Cino Moscatelli decise il trasferimento dei suoi partigiani a Rimella

Alagna in Valsesia. Fonte: mapio.net

La via più diretta dalla Valsesia alla Svizzera intrapresa dai prigionieri alleati passava da Alagna (VC) a Macugnaga (VB), attraverso i passi del Turlo e del monte Moro, che dava accesso al Cantone del Vallese, verso Saas e Visp. Nei giorni successivi all’8 settembre si incamminarono lungo questo itinerario numerosi soldati alleati giunti in Valsesia direttamente o attraverso le vie montane del Biellese. Il passo fu presto messo sotto controllo dai tedeschi e chiuso al transito, possibile peraltro, vista l’altitudine, solo fino alle prime nevicate. Dal Turlo, tra il 12 ed il 13 luglio ’44, durante l’offensiva nazifascista contro la zona libera della Valsesia, transitarono circa seicento persone, in un drammatico esodo nel tentativo di guadagnare l’Ossola e la Svizzera. I fuggitivi sostarono, durante la faticosa ascesa al Turlo, nelle baite degli alpeggi di Mittentheil (1.943 m) e di Faller (1.984 m). Le truppe tedesche e repubblichine, chiusa la via a nord ed a sud del passo, catturarono tra Macugnaga ed Alagna sedici uomini, partigiani e carabinieri, che furono fucilati ad Alagna il 14 luglio.
[…] Alla fine del gennaio ’44, dopo il rastrellamento nazifascista alle prime basi partigiane sul monte Briasco, Cino Moscatelli decise il trasferimento degli uomini a Rimella (VC). In paese fu allestito un posto comando all’albergo Monte Capio, un’infermeria nell’albergo Fontana e vari accantonamenti in alcuni caseggiati. Gli accessi alla zona furono tutti presidiati; tra essi anche la Bocchetta di Campello, strategicamente rilevante per i collegamenti con le formazioni della Valstrona, del Cusio e dell’Ossola. Sempre a Rimella fu decisa la costituzione della 6a brigata partigiana “Gramsci”, nel salone dell’albergo Fontana, e vennero organizzate altre unità che diedero vita, in seguito, alla divisione ossolana “Redi” ed al distaccamento “Filippo Beltrami” operante in Valstrona e nel Cusio. Nel marzo ’44 Rimella subì un’incursione area. La minaccia del rastrellamento della Valmastallone, che poi si avverò, indusse Moscatelli a trasferire la brigata nella vicina Fobello.
[…] Dopo il primo grande rastrellamento nazifascista alle basi partigiane sul monte Briasco (gennaio ’44), le formazioni di Moscatelli si trasferirono a Rimella e Fobello (gennaio-aprile ’44). Nei primi giorni di aprile le due vallate vennero investite da un sistematico rastrellamento compiuto da truppe tedesche e repubblichine, nel corso del quale vennero catturati numerosi renitenti. L’operazione costrinse Moscatelli a spostare il comando partigiano della brigata “Gramsci”, di recente costituzione, da Rimella a Fobello e successivamente ad abbandonare la zona. Durante le operazioni di sganciamento, il distaccamento Comando sostenne il peso maggiore della pressione nemica, resistendo per alcuni giorni nella valle del Roy. La formazione partigiana si ritirò prima all’alpe Tornelli (1.870 m), successivamente all’alpe Rianuova (1.443 m), ed infine, dopo aver evitato un totale accerchiamento all’alpe del Sasso Rondo (1.736 m), attraversò la Bocchetta del Cardone e riparò in Valsermenza. Con la fine dei combattimenti nella valle del Roy, si aprì un periodo di crisi e sbandamento per il movimento partigiano che durò sino al giugno del ’44, quando la Valsesia divenne zona libera. Lungo il percorso è possibile osservare i segni dei combattimenti nei resti di alcune baite che furono incendiate.
[…] Nelle fasi finali del rastrellamento su Rimella e Fobello (aprile ’44), alcuni valichi quali la bocchetta del Cardone, a nord di Rimasco, o il passo del Cavaglione, a nord di Boccioleto, furono utilizzati dai partigiani per sfuggire all’accerchiamento. Il comando della legione [repubblichina] Tagliamento dall’aprile ’44 insediò un’intera compagnia a Rimasco, alla confluenza delle vallette di Rima e Carcoforo, passaggio obbligato fra l’alta e la bassa valle, per rastrellare i renitenti alla leva e i militari che si erano nascosti in alta Valsermenza, area fino ad allora del tutto tranquilla (solo a Carcoforo vivevano in clandestinità circa settanta tra alti ufficiali, ufficiali di complemento e soldati semplici del regio esercito). Nel corso della guerra i partigiani crearono basi clandestine e posti tappa più in basso, nella Val Cavaglione, sopra Boccioleto e negli alpeggi intorno alla cresta del Pizzo Tracciora. Tra gli episodi più rilevanti si ricordano il rastrellamento all’alpe Portile (20 aprile ’44), la fucilazione di due partigiani a Rimasco (26 aprile ’44) e l’eccidio dell’alpe Fey, che insieme ad altri piccoli alpeggi della zona, era spesso utilizzato come punto d’appoggio o come rifugio. Il 7 novembre del ’44, probabilmente in seguito ad una delazione, reparti repubblichini piombarono di sorpresa sui partigiani alloggiati nelle baite dell’alpeggio. L’imboscata costò ai partigiani quattro morti e la cattura di cinque uomini. I prigionieri furono fucilati qualche ora più tardi, presso il cimitero di Balmuccia.
Progetto “La memoria delle Alpi” [n.d.r.: indirizzo web non più reperibile; altre notizie su Istorbive]

La squadra partigiana si trovava all’alpe Fej di Rossa pochi giorni dopo aver dato sepoltura al comandante partigiano Martin Valanga (Martino Giardini), ucciso all’alpe Tracciora per l’esplosione accidentale di un ordigno che aveva nello zaino. Ai funerali, celebratisi a Rossa, partecipano molti comandanti partigiani; l’eccessiva pubblicità concentra l’attenzione nazifascista: il tenente Pisoni, appartenente alle SS italiane guida una spedizione di SS tedesche e legionari della “Muti” verso l’alpe Fej, che si trova a circa un’ora di cammino da Rossa; la manovra di accerchiamento delle baite in cui riposano i partigiani riesce e poco dopo l’alba si apre il fuoco; quattro partigiani muoiono sul campo, i loro cadaveri vengono straziati e le baite dell’alpeggio sono date alle fiamme. Gli altri sei partigiani sono portati a Balmuccia, paese del fondovalle, dove dopo estenuanti trattative il parroco locale riesce ad evitare la fucilazione del partigiano più giovane. L’esecuzione è ordinata dal tenente Guido Pisoni e rientra fra i capi di imputazione che lo porteranno a processo, in contumacia, e alla condanna a morte mai eseguita.
Redazione, Episodio di Alpe Fej di Rossa, Balmuccia, 07.11.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

San Gottardo, Frazione di Rimella (VC). Fonte: mapio.net

Ma la situazione muta dopo l’estate ’44. In Valsesia e in altre zone dell’arco alpino, tra l’autunno e l’inverno 1944-’45: il fondovalle viene occupato quasi costantemente dalle forze nazifasciste. In Valsesia nei centri più popolosi, come Varallo e Borgosesia, vengono creati presidi con fascisti e tedeschi, mentre le vie di comunicazione sono maggiormente presidiate.
Se il fondovalle è occupato dai fascisti, la fascia degli alpeggi medio alti si popola di altre presenze: renitenti alla leva, ex militari del Regio esercito, membri del Cln, collaboratori della Resistenza e, naturalmente, partigiani.
È un mondo clandestino che s’ingegna alla sopravvivenza. Questa variegata umanità abita gli scantinati delle baite, i ruderi, le grotte e le balme da dove i giovani renitenti alla leva rientrano a casa quasi tutte le notti.
I partigiani dell’alpe Sellaccio vengono avvertiti con due lenzuola stese sul prato della presenza di fascisti dagli abitanti della sottostante frazione.
I fuggiaschi dell’alpe Lavazei vanno a prendere l’acqua al fontanile travestendosi da donne perché dal fondovalle, fascisti e tedeschi sono sempre in caccia. Minacciano, catturano ostaggi, bruciano baite e case, uccidono.
Gli abitanti degli alpeggi si muovono nello spazio verticalmente, salendo e scendendo dai rifugi per rifornirsi di alimenti, medicine, vestiario, aiutati da gruppi di donne che sono la vera anima logistica della Resistenza in valle.
Ma si muovono anche orizzontalmente sui crinali delle montagne, di vallata in vallata, tenendosi lontani dai paesi, a filo di cresta, sfruttando la copertura dei boschi, sempre tenendosi il più possibile al coperto. Dal fondovalle gli occhi che scrutano non sono solo quelli dei nazifascisti, ma anche quelli delle spie, il pericolo maggiore.
Sezione Anpi Varallo Alta Valsesia, Sulle alte vie di Moscatelli in Valsesia, Patria Indipendente n. 112

[…] La Resistenza in Valsesia ebbe inizio la sera stessa dell’armistizio (Ndr: l’8 settembre 1943) quando, con a capo il primo cittadino, Cav. Osella, si era formato a Varallo il Comitato Valsesiano di Resistenza (ne facevano parte anche l’avv. Barbano, Peter Grober, Ezio Grassi e l’avv. Balossino) … l’11 settembre il Comitato nominava Cino Moscatelli, da tempo presente nell’organizzazione clandestina del PCI, e ‘Ciro’ (Eraldo Gastone) al comando dell’organizzazione militare della Valsesia; incaricandoli di sovraintendere ai primi centri di raccolta subito formatisi in alcune località della Valle: alle Piane, a Campertogno, al Brisco e a Camasco.
[…] grazie all’opera del Comandante ‘Nedo’ [n.d.r.: Piero Pajetta] è tutto un nascere di distaccamenti “garibaldini”: il ‘Pisacane’ nella Valsessera, il ‘Piave’ a Basto di Mosso S.ta Maria, il ‘Bandiera’ nella Valle d’Andorno e, infine, il ‘Gramsci’ in Valsesia. …sotto la pressione continua di renitenti, di sbandati, di compromessi che affluiscono dalla pianura vercellese e novarese. …in Valsesia sono numerosi i centri di raccolta allestiti negli alpeggi, oppure lungo i declivi della Sivella e tra le casere dell’Argnaccia. …Le azioni a valle vengono effettuate con prontezza e decisione: dopo l’attacco ai fascisti asseragliati nel Municipio di Varallo, si scende a Grignasco per rifornire di scarpe l’intero distaccamento e ci si spinge ancora, sino a Borgosesia, per liberare dalle carceri alcuni partigiani e diversi antifascisti locali.
[…] Il 12 dicembre un gruppo del ‘Gramsci’ blocca Serravalle … e il 14, occupata Varallo, grazie alla solidarietà dei Carabinieri, vengono fatti ingenti prelievi alla Banca Popolare … Il 15 è la volta di Borgosesia dove, dopo il disarmo dei Carabinieri, viene distribuito alla popolazione un intero stock di viveri prelevato dal locale consorzio fascista …Il 31 dicembre ha luogo il primo grande scontro presso Camasco di Varallo: circa la metà del ‘Gramsci’ combatte con successo contro il 63° battaglione “M” “Tagliamento”.
[…] Dietro la forte pressione di duemila nazi-fascisti, il ‘Mameli’, il ‘Bandiera’ e il ‘Piave’ abbandonano basi, magazzini ed armi … e con una marcia forzata… si trasferiscono a Scopello… presso gli organizzati ‘garibaldini’ di Moscatelli; dopo di che … si riparte per Rassa per… procedere alla riorganizzazione dei reparti. Ma a Rassa … si scrive forse la pagina più sanguinosa di tutta la lotta partigiana vercellese. Dal punto di vista strategico Rassa era infatti una vera e propria posizione-trappola: al centro di una conca sprofondata tra i massicci del Corno Rosso, della Meja e del Cossarello… aveva come unico sbocco la stradicciola che digrada lenta a valle fino a ricongiungersi alla rotabile Varallo-Alagna nel tratto Piode-Campertogno. …Il mattino del 13 marzo, circa 1500 tedeschi, a bordo di 52 camion preceduti da alcuni carri armati, salivano in Valsesia … per l’attacco a Rassa. Sui tre distaccamenti partigiani… si scatena un uragano di fuoco … Ben presto … le condizioni di lotta si fanno disperate. …Poi viene l’ordine di ritirarsi … tutti si sbandano, corrono verso la montagna pullulante di feriti che si lamentano …in cerca di salvezza. Ed i tedeschi seguono le piste di sangue sulla bianca coltre di neve, sparano in alto sulle sagone nere che si muovono lentamente, catturano ed uccidono i feriti. Dieci ‘garibaldini’ giacciono nelle postazioni, altri cadono ancora nella neve, altri 12 vengono catturati in una baita e fucilati presso il cimitero di Rassa, dopo di aver subito sevizie di ogni genere.
Gianni Zandano, La Lotta di Liberazione nella Provincia di Vercelli, ed. SETE, Vercelli, 1957, testo qui ripreso da Uno sguardo a Piode