Calvino per me

[…] dopo 12 giorni dal 25 aprile del 1945… Italo Calvino… smise di essere un partigiano del Ponente ligure ed abbandonò il fucile per darsi alla scrittura ed usare la penna come fosse un’arma anche quella… e scrisse questo suo articolo sul n° 4 del bollettino del Partito Comunista Italiano di Sanremo […] Allora i quotidiani o i periodici dovevano passare sotto le “forche caudine” del CLN e degli Alleati per poter essere stampati e diffusi. A Torino per tre mesi, dopo il 25 aprile, la Gazzetta del Popolo e La Stampa cessarono le pubblicazioni perché erano stati collaborazionisti dei nazifascisti.
[Calvino] ne parlò una volta a Torino (inizio 1949) durante una parca cena in via Giulio angolo corso Valdocco… dopo l’impaginazione dell’Unità che si trovava in corso Valdocco come sede. L’articolo glielo chiese Millo. Fu il primo pezzo scritto da Italo Calvino in vita sua, mi disse. Era emozionato, nel dirmelo. L’ultimo capoverso è di Togliatti: ” Non pronunciamo parole d’odio, né chiediamo vendetta, ma soltanto giustizia per il popolo italiano. Noi chiediamo che vengano puniti i responsabili della catastrofe”. Dopo quello che abbiamo passato in quei quasi 2 anni era il minimo che potevamo chiedere […] conobbi [Cesare Pavese] nei primi mesi del 1949 alla riunione settimanale (il mercoledì pomeriggio) degli autori, redattori ed ospiti grafici collegati alle edizioni Einaudi in via Biancamano in Torino. Allora ero un campositore-impaginatore da pochi mesi operaio presso la Tipografia Popolare di via Saluzzo 49 di proprietà del PCI torinese. Già conoscevo, da poco, Italo Calvino, il quale chiese a Giulio Einaudi, il patron della Casa Editrice dello Struzzo, se un compositore della detta tipografia poteva assistere a questi incontri per portare un contributo professionale. L’Einaudi non aveva una tipografia e si serviva da quelle dislocate in Torino. Lì lo conobbi… e ne fui lieto anche se non sapevo chi fosse… ma il nome “Pavese” mi riportava alla mia città che avevo lasciato mesi prima in cerca di lavoro a Torino.Da allora Pavese veniva sovente in via Saluzzo per consigli grafici ed anche, me lo confidò, perché ero un “Pavese” anch’io […]

Nel 1947 Einaudi pubblica questo primo libro di Italo Calvino in 1500 copie. Nel 1948 la seconda edizione in 6.000 copie. Come si nota le copertine cambiano completamente colore di stampa di fondo (e non di carta) essendovi il disegno riservato a colori nella prima edizione. Nella seconda idem. Nella prima edizione viene usato il carattere Bodoni. Il nome dell’autore ha un difetto grafico: vedi lo spazio esagerato tra Italo e Calvino mentre il titolo è giustamente in linea avendo gli spazi bianchi tra parola e parola identici alla “forza di corpo orizzontale” della “r” minuscola come deve essere nei corpi minuscoli. Nella seconda edizione il carattere viene cambiato completamente usando un Times stretto dello stesso corpo sia nell’autore che nel titolo e gli spazi proporzionati alle I mauscole in ragione dello spazio a disposizione orizzontalmente. Come nella prima edizione i corpi dei caratteri sono in 3 maniere diverse salvo l’aggiunta del logo ovale con lo struzzo Einaudiano. Il nome dell’autore ed il titolo hanno lo stesso corpo tipografico ma differenziandosi come si nota. In un primo tempo Calvino voleva il suo nome in un corpo inferiore (la sua solita modestia) ma ho insistito perché il corpo rimanesse uguale al titolo e, per soddisfarlo nella sua modestia, gli suggerii di farlo M e m. Ricordo che mi disse “Se lo dici tu e che Giulio approvi, però!”. (Giulio Einaudi era l’editore, da noi chiamato “dittatore” perché le ragioni erano di sua esclusiva competenza). Ci conoscevamo da un paio di mesi ma si fidava dei miei suggerimenti e ne “approfittò” per i pochi anni ancora da torinese. Tutti e due eravamo “stranieri in patria”. Lui da Sanremo ed io da Pavia. Allora non si usava dire “Aiutiamoli a casa loro”. Torino aveva bisogno di forza lavoro e di intellettuali che elevassero le menti di chi c’era e di chi arrivava.

Dai racconti di Italo Calvino che vanno dal 1950 al 1958 di cui il primo fu: “Pesci grossi, pesci piccoli” all’ultimo “La nuvola di smog” ce ne sono in totale ben 52 distribuiti in 9 anni quando era nel pieno della sua formidabile espansione giovanile ed intellettuale. Dovevate vederlo alle riunioni del mercoledì pomeriggio in via Biancamano a Torino, sede dell’Einaudi. Era un cavallo imbizzarito di fronte alla frusta di Giulio Einaudi. Italo proponeva edizioni a getto mentre il “dittatore” Giulio lo teneva a bada ricordandogli che le lire non piovevano come Giove ordinava, ma entravano e sostenevano solo le spese col venduto. Ricordo che una volta gli disse: “Italo, non fare come il nostro marchio nascondendo la testa, che è l’unica che ragiona, sotto terra ogni volta che parliamo di edizioni. Faccio quello che posso. Tu preoccupati di scrivere… ed io nello stampare i tuoi scritti… e questo vale per tutti voi che siete qui, d’accordo?”. Più o meno questa fu la predica di quel mercoledì. Avete letto di Calvino il racconto “La panchina”? E’ bellissimo. Racconta di un certo Marcovaldo, manovale non qualificato, che aveva scelto una panchina, per pensare e riposare e fare un sonnellino, di una piazza torinese dove alcune panchine erano a disposizione dei cittadini. Una era “la sua” dove si sedeva dopo le 8 ore di duro lavoro ed ascoltava gli uccelli che cinguettavano nascosti tra le foglie. Per lui erano usignoli. Non andava a casa dove in quell’unica camera erano in cinque, la moglie ed i tre figli. Capita un giorno che la “sua” panchina la trova occupata da due innamorati. Litigavano… scoperse. Si sdraiò su un’altra panchina lì accanto mettendo la sua camicia sotto la testa come cuscino onde fare un pisolino. Per finirla… vi posto solo queste poche parole giocate da Italo con maestria. State a leggere: “Allora ammetti?” “No, no, non lo ammetto affatto!” “Ma ammettendo che tu ammettessi?” “Ammettendo che ammettessi, non ammetterei ciò che vuoi farmi ammettere tu” […]

[…] il racconto di Italo Calvino, scritto nel 1947, in cui si parla di un bar fatto a botte… il quale si trovava a Sanremo subito dopo la guerra ultima e dove i marinai USA e inglesi si addensavano mezzi ubriachi… o no? Se no ve lo racconto io brevemente… ma con il solo assaggio. C’era una volta a Sanremo un bar fatto a botte che Calvino chiamò “Botte di Diogene”. Era frequentatissimo da marinai alleati, specie quelli USA che pagavano in dollari. Dollari che Emanuele e Jolanda agognavano. Il fastidio perenne di lei erano i nastri del reggipetto che non volevano stare al loro posto viste le dimensioni dei contenuti. Si avviarono da casa e Jolanda per prima entrò nella botte. Sei marinai USA erano al banco… e subito 12 occhi la perlustrarono. “Dollari cambiare lire?” disse Jolanda… I sei mugugnarono in modo disumano masticando e guardandola aggressivamente. Uno di bianco vestito le si avvicinò e le disse. “Te, a letto con me!” . Jolanda indietreggiò e disse al barista “Spiegagli che io… no sono…”. Felice, il barista, riempì 6 bicchieri di Whisky and soda e li mise in fila con fare da tonto. Un toro vestito di bianco si avvicinò a Jolanda e parlò con una voce da boa di ferro quando le ondate lo sollevavano. Prese un bicchiere… e non si capiva come il gambo sottile non andasse in frantumi tra quelle dita così grandi… e disse “Io dollari a te, a letto…”. In quel mentre entrò Emanuele e vide una enorme mano che era posata sul vistoso seno sinistro della Jolanda con i nastri che svolazzavano. Si avvicinò a Jolanda ma fu subissato da braccia di bianco vestite USA che lo bloccarono. Si divincolò e corse fuori ed andò dai taxisti, poco lontani, dicendo loro che andassero a caricare le “vecchie mondane” e che le portassero alla Botte di Diogene perché […]

Alfredo Schiavi

[23 gen 2016 – Ringrazio pubblicamente Alfredo Schiavi (e la prima mittente Daniela Cassini) per avermi trasmesso il testo (inglese e italiano) dell’incontro su Italo Calvino con il Prof. Mark Axelrod avvenuto il 16 gennaio presso il Pal. Borea d’Olmo. Mi fa molto piacere avere l’opportunità di leggere con calma e riflettere sull’interessante lezione del Professore. Mariangela Tria ]