Alle 14.30 Luigi Frausin ha un appuntamento alla fine di via Pindemonte

Luigi Frausin

Intanto già nel 1942 si erano insediati a Trieste i primi nuclei dell’OF (il fronte di liberazione sloveno) e del Partito Comunista Sloveno (PCS) con adesioni fra la minoranza slovena cittadina. Dalla metà del 1944 si insediò anche un comando-città del IX Corpus, che indebolì sempre più la funzione militare del CLN, e cercò in parte di rallentare l’arruolamento di nuovi effettivi italiani nelle unità partigiane. Un importante tentativo di placare questa lotta intestina tra i due gruppi di resistenza fu fatto proprio nell’aprile del 1944. Delegati del PCI Alta Italia si incontrarono con i vertici del PCS e stipularono una serie di accordi di collaborazione <154. In sintesi tali accordi stabilivano la priorità della lotta contro il nazifascismo, di abbandonare per il momento ogni discussione sulle questioni territoriali e sui confini. La discussione definitiva di tali problemi si sarebbe dovuta fare in un secondo momento, solamente dopo la liberazione e sarebbe dipesa molto dalla situazione generale in questa parte d’Europa. Sul piano militare l’accordo prevedeva la creazione della Brigata Garibaldi-Trieste, costituita ai primi di aprile del 1944, che sarebbe dovuta divenire il punto di riferimento principale per il CLN triestino. In realtà su questa unità il CLN poté contare per breve tempo in quanto dopo accordi tra la Garibaldi-Friuli e l’OF la brigata passò sotto il controllo militare del IX Korpus <155. Dal punto di vista politico l’accordo prevedeva la sola presenza del PCI e CLN nelle zone compattamente italiane e viceversa per il PCS e l’OF, mentre ci sarebbero stati due partiti e due Comitati nelle «zone miste». Questo punto rimase molto ambiguo, in quanto per gli sloveni «zone miste» erano anche quelle del Friuli Orientale, mentre nell’Istria ad esempio, le isole italiane venivano incluse nel territorio slavo. Per questi motivi sia Pallante che Fogar definiscono tali accordi «fragili»; di fatto furono disattesi dopo poco tempo sia sul piano politico che su quello militare <156.
[…] È necessario a questo punto soffermarsi brevemente sul dibattito che ci fu all’interno della resistenza italiana triestina sui metodi di lotta che si dovevano seguire contro le forze di occupazione in città. Non poche furono le incomprensioni tra movimento sloveno e italiano, e all’interno di questo tra comunisti e gli altri partiti più moderati del CLN <164. Spazzali riporta una discussione tra don Edoardo Marzari, esponente della DC nel CLN, e il comunista Luigi Frausin avvenuta dopo l’attentato di via Ghega. Durante l’incontro Frausin «si era felicitato dicendo che così veniva scosso il torpore dei triestini» <165. L’esponente del PCI con la sua affermazione rispecchia il pensiero di gran parte del movimento comunista triestino, non si intende marcare il passo rispetto all’iniziativa condotta dagli sloveni: «se era stato alzato il tiro dell’atto terroristico, questo doveva trovare un adeguato allineamento da parte italiana» <166. La parte più moderata del CLN, rappresentata dai cattolici, temeva fortemente che si iniziasse una spirale di morte contro la popolazione, ostaggio delle continue rappresaglie tedesche.
[NOTE]
154 La bibliografia su tali accordi è molto ampia cfr.: M. Pacor, Confine orientale cit.; P. Pallante, Il PCI e la questione nazionale, Udine 1980; M. Abram – R. Giacuzzo, Itinerario di lotta: cronaca della Brigata d’Assalti “Garibaldi Trieste”, Pola 1986.
155 Su queste vicende cfr.: M. Pacor, Confine orientale cit.; G. Colonnello, Guerra di Liberazione cit., pp. 291-306.
156 G. Fogar, Trieste in guerra cit., pp. 136.142.
165 R. Spazzali, …l’Italia chiamò cit., pp. 121-122.
166 ivi, p. 122.
Giorgio Liuzzi, La politica di repressione tedesca nel Litorale Adriatico (1943-1945), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Pisa, 2004

Non è un caso che Giovanni Paladin scriva una storia della Resistenza a Trieste, dal punto di vista del CLN <1076, alternativo alla vulgata nazionalista che vede il Comitato corrotto dalle forze filo-jugoslave e alternativo anche alla storiografia maggioritaria che esalta le gesta partigiane comuniste e che svaluta il ruolo del Comitato <1077.
La storia del patriottismo democratico nella Zona coincide in buona parte con l’azione politica del già più volte menzionato Paladin. L’azionista giuliano osserva con rammarico il travisamento che il PCI compie rispetto alla lotta di Liberazione e del diritto all’autodecisione, facendo proprie le tesi di Tito e attribuendo al Maresciallo i soli meriti della resistenza al nazifascismo. Ciò significa, contemporaneamente, annichilire e deprimere la storia e la tradizione delle lotte antifasciste italiane. Paladin riflette infatti sul fatto che tutti coloro che durante la guerra di Liberazione si impegnano nel patto di collaborazione paritaria <1078 italo-slovena nel corso dell’estate, in coincidenza con il profilarsi dell’ipotesi di sbarco Alleato nell’Adriatico settentrionale, sono scoperti ed arrestati dai nazisti. A partire dal capo partigiano comunista Luigi Frausin, favorevole alla permanenza di Trieste in Italia, che viene liquidato dai tedeschi. Proprio da quel momento, guarda caso, la sezione autonoma triestina del PCI rigetta la linea filo-italiana di Frausin per sposare quella della subordinazione politico-militare degli antifascisti italiani al Fronte di Liberazione sloveno, bypassando in ogni modo il CLN e le sue forze.
[NOTE]
1076 Archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, fondo Venezia Giulia, b. II, fase. 37 bis.
1077 Così spiega Roberto Spazzali rispetto al contributo storiografico dell’eroe partigiano azionista: “Paladin si era fatto l’idea che da parte jugoslava era stato messo a segno un preciso piano di eliminazione di tutti gli oppositori al disegno di annessione della Venezia Giulia: era iniziato a Trieste, dopo gli accordi di Milano dell’estate ‘44 e proseguito nel tempo, fino a Porzùs. In questo senso egli aveva fornito all’avvocato una serie di documenti a suo dire probanti complotto e tradimento a danno della Resistenza italiana. Sono gli stessi documenti che poi inserì in appendice al suo ‘La lotta clandestina di Trieste’ con dedica autografa: all’amico Ercole Miani, animatore instancabile e protagonista incomparabile della Resistenza triestina, offro questo saggio sull’opera politica del CLN giuliano. Con animo fraterno. Trieste 10 febbraio 1955”. In R. Spazzali, “Giovanni Paladin: patriota e democratico”, in G. Paladin, La lotta clandestina di Trieste nelle drammatiche vicende del C.L.N. della Venezia Giulia, cit., pp. 65-66.
1078 Perciò alternativa a quella della subordinazione.
Ivan Buttignon, Governo Militare Alleato e organizzazioni filo-italiane nella Zona A (1945-’54). Uno scontro culturale, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Udine, Anno Accademico 2014-2015

La missione di Pellegrini inizia nella Trieste occupata dai partigiani sloveni, in una posizione di rappresentanza del Pci presso un partito, quello giuliano, che nel 1944 – dopo aver perso i principali dirigenti: Luigi Frausin, Natale Kolarich, Vincenzo Gigante – è passato sotto il controllo dei comunisti sloveni, con l’assenso del precedente rappresentante del Pci, Vincenzo Bianco. Egli opera da un lato per riconquistare il terreno perduto da parte del Pci, dall’altra per imporre ai comunisti di nazionalità italiana, – soprattutto istriani – di evitare rotture irrimediabili (ed umanamente rischiose) con i compagni sloveni. Nel corso della riunione di Capodistria dei comunisti dell’Istria nordoccidentale, Pellegrini interviene ben diciannove volte – ma invano – per convincere i riottosi compagni locali ad accettare l’unificazione con gli sloveni ed a rinunciare tatticamente alla loro volontà di rimanere aderenti al Pci <59.
[…] Nelle sue sfuriate con Pellegrini, Kraigher rinfacciava a dirigenti del Pci triestino (Frausin, Zocchi, Pratolongo, Massola e Maria Bernetič) di aver cercato di impedire a Vincenzo Bianco di far giungere alla Direzione Pci dell’Alta Italia le direttive contenute nella lettera di Togliatti del 5 maggio 1944 (che dava indicazioni resistenziali coerenti con la linea jugoslava), in quanto queste contraddicevano la linea del Pci locale e quella del Clnai. Bianco poté raggiungere Milano, accompagnato da Frausin, solo dopo che Longo e Secchia avvertirono i triestini di essere d’accordo con loro.
59 Paolo Sema, Siamo rimasti soli. I comunisti del PCI nell’Istria Occidentale dal 1943 al 1946, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2004, p. 78.
Gian Luigi Bettoli, Roma, Trieste, Venezia: Giacomo Pellegrini dirigente del Pci e parlamentare, tra guerra e dopoguerra, Convegno “Giacomo Pellegrini, una vita al servizio del popolo”, Associazione Culturale “La Rinascita”, Udine, Sabato 15 febbraio 2014

Ritorno alla lettera scritta dal signor Piero Petronio relativamente alla chiusa della medesima, dove egli trova una sorta di giustificazione al suo scrivere asserendo che “gli jugoslavi” avrebbero indicato alla Gestapo il nascondiglio del dirigente comunista Luigi Frausin, perché “non voleva cedere Trieste agli jugoslavi”.
È notevole che Petronio si sia fatto forte proprio di una simile calunniosa falsità, perché ciò dimostra quale sia la sua preparazione storica mediante la quale si arroga il diritto di trinciare giudizi sulla preparazione storica altrui.
Ho recentemente pubblicato uno studio sull’Ispettorato Speciale di PS per la Venezia Giulia, un feroce corpo di repressione fascista noto anche come “banda Collotti” (KappaVu Udine 2013), nel quale ho tra l’altro ricostruito anche la vicenda di Frausin (un articolo in merito si trova peraltro nel mio sito già dal 2005, quindi chi avesse avuto interesse a cercare notizie sulla vicenda aveva la possibilità di leggere anche questo).
Riporto di seguito uno stralcio di quanto appare nel mio libro relativamente all’arresto di Luigi Frausin, che fu ucciso nella Risiera di San Sabba.
Lo storico Rudi Ursini-Ursič (già dirigente della Resistenza) riporta quanto detto da Giorgio Iaksetich (a sua volta riferitogli da un altro dirigente comunista, Vincenzo Gigante, anch’egli arrestato nel corso della stessa operazione che portò, nel corso di una quarantina di giorni, all’arresto di una settantina di dirigenti della Resistenza, italiani e sloveni) e cioè che il 24/8/44 “alle 14.30 Luigi Frausin ha un appuntamento alla fine di via Pindemonte sopra la Rotonda del Boschetto con uno che doveva dargli notizie del nipote Giorgio” <1, nipote al quale Frausin era particolarmente legato. Lo storico Galliano Fogar scrive: “probabilmente il delatore di Frausin fu un ex ufficiale partigiano della Garibaldi-Trieste passato al nemico (…) Frausin fu atrocemente quanto inutilmente torturato sia dal Collotti che dalla Gestapo. Al processo della Risiera la vedova (…) raccontò che un suo cugino, rinchiuso in una cella del comando SD-SIPO in piazza Oberdan, vide Frausin in condizioni pietose da far ritenere che poca vita gli restasse” <2. Stando a quanto emerso in un processo celebrato nel 1946, il traditore del Battaglione partigiano triestino, responsabile dell’arresto di Frausin e dei due fratelli Gaspardis <3, sarebbe stato identificato in un certo Enzo Marsich (o Marsi), detto “Giulio”, che aveva abitato in via Diaz 10 assieme alla sua amante Mirella Pizzarello, confidente della SS e dell’Ispettorato, responsabile degli internamenti del dottor De Manzini e del maggiore Gaspare Canzoneri. Condannato il 22/3/46 dalla Corte Straordinaria d’Assise a dieci anni “come delatore stipendiato dalle SS”, Marsich fu successivamente amnistiato. Inoltre la Corte “giudicò però insufficienti le prove relative alla delazione e alla cattura del Frausin di cui il Marsi si era vantato” <4.
Nel testo di Ursini-Ursič troviamo anche un commento rispetto alla mai sopita polemica che attribuisce a “delazioni slave” gli arresti di Frausin e degli altri dirigenti del PCI italiano, in quanto considerati “non favorevoli” alla politica della Resistenza jugoslava. Dopo avere riportato le sopra citate parole di Iaksetich, Ursini-Ursič riscontra un “incredibilmente basso livello del rispetto delle più elementari norme cospirative che regnava nell’organizzazione del PCI di Trieste e provincia e della totale irresponsabilità del capo che avrebbe dovuto presiedere alla sicurezza dell’organizzazione e dei suoi dirigenti. Pertanto è sbalorditivo quanto detto da Don Marzari, Giovanni Paladin, Carlo Schiffrer, Vittorio Vidali, Mario Colli, che con una leggerezza stupefacente, si riempirono la bocca – i due ultimi assieme ad altri eminenti stalinisti triestini dell’epoca – con asserite delazioni slave a danno di Luigi Frausin e di altri dirigenti del PCI del Litorale. Ho già evidenziato (…) come Collotti non avesse nessun bisogno dei nazional-comunisti slavi per metter le mani sui dirigenti comunisti di Trieste con alla testa Frausin” <5.
Abbiamo già parlato del processo ad Ezio Marsi che si era “vantato” di aver fatto arrestare Frausin, ma non fu creduto in sede processuale, fatto che può avere contribuito ad alimentare questa “voce” sulle presunte “delazioni slave” che avrebbero provocato l’arresto di Frausin. È utile a questo punto leggere uno scambio di lettere apparso sul “Meridiano di Trieste” nel 1974, iniziata con una nota firmata da Guerrino Travan (che in una lettera successiva si qualificherà come combattente della Brigata San Giusto del CVL <6), nella quale parlava del “muggesano Luigi Frausin, che per la sua coraggiosa precisazione a favore della soluzione italiana della questione triestina e istriana fu fatto cadere in mano ai nazisti” <7. A questa affermazione rispose un altro lettore, Biagio Gabardi, che domandò a Travan se avesse una prova di quanto diceva, asserendo che invece egli si limitava a ripetere “quello che è stato detto da altri, primo, già il 25 agosto 1945, da don Marzari a Muggia, il quale in quell’occasione promise che tra breve avrebbe fatto conoscere la documentazione. Tale documentazione non fu mai prodotta né da lui da altri (…) <8.
Fu pubblicata infine un’altra lettera di Guerrino Travan, che affermava di avere “appreso da don Marzari” del fatto che Frausin sarebbe stato tradito dai suoi compagni di partito, ma che la sua “convinzione” trova “fondamento” anche da altre fonti. E cita Livio Grassi: (“è opinione comune che Frausin sia stato arrestato dai tedeschi proprio su denuncia di elementi dell’OF”) <9 e Bogdan Novak (“alcune fonti italiane manifestarono il sospetto che Frausin e gli altri membri del CLN fossero traditi dai comunisti sloveni”) <10: fino a qui Travan ammette di avere citato “illazioni”, quindi aggiungeva due testimonianze che sarebbero, a parer suo, inoppugnabili, e cioè l’affermazione dell’azionista Giovanni Paladin (“gli esponenti dell’OF sloveno trovando nel CLN un ostacolo insormontabile alle loro aspirazioni espansionistiche decisero di sbarazzarsi dei loro rivali italiani (…) denunciandoli alle SS”), e quella del socialista Carlo Schiffrer (“i nazionalisti lubianesi trovarono il modo di sbarazzarsi del Frausin facendolo cadere nelle mani delle SS”) <11.
In pratica si tratta di affermazioni che non costituiscono nulla di più che illazioni, ma essendo state riprese e ripetute negli anni, alla fine sono diventate una delle tante “leggende metropolitane” all’interno della controversa ricostruzione storica degli eventi del confine orientale. E ad esse si aggrappa anche Petronio allo scopo di diffamare chi invece cerca di fare una vera ricostruzione storica, che faccia anche piazza pulita di tutte le menzogne artatamente costruite per screditare e criminalizzare la Resistenza comunista ed internazionalista.
Claudia Cernigoi, 10 agosto 2013
NOTE:
1. R. Ursini-Ursič, “Attraverso Trieste”, Studio I 1996, p. 289.
2. G. Fogar, in “San Sabba. Istruttoria e processo per il lager della Risiera”, ANED Ricerche 1988, Tomo I, p. 29.
3. I due figli di Vittorio Gaspardis (che fu deportato e morì in Germania) del CLN triestino, erano Ricciotti, che fu deportato a Dachau ma sopravvisse, e Mazzini, che invece cadde in combattimento.
4. G. Fogar, in “S. Sabba…”, op. cit., I, p. 123. È curioso che nell’elenco reso pubblico degli appartenenti alla struttura “Gladio” appaia anche un Enzo Marsi, di Trieste, che ha però un’altra data di nascita.
5. R. Ursini-Ursič, “Attraverso Trieste”, op. cit., p. 279.
6.La Brigata San Giusto del CVL fu organizzata dal colonnello Emanuele Peranna, fedelissimo del generale Esposito (comandante di piazza a Trieste nel periodo nazista), ed in essa furono inseriti anche diversi agenti che avevano precedentemente fatto parte dell’Ispettorato speciale.
7. “Il Meridiano di Trieste” n. 20, 16/5/74.
8. “Il Meridiano di Trieste” n. 21, 23/5/74.
9. Livio Grassi è autore di alcuni libri di ricostruzione storica, non sempre attendibili.
10. Bogdan C. Novak (1911-2011) era uno storico sloveno che lasciò la Jugoslavia dopo il 1945 e lavorò per lo più negli Stati Uniti.
11. “Il Meridiano di Trieste” n. 22 30/5/74.
admin, A proposito della morte di Lugi Frausin, 10 febbraio 1947, 15 agosto 2013

La tesi della “delazione Slava” che per anni era stata legata alla morte di Luigi Frausin, sembra essere stata definitivamente smontata.
A questo tema, e più in generale al mito del comunismo del dopoguerra nell’area di dell’Alpe Adria, è dedicato il nuovo numero della rivista “Qualestoria”, dell’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia.
La rivista, intitolata “Il comunismo nell’area Alpe-Adria. Protagonisti, miti, demistificazioni”, si avvale del contributo di numerosi storici, fra gli altri Patrick Karlsen e Luca Manenti, che hanno curato l’edizione, ma anche Ravel Kodrič, studioso del comunismo internazionale, e Nevenka Troha, ricercatrice presso l’Istituto di storia contemporanea di Lubiana.
Il numero è stato presentato nel corso di un incontro al Circolo della stampa di Trieste: i relatori hanno messo in luce come nuovi documenti d’archivio, divulgati ora in forma integrale, minino alla base la tesi della “delazione slava” utilizzata nel dopoguerra per incolpare il Fronte di Liberazione sloveno della morte di Luigi Frausin e del gruppo dirigente del partito comunista italiano a Trieste nel 1944.
Frausin, dirigente del Partito comunista e organizzatore della resistenza armata a partire dal ’43, fu promotore del Comitato di Liberazione Nazionale triestino ed ebbe continui contatti con il Fronte di Liberazione sloveno. Fu arrestato, torturato e ucciso dai nazisti dopo esser stato tradito, una responsabilità che per anni fu attribuita ad elementi slavi: la recente documentazione però confuta questa teoria, attribuendone invece la responsabilità al servizio cetnico monarchico jugoslavo, come conferma uno dei curatori della rivista, Patrick Karlsen.
“Quello della “delazione slava – dice – è un luogo comune politico e mediatico, in parte anche storiografico, che è confluito addirittura nelle motivazioni espresse per la medaglia d’oro attribuita nel ’57 a Luigi Frausin: si parla apertamente di “delazione slava” con intento polemico nei confronti del Movimento di liberazione sloveno. In realtà questi recenti ritrovamenti documentali smentiscono questa versione a decenni di distanza dalla sua invenzione: si tratta di rapporti del servizio cetnico informativo sloveno a Trieste, che documentano appunto la caduta del PCI italiano e del VOS-VDV, il servizio informativo partigiano sloveno, all’interno della stessa operazione. È significativo che questo documento, che noi abbiamo ritrovato e pubblicato in formato integrale, fu pubblicato anche dalla stampa cominformista di Vidali nel ’49, ma ovviamente decurtato e manipolato, per escludere tutti i riferimenti che potevano essere comprensibili nei confronti della caduta della rete VOS-VDV. Vidali lo aveva utilizzato per incolpare anche lui i titoisti, accusati di aver tradito già nel ’44, manomettendo questo documento, che noi ora abbiamo trovato in formato integrale”.
“Frausin – aggiunge Karlsen – è stato trasformato in un simbolo di un presunto Comunismo italiano nazionale patriottico: aveva avuto dei contrasti con i comandi partigiani sloveni e con il Partito Comunista sloveno, questo è vero, però da qua a incolpare la resistenza slovena della sua morte ce ne corre, e molto”.
[…] L’inconsistenza di questa versione, utilizzata invece anche dal PCI per attaccare la Jugoslavia di Tito, era peraltro già nota da anni agli storici, come conferma Nevenka Troha, ricercatrice presso l’Istituto di storia contemporanea di Lubiana. “Non sono documenti nuovi – spiega -, c’erano già da anni, erano stati pubblicati dal Delo e dal Lavoratore nel ’49, ma con l’intenzione dei partiti pro-Cominform di dare la colpa agli sloveni. In seguito, questo documento è stato trovato e poi depositato nell’archivio dell’Istituto regionale di Trieste, e adesso siamo riusciti a pubblicarlo e a commentarlo, a confrontare i testi, sia quello pubblicato in sloveno sia quello in italiano. L’originale sloveno non esiste, almeno non abbiamo trovato, ma anche il pezzo che è stato estratto dalla pubblicazione, dimostra che l’autore del testo non fu un appartenente ai servizi sloveni, ma un rappresentante del servizio cetnico di informazione: quest’uomo alla fine del ’45 fu arrestato da parte dell’Ozna e interrogato, abbiamo trovato i contenuti dell’interrogatorio ed è tutto pubblicato e commentato nella rivista”. […]
Alessandro Martegani
Corrado Cimador, Nessuna “Delazione Slava” per Frausin, Radio Capodistria, 26 settembre 2019

Il caso Frausin.
Dopo avere spiegato come il CLN giuliano avesse agito nell’estate del 1944 in modo da impedire ogni collaborazione con gli sloveni e i comunisti, Paladin prosegue con delle affermazioni (prive di fondamento concreto) che portano a conclusioni politiche fuorvianti e molto gravi: “Gli esponenti dell’OF sloveno, trovando nel CLN un ostacolo insormontabile alle loro aspirazioni espansionistiche, decisero pochi giorni dopo di sbarazzarsi dei loro rivali italiani del CC denunciandoli alle SS (…) l’inizio della Porzûs giuliana era ormai in atto”. E prosegue spiegando che “la differenza tra la Porzûs giuliana e la Porzûs friulana consiste nel fatto che la prima ebbe di mira lo stroncamento del CLN giuliano, organo emintemente politico, e la seconda la eliminazione violenta delle formazioni militari che ostacolavano l’espansione jugoslava verso il Tagliamento. Unico invece era l’organo politico che guidò la mano omicida delle spie e dei sicari prezzolati: il governo clandestino della Slovenia di cui faceva parte il dott. Vratusa (…) Tutti gli avvenimenti che accaddero nella Venezia Giulia dal settembre – ottobre 1944 in poi trovano la loro spiegazione nel capovolgimento del fronte comunista, realizzato con l’inganno, col tradimento e col sangue”. Perché la “politica titina che si delineò nella Venezia Giulia dopo l’armistizio dell’8 settembre”, che si può, a parer suo, “compendiare in due fasi:
1) eliminazione dei fascisti mediante l’infoibamento (terrore);
2) assoggettamento subdolo o violento degli antifascisti italiani all’imperio della Jugoslavia di Tito (propaganda)” <35.
È interessante la denominazione di “Porzûs giuliana” data per cose che sarebbero avvenute sei mesi prima dei fatti di Porzûs, che furono l’epilogo di una serie di circostanze che non possono essere sintetizzate nelle parole di Paladin <36): ma va ribadito che la conclusione politica cui giunge l’analista è basata su presupposti non veri. Perché, prosegue Paladin, in Italia era necessario per l’OF “eliminare taluni membri della Segreteria politica troppo compromessi col CLN giuliano”: cioè “Luigi Frausin, suo nipote Giorgio, Vincenzo Gigante <37, Ermanno Solieri <38, Luigi Facchini, Alfredo (collaboratore di Gigante)” <39. In tal modo Branko Babič “aiutato dai suoi accoliti di parte italiana afferrò le redini del movimento comunista regionale che fu completamente asservito alle mire politiche di Lubiana” <40.
In merito a questa mai sopita polemica che attribuisce a “delazioni slave” gli arresti di Frausin e degli altri dirigenti del PC diciamo, come accennato prima, che tra agosto e settembre 1944 la repressione nazifascista colpì pesantemente a Trieste il movimento di resistenza: furono arrestati 75 militanti di formazioni collegate all’OF, ai GAP, all’UO-DE, 48 dei quali furono uccisi in Risiera o non rientrarono dalla deportazione nei lager germanici. Furono inoltre fucilati il 18/9/44 19 partigiani dell’EPLJ (tra i quali il dirigente comunista Natale Kolarich); ed in questo contesto furono arrestati tra agosto e dicembre cinque segretari del PC e 7 dirigenti del KPS (Komunistična partja Slovenje) tra i quali anche il segretario organizzativo del Comitato del KPS per il Litorale sloveno, Anton Velušček, ed il segretario del Comitato Circondariale dell’OF triestino Franz Segulin (che furono ambedue uccisi alla Risiera di San Sabba).
Frausin fu arrestato il 24/8/44, pochi giorni dopo l’arresto del nipote Giorgio, anch’egli partigiano, inquadrato della Brigata Garibaldi Trieste, nel corso di quell’operazione di polizia durata un paio di mesi che falcidiò il movimento partigiano triestino. Rudi Ursini-Ursič riporta quanto detto da Giorgio Iaksetich (a sua volta riferitogli dal sostituto di Frausin alla segreteria del Partito, Vincenzo Gigante) e cioè che il 24/8/44 “alle 14.30 Luigi Frausin ha un appuntamento alla fine di via Pindemonte sopra la Rotonda del Boschetto con uno che doveva dargli notizie del nipote Giorgio”, nipote al quale Frausin era particolarmente legato <41.
Secondo Galliano Fogar “probabilmente il delatore di Frausin fu un ex ufficiale partigiano della Garibaldi-Trieste passato al nemico”, che da quanto emerso in un processo celebrato nel 1946 sarebbe stato identificato in un certo Enzo Marsich (o Marsi) Giulio, confidente della SS e dell’Ispettorato, che fu condannato dalla Corte Straordinaria d’Assise a dieci anni “come delatore stipendiato dalle SS” per avere causato l’arresto di alcuni esponenti non comunisti del CLN, ma successivamente amnistiato. Però la Corte giudicò “insufficienti le prove relative alla delazione e alla cattura del Frausin di cui il Marsi si era vantato” <42.
È utile a questo punto leggere uno scambio di lettere apparso sul Meridiano di Trieste nel 1974, iniziato con una nota firmata da Guerrino Travan (che in una lettera successiva si qualificherà come combattente della Brigata San Giusto del CVL <43), nella quale asseriva che Frausin “per la sua coraggiosa precisazione a favore della soluzione italiana della questione triestina e istriana fu fatto cadere in mano ai nazisti” <44. A questa affermazione rispose un altro lettore, Biagio Gabardi, che domandò a Travan se avesse una prova di quanto diceva, asserendo che invece egli si limitava a ripetere “quello che è stato detto da altri, primo, già il 25 agosto 1945, da don Marzari a Muggia, il quale in quell’occasione promise che tra breve avrebbe fatto conoscere la documentazione. Tale documentazione non fu mai prodotta né da lui da altri (…)”45.
La replica di Travan si limitò a ribadire di avere “appreso da don Marzari” del fatto che Frausin sarebbe stato tradito dai suoi compagni di partito, ma che la sua “convinzione” trova “fondamento” anche da altre fonti, citando Livio Grassi (“è opinione comune che Frausin sia stato arrestato dai tedeschi proprio su denuncia di elementi dell’OF”)46, Bogdan Novak (“alcune fonti italiane manifestarono il sospetto che Frausin e gli altri membri del CLN fossero traditi dai comunisti sloveni”) <47; e dopo queste che lo stesso Travan definisce “illazioni” aggiungeva le già viste affermazioni di Paladin e quelle del socialista Carlo Schiffrer (“i nazionalisti lubianesi trovarono il modo di sbarazzarsi del Frausin facendolo cadere nelle mani delle SS”) <48, definendole, non si comprende per quale motivo, “inoppugnabili”.
Sostanzialmente si tratta di affermazioni che nonostante non abbiano alcun riscontro concreto, continuano ad essere riprese non solo da opinionisti ideologicamente schierati su base anticomunista e nazionalista, ma anche, purtroppo, da storici <49.
Ursič aggiunge di avere riscontrato un “incredibilmente basso livello del rispetto delle più elementari norme cospirative che regnava nell’organizzazione del PCI di Trieste e provincia e della totale irresponsabilità del capo che avrebbe dovuto presiedere alla sicurezza dell’organizzazione e dei suoi dirigenti”. <50 Oltretutto, se consideriamo le perdite subite dalla Resistenza jugoslava, ci riesce difficile credere che la realpolitik dell’OF arrivasse a far arrestare tanti propri collaboratori solo per poter eliminare un dirigente politico che si trovava in disaccordo su una cosa della quale si sarebbe comunque dovuto discutere in tempi non tanto vicini (dove del resto la posizione di Frausin rispetto alla futura appartenenza politico-amministrativa della Venezia Giulia non era assolutamente di rottura con i dirigenti jugoslavi).
35 G. Paladin, “La lotta clandestina di Trieste nelle drammatiche vicende del CLN della Venezia Giulia”, 1954, riedizione Del Bianco 2004, p. 191.
36 Il 7/2/45 un gruppo di garibaldini comandati da Mario Toffanin Giacca arrestarono e giustiziarono un gruppo di partigiani della Osoppo, tra cui i dirigenti Gastone Valente Enea e Francesco De Gregori Bolla. Per motivi di spazio non possiamo approfondire qui la vicenda (si veda Alessandra Kersevan, “Porzûs. Dialoghi sopra un processo da rifare”, KappaVu 1995), ma andrebbero considerati quantomeno gli abboccamenti in funzione anticomunista tra Osoppo e Decima Mas ed il fatto che Radio Londra aveva denunciato come spia una donna che si trovava a Porzûs al momento dell’eccidio.
37 Antonio Vincenzo Gigante Ugo fu ucciso nella Risiera di San Sabba nel novembre del 1944.
38 Arrestato il 30/10/44, deportato a Mauthausen e Gusen, rientrò a Trieste dopo la Liberazione.
39 Si trattava di Alfredo Valdemarin, arrestato il 6/12/44 ed ucciso nella Risiera di San Sabba il 19 dicembre.
40 G. Paladin, op. cit., p. 49, 53. Babič era un dirigente sloveno del Partito comunista triestino.
41R. Ursini-Ursič, “Attraverso Trieste”, Studio I 1996, p. 289. Ursini-Ursič, attivista dell’OF, fu segretario del Consiglio di liberazione di Trieste nei “40 giorni”.
42 G. Fogar, in “San Sabba. Istruttoria e processo per il lager della Risiera”, ANED Ricerche 1988, Tomo I, p. 29 e p. 123. Nell’elenco reso pubblico degli appartenenti alla struttura “Gladio” appare anche un Enzo Marsi, di Trieste, che ha però un’altra data di nascita (cfr. S. Flamigni, “Dossier Gladio” Kaos 2012, p. 112).
43 Nella Brigata San Giusto del CVL furono inseriti anche diversi agenti dell’Ispettorato speciale, come vedremo più avanti.
44 Il Meridiano di Trieste, n. 20, 16/5/74.
45 Il Meridiano di Trieste, n. 21, 23/5/74.
46 Livio Grassi è autore di alcuni libri di ricostruzione storica, non sempre attendibili.
47 Bogdan C. Novak era uno storico sloveno che lasciò la Jugoslavia dopo il 1945 e lavorò per lo più negli Stati Uniti.
48 Il Meridiano di Trieste, n. 22, 30/5/74.
49 Riportiamo come esempio un passaggio di Raoul Pupo, che pur non osando affermare con certezza che Frausin sarebbe stato tradito dall’OF, dice che i “quadri comunisti giuliani” che non si adeguano alla collaborazione con il movimento di liberazione jugoslavo “hanno molta sfortuna”, perché “poco dopo vengono quasi tutti individuati dai tedeschi, arrestati ed ammazzati”, come Luigi Frausin e Riccardo Gigante (ne “I giorni di Trieste”, Laterza 2014, p. 174).
50 R. Ursini-Ursič, op. cit., p. 279.
Claudia Cernigoi, Le Due Resistenze di Trieste, Supplemento al n. 328 – 26/3/15 de “La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo”