Eisenhower, il 10 settembre, rivolge un appello a Badoglio

All’inizio dell’estate del 1943 era ormai evidente che l’Italia non sarebbe stata in grado di proseguire la guerra per molto tempo. I tentativi di Mussolini di convincere Hitler ad una pace separata con l’Unione Sovietica per concentrare lo sforzo bellico nel Mediterraneo, eventualità paventata dagli angloamericani cha la continuarono a ritenere possibile anche dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio del 1943, risultarono vani. <72 Malgrado Hitler ipotizzasse una defezione italiana già dal febbraio 1943, in caso di caduta di Tunisi e conseguente perdita dell’Africa settentrionale, il Führer continuava ad avere fiducia incondizionata in Mussolini. Quello che i Tedeschi iniziavano a temere era un colpo di Stato che estromettesse Mussolini e il conseguente armistizio del debole alleato con la coalizione angloamericana.
Approfittando delle stesse richieste dello Stato Maggiore Italiano, dal giugno 1943 i Tedeschi avevano sensibilmente accresciuto la presenza delle loro truppe in Italia. <73 Veniva così preparato il “piano Alarich”, che prevedeva l’occupazione militare dell’Italia per la difesa della penisola anche senza l’aiuto delle forze armate italiane, o anche contro di esse, e che diventò operativo già dalla sera del 25 luglio <74. Dal primo di agosto i piani operativi per prendere il potere in Italia e nei territori occupati dagli Italiani presero il nome di piano “Achse”. <75
2.2 Dalla caduta di Mussolini all’armistizio; la conferma dell’alleanza e le trattative segrete con gli Alleati
All’annuncio delle dimissioni di Mussolini, Badoglio, nominato dal re nuovo capo del governo, affermò recisamente che la guerra accanto l’alleato germanico sarebbe proseguita, ma furono avviate trattative segretissime con gli Alleati per concordare le condizioni dell’armistizio. <76 Nel mese di agosto ci furono contatti con gli Alleati per concordare la fine delle ostilità, ma allo stesso tempo il governo italiano cercò di non allarmare l’alleato tedesco, la cui posizione sul territorio nazionale andava comunque rafforzandosi, in un crescendo di tensione nei rapporti tra i due paesi. <77 Così, mentre tra dubbi e incertezze si concordavano le condizioni dell’armistizio, si evitava di informare i comandi periferici sui provvedimenti necessari per mettere le forze armate in grado di difendersi dall’inevitabile reazione tedesca in Italia e nei territori occupati; al contrario Badoglio e i capi militari “fino all’ultimo continuarono a diramare ai comandi dipendenti direttive basate sulla collaborazione con i tedeschi in caso di sbarchi angloamericani” <78.
Il re e Badoglio “si dimostrarono del tutto incapaci ad affrontare la situazione [unicamente] preoccupati del loro destino personale, più che di quello del paese” <79. Tale condotta del re e di Badoglio, il quale riteneva che sacrificare mezzo milione di uomini <80 fosse un prezzo accettabile per la salvaguardia della incolumità propria e del re, avrebbe portato al più grave disastro della storia militare italiana; essa fu dettata da “un’angustia di prospettive etico-politiche, una concezione dello stato in cui contava soltanto il vertice istituzionale e non le sorti dei cittadini” <81.
Così tra il 3 settembre, momento della firma dell’armistizio, quando “l’occupazione tedesca dell’Italia era già un fatto compiuto” <82, e l’8 settembre, giorno in cui gli Alleati annunciarono per radio l’armistizio, il re, Badoglio e i capi militari non fecero nulla per evitare le tragiche conseguenze dell’armistizio sulle forze armate, completamente impreparate al repentino cambio di fronte, come se “avessero consumato tutte le loro energie nella decisione di arrendersi (ma si ricordarono di inviare tempestivamente in Svizzera beni e famiglie)” <83.
[NOTE]
72 Cfr. Elena Aga Rossi, 8 settembre! Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943, Bologna, Il mulino, 1993, p. 39 ss.
73 Cfr. Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p. 28.
74 Ibid. I comandi tedeschi presero in considerazione anche la possibilità di un colpo di Stato in Italia con l’arresto del re, Badoglio e i vertici militari; cfr. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento, cit., p.56 s.
75 Cfr. ivi, p.75 ss.
76 Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 29.
77 A proposito dell’occupazione tedesca dell’Italia, preparata ed effettuata quando i due Paesi erano ancora formalmente alleati, alcuni storici tedeschi parlano esplicitamente di “tradimento tedesco”, ribaltando quindi la tesi, propagandata allora dai nazi-fascisti, del tradimento italiano. Cfr. Erich Kuby , Il tradimento tedesco. Come il Terzo Reich portò l’Italia alla rovina, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1987. Cfr. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento, cit., pp. 57 ss., 792 ss. Cfr. anche: Elena Aga Rossi, L’inganno reciproco. L’armistizio tra Italia e anglo-americani del settembre 1943, Roma, 1993, p. 67 ss. Vedi anche Klinkhammer,
L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 40, nota 94, che illustra la posizione di diversi storici italiani e tedeschi che giudicano non sostenibile la tesi hitleriana del “tradimento italiano”.
78 Giorgio Rochat, L’armistizio dell’8 settembre 1943, cit., p. 35.
79 Rossi, 8 settembre!, cit., p. 69.
80 Cfr, ivi, p. 72.
81 Rochat, L’armistizio dell’8 settembre 1943, cit., p.36. Nota Schreiber, riguardo a tale concezione, che il giudizio degli storici liberalconservatori non è particolarmente negativo, privilegiando appunto l’importanza della continuità istituzionale (cfr. Gerhard Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento, cit., p. 108 ss.); Lo stesso presidente Carlo Azeglio Ciampi in un pubblico discorso ha fatto propria questa valutazione affermando che “i Savoia e Badoglio lasciarono l’esercito senza ordini, ma assicurarono la continuità delle istituzioni” (“La Repubblica”, 3 marzo 2001.
82 Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia cit., p. 32.
83 Rochat, L’armistizio dell’8 settembre 1943, cit., p. 35.
Marcello De Caro, L’internamento dei militari italiani nei campi tedeschi dopo l’8 settembre 1943, Tesi di laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno accademico 2002/2003

Il 3 settembre 1943 il Governo Italiano siglava segretamente con gli Alleati l’armistizio che avrebbe significato per l’Italia la fine della guerra voluta dal regime fascista. La conseguente interruzione dell’alleanza con il terzo Reich permise allo stato italiano di unirsi, il 13 ottobre 1943, alla coalizione antihitleriana come stato belligerante.
Era opinione condivisa dalle élite di governo che solo l’uscita dell’Italia dal conflitto mondiale avrebbe consentito di salvaguardarne la continuità come nazione. Nondimeno re Vittorio Emanuele III, lo Stato Maggiore e i più conservatori videro nell’uscita dal conflitto, l’unica via per poter conservare le rispettive posizioni di potere. Un potere che avrebbero potuto perdere, secondo la storica Gabriele Hammermann, a vantaggio dei partiti della incalzante e temuta sinistra. <1
Gli storici concordano nel sottolineare che la necessità di informare rapidamente dell’importante passo le forze armate italiane dislocate, nei Balcani, in Grecia, nella Francia meridionale e sul territorio italiano, non rientrò tra le priorità di quanti avevano partecipato all’accordo. Si ignorò inoltre consapevolmente che la Wehrmacht, al contrario, si stesse preparando già da mesi ad una presunta uscita dell’Italia dalla guerra.
L’8 settembre 1943 quando Eisenhower diffuse da radio Algeri la notizia dell’armistizio <2 la Wehrmacht fu pronta a procedere al disarmo delle truppe italiane fino ad allora alleate. Il modus operandi fu inconsueto e violento oltre che, come scrive la Hammermann, in “aperta violazione del diritto internazionale”. <3
Il ritiro dell’Italia dal conflitto fu caratterizzato da numerose carenze, politiche, militari ed organizzative. Gerhard Schreiber in I militari Italiani Internati nei campi di concentramento del terzo Reich 1943-1945, evidenzia come la decisione del Governo Italiano di stipulare l’armistizio fosse qualcosa di più di un “solo calcolo politico” e come la stessa reazione tedesca non debba essere considerata una “semplice conseguenza alla indignazione per l’accaduto”.
Vi erano per Schreiber differenze importanti nelle strutture sociali delle due nazioni. Da una parte l’Italia degli scioperi milanesi e torinesi contro la guerra, indetti nel marzo del 1943, con la partecipazione di 300.000 operai, dall’altra la Germania dell’ “applauso pubblico e frenetico” a Goebbels che accompagnava il sostegno condiviso ad una guerra totale. <4
Tra la politica mussoliniana del “mare nostrum” e l’ideologia tedesca dello “spazio vitale” i punti di convergenza tra Italia e Germania divennero sempre meno. Lo sbarco degli Alleati in Sicilia nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, avvenuto senza incontrare resistenza da parte italiana, aveva fatto inasprire ulteriormente i rapporti tra Roma e Berlino.
Le grandi manifestazioni di giubilo delle piazze italiane, dopo che re Vittorio Emanuele III, il pomeriggio del 25 luglio ’43, aveva fatto arrestare Mussolini, assumendo lui stesso il comando delle forze armate e incaricando il maresciallo Badoglio di formare un nuovo governo, si contrapponevano ad una nascente angoscia del popolo tedesco.
Alla notizia delle dimissioni di Mussolini, Goebbels scriveva nel suo diario di “aver avuto da tutta la Germania notizie che rispecchiavano l’angoscia del popolo tedesco per la crisi italiana e, in determinati ambienti, regnava lo spavento”. <5 L’Italia fascista non si mobilitò per difendere Mussolini. I capi delle organizzazioni fasciste, il partito, la milizia, i sindacati e le molte altre istituzioni si affrettarono a dichiarare subito la loro accettazione del governo Badoglio. <6
I 45 giorni tra l’arresto di Mussolini e l’annuncio dell’armistizio furono per gli italiani i più confusi della storia della nazione.
Appena insediato Badoglio distrusse ogni attesa speranza di pace, annunciando la continuazione della guerra al fianco dell’alleato tedesco, avviando però trattative in segreto con gli anglo- americani. L’immediata rottura dell’asse con Berlino era considerata dal governo non praticabile in quanto l’esercito italiano era schierato al fianco di quello tedesco su ogni fronte. Era inoltre impensabile di riuscire a convincere Hitler ad accettare l’uscita dell’Italia dal conflitto, con una pace separata.
Hitler non avrebbe mai rinunciato al controllo della parte settentrionale della penisola italiana perché questo avrebbe consentito agli anglo-americani di arrivare a minacciare direttamente i confini della Germania. Inoltre si trattava di un’area ad alta concentrazione di risorse agricole, industriali ed umane.
Per questo i tedeschi, che avevano già ipotizzato da mesi un tradimento dall’alleato italiano, all’indomani dell’arresto di Mussolini, si affrettarono a far giungere otto divisioni nell’Italia centro settentrionale e a inviare rinforzi alle altre otto già schierate da Roma in giù’. <7 Ma l’8 settembre ‘43 la situazione precipitò e il capo di governo Badoglio fu costretto a diffondere dalla radio italiana la sua dichiarazione alla nazione […]
[NOTE]
1 Gabriele Hammermann, Gli Internati Militari Italiani in Germania 1943-1945, Edizioni il Mulino, Biblioteca storica, traduzione di Enzo Morandi, Bologna, 2004 p. 25.
2 https://youtu.be/1StW6zaKhGM, ultima consultazione il 27 novembre 2016.
3 Gabriele Hammermann, Gli Internati Militari Italiani in Germania 1943-1945, cit, p. 11.
4 Gerhard Schreiber, I militari Italiani Internati nei campi di concentramento del terzo Reich 1943-1945, Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1992, p. 789.
5 Gerhard Schreiber, I militari Italiani Internati nei campi di concentramento del terzo Reich 1943-1945, cit, p. 32.
6 Gabriele Hammermann, Gli Internati Militari Italiani in Germania 1943-1945, cit, p. 25.
Roberta Papotti, Gli Internati Militari Italiani e la Divisione Acqui a Cefalonia. Storia e rappresentazioni. 1943-1945, Tesi di laurea triennale in Scienze della Cultura, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno accademico 2015/2016

Roma. Foto: D. M.

I timori del generale Alexander devono essere giustificati, dato che Badoglio, nonostante l’impegno preso di svolgere un’azione comune con gli anglo-americani per la difesa di Roma, non prende alcuna decisione e continua a mantenere il segreto sull’avvenuta firma dell’armistizio anche con i più stretti collaboratori. Nel pomeriggio del 3 settembre, infatti, Badoglio convoca una riunione con i tre ministri militari, de Courten della Marina, Sandalli dell’Aereonautica e Sorice della Guerra, alla presenza del ministro della Real Casa, Acquarone, informandoli non che l’accordo per l’armistizio è stato siglato, ma che sono in corso trattative. Badoglio però fornisce anche dettagli precisi sulle operazioni pianificate dagli anglo-americani, il che stride con le affermazioni successive, sue e dei ministri militari, di non aver saputo nulla delle intenzioni Alleate prima dell’8 settembre. Inoltre, in un promemoria datato 6 settembre si fa esplicito riferimento «allo sbarco principale da mare nella zona Salerno-Napoli» <120, da compiersi in contemporanea dell’operazione Giant Two <121 nei pressi di Roma. È un documento importante, perché costituisce una prova incontrovertibile che il 6 settembre il Comando italiano è a conoscenza che lo sbarco principale, l’operazione Avalanche, sarebbe stato in quell’area, e che quindi la dichiarazione d’armistizio può essere resa pubblica a momenti. Perché Badoglio non da istruzioni? La spiegazione che è stata avanzata è che Badoglio decide di attendere il giorno dell’armistizio senza prendere alcuna iniziativa per timore che i tedeschi ne siano informati.
Sono passati ormai cinque giorni da quando è stata presa la decisione dell’aviosbarco, eppure lo Stato Maggiore italiano non ha predisposto ancora nessuna misura. I dirigenti italiani si illudono di poter salvare la situazione domandando, il 6 settembre, una posticipazione dell’annuncio dell’armistizio, e fanno poi un ultimo tentativo l’8, preparando, allo stesso tempo, l’alternativa della fuga.
L’impreparazione italiana si rivela soltanto nella notte del 7 quando, intorno alle ventuno giungono segretamente a Roma, il generale Maxwell Taylor, vice-comandante dell’82ª Divisione paracadutisti, e il colonnello Gardiner, per prendere gli ultimi accordi e controllare la fondatezza delle assicurazioni di Castellano che gli aeroporti dove devono scendere i paracadutisti alleati sono in mano italiana. All’inizio si suppone che scopo della visita del Generale sia di concordare tutto il necessario per lo sbarco e impiego della Divisione aviotrasportata e, quindi, per fissare la data dell’annuncio dell’armistizio.
All’ufficiale però che va a riceverlo Taylor dice subito che l’armistizio è imminente, e per questo desidera incontrare con la massima urgenza il generale Carboni <122, da cui avrebbe dovuto dipendere. Gli ufficiali americani scoprono sgomenti che l’unico preparativo fatto in previsione del loro arrivo è quello di una cena. Il generale Ambrosio è partito «per Torino il giorno precedente, ufficialmente per andare a distruggere delle carte compromettenti» <123, e i due ufficiali possono parlare solo con Carboni. Taylor avverte il generale italiano che, dalla notte sul 9, sarebbe cominciato, nei 5 aerodromi più vicini a Roma, lo sbarco di una divisione paracadutisti americani destinata a rinforzare il Corpo d’Armata motocorazzato; lo sbarco avrebbe richiesto quattro notti consecutive; […] che la stessa sera sul 9 gli Alleati avrebbero iniziato uno sbarco nella zona costiera di Napoli e avrebbero denunziato l’armistizio <124.
Di fronte alle parole “inaspettate” di Taylor, Carboni chiede di rimandare o annullare l’operazione, esagerando la presenza intorno a Roma delle truppe tedesche e minimizzando quella italiana. Dichiara anche che le divisioni a Roma non hanno carburante, il che equivale ad affermare che il corpo motorizzato a difesa della Capitale è inutilizzabile. In realtà Carboni mente, perché un deposito di carburante si trova sulla via Ostiense <125.
Stentando a credere a quanto dice Carboni, e non riuscendo a capire come si fosse giunti a questo “voltafaccia”, i due ufficiali pretendono un colloquio con Badoglio, e si fanno accompagnare a casa del maresciallo, che sta serenamente dormendo. «Apparso in pigiama davanti ai suoi ospiti, Badoglio si [limita] a confermare le affermazioni di Carboni» <126. «Per due volte, nei due momenti più tragici della storia recente [italiana], la notte di Caporetto e la notte tra il 7 e l’8 settembre 1943, le sorti del [Paese] sono affidate a Badoglio e in entrambi i casi Badoglio [va] a dormire» <127. «A Caporetto, come [dimostra] un’inchiesta parlamentare successiva, omettendo di disporre lo spostamento dell’artiglieria in posizioni idonee, Badoglio [contribuisce] alla rotta dell’esercito italiano» <128.
La partenza della Divisione alleata è imminente, così Taylor, dopo aver fatto capire a Badoglio le gravi conseguenze della decisione di tirarsi indietro all’ultimo minuto, lo obbliga a inviare immediatamente la richiesta di annullamento dell’operazione a Eisenhower. Nel suo messaggio Badoglio dichiara che “Dati cambiamenti e precipitare situazione esistenza forze tedesche nella zona di Roma non è più possibile accettare l’armistizio immediato dato che ciò porterà la Capitale ad essere occupata ed il Governo ad essere sopraffatto dai tedeschi. Operazione Giant 2 non è più possibile dato che io non ho forze sufficienti per garantire gli aeroporti” <129.
Taylor invia a sua volta un suo resoconto della situazione e un messaggio con la parola Innocuous, parola convenuta per annullare l’operazione Giant Two. La risposta di Eisenhower non si fa attendere e avverte: “Intendo trasmettere alla radio l’accettazione dell’armistizio all’ora già fissata. Se Voi […] mancherete di cooperare come precedentemente concordato, io farò pubblicare in tutto il mondo i dettagli di questo affare. Oggi è il giorno X ed io aspetto che Voi facciate la vostra parte. Io non accetto il vostro messaggio di questa mattina posticipante l’armistizio. Il vostro rappresentante accreditato ha firmato un accordo con me e la sola speranza dell’Italia è legata alla vostra adesione a questo accordo. […] le operazioni aviotrasportate sono temporaneamente sospese. Avete intorno a Roma truppe sufficienti per assicurare la momentanea sicurezza della città, […]. I piani sono stati fatti nella convinzione che Voi agivate in buona fede e noi siamo stati pronti ad effettuare su tale base le future operazioni militari. Ogni mancanza ora da parte vostra nell’adempiere a tutti gli obblighi dell’accordo firmato avrà le più gravi conseguenze per il vostro Paese. Nessuna vostra futura azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella vostra buona fede e ne seguirebbe di conseguenza la dissoluzione del vostro governo e della vostra nazione” <130.
Il primo ministro Churchill invia immediatamente un messaggio a Stalin informandolo del “voltafaccia”, ma si dice deciso a rendere pubblico l’annuncio della capitolazione italiana. I piani sono stati ormai decisi, e non è più possibile tornare indietro: “All’ultimo momento il governo italiano ha respinto l’armistizio […]. Tuttavia noi annunceremo l’armistizio all’ora convenuta e precisamente oggi alle 16.30 ora di Greenwich: naturalmente, l’Avalanche avrà inizio questa notte” <131.
Messo alle strette, a Badoglio non resta che recarsi alla sede dell’EIAR <132 dove, alle 19.45, dà la notizia dell’armistizio: “Il Governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto l’armistizio al Generale Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze Alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza” <133.
È ovvio che in quest’ultima frase Badoglio voglia riferirsi in modo indiretto alle forze germaniche, eppure nel frattempo le intenzioni tedesche si sono chiarite. L’ambasciatore Rahn infatti ordina di bruciare tutti i documenti d’archivio e decide di partire, tanto che alle due di notte perviene la richiesta dell’ambasciata di poter far uscire da Roma il proprio personale <134.
Il Comando Supremo italiano nel frattempo trasmette per radio alle ore 00.20 l’ordine n. 24202/Op, una direttiva che riassume le disposizioni per reagire contro eventuali violenze tedesche; all’ultimo punto recita:
Tutte le truppe di qualsiasi arma dovranno reagire immediatamente et energicamente et senza speciale ordine at ogni violenza armata germanica et della popolazione in modo da evitare di essere disarmati e sopraffatti <135.
La chiosa raccomanda: «Non deve però essere presa iniziativa di atti ostili contro germanici» <136. «Queste istruzioni [pongono] l’esercito nelle peggiori condizioni per fronteggiare l’inevitabile aggressione tedesca, aumentandone l’incertezza e il disorientamento»137. Nello stesso tempo inizia l’offensiva della Seconda divisione paracadutisti tedesca, che già dopo un’ora dall’annuncio dell’armistizio attacca i reparti delle divisioni costiere italiane vicino a Roma, cogliendoli di sorpresa. Il generale Ambrosio evidentemente non si è ancora reso conto che i tedeschi stanno conducendo già da ore un’azione di guerra. Soltanto di fronte alla richiesta d’istruzioni della divisione dei “Granatieri di Sardegna”, posta a difesa della zona sud di Roma, investita improvvisamente dal fuoco tedesco, lo Stato Maggiore dell’Esercito dà finalmente l’ordine di resistere.
«Nel frattempo, Badoglio ha lasciato la capitale italiana. Anche la famiglia reale se l’è svignata, prova questa del fatto che i circoli responsabili […] non si preoccupano molto del destino di Roma» <138. L’unica preoccupazione delle massime autorità italiane è quella di non cadere nelle mani tedesche, rifugiandosi in una zona di sicuro controllo italiano. È probabile che Badoglio e Ambrosio lascino i comandi periferici senza ordini non perché non ci sia il tempo di diramarli, bensì perché si vuole evitare uno scontro con i tedeschi. Non essendoci un’azione di orientamento, l’abbandono della Capitale da parte del Governo e del Comando Supremo, e l’assenza di ordini al momento dell’armistizio e nelle ore successive, non possono che provocare caos e sbandamento generale.
Dell’8 settembre, è arduo chiarire le responsabilità di quella che è stata definita: «La completa follia del Governo italiano e del Comando Supremo» <139. A posteriori quasi tutti i protagonisti sostengono di essere rimasti quasi del tutto all’oscuro delle trattative, e il Ministro della Guerra, Antonio Sorice, afferma addirittura di essere stato informato della capitolazione soltanto l’8 settembre. Sembra di assistere alla celebre scena del film Tutti a casa in cui il sottotenente dell’esercito Innocenzi, interpretato da Alberto Sordi, chiede direttive al suo superiore: «Mi scusi signor colonnello, ma cerchi di comprendere: io ero all’oscuro di tutto. Quali sono gli ordini?» <140. Il dramma, è che il film neorealista del 1960, diretto da Comencini, e che strappa al pubblico qualche sorriso, s’è girato, in un clima surreale, diciassette anni prima.
Il Capo del governo, Maresciallo d’Italia, dichiara che sapeva poco o nulla delle trattative per l’armistizio, perché esulavano dalle sue competenze, mentre il responsabile del Comando Supremo, Ambrosio, sostiene di non aver potuto emanare alcun ordine senza essere prima autorizzato da Badoglio.
L’8 settembre costituisce un punto di svolta anche per l’atteggiamento anglo-americano nei confronti dell’Italia perché pone fine all’idea di una collaborazione militare. Churchill continua tuttavia a esprimere la massima fiducia in un’iniziativa italiana. In una lettera del 7 settembre si spinge ad affermare: “Mi sembra che l’Italia abbia molto da dare […] Gli italiani devono guadagnarsi il passaggio, ma se si comportano bene noi dovremmo trattarli per tutto, tranne che per il nome, come alleati. Può essere che essi combattano molto meglio con noi che non per Hitler” <141.
Il Primo ministro inglese non si rende ancora conto dell’entità del disastro e continua a illudersi nei giorni seguenti in una reazione italiana. Anche al Comando alleato di Algeri passano alcuni giorni prima di capacitarsi della situazione. Eisenhower, il 10 settembre, rivolge un appello a Badoglio: “L’intero futuro ed onore dell’Italia dipendono da ciò che le sue forze armate sono ora pronte a fare. I tedeschi sono definitivamente e deliberatamente entrati in campo contro di voi. Hanno mutilato la vostra flotta […] hanno attaccato i vostri soldati e si sono impadroniti dei vostri porti. […] È giunto il momento di agire” <142.
La risposta di Badoglio ha dell’incredibile. L’11 settembre, quando la resistenza spontanea di alcuni comandi in diverse città italiane si sta ormai esaurendo e la maggioranza dei soldati ha consegnato le armi ai tedeschi, dichiara:
“Fin da ieri sono stati comunicati ordini a tutte le forze armate di agire vigorosamente contro le aggressioni tedesche. Oggi un messaggio del Re ed un mio proclama saranno inviati alla Nazione. È adesso assolutamente necessario signor generale che coordiniamo le nostre azioni, dato che combattiamo lo stesso avversario” <143.
Se sussistono ancora dubbi da parte alleata, questo messaggio chiarisce che non solo al momento dell’armistizio non sono state emanate direttive per combattere le truppe germaniche, ma che ancora l’11 gli ordini sono di reagire ai tedeschi, e non di attaccarli. Crolla così quello che rimane dell’ottimismo iniziale degli Alleati. Il cedimento della resistenza italiana e soprattutto la mancata difesa di Roma, dove si trovano sei divisioni italiane a fronte di due tedesche, fanno perdere agli Alleati ogni fiducia nello spirito combattivo delle unità italiane. L’errore principale dei comandi alleati è quello di sottovalutare la reazione tedesca e di sopravvalutare la volontà e la capacità del governo Badoglio di agire contro l’ex alleato.
Caratteristica comune dei membri del governo Badoglio e del Comando militare è una totale mancanza di senso di responsabilità e una parallela incomprensione dei reali rapporti di forza tra un paese sconfitto e prostrato e i vincitori. La decisione di fuggire del Re e Badoglio, lasciando Roma, può essere legittima, ma solo dopo aver organizzato una difesa del Paese dall’aggressione tedesca. In realtà entrambi nutrono una completa sfiducia nelle Forze Armate e nella capacità dei comandanti, preoccupati come loro non del bene della nazione ma della propria incolumità personale, e temono che reazioni popolari possano innescare processi rivoluzionari.
D’altra parte soltanto il Re, che costituisce l’unico punto di riferimento di tutte le forze politiche e ha il controllo delle Forze Armate, può teoricamente guidare un passaggio repentino dell’Italia dalla parte degli anglo-americani. In realtà la sua personalità, il carattere indeciso, la ventennale corresponsabilità e convivenza con il fascismo, la profonda diffidenza nei confronti delle forze antifasciste, sono tutti elementi che rendono molto improbabile una sua iniziativa, se non sotto la pressione di circostanze eccezionali.
[NOTE]
120 Promemoria per il Generale Castellano, 6.9.1943; cit. in AGA ROSSI, L’inganno reciproco, p. 337.
121 L’operazione Giant Two è il piano Alleato da porre in esecuzione a cominciare dall’8 settembre 1943, giorno della dichiarazione dell’armistizio, per portare aiuto alle forze italiane destinate alla difesa di Roma in previsione della reazione tedesca. L’operazione, all’ultimo momento, è revocata dal Comando alleato a causa della mancata collaborazione dei vertici militari e politici italiani.
122 Giacomo Carboni (Reggio nell’Emilia, 29 aprile 1889 – Roma, 2 dicembre 1973) è stato un generale e agente segreto italiano, direttore del Servizio informazioni militare (SIM). Il 7 settembre 1943 Carboni, in assenza del capo di Stato Maggiore, Ambrosio, riceve i due ufficiali americani Maxwell Taylor e William Gardiner.
123 Ambrosio si giustifica davanti alla commissione d’inchiesta affermando di non aver saputo dell’arrivo degli ufficiali alleati («Verbale dell’interrogatorio del ten. colonnello De Francesco, 27.2.1945», in AUSSME, Diario storico, Castellano, cart. 2999); cit. in AGA ROSSI, Una nazione allo sbando, p. 106.
124 AGA ROSSI, L’inganno reciproco, p. 407.
125 Del deposito, s’impadroniscono i tedeschi un’ora dopo l’annuncio dell’armistizio.
126 AGA ROSSI, Una nazione allo sbando, p. 106.
127 Ibid.
128 Ibid.
129 Il Capo del governo, Badoglio, al Comandante in capo delle Forze Alleate, Eisenhower, Monkey N. 15, Roma, 8.9.1943, [ore 2 (per. ore 8)]; cit. in AGA ROSSI, L’inganno reciproco, pp. 313-314.
130 Il Comandante in capo delle Forze Alleate, Eisenhower, al Capo del governo, Badoglio, Drizzle 45, Algeri, 8.9.1943, [ore 11,30 (per. ore 17,30)]; cit. in AGA ROSSI, L’inganno reciproco, pp. 316-317.
131 ANON., Altamente confidenziale, vol. I, p. 182, n. CLXXXVIII, Messaggio personale e strettamente segreto del primo ministro signor Churchill al maresciallo I. V. Stalin, 8.9.1943.
132 Ente italiano per le audizioni radiofoniche.
133 Annuncio italiano dell’armistizio con gli Alleati, 8.9.1943; cit. in AGA ROSSI, L’inganno reciproco, pp. 320-321.
134 Appunti intercettazioni varie riguardanti avvenimenti 8-9 settembre, AUSSME, H5 1, RR/47; cit. in AGA ROSSI, Una nazione allo sbando, p. 117.
135 Comando supremo, Reparto 1 – Ufficio OP. Esercito, Scacchiere Orientale, NR. 24202/Op., 8.9.1943; cit. in AGA ROSSI, Una nazione allo sbando, pp. 219-220.
136 Ibid.
137 AGA ROSSI, Una nazione allo sbando, p. 116
138 GOEBBELS, Diari, vol. V, p. 159, 11.9.1943
139 W. G. F. JACKSON, La battaglia d’Italia, Baldini & Castoldi, Milano 1970, p. 129.
140 Tutti a casa, L. COMENCINI (regia di), Alberto Sordi & Eduardo De Filippo (con), Dino De Laurentiis cinematografica, Orsay Film, 1960, al min. 14.34.
141 Telegramma cifrato segretissimo Urgente da, Quadrant a, W.C.O., WELFARE NR., 650, 7.9.1943; cit. in AGA ROSSI, L’inganno reciproco, p. 414.
142 D.D.I., X Serie, vol. I, n. 2, Dal Comandante in Capo delle Forze Alleate, Eisenhower, al Capo del governo, Badoglio, Messaggio, 10.9.1943, in
http://www.farnesina.ipzs.it/series/DECIMA%20SERIE/volumi/VOLUME%20I/full#DOCUMENTI, (ultima data di consultazione: 30.5.2017).
143 Il Capo del governo, Badoglio, al Comandante in capo delle Forze Alleate, Eisenhower, Monkey N. 39, Brindisi, ricevuto alle ore 03.20 (ora di Londra), 12.9.1943; cit. in AGA ROSSI, L’inganno reciproco, p. 422.
Alberto Campello, “La ferma decisione è no”: diario di prigionia di Galliano Basso, Internato Militare Italiano (1943-1945), Università degli Studi di Padova, Tesi di laurea, Anno accademico 2016-2017