Il prete volante della Resistenza

Dicembre 1944, la partenza della missione alleata che avrebbe paracadutato don Guido Anelli (primo da destra) sull’Appennino parmense – Fonte: Paolo Bissoli art. cit. infra

Il 25 novembre del 1944, in Vaticano, si svolse un incontro di grande importanza per le sorti della Seconda guerra mondiale in Italia: l’oggetto della discussione fu il supporto della Santa Sede alle attività partigiane in Nord Italia.
Alla riunione parteciparono tre persone. La prima era monsignor Montini, che oggi conosciamo come papa Paolo VI ma che nel 1944 era il più stretto consigliere di papa Pio XII; la seconda era Alessandro Cagiati, un italo-americano ufficiale dei servizi segreti statunitensi (OSS); la terza era Don Guido Anelli, il parroco di un piccolo paese dell’appennino emiliano, Ostia Parmense. Cagiati e Don Anelli si erano presentati a Roma per un obiettivo comune: perorare la causa della Resistenza agli occhi del Vaticano, che fino a quel momento aveva guardato con sospetto ai movimenti partigiani del Nord Italia, temendo che fossero troppo “rossi”.
I servizi segreti americani erano soprattutto interessati al supporto e alle informazioni che le reti della Chiesa italiana avrebbero potuto fornire per vincere la guerra. Don Guido Anelli invece si era recato a Roma per «informare il Vaticano sulle attività della Chiesa nel movimento clandestino nell’Italia del Nord» e, cosa più importante, per ottenere denaro e rifornimenti per i partigiani in vista dell’inverno. Don Guido infatti non era un semplice parroco di provincia. All’epoca trentunenne, Don Guido era tra i fondatori di una brigata partigiana, la Seconda Julia: aveva raggiunto Firenze a piedi, attraversando la linea Gotica lungo l’appennino, per incontrare Cagiati e dirigersi insieme a lui verso Roma per l’incontro in Vaticano.
Dopo che Cagiati e Don Guido ebbero incontrato Montini e altre importanti cariche dello stato Vaticano, la risposta della Santa Sede non si fece attendere: iniziò a fornire armi e rifornimenti ai partigiani tramite paracadute, facendo seguito con un sostanzioso contributo in denaro, una somma che oggi potrebbe equivalere a 1.300.000€.
A missione conclusa, Don Guido desiderava tornare a casa ma attraversare a piedi le linee nemiche in inverno sarebbe stato troppo pericoloso. Don Guido, che non era mai salito su un aereo in vita sua, poté rientrare a Ostia Parmenso solo grazie a un volo in paracadute, che gli valse il soprannome di prete volante con cui venne ricordato nelle cronache.
Il volo in paracadute in ritorno dalla missione di Roma non fu l’unico di Don Guido Anelli. Pochi mesi dopo Alessandro Cagiati, che nel frattempo aveva ottenuto una promozione, stava lavorando con la sezione Monumenti quando chiese di nuovo l’intervento del prete volante. Il Monuments Man Frederick Hartt infatti aveva scoperto che i capolavori rinascimentali delle collezioni toscane, rubate dai nazisti in ritirata, erano stati nascosti in Trentino Alto Adige: ufficialmente ancora in Italia, ma nei fatti in un territorio sotto controllo tedesco, per di più molto vicino al confine. Tra queste opere figuravano capolavori di maestri come Botticelli e Caravaggio, che rischiavano di essere trasferiti velocemente in territorio tedesco se non direttamente distrutti durante una rappresaglia.
Cagiati pensò che sarebbe stato opportuno inviare un osservatore in Alto Adige per sorvegliere le opere in attesa degli Alleati. Non solo: sarebbe stato opportuno mandare qualcuno che non avrebbe destato sospetti e che avrebbe potuto circolare liberamente. Chi meglio di un prete?
Fu così che Cagiati organizzò una seconda spedizione per Don Guido Anelli, chiedendogli di raggiungere i depositi in provincia di Bolzano. Don Guido volò così fino al Lago di Garda per poi essere nuovamente paracadutato tra i monti del Tirolo.
Una volta raggiunta Bolzano, Don Anelli si mise subito in contatto con degli amici della zona per verificare le voci sui nascondigli dei tesori fiorentini. Ricevuta la conferma, organizzò una rete di preti e partigiani per sorvegliare le opere, una vera e propria pattuglia di sentinelle pronte a condurre gli Alleati ai depositi. Fu così che quando i Monuments Men raggiunsero Bolzano furono guidati direttamenti a San Leonardo e Campo Tures per controllare lo stato di conservazione dei capolavori sottratti l’anno precedente dai nazisti in ritirata.
Redazione, Don Guido Anelli: prete, partigiano e “paracadutista”, Artonauti

“Il Prete Volante – Don Guido Anelli fra Belforte e Caracas” di Giovanni Sassi, è il volume che verrà presentato domenica 28 aprile 2019 presso il circolo Acli di San Michele a Belforte di Borgo Val di Taro (Parma).
Il libro parla della della vita del prete parmense che fu anche un importante protagonista della Resistenza. «Don Guido Anelli – spiega l’autore – è poco più che un giovane parroco quando, nel maggio 1940, viene inviato a Belforte, piccolo paese dell’Appennino. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 egli ricopre una posizione di assoluta importanza, nel contesto della Resistenza parmense, svolgendo con fervore, coraggio e spiccato spirito di organizzazione un ruolo cruciale nella costituzione della Seconda Brigata Julia».
Racconta Sergio Gigliotti, il partigiano Sparviero, segretario dell’Associazione nazionale partigiani cristiani di Parma. «L’umile canonica di Don Guido Anelli diventò il quartiere generale delle formazioni partigiane delle Valli del Taro e del Baganza contro i nazisti».
Dopo aver costituito il 10 agosto ’44 la Brigata Julia, la sua impresa più memorabile fu il viaggio a Roma, superata la linea gotica, per chiedere aiuti concreti per i partigiani.
Don Guido parlò con il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e con il Ministro del Tesoro e ottenne un contributo economico e l’assicurazione che i lanci di materiale bellico per i partigiani sarebbero stati intensificati. Ritornò ai propri monti, trasportato da un aereo, paracadutato a Bardi, oltre la linea nemica, da qui il nome “il prete volante”.
Don Anelli è stato anche uno dei “monuments men”: durante la guerra salvò opere d’arte del rinascimento italiano, nascondendole ai nazisti. Una sua missione fu vicino a Bolzano, dove venne paracadutato per organizzare un gruppo di persone fidate che salvassero dalla distruzione le opere di Caravaggio, Tiziano, Rubens, Botticelli, Donatello e Michelangelo.
Alla presentazione del libro interverranno rappresentanti del Comune di Borgo Val di Taro;
Giovanni Giliotti, presidente del Circolo ACLI di Belforte; Mariano Vezzali, docente e autore della prefazione; modererà l’incontro Ferdinando Sandroni, Vice Presidente Nazionale ANPC-Associazione Nazionale Partigiani Cristiani.
Domenica 28 aprile 2019, ore 15
Circolo Acli di San Michele a Belforte
Borgo Val di Taro (Parma)
Redazione, Acli Parma: Don Guido Anelli, chi era “Il Prete Volante” della Resistenza?, ACLI, 27 aprile 2019

Il cippo che a Belforte ricorda i sacerdoti partigiani don Guido Anelli e don Aurelio Giussani – Fonte: Paolo Bissoli art. cit. infra

Belforte è un piccolo paese alto su uno sperone di roccia affacciato sul Taro, a pochi chilometri dal passo della Cisa. Qui la strada è arrivata solo alla metà degli anni Cinquanta: un isolamento finito troppo tardi e così, oggi, è una delle tante realtà che soffrono lo spopolamento dell’Appennino. Ma negli anni della guerra è stato uno dei centri della Resistenza; soprattutto è stato il paese di don Guido Anelli, il giovane sacerdote al primo incarico da parroco arrivato nell’aprile 1940 e del quale non si è persa la memoria. Anzi.
Ce lo conferma Mauro Giliotti, classe 1946 che a Belforte è rimasto: lui don Guido lo ha conosciuto bene perché era uno dei bambini (una quarantina!) che sessanta e più anni fa frequentavano i locali nei quali il parroco aveva organizzato una serie di attività sociali, primo fra tutti un “doposcuola” nel quale non solo si pensava ai compiti per il giorno dopo ma si studiava anche l’inglese e si imparava con assiduità. Già nell’autunno 1943 Belforte era uno dei luoghi più importanti nell’organizzazione delle bande di “ribelli” che nascevano spontanee in tutto l’Appennino.
[…] Qui, nella canonica di don Guido, i militari in fuga dopo il disfacimento dell’esercito e i giovani renitenti alla chiamata di Salò trovavano ospitalità. A decine. Per loro, per la gente del paese, per il parroco furono venti mesi di vita nel pericolo di essere scoperti. E anche se Belforte era disagiato e seminascosto, i tedeschi arrivavano anche qui, provocando la fuga rocambolesca e a rotta di collo dei tanti giovani clandestini e di quanti li aiutavano. L’attività di don Guido si concentrava sul sostegno alla gente del paese oltre che dei partigiani. Nell’ultimo, terribile, inverno di guerra la popolazione era stremata, senza possibilità di sostentamento. E per i partigiani non era diverso.
E don Guido non stette con le mani in mano: lungo i sentieri di montagna di Appennino e Alpi Apuane attraversò il fronte della Linea Gotica e arrivò a Roma (liberata nel giugno 1944) dove venne ricevuto sia dal Governo Italiano che dal Vaticano e ottenne una importante somma di denaro per la “sua” gente, alla quale aveva promesso che sarebbe stato di ritorno entro Natale.
Per abbreviare un viaggio che avrebbe richiesto settimane fu organizzata una missione aerea: don Guido (che non era mai salito su un aereo) e alcuni militari alleati vennero paracadutati nella zona di Bardi dove si era riorganizzato il Comando Unico – dopo il rastrellamento di Bosco di Corniglio – al quale consegnò il sacco con i 13 milioni di lire che sarebbero stati spesi per sfamare la popolazione e i partigiani. La sera del 23 dicembre era di nuovo a Belforte, paese che avrebbe lasciato solo nel 1955 per il Sudamerica.
Dopo gli intensi quanto drammatici ultimi mesi di guerra, gli anni che seguirono furono infatti difficili e pieni di amarezza, soprattutto per lo scarso (per non dire nullo) riconoscimento alla gente della montagna che anzi veniva “depredata” anche delle poche risorse rimaste come ad esempio il legname dei boschi.
La missione in Venezuela dove tanti conterranei erano emigrati e dove lo seguiranno anche alcuni familiari (morti poi tragicamente a causa del terremoto di Caracas del 1967), regalò nuovo slancio e nuovi obiettivi al parroco, nonostante le non poche difficoltà e i contrasti anche con le autorità ecclesiastiche locali.
Paolo Bissoli, Don Guido Anelli, a Belforte il prete volante della Resistenza, Il Corriere Apuano, 31 ottobre 2019

II Brigata Julia
La seconda brigata delle formazioni denominate Julia, si costituì il 10 agosto del 1944 nella Val Taro ed era formata dall’unione dei gruppi “Vampa”, “Poppy”, “Birra” e “Fra Diavolo”; si tratta di raggruppamenti nati autonomamente nel territorio della Val Taro che vennero poi inglobati nella nuova brigata.
La formazione fu guidata da “Birra”, comandante (Giuseppe Molinari) e commissario politico “Severino” (Federico Molinari); “don Tito” (don Guido Anelli), parroco di Belforte e tra i promotori della resistenza nella Val Taro, fu il cappellano di brigata. La zona operativa della brigata era collocata alla destra del Taro, a cavallo della Cisa, nei pressi di Berceto.
[…]
In febbraio 1945, il Giuseppe Molinari lasciò il comando della brigata per andare a formare la terza formazione Beretta. La seconda Julia passò sotto la guida del “Maggiore Umberto”, “Severino” rimase il commissario. Il mese di marzo vede le formazioni operanti nella zona ovest della Cisa, compresa la II Julia, compiere attacchi contro il traffico nemico lungo la Statale della Cisa. Il 5 aprile il Comando Unico emanò l’Ordine con le operazioni da compiere in vista
della liberazione finale: alla Brigata Julia, facente parte della Divisione Val Taro, spettò il compito attaccare Berceto contro il presidio tedesco. Tuttavia, l’attacco contro il paese venne sospeso dato l’arrivo improvviso di ingenti forze tedesche nella località; la brigata dunque collaborò con il Gruppo Val Taro nell’attacco a Roccamurata e ai caselli ferroviari tra Ostia e Ghiare di Berceto. Le azioni congiunte dalle brigate portarono in poche giornate alla liberazione della Val Taro.
(Costanza Guidetti)
Canonica di Belforte
La storia della canonica di Belforte, località situata su di uno sperone roccioso ad una decina di chilometri da Borgotaro, è indissolubilmente legata a quella del partigiano don Guido Anelli, che con il nome di “don Tito” si staglia come una delle figure fondamentali della Resistenza parmense.
Sin dai primi mesi della lotta di Liberazione, la canonica divenne il quartier generale delle formazioni partigiane delle valli del Taro e del Baganza, rappresentando un rifugio per tanti giovani e un luogo sicuro per tutti i ribelli. Attraverso la sua attività, in poco tempo don Guido Anelli trasformò la propria canonica in un punto di riferimento per i reduci dalla decomposizione dell’esercito, per i renitenti alla chiamata della Repubblica Sociale, per chi era sfuggito alla caccia dei tedeschi e per chiunque volesse battersi per la libertà.
Attorno alla canonica di Belforte mosse i primi passi e sviluppò la propria azione la II Brigata Julia: tale formazione ricevette un impulso decisivo dall’attività organizzativa, oltre che del parroco don Guido Anelli, anche di altre personalità di spicco della Resistenza, come Severino Molinari e il professor Achille Pellizzari, che durante il lungo periodo della lotta di Liberazione mantennero la canonica come fulcro delle operazioni.
Nel novembre 1944, don Anelli fu protagonista di una celebre azione oltre le linee nemiche, che gli permise di raggiungere Roma: in tale frangente, a dedicarsi all’assistenza religiosa in canonica fu don Aurelio Giussani, il quale, fuggiasco e ricercato a causa della sua già intensa attività cospirativa in terra lombarda, trovò rifugio proprio presso la piccola località appenninica.
Per la sua posizione geografica, l’abitato di Belforte si trovò, inoltre, a far parte del “Territorio Libero della Val Taro”, Repubblica partigiana che vide la luce il 15 giugno 1944, in concomitanza con la caduta dei presidi nazifascisti di Borgotaro e di Bedonia, per poi concludere la propria vita un mese più tardi, quando il suddetto territorio cadde nuovamente in mano nemica.
La canonica di Belforte rivestì un ruolo di primo piano anche nella ricostituzione del Comando Unico dopo l’eccidio di Bosco di Corniglio, avvenuto il 17 ottobre 1944. Fu proprio presso la canonica, infatti, che il Comando rivide la luce: qui, la sera del 22 ottobre, vennero concordate le diverse nomine, che furono poi approvate il giorno successivo in un cascinale della limitrofa località di Pietra.
Anche per questa ragione, nelle febbrili settimane di scontri che seguirono, la canonica di Belforte arrivò ad essere considerata dal Comando tedesco una “capitale partigiana”.
(Giovanni Grassi)
Comando Militare Nord Emilia. Dizionario della Resistenza nell’Emilia Occidentale, Progetto e coordinamento scientifico: Fabrizio Achilli, Marco Minardi, Massimo Storchi, Progetto di ricerca curato dagli Istituti storici della Resistenza di Parma, Piacenza e Reggio Emilia in Rete e realizzato grazie al contributo disposto dalla legge regionale n. 3/2016 “Memoria del Novecento. Promozione e sostegno alle attività di valorizzazione della storia del Novecento”