Le forme di accesso all’istruzione secondaria sono state a lungo studiate delle teoriche liberali

La riflessione su quanto l’esclusione dal sapere sia stata storicamente un problema femminile ha spinto le studiose degli anni settanta ad interrogarsi a lungo sul radicamento di uno stereotipo che voleva le donne meno capaci di apprendere, soprattutto in riferimento alle discipline scientifiche, e meno bisognose di un’istruzione. Da qui, l’attenzione, che nelle scuole, come si vedrà a breve, è stata rivolta in modo quasi del tutto esclusivo, per un lungo periodo, alle ragazze. Le studiose femministe si sono dunque focalizzate attivamente sulla costruzione di quadri teorici alla luce dei quali sarebbe stato possibile leggere le differenze. Dalle impostazioni teoriche di questo gruppo di studiose, sono state estrapolate strategie applicative e modelli di riferimento per decostruire, all’interno delle istituzioni scolastiche, le differenze costruite socialmente.
2.2 Le teorie liberali sull’istruzione di genere
La teoria della socializzazione e la teoria delle differenze di genere si inseriscono in un frame teorico più vasto definito di tipo liberale (Arnot, Dillabough 1999). Le autrici che possono essere inserite in questa corrente sono principalmente Sandra Bem, Elizabeth Steiner Maccia, Martha Ann Coleman, Myrna Estep, Trudy Miller Shiel, Betty Friedan, Cynthia Epstein, Rose Coser, Miriam Johnson, Pyllis Katz, Janet Lever e, nel contesto nazionale, Elena Giannini Belotti. Le assunzioni cardine sulle quali le teoriche liberali concordano sono le seguenti:
1. Se storicamente gli uomini hanno goduto di una “universalità maschile” che è sembrata per secoli naturale e non è stata messa in discussione, diventa fondamentale invece l’affermazione dell’autonomia femminile e la capacità di incrementarne le potenzialità. In particolare le donne devono riappropriarsi del terreno perduto nella sfera pubblica per rafforzare la propria posizione nella gestione politica ed economica (Epstein 1981; 1988).
2. Il principio di libertà individuale e di autorealizzazione. Le politiche sull’eguaglianza di genere devono prestare attenzione alle possibilità di accesso e alla meritocrazia. In una società che si possa definire democratica, i traguardi appena citati devono essere raggiunti garantendo forme di competizione tra i singoli. L’attenzione si concentra su un tipo di società libera, pubblica e aperta alle donne: per fare ciò una delle parole chiave diventa quella di “empowerment” cioè di rafforzamento del potere delle donne e dei diritti fondamentali tramite lo sviluppo e l’affermazione dell’autonomia femminile. Uno dei compiti delle politiche di pari opportunità è quindi quello di rimuovere quegli ostacoli di tipo sociale che impediscono di raggiungere ciò che desiderano e ciò a cui aspirano (Epstein 1988).
3. Le donne, affermano le teorie liberali, sono in grado di essere razionali: questa capacità deve affermarsi e rafforzarsi per discreditare il pensiero comune che le vuole inferiori agli uomini dal punto di vista dell’agire motivato, logico e consapevole (Wollstonecraft 1992).
Uno degli assunti fondamentali delle teorie che trovano spazio nella corrente liberale è quindi quello di opportunità di trattamento: la scuola in particolare è il primo luogo pubblico nel quale gli uomini e le donne possono confrontarsi in un ambiente potenzialmente equo nella distribuzione di opportunità di genere. La scuola è ritenuta il motore principale di disuguaglianza che ha colpito le donne e allo stesso tempo la chiave istituzionale fondamentale per smantellare il sistema di ineguaglianze femminili (Lever 1976; Coser 1986, 1989; Friedman).
Tradizionalmente, nel contesto dell’istruzione, l’approccio femminista liberale ha rivolto la sua attenzione allo studio dei ruoli di genere concentrandosi sul concetto di “caring” ovvero di supporto e attenzione ai bisogni e alle difficoltà incontrate prevalentemente dalle bambine e dalle ragazze. La scuola quindi, nel discorso liberale, assume un’importanza strategica per la possibilità di costruire un clima favorevole all’implementazione delle chance per coloro che vogliono poter competere nell’accesso alla sfera pubblica economica. Di conseguenza, le liberali femministe hanno sviluppato notevolmente il discorso su possibili ed efficaci politiche scolastiche da adottare nell’ambito dei diritti e delle pari opportunità di trattamento (Arnot, David, Weiner 1999; Weiner 1994).
Le forme di accesso all’istruzione secondaria sono state a lungo studiate delle teoriche liberali (Epstein 1988; Coser 1986): le statistiche hanno mostrato per la prima volta le difficoltà di accesso ad ambiti a prevalenza maschile (Sells 1973). Ancora, nel 1975, i dati del National Center for Education Statistic <12 ha messo in evidenza come delle lauree a contenuto matematico il 42% fosse acquisito da studentesse, questa percentuale scende al 33% tra i master e al 10% dei dottorati nelle discipline matematiche. La stessa fonte ha messo in luce la minore occupazione e rappresentanza femminile nella sfera pubblica come diretta conseguenza della mancanza di libero accesso a determinati modelli di istruzione. Questi studi mirano ad evidenziare il ruolo marginale e periferico occupato dalle donne e le inadeguatezze di una società democratica che, differentemente dai suoi stessi proclami, non è in grado di garantire pari opportunità di genere nel trattamento: il sistema scolastico, che dovrebbe agire come arbitro neutrale, riproduce le disparità di genere sotto il saldo controllo e gestione dalla componente maschile della popolazione (Sell 1973).
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2.2.3 Le critiche all’approccio liberale
Sono numerose le critiche mosse alla teoria liberale dagli approcci teorici del conflitto e da quelli postmodernisti:
1. La causa che determina il cambiamento nelle aspettative culturali negli attori coinvolti non viene chiarita. Questa prospettiva non spiega che cosa conduca al mutamento sociale: la variazione nel comportamento di insegnanti, educatori, genitori che adottano un atteggiamento neutrale o di valorizzazione verso il genere non è spiegabile con la teoria della socializzazione o con quella delle differenze di genere (Connel 1985; Collins 1988).
2. I teorici della socializzazione si sono focalizzati prevalentemente su una precisa categoria sociale che è quella delle donne o ragazze bianche della classe media (Arnot 1981,1982).
La critica, che proviene dagli studi femministi postmodernisti, evidenzia come le discriminazioni sessiste possono cambiare aspetto a seconda dell’etnia, della classe e della collocazione geografica in cui processi di genere hanno luogo (Griffiths 1995; Flax 1990).
Viene messo in luce come non solo nell’epoca d’oro della teoria della socializzazione (anni 70-80) ma anche tuttora le ricerche sono etnocentrate su studenti e studentesse delle società occidentali e appartenenti alla middle-class. Ad esempio, come si è visto, i teorici della differenza sessuale tendono ad identificare il processo di rivalutazione femminile con l’ambito privato, tuttavia, numerose altre culture possono intravedere la possibilità di sviluppare questo processo ad altri livelli che interessa il proprio percorso tradizionale, religioso o della sfera pubblica: in molte culture come quella latina gli aspetti di cura relazionale sono qualcosa che interessa sia la sfera pubblica che quella privata (Thompson 2003)
3. É data poca attenzione a quello che accade alle donne nella sfera pubblica. La conseguenza è che il femminismo liberale non tiene in considerazione una delle possibili chiavi che ha limitato la partecipazione delle donne alla sfera politica, civile, economica e decisionale; il ruolo ad esempio del lavoro domestico, la cura dei figli, l’eventuale controllo di mogli e figlie da parte di mariti e padri (Arnot, Dillabough 1999; O’Brien 1983, Weiner 1986). I teorici della differenza sessuale sembrano ritenere che l’eguaglianza di genere sia pienamente raggiungibile trovando soluzioni adeguate in ambito educazionale (Arnot 1981) ma il mercato del lavoro e il sistema capitalistico sono percepiti come non problematici.
4. Sebbene anche le teorie liberali muovano delle critiche all’ordine sociale, allo stesso tempo ne prendono come punto di riferimento i valori e i principi dominanti nelle società a cui si riferiscono (prevalentemente società occidentali), auspicandone una piena e rigorosa applicabilità (Thompson 2003). Sia la teoria della socializzazione e sia quella delle differenze di genere enfatizzano le riforme all’interno del sistema ma non auspicano un radicale cambiamento di quest’ultimo. Esiste una visione unilaterale di “giustizia sociale”. Le disuguaglianze, per gli approcci liberali, sono viste come il risultato di legittimità (come prodotto del merito o di una naturale disuguaglianza) o di illegittimità quando queste sono frutto di pregiudizio, ignoranza, ideologie anacronistiche (Sandel 1984). È possibile eliminare le differenze di genere sia con l’azione individuale e sia attraverso l’incremento del grado di giustizia nell’ordine sociale: i membri delle minoranze svantaggiate saranno così in grado di migliorare la propria condizione affermando il merito tramite le performance (Nicholson 1986). Le politiche sociali ed educazionali e le azioni positive ad esse collegate possono gradualmente modificare e correggere le ingiustizie sociali.
Nonostante i numerosi ostacoli verso un progresso che si deve misurare con un lungo periodo di cristallizzazione delle differenze di genere, questa corrente di pensiero ritiene fortemente che nel tempo, con politiche ed azioni mirate, si potrà vivere in una società più equa per uomini e donne.
12 National Science Board, Science and Engineering Indicators- 1993
Brunella Fiore, I ragazzi sono più bravi in matematica? Interpretare la relazione tra genere e competenze matematiche con il supporto dei dati Pisa 2003, Università degli Studi di Milano Bicocca, Anno Accademico 2006/2007