a Deruta e lo sbandamento
A inizio di gennaio del 1944, i partigiani di spostano a sud-est di Perugia, nelle campagne e sui colli della piana del Tevere, tra Deruta e Torgiano. La formazione assume il nome di Brigata Francesco Innamorati, in onore del dirigente comunista folignate Francesco Innamorati, caduto il 4 gennaio del 1944 durante un’azione tedesca contro la 4ª Brigata Garibaldi. Arriva a contare circa 150 uomini, e moltiplica le azioni di distribuzione degli ammassi alla popolazione civile e le azioni di sabotaggio. Si trova a operare a contatto con una piccola formazione di Giustizia e Libertà, la Brigata Leoni, operante anch’essa nei dintorni di Deruta. A seguito di un’azione della Brigata Leoni, il 6 marzo 1944 la zona è rastrellata dalle truppe tedesche. La Brigata Innamorati e la Brigata Leoni riescono a sganciarsi evitando grosse perdite, ma sono costrette allo sbandamento. Tra i partigiani catturati vi è lo studente azionista Mario Grecchi, gravemente ferito, curato e fucilato alcuni giorni dopo, decorato poi con la Medaglia d’oro al valor militare.
Diversi membri della Brigata confluiscono in altre formazioni partigiane, come Dario Taba “Libero”, che diventa commissario politico della Brigata San Faustino – Proletaria d’urto. Nei giorni immediatamente anteriori alla liberazione di Perugia, molti giovani antifascisti e reduci della Brigata Innamorati e della Brigata Leoni costituiscono la Brigata Mario Grecchi, che opera in città fino all’arrivo delle truppe alleate, il 20 giugno del 1944.
staff, Monumento ai partigiani della brigata Leoni e Innamorati – Bettona, pietre della memoria, 2 aprile 2012

Armando Rocchi, capo della provincia di Perugia
Fonte: Storia tifernate ed altro, cit. infra

Una durissima stretta repressiva anti-partigiana prese corpo nel mese di marzo. Per dimostrare che non lanciavano vuote minacce, le autorità fasciste dettero ampia diffusione ad avvisi che annunciavano le fucilazioni eseguite. Il Capo della Provincia di Perugia Armando Rocchi inondò i Comuni di tali comunicazioni, ordinando l’immediata affissioni di manifesti. Il 9 marzo fu resa nota l’esecuzione di un agricoltore di Montecastelli Bivio, “perché trovato armato abusivamente di fucile”; l’indomani di otto partigiani catturati armati; il 16 marzo di un disertore e di tre renitenti di Deruta, “tutti conniventi con bande di partigiani”; il 17 marzo di Mario Grecchi, “per omessa consegna di armi, aggressione di soldati tedeschi ed attività partigiana”; il 28 marzo dei fratelli Ceci di Marsciano, “mancanti alla chiamata alle armi”; alla fine del mese dei nove partigiani fucilati a Villa Santinelli di San Pietro a Monte. Uno degli ultimi avvisi si concludeva con queste parole: “Solo per coloro che si presenteranno spontaneamente ci sarà della pietà”.
Non vi era certo traccia di pietà nelle disposizioni che Armando Rocchi trasmise ai Comuni per vietare ogni forma di cerimonia funebre per i fucilati:
“Mi viene riferito che i tumuli dei ribelli o dei mancanti alla chiamata, fucilati in esecuzione alle vigenti disposizioni di legge, vengono giornalmente ricoperti di fiori, non soltanto dai famigliari ma anche ad opera di ignoti che intendono, naturalmente, dimostrare con tale mezzo i loro sentimenti contrari al nostro movimento di riscossa per la rigenerazione della Patria. Si tratta di subdole manifestazioni non solo antifasciste, ma soprattutto antinazionali, mascherate sotto l’aspetto della manifestazione di sentimenti pietistici che – per essere rivolti contro banditi e traditori della patria – non possono assolutamente essere tollerati. Dispongo quindi che sia assolutamente vietato di deporre corone, fiori, ceri, Messe di requie e omaggi di qualsiasi genere sulle tombe di coloro che sono stati puniti con la morte per aver tradito la Nazione in guerra”.
Sul piano militare, crescevano le preoccupazioni dei tedeschi per l’attività delle formazioni partigiane nelle loro retrovie. Il 17 marzo 1944 Kesselring raccomandò di accrescere la vigilanza nei “territori resi pericolosi dalle bande”, vietando ai convogli di attraversarli di notte. Nel contempo venne accelerata la costituzione di “gruppi d’impiego pronti all’allarme”, reparti scelti in grado di intervenire con prontezza ed efficacia.
Di lì a pochi giorni due grandi rastrellamenti lambirono l’Alta Valle del Tevere. Il primo tentò di prendere in trappola i partigiani della zona di Cantiano, sull’Appennino marchigiano. Negli aspri scontri che divamparono sotto la neve il 25 marzo tra Cantiano e Frontone, i partigiani italiani e slavi delle formazioni “Fastiggi” e Pisacane”, poi confluite nella Brigata Garibaldi “Pesaro”, dettero prova di valore e seppero respingere il nemico. Nella cosiddetta “battaglia di Vilano”, un’ottantina di partigiani tennero testa a reparti nazi-fascisti dieci volte superiori per numero. I resoconti storici della “Pesaro”, che danno molto risalto a questo successo, non fanno alcun cenno alla partecipazione ai combattimenti di partigiani della “San Faustino”. Eppure anche la formazione umbra asserì di aver dato il suo contributo in quella che chiamò “battaglia di Serramaggio”, che per collocazione geografica e modalità sembra coincidere con quella di Vilano. Insieme ai suoi uomini allora dislocati a Morena vi era il console americano Orebaugh, che inneggiò alla “grande vittoria morale” dei partigiani, per “avere intrapreso la battaglia con forze molto inferiori ed avere inflitto pesanti perdite al nemico con pochi uomini e scarse munizioni”.
Il 27 marzo un reparto corazzato di granatieri tedeschi strinse in una morsa il territorio tra Gubbio, Scheggia e Sigillo. Da un punto di vista militare non sortì alcun effetto, perché non sbaragliò alcuna banda partigiana. Tragico invece il prezzo pagato dalla popolazione: il numero delle vittime varia a seconda delle fonti, ma si trattò comunque di una strage di rilevanti proporzioni. Luciana Brunelli e Giancarlo Pellegrini (Una strage archiviata. Gubbio 22 giugno 1944 cit., pp. 72, 73, 81, 103, quantificano in 72 le vittime complessive dell’operazione repressiva, con 57 persone fucilate sul posto il 27 marzo e 8 giovani giustiziati l’indomani. La “guerra ai civili” da parte dei tedeschi era iniziata. Le autorità fasciste non seppero interporsi per proteggere la popolazione innocente dalla montante violenza repressiva. Il Capo della Provincia di Perugia si limitò a diffondere un avviso che indicava il comportamento da tenere durante le operazioni anti-partigiane: “Ad evitare […] inutile spargimento di sangue durante lo svolgersi di azioni di rastrellamento ciascuno deve rimanere ove si trova perché nulla ha da temere, ma senza nascondersi e tanto meno fuggire per non destare impressioni di sottrarsi alle ricerche ed esporsi di conseguenza al fuoco dei reparti operanti”.
Il rastrellamento nell’Eugubino fu condotto da una task force della XIV Armata germanica composta dal 1° battaglione del 20° reggimento di polizia delle S.S. e dal 2° battaglione del 3° reggimento “Brandenburg”. Considerato uno dei migliori reparti per tali mansioni, e per ciò dispiegato da Kesselring anche per rastrellamenti nell’Aretino, il “Brandenburg” agiva in collegamento con il Battaglione M delle camicie nere italiane “XI Settembre”. Tali unità sarebbero state dispiegate anche in successive operazioni, aggregandovi al bisogno altri reparti.
[…] Per il testo integrale, con le note e le fonti delle illustrazioni, si veda il mio volume Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.
Alvaro Tacchini, La repressione del movimento partigiano a marzo, Storia tifernate e altro