Fortunato Picchi, l’eroe dimenticato, per anni trattato come traditore nei confronti della patria

[…] Martedì 6 giugno 2017 sarà la volta di Fortunato Picchi, l’eroe dimenticato, per anni trattato come traditore nei confronti della patria. Sulla sua figura e sull’azione internazionale che lo ha visto impegnato contro il fascismo si svolgerà una conferenza allo Spazio Giovani di Comeana dalle ore 21.30 a cura dello storico Alessandro Affortunati, che dal 1999 svolge ricerca storica sul sovversivismo e sull’antifascismo del Montabano su incarico del Comune, da cui è scaturito anche il volume “Di morire non mi importa gran cosa. Fortunato Picchi e l’operazione Colossus”. Interverranno l’assessore del Comune di Carmignano Stella Spinelli, l’assessore del Comune di Vaiano Federica Pacini e la presidente ANPI provinciale di Prato Angela Riviello.
Fortunato Picchi nasce a Carmignano [in provincia di Prato] il 28 agosto 1896 all’interno di una famiglia numerosa, composta dai genitori (Ferdinando Picchi e Jacopina Pazzi), dai fratelli, Averardo, Cleto, Giorgio e Sergio e dalle sorelle Leonia ed Olga. Nel febbraio del 1910 la famiglia si trasferisce a Prato nella zona della Tignamica, dove il padre si impiega come cuoco nella ditta “Forti” alla Briglia, sulla strada per Vaiano, che all’epoca era uno dei più grandi stabilimenti tessili industriali della città. Nel 1915 viene chiamato alle armi come soldato semplice per combattere sul fronte macedone e viene congedato nel 1919. Due anni più tardi decide di trasferirsi a Londra dove lavora come cameriere, torna successivamente in Italia ma ci resta soltanto per pochi mesi. Riparte di nuovo per Londra nel 1925 ed inizia a lavorare al Savoy Hotel.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Picchi viene internato, come altri cittadini italiani, nell’isola di Man e lì resta fino al 1940. Ne esce dopo aver fatto richiesta di entrare nel corpo dei pionieri e dopo poco tempo in quello dei paracadutisti, in cui si sottopone ad un duro addestramento. Per sentirsi utile nei confronti del proprio paese Picchi si offre come interprete durante un’operazione, la Colossus, molto rischiosa. La sua squadra viene incaricata di danneggiare l’acquedotto pugliese. L’azione non ha l’effetto sperato, se non quello di privare di acqua le popolazioni del foggiano e del barese. La fuga non ha buon esito, i paracadutisti infatti sono catturati dai carabinieri: i britannici sono deportati nei campi di concentramento mentre Picchi, che inizialmente dichiara un’identità francese, viene giustiziato a Roma con fucilazione alla schiena il 6 aprile 1941.
Fortunato Picchi è stato una figura interessante della Resistenza italiana ma per lungo tempo caduto nell’oblio e considerato un traditore. La sua storia in realtà parla di tutto, ma non di tradimento. Picchi infatti emigra all’estero dove si costruisce una solida posizione lavorativa, si integra facilmente nella società britannica – tifa la squadra di calcio Arsenal – ma nonostante la vita lontana dall’Italia non dimentica mai il suo paese e sceglie infatti di mantenere la nazionalità italiana.
Questo però da solo non basta a raccontare il suo sentimento patriottico: Picchi infatti si fa portavoce di un messaggio di libertà e decide di arruolarsi come volontario non per egocentrismo ma per il bisogno di fare qualcosa di utile per il proprio paese e di combattere contro il regime fascista, come dirà durante il processo di fronte al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Essere considerato un traditore è stato anche il timore di Picchi, che in una lettera alla famiglia scritta prima della fucilazione scrive: “mi dispiace… per voi e per tutti di casa di questa sciagura e del dolore che vi arrecherà… Di morire non m’importa gran cosa, quel che mi dispiace è che io, che ho voluto sempre il bene del mio Paese, debba oggi esser considerato come un traditore”.
Le ragioni che hanno portato a dimenticarlo sono molteplici. La famiglia si è opposta a qualsiasi strumentalizzazione politica di Picchi, che è stato partigiano nel 1941, oltre tutto all’estero, e non ha mai professato nessun tipo di adesione ad un partito politico, se non l’amore generale per la democrazia. Questo lo ha reso poco “riconoscibile”, non è un caso infatti che i britannici lo abbiano sempre descritto non come un politico ma come un “idealista” e “martire del nuovo Risorgimento”, tanto da dedicargli una sezione dell’Ospedale Regina Elisabetta.
Valentina Cirri, Fortunato Picchi, eroe dimenticato. Protagonista della Resistenza carmignanese, Pro Loco Carmignano, giugno 2017

[…] Fortunato, inizialmente non manifesta una precisa collocazione politica, si definisce semplicemente “cattolico” (tra l’altro non praticante, e su questo avverrà nel 1932 la rottura con suo padre, cattolicissimo), ma ammira tuttavia l’anticlericale Garibaldi, visto come campione dell’emancipazione dei popoli e uomo politico che storicamente aveva manifestato, pienamente ricambiato, stima ed affetto per l’Inghilterra. Coltiva poi le sue amicizie più profonde negli ambienti democratici ed antifascisti e rifiuta di frequentare le sezioni del PNF che in quel periodo, per l’atteggiamento benevolo delle autorità, sorgono numerose sul territorio britannico: questo suo comportamento non mancherà di essere debitamente registrato dai consolati italiani.
Fortunato che, celibe, vive ai Sussex Gardens, pensionante di una famiglia di lontane origine italiane, i Lantieri, è infatti l’antitesi del “buon italiano” (leggi: “fascista”) all’estero: una informativa del SOE lo definirà poi “An idealist… who is in many ways more English than the English”. Infatti da buon londinese tifa Arsenal e spesso porta Billy, il suo cane alsaziano, a correre in Hyde Park. Pur essendo, oltre a questo dato esteriore, un sincero e convinto ammiratore dei fondamenti della democrazia inglese, tuttavia non vorrà mai rinunciare alla nazionalità italiana, per cui allo scoppio della guerra verrà internato.
In questo periodo aderisce al Free Italy Movement, un’associazione di antifascisti italiani di varia tendenza politica costituita nell’ottobre del 1940 dal cattolico Carlo Petrone e che annovera fra gli altri suoi dirigenti Paolo e Pietro Treves, figli di Claudio Treves, uno dei fondatori del socialismo italiano, e Umberto Calosso, una delle più note “voci” di Radio Londra.
Come riferirà Florence Lantieri, dopo sei mesi gli viene offerta la possibilità di lasciare l’isola di Man e tornare al suo ben remunerato lavoro, ma a Picchi la sola attività di propaganda antifascista non può bastare ed è proprio, “paradossalmente”, per “difficile” e grande amor di patria che fa la scelta coraggiosa ed estrema di combattere, se necessario, contro i propri compatrioti.
Ottiene infatti di arruolarsi ed inizialmente è inquadrato come sapper (pioniere del genio) poi, nonostante abbia ben quarantesei anni, entra nei paracadutisti sottoponendosi ad un durissimo addestramento ai lanci ed all’uso delle armi. Volendo esser utile anche come interprete si offre per una missione estremamente rischiosa sul territorio italiano: il danneggiamento dell’acquedotto pugliese. Così nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1941, dopo una rapida azione di disturbo da parte della RAF, il No. 2 Commando del II Special Air Service (SAS), partito da Malta e composto da 34 uomini, fra i quali Picchi, viene paracadutato tra Calitri, Rapone e Pescopagano.
I guastatori si raccolgono nel punto prestabilito lungo il fiume Ofanto, poi arrivati al torrente Tragino minano il viadotto, tuttavia il ponte-canale viene danneggiato dall’esplosione, ma non distrutto, ed il sabotaggio ha solo l’effetto di privare dell’acqua, per non molto tempo, alcune zone del foggiano e del barese.
Dopo l’azione i parà cercano di raggiungere a piccoli gruppi il punto della costa dove li aspetta un sommergibile, ma ormai carabinieri e milizia, con l’aiuto della popolazione, danno il via ad un vasto rastrellamento che impedirà ai britannici di esser recuperati nei tempi stabiliti. Picchi, che in quei frangenti si prodiga affinché non venga sparso sangue fra i civili, è costretto come gli altri ad arrendersi. Interrogato si qualifica come Pierre Dupont, francese “libero”, poi deve ammettere la sua vera identità e lo fa specificando di esser lì non per tradire l’Italia, ma per combattere il regime fascista. Tutti i britannici, in divisa, vengono considerati prigionieri di guerra ed inviati nei campi di concentramento, mentre Picchi, in quanto cittadino italiano, è subito deferito per tradimento al famigerato Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato (TSDS). La sentenza è di morte per fucilazione alla schiena, eseguita dopo breve lasso di tempo (alle ore 7 del 6 aprile 1941) a Roma nel Forte Bravetta.
Mentre Oltremanica i democratici esaltarono il suo gesto parlando di “Life sacrificed for Freedom” e definendolo “Martyr of the New Risorgimento”, in Italia i suoi familiari dovettero fatalmente sopportare le più pesanti angherie del regime fascista, e questa fu l’unica cosa di cui Fortunato si pentì. Scrisse infatti nell’ultima lettera alla madre: “mi dispiace… per voi e per tutti di casa di questa sciagura e del dolore che vi arrecherà… Di morire non m’importa gran cosa, quel che mi dispiace è che io, che ho voluto sempre il bene del mio Paese, debba oggi esser considerato come un traditore”.
Affortunati rileva che, sia immediatamente dopo il 25 luglio 1943, sia soprattutto dopo la Liberazione, gli antifascisti vaianesi resero onore a Picchi, mentre sulla stampa pratese il Corriere del Mattino del 15 maggio 1945 lo indicò come il il primo patriota [pratese] ed uno dei primi d’Italia e La Nazione del Popolo del 21 febbraio 1946 lo definì “Eroe”. Tuttavia i familiari di Fortunato si opposero tenacemente a qualsiasi utilizzo politico della sua figura, e forse anche per questo il suo coraggioso gesto iniziò ad essere dimenticato.
Il 16/17 aprile 1949, in “una temperie politica ben diversa da quella del 1945-’46”, Paolo Caccia Dominioni sul Corriere d’informazione si occupò del pratese con l’articolo: “Era un traditore oppure un eroe?”. Concluse che era sia un po’ l’uno che l’altro, ma questa sua valutazione trovò la strenua opposizione di un democratico inglese, Ivor Thomas, che in una lettera al direttore scrisse: “Fortunato Picchi fu tra gli uomini più valorosi dell’età nostra. Amò la sua terra… e sacrificò la sua vita per contribuire a liberarla dalla tirannia fascista… Se Picchi fu un traditore, allora Mussolini fu un patriota; e io temo che l’articolo di Paolo Caccia Dominioni rafforzerà la posizione di quanti asseriscono che il fascismo riuscì sempre accetto al popolo italiano ed è ora in via di riprendersi. Da allora – nota Affortunati – di Picchi non si è più parlato se non incidentalmente”.
Riflettendo su questo oblio dobbiamo osservare che questa vicenda fu “scomoda”, soprattutto per il fondersi di due ragioni. La prima va forse ricercata nel fatto che il “traditore” Picchi fu “partigiano” prima dell’8 settembre 1943, cioè prima che esistessero i partigiani, anzi molti di quelli che, proprio in seguito alla dura ed istruttiva esperienza di una guerra sciagurata, combatterono poi come partigiani il nazifascismo, nel 1941 stavano ancora “dall’altra parte”. Ma anche questa pregiudiziale poteva esser superata pensando, ad esempio, ai comunisti Ilio Barontini e Anton Ukmar che in Etiopia si opposero insieme agli abissini all’occupazione colonialista e fascista italiana, oppure ai numerosi fuoriusciti “garibaldini” di Spagna che a Guadalajara sconfissero i soldati del Comando Truppe Volontarie (CTV) inviato da Mussolini in sostegno al golpista Franco. Tuttavia si tratta di esempi generalmente riconducibili a figure di militanti antifascisti ben politicamente connotati, ma questa, ovviamente, non è una colpa. Ed ecco che arriviamo alla seconda, e forse la vera ragione del lungo oblio al quale venne condannato il pratese: pur essendo stato Picchi un fervente antifascista, non risultò tuttavia legato ad alcun partito politico, né la sua memoria, su questo piano, anche per strenua opposizione della famiglia, poté quindi esser rivendicata da qualcuno in particolare. Ma nemmeno questa è una colpa!
Fortunato Picchi, “il traditore”, pur non maturando una scelta politica o ideologica ben definita, amava sinceramente la democrazia e conseguentemente amò la propria Patria fino a compiere scelte “scomode” ed “estreme”. Non dimentichiamoci infatti che nella stessa Inghilterra, dove si scrissero libri To the glorious memory of Fortunato Picchi, persino un suo commilitone del SAS, evidentemente impregnato di spirito militarista e patriottardo, fedele al motto “right or wrong my country is my country”, affermerà che sebbene Picchi fosse un idealista “…he was also, after all, a traitor to his country and it seem rather difficult to make him out of hero” (fu dopotutto un traditore del suo paese e risulta difficile considerarlo un eroe).
Comprendiamo coloro che, in grigioverde, fino all’8 settembre, pur maturando la consapevolezza delle colpe del regime, spesso per una propria concezione del senso del dovere, si sacrificarono obbedendo agli ordini, ma proprio per questo pensiamo sia altrettanto doveroso ricordare ed onorare chi, come Picchi, consapevole dei rischi, volontariamente volle combattere a fianco del “nemico” contro il fascismo ed il nazismo. […]
Carlo Onofrio Gori, Un antifascista pratese per lungo tempo dimenticato, Patria Indipendente, 11 marzo 2007

L’esito negativo della missione Picchi dell’estate 1941 (Picchi, uno dei primi agenti a essere impiegato dal Soe, fu incarcerato appena entrato in Italia) ebbe significative ricadute sull’opera di reclutamento. Dai documenti emerge che il risultato negativo di quella missione compromise il successivo sviluppo di altre, poiché le reclute temevano di fare la fine di Picchi <62. Dopo di allora divenne difficile trovare candidati <63. Anche secondo il documento dell’ottobre 1941, “Attempts to recruiting volunteers for Italy”, gli italiani non desideravano tornare in Italia perché, “a causa della pubblicità data alla [di Picchi] fucilazione”, temevano di subire il suo stesso destino. Pensavano che Picchi fosse stato tradito da alcuni italiani in Inghilterra ancora “prima che l’operazione avesse luogo”.
Pertanto il Soe concludeva che la mancanza di collaborazione dimostrata dal ministero delle Informazioni aveva avuto effetti deleteri <64.
[NOTE]
62 “Holding camp for unsatisfactory trainers”, 19 giugno 1941, HS 6/884.
63 J a M, 27 gennaio 1941, HS 6/888.
64 “Attempts…”, loc. cit. a nota 2.
Mireno Berrettini, Set Italy ablaze! Lo Special Operations Executive e l’Italia 1940-1943, Italia contemporanea, settembre-dicembre 2008, n. 252-253