Non era un caso che, proprio a partire dal settembre 1944, giunse a Rovereto un distaccamento mobile, il Kommando Andorfer

Rovereto (TN): Piazza delle Erbe. Fonte: Wikipedia

In sintesi, nessuno aveva pagato per i pestaggi, le torture, le violenze fisiche e psicologiche subite da partigiani e detenuti politici a Rovereto tra il settembre 1944 e l’aprile 1945. Le raccapriccianti attività compiute dai “toscanini” costituivano solo la fase finale di una determinata strategia di repressione tedesca. Per Rasera, «nella memoria dei testimoni la banda dei fiorentini si confonde spesso con altre presenze inconsuete nella città», «con personaggi provenienti da altre regioni e occupati in attività misteriose per i cittadini di Rovereto» <188. Tutti gravitavano nell’orbita dei Comandi tedeschi ed in particolare della Sicherheitspolizei (SIPO) <189, della Gestapo e dello SD. Secondo l’analisi fatta da Carlo Gentile, l’attività della SIPO «si limitava in genere […] alla raccolta di informazioni e ad operazioni di più spiccato carattere poliziesco (indagini su esponenti dell’antifascismo, arresti, interrogatori, deportazioni, rappresaglie)». Lo SD partecipava «ai rastrellamenti […] tramite nuclei» che affiancavano le forze militari incaricate delle operazioni antipartigiane. Non era un caso che, proprio a partire dal settembre 1944, giunse a Rovereto un distaccamento mobile, il Kommando Andorfer <190, particolarmente adatto a questo tipo di azioni e che esattamente questo reparto fosse stato tra i principali responsabili del «rastrellamento del Grappa» <191. Guidato dal tenente (SS-Obersturmführer) Herbert Andorfer <192, l’unità si era formata in Italia nell’autunno 1943 alle dirette dipendenze del «Comando superiore della Sicherheitspolizei di Verona» <193. Operativamente, il Kommando fu attivo in Lombardia, in Liguria (marzo 1944) – dove partecipò alla strage della Benedicta <194 – e nelle Marche (giugno-luglio 1944) <195. Alla fine di luglio, il reparto fu assegnato «al Comando dell’aviazione tedesca in Italia (Luftflotte 2)» <196. Dislocato a Parma, entrò in azione tra Liguria ed Emilia «nelle operazioni di rastrellamento denominate Wallenstein» <197.
Alcuni dei “toscanini” che operarono a Rovereto – Brugnoni e Cardini – ammisero di essere stati arruolati dal maresciallo Fiene una volta giunti a Parma, più o meno nello stesso periodo in cui nella città emiliana era di stanza il Kommando Andorfer. Fiene e Müller facevano parte a tutti gli effetti di questa unità <198. I sette fascisti attivi a Rovereto furono quindi arruolati nel reparto guidato da Andorfer con compiti di «bassa manovalanza».
Torturare ed estorcere informazioni con la violenza e la brutalità rappresentavano le loro caratteristiche principali. Attitudini che i superiori tedeschi volevano sfruttare per non «sporcarsi troppo le mani». Il graduale spostamento della linea del fronte verso nord, a partire dall’estate 1945, orientò i Comandi di sicurezza tedeschi a trasferire unità e servizi di controspionaggio in zone come il Trentino dove potevano operare in relativa «tranquillità». Allo stesso tempo, si decise di affiancare questi reparti con elementi tratti dalle forze militari e di polizia della RSI.
Lo stabilirsi in provincia di scuole di controspionaggio e sabotaggio (Fai della Paganella) e di corsi di formazione per servizi d’informazione militare (Rovereto) non aveva solo l’obiettivo di istruire degli agenti segreti per l’eventuale impiego in altre zone dell’Italia settentrionale. Si può ipotizzare che, a questi elementi, si sommasse l’arruolamento di spie autoctone. Il loro utilizzo ottimale avrebbe poi permesso la messa in atto di rastrellamenti, perquisizioni e arresti di partigiani e resistenti. In un secondo tempo, grazie all’ausilio di uomini come quelli della banda Carità, sarebbero state estorte ai prigionieri le informazioni necessarie a catturare altri partigiani e membri della Resistenza che operavano in Trentino o tra questo e le regioni confinanti. A distanza di oltre sessant’anni dalla conclusione del conflitto, rimangono ancora oscure le biografie di spie e informatori come Victor Piazza.
Originario di S. Antonio del Pasubio e già partigiano delle formazioni che agivano tra Rovereto e Vicenza, tradì poi i compagni di lotta passando alle SS, fornendo informazioni e compiendo arresti accompagnato dai toscanini. Nel processo a carico di questi ultimi, il suo nome ritornò spesso nei ricordi dei testimoni <199.
Fossero partigiani traditori o meno, l’orientamento dei tedeschi era quello di servirsi di persone del luogo, gente che sapeva muoversi nelle comunità e nelle valli d’origine. Severino Toller <200, nel settembre 1946, fu accusato di «aver preso parte attiva quale autista delle SS, con sede in Roncegno a diversi rastrellamenti in Val Tesino, nella Bassa Valsugana, a Pedescala ecc. ed in ispecie al rastrellamento di Maso di Val d’Astico dove vennero catturati e fucilati tre partigiani». Tra il 1944 e il 1945, l’intera area fu interessata da una serie di rastrellamenti che avevano l’obiettivo di annientare le forze partigiane ivi operanti. Dinnanzi ai giudici, Toller negò di partecipato attivamente a queste «operazioni di polizia». Per non essere spedito in Germania, nell’estate 1945, «accettò l’invito fattogli da un soldato delle SS di Roncegno di entrare alle dipendenze di quel Comando quale autista». In tale veste, il suo compito era quello di «condurre colla macchina gli ufficiali tedeschi nei luoghi dagli stessi indicati» <201. In realtà, conoscendo bene la zona, egli faceva da tramite con le spie che i nazisti avevano infiltrato nel movimento partigiano. Roncegno era sede di un comando SS guidato dal tristemente famoso capitano Hegenbart <202. In occasione del rastrellamento avvenuto in val d’Astico il 7 gennaio 1945, l’imputato ammise di aver incontrato «anche certo Victor Piazza, una notoria spia ed informatore della polizia tedesca». Secondo la Sezione speciale della CAO di Trento, Toller «non si limitò, come egli sostiene, a condurre la macchina e poi custodirla, ma prese attiva parte alla cattura dei tre partigiani, fece parte del gruppo di poliziotti che da Monte Piano scortò gli arrestati a Maso di Val d’Astico ed assistette alla loro fucilazione». Trattandosi di aiuto al nemico in operazioni militari (art. 51 del CPMG), fu così condannato a 24 anni di reclusione per collaborazionismo, pena diminuita a 16 anni per la concessione delle attenuanti generiche. In virtù del DP d’amnistia del 22 giugno 1946, furono condonati altri cinque anni e quattro mesi di prigione <203. A seguito del ricorso presentato da Toller, la Corte di Cassazione, pur sottolineando che l’imputato, «arruolandosi nelle SS tedesche, ben sapeva di affiancare il nemico e di doverne accettare gli ordini; anche di carattere delittuoso», rinviò il procedimento alla Corte d’assise di Verona <204.
Nella loro azione di repressione del movimento partigiano e resistenziale, i comandi tedeschi potevano utilizzare anche «personale» non proveniente direttamente dagli organici della RSI. Collegato a questa tipologia, prese forma localmente un «collaborazionismo ideologico» che trovava l’humus ideale nei fascisti del Ventennio (12%) e negli iscritti al PFR (3%). Sommare queste ultime due categorie di collaborazionisti (15%) permette di evidenziare la pressoché totale corrispondenza numerica tra collaborazione militare ed ideologica. La condivisione ideale e valoriale dei fascisti della RSI e di quelli residenti in provincia con gli scopi del nazifascismo rappresentava per l’autorità germanica uno degli strumenti a disposizione in funzione antipartigiana. Questo «collaborazionismo ideologico» fu impiegato spesso in sincronia con quello «etnico-irredentistico».
L’eccidio del 28 giugno 1944, tra Riva del Garda e Rovereto, è da questo punto di vista esemplare. L’operazione di polizia, organizzata e messa in atto dai comandi SS ed SD di Bolzano e Trento, fu attuata grazie alle informazioni ricavate da una serie di spie e informatori infiltrati o meno nel movimento partigiano che si andava strutturando nel Trentino meridionale. Nella memoria dei sopravvissuti <205, il protagonista indiscusso dell’eccidio che costò la vita di 11 patrioti e la deportazione di oltre 60 <206 membri della Resistenza trentina è sicuramente Fiore Lutterotti <207. Pur essendo il maggior responsabile della strage, egli faceva parte in realtà di una rete più allargata di fascisti rivani e di collaborazionisti. Ben dieci processi tra quelli istruiti per collaborazionismo a Trento, riguardarono persone coinvolte nei fatti del 28 giugno per un totale di sei «trentini» e 17 altoatesini. Se questi ultimi, in quanto membri della SD e degli apparati di polizia tedeschi, furono il braccio operativo responsabile della soppressione e dell’arresto dei patrioti, gli altri costituivano una vera e propria rete informativa al servizio dei comandi tedeschi.
Giancarlo Poli <208, dopo l’8 settembre 1943, ancora sedicenne si arruolò volontario nella GNR «facendo delazioni», «fornendo aiuto al tedesco invasore» e commettendo «fatti diretti a favorire le operazioni militari del nemico». Nel corso del dibattimento, svoltosi nell’ottobre 1945, l’imputato sostenne di essersi arruolato nella GNR di stanza a Gargnano, rientrando a Riva ogni volta che il servizio glielo permetteva. Ammise inoltre di aver accompagnato in alcune occasioni soldati e ufficiali SS nei loro rastrellamenti. La teste Ilde Rungatscher – all’epoca dei fatti, interprete presso la polizia tedesca di Trento – dichiarò di averlo incontrato in due occasioni diverse in compagnia della spia austriaca von Stein <209. Alcuni testimoni affermarono di aver visto Poli il 28 giugno 1944, mentre altri dichiararono che quel giorno l’imputato si trovava nel carcere militare di Gargnano. Con deposizioni così contraddittorie, non fu possibile provarne l’effettiva responsabilità. La Corte d’assise straordinaria di Trento, il 18 ottobre 1945, assolse l’imputato per «mancanza della capacità d’intendere e di volere» <210.
Gino Zagarella <211, il 25 agosto 1945, fu condannato a dieci anni di reclusione. Fra il febbraio e il luglio 1944, collaborò «quale fascista repubblichino […] con i tedeschi, ingaggiando giovani per la Decima Max [Mas] affermando dopo l’eccidio del 28 giugno 1944 che era tempo di far piazza pulita, [e] accompagnandosi a tedeschi della SS per rintracciare il nascondiglio di Proclamer Giuliana e Giulia, che furono arrestate». Operando a cavallo tra Riva del Garda e Gargnano, Zagarella era in contatto con un nucleo di fascisti rivani particolarmente attivo. Nel corso dell’interrogatorio condotto dalla commissione giustizia di Riva, l’imputato ammise di aver frequentato, nella primavera del 1944, un gruppo di fascisti repubblichini nella taverna gestita da Arrigo Badiani <212, luogo dei loro abituali incontri <213. I più assidui frequentatori del ritrovo fascista erano Lutterotti, Zagarella, il giovane Poli e Costante Bertamini <214. Processato assieme all’ex tenente delle SS e comandante della Gestapo di Trento, Sigfried Hölzl <215, Bertamini fu accusato di collaborazionismo con l’invasore tedesco «col farsi delatore di patrioti e aver causato gli eccidi di Riva, Arco ecc. il 28 giugno 1944».
[…] Accanto alle tipologie di collaborazionismo fin qui descritte, come ha sottolineato Borghi, esiste una categoria «dai contorni ancora variabili e sfuggenti», quella del «collaborazionismo civico o civile» <240. Un ambito che, per il «caso trentino», potrebbe coincidere con la «delazione a scopo personale» <241. In altre parole, si trattava di individui che denunciavano alle autorità tedesche le loro vittime in funzione di vantaggi materiali immediati, economici o meno.
[NOTE]
188 RASERA 2003: 257.
189 Organo direttivo delle tre forze di polizia – Geheime staatspolizei (Gestapo, polizia segreta di stato), Reichskriminalpolizei (Kripo, polizia criminale del Reich), Sicherheitsdienst (SD, servizio di sicurezza delle SS) che si occupavano della sicurezza del Terzo Reich sotto il profilo politico e criminale.
190 GENTILE 1997: 180.
191 RESIDORI 2007: 74-76.
192 Linz, 3 marzo 1911. Segretario d’albergo, iscritto al partito nazista dal 1931 e membro delle SS dal 1939. Nel 1941, fu inviato in Serbia con il grado di sottotenente (SS-untersturmführer). Nel gennaio 1942, fu nominato comandante del campo di concentramento di Semlin o Sajmište, vicino Belgrado, dove furono sterminati 5.293 ebrei. Promosso tenente, fu trasferito in Italia al comando del reparto SS/SD che da lui prese il nome. Alla fine della guerra, fuggì come molti altri nazisti in Sud America. Rientrato in Germania negli anni sessanta, fu processato a Colonia per le atrocità commesse nel campo di Semlin.
193 RESIDORI 2007: 75.
194 Nella primavera del 1944, tra Genova e Alessandria operavano due brigate partigiane, la Brigata autonoma Alessandria e la 3^ Brigata Garibaldi Liguria. All’inizio dell’aprile 1944, reparti tedeschi appoggiati da quattro Compagnie della GNR e da altri reparti della RSI, accerchiarono la zona del Tobbio. Il 6 aprile iniziarono gli scontri. La 3^ Brigata Garibaldi Liguria cercò di rompere l’assedio dividendo i propri uomini in piccoli gruppi, l’altra Brigata tentò invece una disperata difesa alla Benedicta e a Pian degli Eremiti. Il monastero della Benedicta, in cui si erano rifugiati gli uomini disarmati o meno esperti, fu minato e fatto esplodere. Furono catturati 75 partigiani, poi fucilati da militari repubblicani comandati da un ufficiale tedesco. Tra gli scontri e le fucilazioni si ebbero 147 caduti poi gettati in una fossa comune. Una parte dei partigiani catturati fu trasferita a Genova mentre altri furono inviati a Novi Ligure. I renitenti alla leva che si presentarono spontaneamente, accogliendo l’invito delle SS, furono deportati in Germania. Su quasi 400 deportati poco più della metà rientrò in patria. 17 partigiani fatti prigionieri durante il rastrellamento furono fucilati il 19 maggio nei pressi del passo del Turchino (strage del Turchino) insieme ad altri 42 prigionieri, come rappresaglia per un attentato contro alcuni soldati tedeschi avvenuto a Genova. Il rastrellamento della Benedicta ha molti aspetti in comune con quello del Grappa. Per maggiori informazioni, si confronti RIVELLO 2002.
195 GENTILE 1997: 180.
196 GENTILE 1997: 180; RESIDORI 2007: 75.
197 RESIDORI 2007: 75.
198 CAPORALE 2005: 96.
199 Testimonianza di Ferruccio Trentini. In Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti Corte d’assise straordinaria, 1946, fasc. 32/46.
200 Boemia, 31 gennaio 1918. Residente a Marter di Roncegno, celibe, meccanico, incensurato.
201 Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti Corte d’assise straordinaria, 1946, fasc. 31/46.
202 Secondo Giuseppe Sittoni, il paese rappresentava il centro operativo di tutte le operazioni antipartigiane condotte al di là del confine provinciale, a Bassano e sull’altopiano di Asiago. Inoltre, era sede del Comando della marina repubblicana e di uffici distaccati di quella germanica di stanza a Levico, di reparti del CST, della SOD e della Todt, etc. Si confronti SITTONI 2003: 290-292 e SITTONI 2005: 46-52.
203 Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti Corte d’assise straordinaria, 1946, fasc. 31/46.
204 Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Sentenze Corte d’assise straordinaria, 1946, sent. 26/46.
205 BARONI 1991; TOSI 1997; BALLARDINI 2007.
206 L’operazione di polizia organizzata dai tedeschi il 28 giugno 1944 comportò l’esecuzione sul posto di 11 membri della Resistenza: Eugenio Impera (Cavalese, 27 aprile 1923-Riva del Garda, 28 giugno 1944), Augusto Betta (Riva del Garda, 17 ottobre 1899-28 giugno 1944), Francesco Gerardi (Brescia, 27 luglio 1914-Riva del Garda, 28 giugno 1944), Enrico Meroni (Riva del Garda, 5 luglio 1925-28 giugno 1944), Gioacchino Bertoldi (Nago, 20 febbraio 1922-28 giugno 1944), Antonio Gambaretto (S. Giovanni Ilarione, 31 gennaio 1913-Riva del Garda, 28 giugno 1944), Angelo Bettini, Giuseppe Marconi, Giovanni Bresadola, Giuseppe Ballanti, Federico Toti. Tra i catturati nel corso dell’operazione, Gastone Franchetti (Castelnuovo Valsugana, 22 settembre 1920-Bolzano, 29 agosto 1944) e Giuseppe Porpora (Napoli, 14 febbraio 1918-Fonzaso, 10 agosto 1944) furono fucilati in seguito. Per maggiori informazioni, si confronti PAROLARI 1975 e TOSI 1997.
207 Pergine, 28 dicembre 1918-Salò, 1 maggio 1945. Dopo essersi infiltrato nel movimento ottenendo la fiducia di Gastone Franchetti, confidò le informazioni ricavate a Carlo von Stein, intermediario con le SS di Riva del Garda e con la Gestapo di Trento provocando l’eccidio del 28 giugno. Morì a Salò in circostanze non del tutto chiarite nei giorni conclusivi del conflitto. Nel dopoguerra, fu aperto un fascicolo processuale a suo carico, subito chiuso in istruttoria per l’avvenuto decesso dell’imputato. In Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Sezione istruttoria Corte d’appello di Trento, 1947, (1-50), fasc. 48/47.
208 Riva del Garda, 8 novembre 1927.
209 Carlo von Stein (Iglau, 22 luglio 1894). Ex capitano della cavalleria austroungarica, nel 1938, a seguito dell’Anschluss, emigrò in Italia risiedendo a Bolognano d’Arco. Durante l’occupazione tedesca, divenne informatore della Gestapo di Trento facendo da collegamento tra Fiore Lutterotti e i Comandi tedeschi.
210 Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti Corte d’assise straordinaria, 1945, fasc. 36/45.
211 Villa San Giovanni, 7 dicembre 1908. Residente a Riva del Garda, commercialista.
212 Prato, 15 aprile 1899. Residente a Riva del Garda, negoziante di vini.
213 Su ricorso dell’imputato, la Cassazione il 24 luglio 1946 dichiarò estinto il reato in virtù del DP d’amnistia del 22 giugno 1946. In Trento, Corte d’appello di Trento, Archivio Procedimenti Corte d’assise straordinaria, 1945, fasc. 23/45.
214 Smirne, 18 agosto 1905. Già sedicente ispettore dell’ufficio alimentazione di Riva, latitante.
215 Lagundo, 8 luglio 1906. Laureato in scienze commerciali all’università di Lipsia, a seguito dell’invasione tedesca, entrò nelle SS con il grado di tenente divenendo successivamente comandante della Gestapo di Trento.
240 BORGHI 2009: 165.
241 Si tratta di un fenomeno che, ad esempio, Rasera ha analizzato nella biografia dedicata ad Angelo Bettini, assassinato dagli agenti della Gestapo il 28 giugno 1944. Rasera, del resto, non rivolge unicamente la propria attenzione ad un’ipotesi di omicidio legata a motivazioni di carattere eminentemente politico, ma prende in considerazione una seconda pista d’indagine: quella relativa ai dissapori «privati» tra Bettini e la famiglia Bini, Tullio e Herta Hulsenheirer, relativi all’abitazione di proprietà dell’avvocato roveretano e dai Bini occupata abusivamente. Si confronti RASERA 2004.
Lorenzo Gardumi, Violenza e giustizia in Trentino tra guerra e dopoguerra (1943-1948), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Trento, 2009