Tra i 23 della lapide, c’erano alcuni dei giovani eroi da me incontrati alla fine di agosto del 1944

Memoriale dell’Eccidio della Caserma Mignone di Bolzano (12 settembre 1944)
Fonte: Comune di Bolzano

[…] Noi del Comitato di Liberazione di Verona siamo nel carcere degli Scalzi da un mese. Si aprono le porte delle nostre celle 23 e 24 e un secondino grida l’appello dei nostri otto cognomi e nomi. Due soldati tedeschi, senza neppure il fucile, ci scaraventano su un autocarro che ci porta al non lontano palazzo delle assicurazioni INA, trasformato in sede dei servizi segreti nazisti. Saprò solo di recente che proprio là si decisero i destini di tutte le decine di migliaia di deportati italiani, ebrei e politici. Si trovava a poche decine di metri dalla mia abitazione di corso Vittorio Emanuele (oggi corso Porta Nuova).
Ci spingono nel buio di alcune celle sotterranee. Ci sono altri prigionieri, coperti di sangue raggrumato per le ripetute torture da parte delle SS. Sono sei giovani, paracadutati o sbarcati oltre la linea del fronte in alcune operazioni di intelligence per l’esercito italiano, ora alleato con gli angloamericani. Nessuno ha tradito la sua missione e nessuno conosce il proprio destino.
Noi politici speriamo di essere liberati perché in loro confronto contiamo poco.
Ci fanno montare sul solito autocarro. Questa volta i soldati tedeschi di scorta sono armati. Un caporale ostenta il suo mitra, che gli penzola sul petto come un crocefisso.
Arriviamo a Bolzano, campo di transito di Gries. Ci sistemano in un hangar circondato da un recinto di filo spinato: si tratta del blocco “E”, quello dei pericolosi.
I sei giovani sono eccezionali: sei campioni di umanità dotati di quelle virtù destinate dalla Natura a guidare la civiltà. Forti sani e colti, parlano ciascuno non meno di quattro lingue. Sono votati alla morte e venuti dal mare o dall’aria per liberare la nostra gente. Se per i tedeschi sono colpevoli, per noi sono colpevoli di onore. Due sono fiorentini, uno è romano, un altro veneziano ed uno torinese. Il sesto, il più attempato, sulla quarantina, è ebreo e non ci dice il suo nome. Indossa una uniforme britannica. Si esprime con noi in latino perché dice di non parlare l’italiano.
Il veneziano, che è un attore, autore e poeta del Teatro goldoniano, mi prega, se sopravvivo, di andare a trovare sua madre. Poi incita a cantare uno dei fiorentini, che altrimenti è balbuziente e scontrosamente introverso. Anche noi lo preghiamo, e lui, nel più bell’accento dantesco, intona una canzone melodica in voga, perde la balbuzie e l’armonia della sua voce ci sorprende.
La mattina seguente li portano via. Il capocampo, un maggiore dell’Aeronautica militare, ci informa che sono stati uccisi tutti.
Noi del CLN siamo risparmiati. Facciamo parte di un trasporto di 433 deportandi che partirà per il campo di Flossenbürg. E’ il 5 settembre 1944.
Fin qui la mia memoria a caldo degli eventi di quell’agosto di 75 anni fa.
[…] Per esempio, quasi 60 anni dopo quegli eventi, la mia amica Carla Giacomozzi, dell’archivio storico della città di Bolzano, ha ricostruito le vicende di quattro dei sei giovani incontrati da me. Si è chiesta a chi appartenessero i 23 nomi incisi su una lapide posta in un sacrario militare. Ha scoperto che si trattava dei 23 trucidati dai nazisti il 12 settembre 1944 con un colpo di pistola alla nuca nelle stalle della caserma Mignone di Bolzano.
Spulciando negli archivi inglesi e americani e grazie anche ai memoriali pubblicati da Peter Tompkins, agente segreto americano collaboratore della Resistenza in Italia, la Giacomozzi ha ricostruito gran parte delle missioni di intelligence in cui erano stati coinvolti i 23 trucidati.
Ciascuna missione era formata da tre agenti: un comandante e due radiotelegrafisti che paracadutati o sbarcati nella zona ancora occupata dai nazifascisti, dovevano prendere contatto con le formazioni partigiane locali e trasmettere le opportune informazioni.
Tra i 23 della lapide, c’erano alcuni dei giovani eroi da me incontrati alla fine di agosto del 1944. Pur con qualche imprecisione, ricordavo qualche nome: Il veneziano era Antonio (per me “Toni”) Baldanello, sbarcato dal sommergibile Nichelio e catturato il 1 dicembre 1943 in provincia di Rovigo; i due fiorentini erano Sergio Ballerini e Ferdinando Ferlini (nel mio ricordo “Cristini”); il romano era Ernesto Pucella (per me “Uccella”). Degli ultimi tre si sa soltanto che erano paracadutisti della divisione Folgore fatti prigionieri dagli Inglesi nella battaglia di El Alamein del 23 ottobre 1942. Non ci sono documenti sulla loro missione, ma si presume che siano stati impiegati come agenti al servizio degli alleati.
Ma sono venuto al corrente anche delle vicende dell’ebreo in uniforme britannica, che diceva di non parlare l’Italiano. Qualche anno fa ricevetti una telefonata da Israele da parte della scrittrice Clara Sereni, che aveva letto un mio libro che citava quello che con noi del CLN si era qualificato con il nome di “Samuel Barda”. Si trattava in realtà di Enzo Sereni, sionista italiano, figlio del medico del Re d’Italia, fratello di Emilio (futuro senatore del Partito comunista e padre di Clara). Era stato paracadutato il 15 maggio 1944 e subito catturato nei pressi di Lucca. Inizialmente scampato all’eccidio della caserma Mignone del 12 settembre 1944 – ed ecco perché il nome non compare nella lapide – appresi che fu poi deportato a Dachau il 5 ottobre e ucciso il 18 novembre 1944.
Infine, pur con qualche difficoltà, abbiamo ricostruito anche le vicende del torinese, Alessandro Teagno, nome di copertura “Marelli” (molti dei radiotelegrafisti usavano quel nome essendo la Marelli la marca di radio più comune allora). Teagno non era incluso tra i 23 della lapide perché era riuscito ad evadere dal campo di Bolzano, insieme al suo compagno di missione Matteo De Bona, evidentemente prima dell’eccidio del 12 settembre. Dopo l’evasione Teagno si unì ai partigiani con il nome di battaglia di “Luciano Lupi”. Fu arrestato nuovamente con De Bona (alias “Lari”) il 15 febbraio 1945. Furono entrambi fucilati il 3 marzo 1945 nel poligono di tiro del Martinetto di Torino.
Una successiva breve biografia del comandante Alberto Sartori (alias “Carlo”) ci ha permesso di ricostruire le vicende della missione “Guido Costa” (un altro dei nomi di copertura di Sartori). Carla Giacomozzi, non essendo Teagno tra i 23 nomi sulla lapide, non aveva fatto ricerche in proposito. Sartori, comunista, era fuoriuscito dall’Italia a Parigi negli anni ’30. Fu arruolato nell’esercito francese ed inviato in Tunisia. Nel maggio del 1943 fu scelto dai locali dirigenti del PCI, tra cui Velio Spano (di Teulada, futuro membro della Costituente e senatore della circoscrizione Guspini-Iglesias per quattro legislature consecutive): doveva reclutare due radiotelegrafisti tra i militari italiani prigionieri di guerra degli alleati. Fu così che Sartori, spacciandosi per mazziniano per evitare le perplessità alleate nei confronti di un comunista, conobbe Teagno e De Bona. Furono tutti e tre paracadutati il 21 agosto 1943 in Piemonte, ma subito catturati. Sartori riuscì ad evadere il 21 maggio 1944 dal Forte San Leonardo di Verona e raggiunse una formazione partigiana. Sopravvisse alla guerra e fece poi parte del primo comitato centrale del Partito Comunista d’Italia Marxista Leninista alla fine degli anni ‘60. […]
Vittore Bocchetta, Così ho ricostruito la storia di quei sei eroi di 75 anni fa, Il Risveglio della Sardegna, 12 agosto 2019

La nuova ipotesi di “lettura” dell’eccidio del 12.09.1944 che questa ricerca propone lo considera come una strage organizzata, per la quale le vittime furono scelte con precise motivazioni. La visione tradizionale, che considerava l’eccidio come una rappresaglia compiuta in risposta a fatti mai definiti uccidendo a caso solo per “vendicare” la morte di altri, scoraggia l’individuazione di legami fra i 23 e questo può aver causato il silenzio di decenni sul fatto.
La nuova ipotesi è che i 23 furono scelti per essere uccisi, e che la loro morte sia dipendente dalla scelta di campo che essi compirono dopo l’8 settembre 1943: per 19 dei 23 la ricerca fornisce notizie sulle missioni di sabotaggio e di intelligence di cui fecero parte tra la fine del 1943 e la primavera del 1944. E’ auspicabile che nuove indagini confermino la validità di questa ipotesi anche per i 4 uomini di cui al momento non è stata reperita documentazione.
2.1 Dati anagrafici e fotografie
La ricostruzione della corretta identità dei 23 permette sia di ridare dignità anagrafica agli uccisi, sia di conservarne la memoria.
Le foto sono state gentilmente fornite dalle famiglie contattate e si riferiscono a periodi antecedenti il settembre 1943.
I dati anagrafici dei 23, qui riportati in ordine alfabetico per cognome, sono desunti dagli atti di morte dell’Ufficio Servizi Demografici del Comune di Bolzano e dagli atti del Tribunale Civile e Penale di Bolzano, controllati e confrontati con i documenti trasmessi dai comuni di nascita dei 23. I dati anagrafici si riferiscono ai primi anni Quaranta.
Si rileva come non siano presenti nei registri di morte dell’Ufficio Stato Civile del Comune di Bolzano gli atti di morte relativi a tre dei 23 (Battaglia, Ferlini e Pucella).
Fra i 23 vi sono ben sette uomini decorati di medaglia al valor militare nel dopoguerra, con motivazioni riportate in calce ai profili anagrafici. Le motivazioni indicano date di morte diverse fra di loro. 13 L’ufficio del Ministero della Difesa deputato alla concessione delle medaglie non dispone di notizie utili a comprenderne il motivo. 14
L’indicazione di Stati e province è riferita ai confini amministrativi attuali.
Per il dettaglio delle fonti con le quali è stato redatto questo capitolo vedasi il Capitolo 10.1, Fonti dei dati anagrafici.
VILORES APOLLONIO 15
Nato a Pola (oggi Pula, Croazia) il 12 marzo 1923.
Figlio di Giovanni e di Mozzetti Celestina.
Residente a Pola in via Orseolo n. 8.
ANTONIO BALDANELLO
Nato a Bologna il 21 novembre 1912.
Figlio di Giuseppe e di Prosdocimi Dora.
Residente a Venezia in San Polo n. 1840.
Professione: studente di musica, militare.
Stato civile: coniugato.
SERGIO BALLERINI
Nato a Firenze il 4 novembre 1919.
Figlio di Roberto e di Bor gonetti16 Elisa.
Residente a Firenze in via Cappuccio n. 98.
Professione: militare.
Stato civile: celibe.
FRANCESCO BATTAGLIA
Nato a Bitonto (Bari) il 6 settembre 1919.
Figlio di Vincenzo e di Abbatanduono Anna Maria.
Residente a Bitonto in via Castelfidardo n. 47.
Professione: non indicata.
Stato civile: celibe.
Medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria, concessa nel
1947 con la seguente motivazione:
“Volontario per una missione di guerra veniva aviolanciato nelle retrovie
nemiche come elemento di collegamento coi patrioti. Arrestato
quasi subito dopo il suo arrivo in zona occupata, fedele alla causa,
teneva di fronte ai Tedeschi fiero contegno, rifiutandosi, malgrado i
maltrattamenti subiti, di rivelare le fila dell’organizzazione cui apparteneva,
finché per reazione alla passiva resistenza, veniva fucilato.
Nobile esempio di elette virtù militari. Italia settentrionale 15
gennaio 1944 – 12 aprile 1944.”
CESARE BERARDINELLI
Nato a Venezia il 5 maggio 1917.
Figlio di Alfredo e di Galvagna Alba.
Residente a Roma.
Professione: militare.17
Stato civile: coniugato con due figli. 18
Medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria, concessa nel 1948
con la seguente motivazione:
“Esente da obblighi militari abbandonava la famiglia e passava le linee
per mettersi a disposizione di un comando italiano, offrendosi volontario
per missione di guerra nel territorio occupato dal nemico. Sbarcato a
tergo delle linee avversarie e catturato, dopo lunga e penosa detenzione
in un campo di concentramento veniva fucilato. Esempio di amor patrio
e di grande coraggio. Fronte italiano, novembre 1943 – settembre 1944.”
GUIDO BOTTA
Nato a Bari il 1. giugno 1895.
Figlio di Antonio e di Maggio 19 Concetta.
Residente a Bari in via Vallisa n. 9, domiciliato a Roma in Viale
Mazzini n. 117.
Professione: militare.
Stato civile: celibe.
FRANCESCO COLUSSO 20
Nato a San Michele al Tagliamento (Venezia) il 12 aprile 1916.
Figlio di Guglielmo e di Moni Anna.
Residente a San Michele al Tagliamento.
Professione: tenente di complemento del 26. reggimento di fan –
teria a Latisana (Venezia), maestro, laureando in giurisprudenza.
Stato civile: celibe.
Medaglia di bronzo al Valor Militare per un atto eroico compiuto
in Africa nel 1942 (medaglia concessa nel 1950).
ANDREA DEI GRANDI
Nato a Venezia il 3 novembre 1919.
Figlio di Romano e di Spinola Elisa.
Residente a Venezia in Cannaregio n. 2353.
Professione: meccanico, motorista navale nell’esercito.
Stato civile: celibe.
DOMENICO DI FONZO 21
Nato a Campodimele (Latina) il 15 marzo 1917.
Figlio di Antonio e di Capriccio Giuseppa.
Residente a Pizzighettone (Cremona).
Professione: maresciallo del regio esercito, addetto al reclusorio
militare di Pizzighettone.22
Stato civile: coniugato con tre figli.
POMPILIO FAGGIANO 23
Nato a San Donaci (Brindisi) il 4 giugno 1916.
Figlio di Vincenzo e di Sturdà Vita Maria.
Residente a San Donaci in via Niccolò Macchiavelli n. 3.
Professione: militare.
Stato civile: coniugato 24 con due figli.
Medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria, con la seguente motivazione:
“Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma 20 maggio 1948. Volontario
per una missione di guerra in territorio italiano occupato dal
nemico, veniva aviolanciato nelle retrovie avversarie.
Arrestato nell’adempimento del dovere sopportava serenamente lunghi
mesi di prigionia. Inviato in un campo di concentramento dell’Italia settentrionale
vi cadeva vittime delle barbarie tedesche. Italia settentrionale,
28 febbraio 1944 – 19 settembre 1944.”
FERDINANDO FERLINI
Non reperiti dati anagrafici.
ANTONIO FIORENTINI
Nato a Bologna il 8 ottobre 1900.
Figlio di Alfonso e di Forni Giuseppina.
Residente a Bologna.
Professione: non indicata.
Stato civile: coniugato con due figli.
DOMENICO FOGLIANI
Nato a Reggio Emilia il 17 aprile 1921.
Figlio di Leonida e di De Pietri 25 Giuditta.
Residente a Verona in via S. Paolo n. 17.
Professione: capostazione radiotelegrafista appartenente allo
Stato Maggiore regio esercito, compagnia teleradio.
Stato civile: celibe.
TITO GENTILI
Nato a Fano (Pesaro e Urbino) il 3 ottobre 1921.
Figlio di Vito e di Porfiri Maddalena.
Residente a Fano (Ancona).
Professione: aviere, assistente edile.
Stato civile: celibe.
Medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria, con la seguente
motivazione:
“Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma 14 marzo 1948 .
Offertosi volontario per operare in territorio italiano occupato dai Tedeschi,
veniva aviolanciato nelle retrovie avversarie in qualità di R.T. di
una missione di collegamento. Dopo un breve periodo di attività veniva
arrestato dal nemico nell’adempimento del proprio dovere. Deportato in
un campo di concentramento dell’Italia settentrionale sopportava stoicamente
maltrattamenti e disagi rifiutandosi di rivelare le fila dell’organizzazione
cui apparteneva. Per reazione alla passiva resistenza, determinata
da elevato senso del dovere, veniva fucilato. Italia settentrionale, 15
febbraio 1944 – 12 settembre 1944.”
DANTE LENCI 26
Nato ad Arcevia (Ancona) il 1. dicembre 1919.
Figlio di Amato e di Branchini Maria.
Residente a Sassoferrato (Ancona).
Professione: ex ufficiale della regia marina.
Stato civile: celibe.
Medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria, con la seguente
motivazione:
“Volontario per una operazione di guerra, sbarcato clandestinamente
come capo missione militare in territorio occupato dal nemico, riusciva,
superando con abilità e coraggio impreviste difficoltà, ad impiantare
una efficiente organizzazione. Arrestato dal nemico, sotto i duri
interrogatori teneva contegno degno di un soldato, chiudendosi in un
orgoglioso silenzio. Dopo nove mesi di detenzione veniva fucilato in
un campo di concentramento. Fronte italiano, 29 settembre 1943 – 11
settembre 1944.”
GIAN PAOLO MAROCCO 27
Nato a Varese il 1 aprile 1920.
Figlio di Domenico e di Rossi Giuditta.
Residente a Varese in via Mazzorati n. 15.
Professione: articolatore; marinaio sottocapo; radiotelegrafist a
sulla corazzata Vittorio Veneto.
Stato civile: celibe.
Medaglia di bronzo al Valor Militare alla memoria, con la seguente
motivazione:
“Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma 20 maggio 194 8.
Volontario per una rischiosissima missione di guerra veniva sbarcato
clandestinamente nel territorio italiano occupato dal nemico. Catturato
allo sbarco, duramente interrogato e detenuto per otto mesi, veniva
successivamente fucilato in un campo di concentramento tedesco .
Fronte italiano, 30 novembre 1943 – 1 1 agosto 1944.”
DOMENICO ALDO MONTEVECCHI
Nato a Faenza (Ravenna) il 6 agosto 1909.
Figlio di Santo e di Succi Virginia.
Residente a Faenza.
Professione: sarto.
Stato civile: coniugato.
ERNESTO PAIANO
Nato a Maglie 28 (Lecce) il 28 novembre 1917. 29
Figlio di Angelo e di Cassa Leonida.
Residente: località non nota.
Professione: non indicata.
Stato civile: coniugato.
Medaglia d’argento al Valor Militare alla memoria, con la seguente
motivazione:
“Repubblica Italiana Ministero della Difesa. Roma 14 marzo 1948 .
Volontario per una missione di guerra in territorio italiano occupato dal
nemico veniva aviolanciato nelle retrovie avversarie.
Arrestato nell’adempimento del compito assegnatogli, sopportava lunghi
mesi di prigionia. Inviato in un campo di concentramento dell’Italia settentrionale
sopportava stoicamente maltrattamenti e disagi rifiutandosi
di rivelare le fila dell’organizzazione cui apparteneva.
Per reazione alla passiva resistenza, determinata da elevato se nso del
dovere, veniva fucilato.
Italia settentrionale, 28 febbraio 1944 – 12 settembre 1944.”
ANTONIO PAPPAGALLO 30
Nato a Molfetta (Bari) il 2 gennaio 1898.
Figlio di Domenico e di Del Vescovo Rosa.
Domiciliato a Roma in via della Giuliana n. 70.
Professione: maresciallo della regia marina.
Stato civile: coniugato con due figlie.
MILO PAVANELLO 31
Nato a Barbona (Padova) il 10 ottobre 1909.
Figlio di Domenico Giuseppe e di Gasparini Lavinia Celeste.
Residente a Milano in via Pierlombardo n. 8.
Professione: elettrotecnico nel regio esercito; disegnatore.
Stato civile: coniugato.
ANGELO PREDA
Nato a Verano Brianza (Monza e Brianza) il 17 ottobre 1917.
Figlio di Achille e di Viganò Giuseppa Maria.
Residente a Monza in via Cairoli n. 4.
Professione: militare marconista, panettiere.
Stato civile: celibe.
ERNESTO PUCELLA 32
Nato a Castel Madama (Roma) il 9 settembre 1918.
Figlio di Luigi e di Chicca Francesca.
Professione: soldato del 81. Reggimento Fanteria.
ANNIBALE VENTURI
Nato a San Felice sul Panaro (Modena) il 20 febbraio 191 1.33
Figlio di Enrico e di Guidetti Aldina.
Residente a Ferrara.
Professione: impiegato.
Stato civile: vedovo; nuovamente coniugato, con due figli.
[…] Secondo la testimonianza dell’ammiraglio Antonio Fedele, che faceva parte con Dante Lenci della missione Croft, l’8 settembre 1943 colse Lenci a Brindisi presso il IX Gruppo Sommergibili al Comando Forze Armate, dove fu ospitato dalla sera del 10 settembre 1943 il Governo dell’Italia libera di Badoglio. A metà settembre 1943 Lenci fu contattato dal comandante Galletti del SIM, che cercava nell’ambito della Regia Marina, e più specificamente tra i sommergibilisti, degli ufficiali volontari per una missione informativa nell’Italia occupata dai tedeschi. Lenci aderì e fu reclutato per la missione dall’ammiraglio Anton Vittorio Cottini e distaccato presso il Comando Supremo alle dipendenze del maggiore Marchesi, capo dell’810° Italian Service Squadron. Fu istruito negli uffici del SIM di Brindisi sui sistemi di cifratura dei messaggi e sul funzionamento della radio da ufficiali inglesi dell’Intelligence Service maggiore Page e tenente Mallaby, che lavoravano in stretto contatto con il SIM. Lenci aveva da poco terminato il corso Allievi Ufficiali di Complemento dell’Accademia Navale di Livorno. […]
13 Le riassumiamo qui: Battaglia: 12 aprile 1944, Berardinelli: settembre 1944, Faggiano: 19 settembre 1944, Gentili: 12 settembre 1944, Lenci: 11 settembre 1944, Marocco: 11 agosto 1944, Paiano: 12 settembre 1944.
14 Lettera del 04.08.2005 inviata dal Direttore della Divisione del Ministero della Difesa / Direzione Generale Leva / Reclutamento obbligatorio / Militarizzazione Mobilitazione civile e Corpi ausiliari.
15 Si segnala la grafia errata del nome sulla lapide di sinistra del Cimitero Militare di San Giacomo: Willores anziché il corretto Vilores.
16 La forma corretta del cognome è Borgonetti, come comunicato dall’Ufficio di Anagrafe del Comune di Firenze, e non Berganetti come compare nell’atto di morte parte II serie C dello Stato Civile del Comune di Bolzano.
Professione: non indicata. Stato civile: celibe.
17 Sul diploma di concessione della medaglia d’argento al valor militare Berardinelli è indicato come “civile, funzionario di Ala Littoria, S.M.E.” nonché come “esente da obblighi militari”. Ala Littoria fu la prima compagnia aerea italiana di stato per il trasporto di passeggeri e di posta, e fu operativa dal 1934 al 1941.
18 L’atto di morte II B n. 487 del 21.11.45 lo indica come celibe.
19 La forma corretta del cognome è Maggio, come comunicato dalla Ripartizione Servizi Demografici del Comune di Bari, e non Di Maggio come compare negli atti di morte dello Stato Civile del Comune di Bolzano.
20 Si segnala la grafia errata del cognome sulla lapide di sinistra del Cimitero Militare di San Giacomo: Collusso anziché il corretto Colusso.
21 Si segnala la grafia errata del cognome sulla lapide di sinistra del Cimitero Militare di San Giacomo: Difonso anziché il corretto Di Fonzo.
22 Su un documento del 5.4.1942 Domenico Di Fonzo figura come Sergente Maggiore presso la Caserma Piave di Pizzighettone (archivio famiglia Di Fonzo).
23 La forma corretta del cognome è Faggiano, come comunicato dal Comune di San Donaci, e non Faggiani come compare negli atti di morte dello Stato Civile del Comune di Bolzano.
24 L’atto di morte II B n. 484 del 21.11.45 lo indica come celibe.
25 La forma corretta del cognome è De Pietri, come comunicato dai Servizi Demografici del Comune di Reggio nell’Emilia, e non Dipietri come compare negli atti di morte dello Stato Civile del Comune di Bolzano.
26 Si segnala la grafia errata del cognome sulla lapide di destra del Cimitero Militare di San Giacomo: Leuci anziché il corretto Lenci.
27 Si segnala la grafia errata del nome sulla lapide di destra del Cimitero Militare di San Giacomo: Gianpaolo anziché il corretto Gian Paolo
28 Gli atti di morte dello Stato Civile del Comune di Bolzano lo indicano erroneamente come nato a Moglia in prov. di Mantova il 28.11.1917, anziché nato a Maglie (Lecce) il 28.10.1906, come comunicato dalla Città di Maglie.
29 La data di nascita risulta diversa nel testo redatto da E. Panarese, 1975, pagina 16: 29 ottobre 1916.
30 La forma corretta del cognome è Pappagallo, come comunicato dai Servizi Demografici del Comune di Reggio nell’Emilia, e non Papagallo come compare negli atti di morte dello Stato Civile del Comune di Bolzano.
31 La forma corretta del cognome è Pavanello, come comunicato dal Comune di Barbona, e non Pavanelli come compare nell’atto di morte n. 449 parte
II serie B e nell’atto di morte n. 142 parte II serie C dello Stato Civile del Comune di Bolzano.
32 Si segnala la grafia errata del cognome sulla lapide di destra del Cimitero Militare di San Giacomo: Rucella anziché il corretto Pucella.
33 Gli atti di morte dello Stato Civile del Comune di Bolzano indicano erroneamente la data di nascita al 11.11.1911; la comunicazione corretta proviene dal Comune di San Felice sul Panaro.
Carla Giacomozzi, 23. Un eccidio a Bolzano, Quaderni di Storia Cittadina, Volume 4, Città di Bolzano / Assessorato alla Cultura, alla Convivenza, all’Ambiente e alle Pari Opportunità, Ufficio Servizi Museali e Storico-Artistici, Archivio Storico, 2011

[…] Vittore Bocchetta.
Nasce a Sassari qualche giorno dopo la fine della Prima guerra mondiale e per celebrare la vittoria gli viene imposto il nome Vittore. Il padre è ufficiale del Genio sottoposto a continui trasferimenti e in uno di questi il giovane Vittore, frequentante a Bologna il ginnasio gesuita, ha il suo primo scontro con i detentori del potere.
L’insegnante di religione lo prende in giro per le sue origini sarde e lui, ribellatosi all’ingiuria, dopo aver ricevuto una bacchettata in testa gli scaglia contro il calamaio che però va a colpire il ritratto del Re. Il padre, dapprima furente, capisce poi che è stata perpetrata un’ingiustizia verso il suo ragazzo e lo ritira dalla scuola. Questa decisione del padre da lui amatissimo segna la giovinezza di Vittore.
Ancora negli ultimi anni di vita rimpiangeva di aver dovuto sostenere per parecchi anni gli esami da privatista senza più frequentare la scuola e godere dell’amicizia e della complicità dei compagni. Trasferito a Verona il padre Manfredi muore dopo breve malattia ancor giovane lasciando nello sconforto e nelle difficoltà Vittore che, dopo essere tornato in Sardegna con la madre e i fratelli e aver conseguito la maturità classica, decide di ritornare a Verona a vivere da solo.
I rapporti con la madre saranno sempre un capitolo doloroso della sua vita. Sono varie e intricate le vicende di Vittore di quel periodo.
Trascorre alcuni mesi in Libia impiegato nell’amministrazione militare riuscendo, con il pretesto di dover sostenere un esame universitario, a rientrare in patria poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia. A Verona può contare su qualche amicizia ma soprattutto sulla sua intraprendenza e sul suo ingegno. Come ha sempre sostenuto lui era uno spirito libero ma non un antifascista; potremo catalogarlo fra quei giovani cresciuti nel fascismo e nei suoi miti senza esserne più di tanto coinvolti.
Certo Vittore non ama le adunate, le divise, il chinare la testa agli ordini superiori. Sono proprio i fascisti a farlo diventare un antifascista.
Capita che una sera quando già l’Italia è entrata nella Seconda guerra mondiale si trova in un bar per ripararsi dalla pioggia quando entrano due membri dei battaglioni M (ai ragazzi nelle scuole diceva sempre che a quell’emme lui e i suoi amici attribuivano un altro significato) mentre alla radio si sta leggendo il bollettino di guerra. I due intimano ai presenti di alzarsi e Vittore risponde che solo alla lettura del mattino era obbligo ascoltarlo in piedi. Lo percuotono, gli fanno cadere gli occhiali ma lui indomito risponde colpo su colpo e solo l’intervento di un ufficiale lo salva.
Da allora gli organi del fascismo veronese lo identificano come sovversivo da controllare.
Entra in contatto con un piccolo nucleo antifascista di matrice comunista facente capo allo scultore Berto Zampieri dove conosce e diventa amico di un esule, Darno Maffini, che ogni tanto rientra a Verona da Parigi. Vittore non aderisce a nessun gruppo politico, non ne sente la necessità, vuol conservare la sua indipendenza di giudizio e di azione. La caduta del fascismo, l’occupazione tedesca, la costituzione della Repubblica sociale sono momenti vissuti da Bocchetta con intensità sempre più legato a quanti intendono opporsi al nuovo ordine fascista che si è costituito in città e nel Paese.
Nei giorni dell’armistizio con l’aiuto di don Allegrini, parroco della chiesa della Santissima Trinità, e di tante semplici donne del popolo aiuta centinaia di soldati a fuggire dalla caserma in cui erano rinchiusi dai tedeschi. Sempre ricordava alle scolaresche, scandendo forte il suo pensiero, il ruolo svolto dalle donne con generosità verso questi giovani loro compatrioti.
Viene arrestato una prima volta nel novembre 1943 quale appartenente a un primo Comitato di liberazione facente capo a Giuseppe Tommasi e trascorre alcuni mesi nell’ex sede del circolo rionale Filippo Corridoni a Porta Vescovo (fra gli altri è lì detenuto Norberto Bobbio che ricorderà quei giorni in una lettera a Vittore) e il carcere degli Scalzi nella zona di Porta Palio. Viene liberato come quasi tutti i membri di quel primo Cln e subito entra a far parte del secondo Cln più strutturato con rappresentanti dei partiti politici e in cui emerge la figura di Francesco Viviani del Partito d’Azione, il raggruppamento al quale Bocchetta sarà sempre idealmente legato.
Basti dire che per la festa dei suoi 100 anni a consegnare la targa dell’ANPPIA era venuto a Verona Ferruccio Parri, nipote del ‘Maurizio’ capo della Resistenza e grande figura dell’antifascismo. Ebbene, quando Vittore vide il giovane Parri che conosceva si commosse fino alle lacrime nel ricordo del nonno e della lotta di Liberazione.
Bocchetta entra però nel secondo Cln come indipendente e se qualcuno mugugna è Viviani a fare da garante. Riesce a laurearsi in lettere all’Università di Firenze pochi giorni prima di venire arrestato anche se è lui a consegnarsi ai fascisti per ottenere la liberazione della fidanzata e della madre prese in ostaggio.
Dopo essere stato percosso e torturato alle Casermette di Montorio viene nuovamente trasferito nel carcere degli Scalzi e dopo un breve passaggio nel palazzo Ina, sede del Comando nazista, è trasferito nel lager di transito di Bolzano. Del viaggio in camion verso l’Alto Adige Vittore ha sempre ricordato la presenza di alcuni ergastolani di Portolongone e di agenti dell’esercito del Sud in missione nell’Italia occupata che erano stati catturati dai fascisti. Figure meravigliose soleva dire che saranno uccisi con un colpo alla nuca a Bolzano nella Caserma Mignone proprio nei giorni in cui lui, con altri membri del secondo Cln, viene inviato nel lager di Flossenbürg.
Il 7 settembre 1944 Vittore diventa il numero 21631 del lager bavarese e a fine mese raggiunge Hersbruck, l’ultima tappa del suo calvario di deportato e dove assiste alla scomparsa dei suoi compagni di Verona Giuseppe Deambrogi , Guglielmo Bravo e Mario Ardu. In questo terribile lager, situato a una trentina di chilometri da Norimberga, Bocchetta rimane fino all’evacuazione quando durante la ‘marcia della morte’ riesce a fuggire assieme a un tipografo marsigliese, Marcel Maurin (ma non era sicuro del cognome), che poi fugge temendo il ritorno dei carcerieri.
A tanti anni di distanza da quell’evento Vittore ancora si struggeva di non aver più saputo nulla di lui. Le vicende del lager sono state narrate in un libro autobiografico più volte riedito con titoli diversi e con l’aggiunta di nuovi particolari. Questo libro, Prima e dopo «Quadri» 1918-1949, scritto con uno stile letterario essenziale e asciutto dovrebbe figurare nel pantheon delle memorie della deportazione, ma Vittore era un uomo che non cercava ribalte o celebrazioni, e neanche editori compiacenti. Preferì pubblicare da solo alcuni libri con la sigla non casuale “Edizioni GIELLE”. Nelle scuole, e a noi amici, raccontava spesso un episodio capitatogli dopo la fuga dagli aguzzini quando sviene a ridosso di un campo di prigionieri militari alleati che lo raccolgono e lo curano. Ebbene in quel frangente incontra un militare inglese in precedenza prigioniero in un paesino del veronese e che Bocchetta, dopo l’8 settembre, aveva aiutato a riparare in Svizzera.
Finita la guerra il militare inglese, in debito di gratitudine, lo invita a partire con lui per l’Inghilterra. Ma Vittore vuole ritornare a Verona la città in cui è sepolto il padre e dove spera di ricostruirsi una vita. Qualche anno fa il nipote Alberto ha scoperto che l’aereo che riportava in patria i militari inglesi era caduto sulla Manica e nessuno degli occupanti si era salvato […]
Roberto Bonente, Caro Vittore, l’antifascista online, ANPPIA, 10 marzo 2021

Prima dell’alba di quel 12 settembre 1944, ci racconterà don Daniele Longhi, anche lui ospitato nel Lager di Bolzano col numero 7499, 23 uomini furono prelevati dal blocco E, quello dei “pericolosi”, e caricati su un grande camion coperto dal telone. Guardati dalle SS ucraine, furono portati davanti alle scuderie, nella caserma Mignone di Oltrisarco. Il tenente SS Titho, comandante del Lager, e il maresciallo Haage li raggiunsero in macchina. Davanti alle scuderie i 23 patrioti furono fatti scendere e spogliare della camicia. Seminudi vennero introdotti uno alla volta nella stalla. Lì dentro, dichiarerà ai giudici della Corte di Assise Karl Gutweniger un feroce guardiano del Lager, Rotter, il piccolo Mayr e la guardia ucraina (tra loro c’era Michael Seifert), armati di pistola, li finirono uno dopo l’altro con un colpo alla nuca.
Quali oscuri eroi erano quei 23 trucidati? Dobbiamo alla cura di don Daniele Longhi il recupero dei loro nomi. Venivano dal carcere di Verona ed erano in gran parte ufficiali dell’esercito italiano. Il prof. Vittore Bocchetta, loro compagno nel blocco E del Lager, ci racconta che sei erano ufficiali della RYE, il servizio informazioni del governo italiano.
Quei 23 nomi sono ora incisi su due grandi lapidi nel cimitero militare di San Giacomo. L’elenco si inizia con Apollonio Willores di Trieste e termina con Venturi Annibale di Rimini. Di ognuno di loro conosciamo qualcosa, ma di Dante Leuci e solo di lui non si conosceva niente. Siamo grati ad Aroldo Figara, un suo amico fraterno che vive a Livorno, che ci aiuta a conoscerlo. Dante Lenci (non Leuci come è scritto sulla lapide) era nato ad Arcevia (AN). Studente dell’Accademia navale, era sottotenente del Genio Navale sui sommergibili. A Brindisi, dopo l’otto settembre 1943, si offrì al governo Badoglio come volontario per una missione speciale nel territorio ormai occupato dai nazisti. Come capo missione, la notte del 28 dicembre 1943 fu sbarcato da un MAS nei pressi di Livorno. Collocata la radio, Dante Lenci, che aveva assunto il nome di battaglia di Adolfo Camposarcone, trovò rifugio proprio nella casa di Aroldo Figara. In collaborazione con il movimento dei Cristiano Sociali, a cui apparteneva, operò nella zona delle Alpi Apuane. Nel marzo 1944 fu catturato a Viareggio dai fascisti e consegnato ai nazisti. Ebbe così inizio la sua peregrinazione sino al martirio. “Interrogato” dalla Gestapo nelle carceri di Verona, “interrogato” nelle celle di Villa Triste a Firenze, senza strappargli un nome, riportato nuovamente a Verona, verrà trascinato con altri patrioti nel blocco E del Lager di Bolzano. Aveva 24 anni. Altri 22 uomini della Resistenza accompagneranno il suo sacrificio nelle scuderie della caserma Mignone quel 12 settembre del 1944. Dobbiamo anche a loro se pace e democrazia ci appartengono ancora dopo sessant’anni. Al partigiano combattente Dante Lenci, medaglia d’argento della Resistenza, la città di Livorno ha dedicato un parco di fronte al mare che amava. Bolzano dedicherà a lui e ai suoi 22 compagni un cippo nel parco Mignone
e un luogo della vita di ogni giorno, del nuovo quartiere ad Oltrisarco, ricorderà il loro sacrificio per la nostra libertà.
Lionello Bertoldi (Presidente ANPI Bolzano), Quanto sono costati il riscatto e la libertà, Patria Indipendente, 16 novembre 2003