Tra i primi gruppi partigiani a nascere c’è la Banda del Greco

Fonte: ANPI Voghera cit. infra
Fonte: ANPI Voghera cit. infra

Intanto un altro originale gruppo di ribelli era sceso in campo: una trentina di ex prigionieri greci che l’8 settembre ’43 erano riusciti a fuggire dal Castello di Rezzanello e durante l’inverno erano rimasti nascosti in paesi del territorio montano. Con la primavera si organizzarono e armarono, sotto la guida dell’ex sergente Andrea Spanoyannis, sia per difendersi dalla cattura che per contribuir alla lotta contro le forze fasciste e naziste che avevano occupato il loro Paese. Noti come la “Banda del Greco”, con sede nella scuola elementare di Costalta di Pecorara, misero a segno le loro azioni prevalentemente nel vicino territorio pavese, ma attaccarono anche la caserma di Nibbiano Val Tidone della Gnr, disarmandone i militi e portandone via le armi.
Nel mese di maggio ’44 la formazione della cosiddetta Banda Parmigiani, con alla testa l’ex allievo ufficiale Pietro Chiappini di Borgonovo e l’adesione di giovani di questo comune e di Castel San Giovanni, che realizzarono fra l’altro il disarmo dei militi e l’asportazione delle armi della caserma della Gnr di Borgonovo, preannunciò la grande crescita del movimento partigiano che avvenne durante l’estate e l’estensione delle sue azioni anche al territorio di pianura. I ribelli al comando di Fausto diventeranno prima una Brigata, anche tramite l’assorbimento con atti di forza della banda del Greco e di quella Parmigiani, e poi, con i nuovi afflussi, la Divisione partigiana Piacenza, con migliaia di uomini. E cominceranno a dare del filo da torcere alle stesse forze militari tedesche, attaccandone i convogli in transito lungo la via Emilia, mentre anche gli alleati angloamericani provvederanno con lanci dagli aerei a rifornirli di armi, munizioni ed equipaggiamenti.
Romano Repetti, Gli inizi del movimento partigiano in Val Tidone, Gruppo Ricercatori Aerei Caduti Piacenza

Val Tidone. Fonte: Paolo Modesti, art. cit. infra

Una storia di gente comune, soprattutto di giovani, che si sono dovuti trasformare in eroi per amore della libertà e per odio dell’ingiustizia. Le prime bande di partigiani sono un fenomeno spontaneo. L’8 settembre 1943 l’esercito italiano si scioglie come neve al sole, e le prime organizzazioni nascono quasi subito. Ad animarle per lo più sono singole persone particolarmente determinate, dotate di capacità organizzative e di leadership. Tra i primi gruppi a nascere c’è la «Banda del Greco»: al secolo Andrea Spanoyannis, ex prigioniero di guerra. Il Greco organizza un gruppo di coetanei tra Costalta e Pecorara. Quasi allo stesso momento nascono le altre bande. La «Banda di Capitan Giovanni» è diretta da Giovanni Antoninetti, di Voghera: agisce nella zona di Romagnese. La «Banda di Tundra» è comandata da Tiziano Marchesi e agisce fra Pometo e Ruino. Sia Giovanni che Tundra nell’agosto 1944 chiederanno di entrare nella Divisione «Giustizia e Libertà», che ha il comando nella zona di Piacenza. Si distingue anche la «Banda di Fusco», nome di battaglia di Cesare Pozzi, originario di Montù Beccaria. Dopo l’attività in Valle Versa, il gruppo di Fusco si costituirà in Brigata Matteotti. Ultima ma non meno importante la banda guidata da «Primula Rossa» e cioè Angelo Ansaldi: dopo i primi mesi di battaglia sulle montagne, questo gruppo entrerà a far parte della Brigata Capettini. Ormai è un’onda inarrestabile. Nel maggio del 1944 nella zona del Brallo e del monte Lesima prende forma la 51ma «Brigata Garibaldi – Arturo Capettini», che riuscirà ad incorporare nelle sue file altri gruppi partigiani di origine locale: come il già citato gruppo della Primula Rossa. Viste le dimensioni che prende ben presto, la 51ma ha bisogno di una guida sicura ed esperta. Il 13 maggio del 1944 la «Delegazione lombarda per i distaccamenti e le brigate di assalto» invia in montagna Carlo Lombardi e Domenico Mezzadra, che partono da Voghera. Lombardi, detto «Remo» è un vecchio antifascista, che si è formato politicamente nell’opposizione allo squadrismo lomellino: reati politici che lo hanno portato a scontare 19 anni di carcere. Domenico Mezzadra, soprannominato «L’Americano» è invece un giovane sottotenente del regio esercito che si è dato alla macchia dopo l’8 settembre. In breve i due mandati in avanscoperta vengono raggiunti da altri tre uomini. A Retorbido, Remo e l’Americano incontrano Carlo Allegro, soprannominato «Tom»; Emilio Rizzardi, che aveva il nome di battaglia di «Otto»; e Orfeo Fiaccadori, che si faceva chiamare invece «Tarzan». La brigata Garibaldi appena costituita viene dedicata alla memoria di Arturo Capettini, che aveva il nome di battaglia di «Giuseppe». Capettini era un commerciante di Mede, militante comunista e oppositore del regime durante il ventennio fascista. Arturo Capettini, dopo i primi mesi di guerra partigiana, era stato arrestato e fucilato dai fascisti il 31 dicembre 1943, nel centro di Milano. Le sue ultime parole sono state raccolte nel volume «Utime lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana». «Cara mamma – scrive Capettini – Quando riceverai questa lettera io non ci sarò più. Il piombo nemico mi avrà già freddato. Perciò raccomando a te i miei cari figlioli. Baciali tanto per me, come pure Tilde, e istruiscili affinchè siano buoni patrioti, come lo fui io, e che facciano di tutto per vendicarmi. Caramente bacio tutti per l’ultima volta. Addio, evviva l’Italia, evviva la Comune idea. Vostro Arturo». Il primo vero scontro fra partigiani e fascisti avviene il 25 luglio 1944 e ha per teatro il largo greto dei torrenti Staffora e Aronchio, nel punto in cui confluiscono. Questo primo combattimento passerà alla storia della lotta di Liberazione come la «Battaglia dell’Aronchio». Nel corso dello scontro l’Americano, benchè ferito, guida i propri uomini all’attacco, costringendo i fascisti ad una ritirata precipitosa: è fondamentale l’aiuto della popolazione locale, che partecipa attivamente alla battaglia. Durante l’estate seguente i primi estemporanei gruppi di rivoltosi cercando di organizzarsi in vere e proprie unità operative. Tra la fine di luglio e la metà di agosto, l’inquadramento delle formazioni di guerriglia partigiana assume una fisionomia più precisa. Nasce così la brigata Crespi, agli ordini del comandante «Mario», e cioè Mario Colombi, mentre il vice comandante ha il nome di battaglia di «Ciro»: al secolo Carlo Barbieri. Proprio Ciro, giovane residente a Montebello, con le sue gesta si guadagnerà stima e popolarità tra i partigiani e le popolazioni dell’Oltrepo. In agosto le Brigate Garibaldi e la Brigata Matteotti guidata del comandante Fusco vengono inquadrate in un unico organismo militare: il Comando unificato della sesta zona operativa ligure», che ha la sua base nell’Alta Val Trebbia. Come nel resto d’Italia, le matrici di aggregazione partigiana che iniziano le loro azioni in Oltrepo sono essenzialmente tre. La matrice socialista dà vita alle formazioni «Matteotti», cui appartiene anche il gruppo di battaglia comandato da «Fusco». La matrice azionista fornisce il supporto ideologico alla nascita delle brigate di «Giustizia e Libertà»: come quelle capitanate da Tundra o Capitan Giovanni. La matrice comunista dà vita alle Brigate Garibaldi: come la 51ma Brigata Capettini, la 87ma Brigata Crespi o la 88ma Brigata Casotti. Quest’ultima era comandata dal conte Luchino Dal Verme di Torre degli Alberi, frazione di Ruino. Dal Verme, che aveva scelto come nome di battaglia quello di «Maino», era stato ufficiale di artiglieria in Francia, Jugoslavia e Russia. Anche lui dopo l’8 settembre aveva scelto la via della montagna. La 51ma, la 87ma e la 88ma, riunite insieme, vanno a costituire la Divisione «Aliotta», il cui comando viene assunto da Americano». Nella realtà in tutte le formazioni solo una piccola parte dei combattenti è politicizzata, e anche quelli che lo sono non sempre si trovano a combattere nel gruppo rispondente al loro credo politico. Anche in pianura sono attive diverse formazioni di partigiani. Nei dintorni di Castelletto di Branduzzo si forma la 117ma Brigata Garibaldi «Gramigna», dal nome di Ernesto Gramegna, collaboratore dei partigiani ucciso il 3 ottobre 1944. Tra la periferia di Pavia, Travacò e Bereguardo opera la 168ma Brigata «Muzio», dal nome di Costantino Muzio, 18enne fucilato dai fascisti il 13 giugno 1944. Nella Bassa Lomellina i partigiani sono inquadrati nella 169ma Brigata «Bassa Lomellina», organizzata da Luigi Campegi. Lo stesso Campegi da Tromello dovrà riparare a Milano, dove assumerà il comando della terza GAP. Luigi Campegi sarà poi arrestato e fucilato il 2 febbraio 1945, al campo Giuriati di Milano. «Cari miei – scrive nel messaggio di addio – Sono stato condannato alla pena capitale, mi raccomando non fatelo sapere ai miei genitori. Non piangete per me, vado contento con 12 dei miei uomini. Vi abbraccio tutti». Nel Vigevanese c’è la Brigata «Leoni», di Giovanni Leoni: sarà fucilato a Vigevano il 21 ottobre 1943.
Paolo Fizzarotti, Quei ragazzi che lottarono in montagna, la Provincia Pavese, 25 aprile 2015

Negli ultimi mesi del 1943 e i primi del 1944 si formarono, nella zona compresa tra il Brallo, Pecorara, Perino, Travo, alta val Tidone e alta Val Luretta, numerose piccole “bande autonome” (1), di cui le più importanti per le origini della div. “Piacenza” sono:
Banda “Capannette di Pei” (o del “Brallo”), formatasi il 3 dic. 1943, a fine maggio 1944 si trasferì nella zona di Mezzano Scotti e divenne “Distaccamento Bocchè”;
Banda “Piccoli”, in località Monte Lazzaro, formatasi nel dic. 1943 e discioltasi il 6 giugno1944, dopo la morte del com.te Giovanni Molinari;
Banda “Remigio”, in località Alzanese, formatasi nel novembre 1943;
Banda “Fausto”, in località Alzanese, formatasi il 10 gennaio 1944;
Banda “la Senese” (2) formatasi a fine gennaio 1944, per fusione delle due bande dell’Alzanese (com.te Fausto Cossu).
A fine maggio la Senese si denominò “Compagnia Carabinieri Patrioti”. Il 15 giugno 1944, dopo lo scioglimento della banda “Piccoli”, la “Compagnia carabinieri patrioti”, ingrossatasi e allargato il suo territorio, si trasformò in:
BRIGATA GL (Giustizia e Libertà) (com.te “Fausto”), su 7 distaccamenti: “Senese”, “Groppo”, “S. Giorgio”, “Scarniago”, “Rocca d’Olgisio”, “Barbarino”, “Bocchè”.
A fine giugno, primi di luglio 1944, alcuni distaccamenti si riunirono, si ingrossarono di nuove leve e formarono un primo raggruppamento di brigate, come segue:
Quartier Generale (com.te “Fausto”) e nucleo carabinieri (com.te Trebeschi);
1a brigata (com.te Antonio Piacenza, “Antonio”);
2a brigata (com.te Riccardo Ferrari, “Tredici”) (3);
3a brigata (com.te Alberto Araldi, “Paolo”);
distaccamento “Bocchè” (com.te Giuseppe Comolli, “Pippo”);
distaccamento “Barberino” (com.te Virgilio Guerci, “Virgilio”).
Il 1° agosto 1944 il raggruppamento acquista il rango di divisione. A fine agosto, con l’afflusso di due grosse formazioni dall’Oltrepò pavese e di diversi gruppi provenienti da Piacenza e dalle zone di pianura, assume il seguente ordinamento:
DIVISIONE GL
Quartier Generale, Intendenza, Compagnia CC: Com.te “Fausto”, comm.rio Angelo Rocca “Arcangelo”, CSM Leonida Patrignani “Bandiera”, intendente Alessandro Carbonchi “Sandro”, carabinieri: Giovanni Trebeschi;
1a brigata GL: com.te Antonio Piacenza (e vice com.te),
2a brigata GL: com.te Giovanni Cerlesi “Gianni”;
3a brigata GL: com.te Alberto Araldi;
4a brigata GL: com.te Virgilio Guerci;
5a brigata GL: com.te Tiziano Marchese “Tundra”;
6a brigata GL: com.te Giovanni Antoninetti “Giovanni”;
7a brigata (in formazione), composta dal distaccamento “Bocchè” (Pippo Comolli) e da un nuovo distaccamento “Alpini Aosta” (ltalo Londei),
battaglione autonomo “Monteventano”, com.te Lodovico Muratori “Muro”;
distaccamento autonomo “Punta d’acciaio”, com.te Lino Vescovi “Valoroso”;
distaccamento autonomo “Audaci”, com.te Angelo Babini “Piricò”;
squadra volante di Monduzzo, com.te Giovanni Lazzetti “Ballonaio”.
N.B. – Verso il 19 ottobre1944, col ferimento di “Tundra”, Pippo Comolli assume il comando della 5a brigata, portando al seguito parte del dist. “Bocchè”; Italo Londei assume il comando della 7a composta quasi interamente di ex alpini, originari di altre province.
Si giunge così al rastrellamento invernale 1944-1945 (iniziatosi il 22 novembre 1944). Il 30 novembre 1944, “Fausto” scioglie la divisione “G.L.”. Le brigate, ridotte a pochi distaccamenti, ritornano autonome.
[NOTE]
(1) Altre “Bande autonome” (tale è la denominazione usata dalle CRRQP), che passarono nella VI zona, o nell’Oltrepò pavese, o si sciolsero, sono: le “Bande del Brallo” (da cui si staccò la “Capannette di Pei”), la “Banda del Greco” (Andrea Spannoiannis), la “Banda di Terulla”, la banda “Nando Della Giovanna”, e altre nella zona Pianello-Ziano-Pecorara (tra cui quella di “Cappelleggio” con Gino Bongiorni, che in seguito si aggregò prima alla banda “Piccoli”, poi alla 5a brigata
(2) La grafia esatta, in piacentino, sarebbe “al Siines”, dal nome della cascina omonima, da cui la località topografica Alzanese. La pronuncia è molto vicina a “Senese”; comunque, i più la denominarono così.
(3) Per stabilire chi fosse il com.te la 2a brig. in questo periodo, mi sono basata sul tesserino di riconoscimento intestato al col. Casula, che cadde a Prato Barbieri il 7 gennaio1945 assieme alla figlia Giuseppina. Sul tesserino, rilasciato coi timbri della 2a brigata, è ben leggibile la firma (13 Katiusca).
Paolo Modesti, Divisione “Piacenza” – Giustizia e Libertà, www.partigiano.net

L’avvenimento che rilancia il movimento partigiano dell’Oltrepo, e che costituisce il primo confronto armato, realmente importante, vinto dagli antifascisti, dopo il terribile rastrellamento invernale del 1944-1945, ha luogo il 14 febbraio 1945 nello scenario della Val Versa e, precisamente, sul colle dell’Ortaiolo.
La battaglia dell’Ortaiolo (detta anche delle “Ceneri” ) è sostenuta dalla “Matteotti” del comandante “Fusco” ( Cesare Pozzi ) e dagli uomini della brigata garibaldina “Togni”.
Cesare Pozzi “Fusco”
I partigiani respingono un rastrellamento attuato da oltre 250 nazifascisti (tedeschi, brigate nere e sichereits),
Lo scontro, che avviene a tratti in campo aperto, segna una svolta nelle vicende della Resistenza dell’Oltrepo, perchè dimostra che i garibaldini e i giellisti sono in grado di colpire il nemico anche dopo un ripiegamento,e non più limitarsi al solo attaccare e sganciarsi, che era la tattica del primo periodo della lotta armata.
Questo il resoconto della battaglia:
«LA BATTAGLIA DELLE CENERI O DELL’ORTAIOLO avviene nella fase finale del terribile rastrellamento invernale ‘44/’45 e la sconfitta dei nazifascisti segna un importante risultato, non solo militare, per le formazioni partigiane.
I reparti fascisti (Brigata nera e Sicherheit) con militari tedeschi alla guida, tra i quali il capitano delle SS Ferdinand Bisping (noto come capitano Hoffmann) e il sergente Hans Schluster (noto come Muller), risalgono avvolti dalla nebbia dal Colombarone di Volpara, senza cautele, sicuri di non trovare opposizione.
Gli uomini di Cesare Pozzi “Fusco” sono già stati allertati, in particolare dall’incendio di un cascinale, e hanno preso posizione. Nonostante le perplessità ed i dubbi sulla prova del fuoco che li attende (“il primo vero scontro dopo il rastrellamento…” dirà Fusco) i partigiani osservano la colonna nazifascista, preceduta da una pattuglia, raggiungere la località Bacà a circa duecento metri dalla prima postazione dei matteottini. Mentre Bisping ed i suoi aiutanti cercano di fare il punto della situazione i partigiani iniziano a sparare. L’ufficiale delle SS viene colpito mortalmente, ucciso il sergente Muller e feriti diversi altri repubblichini, alcuni dei quali si fingono morti. Il fuoco incrociato degli uomini di “Fusco” e di altri partigiani – dal Mollio i giellisti della brigata “Milazzo Deniri” , mentre diversi garibaldini della “Togni” danno man forte ai matteottini a Moncasacco ed a Marchisola – costringe gli assalitori a ritirarsi.
Partigiani della “Balladore”: in posa nella Pavia liberata Il dato rilevante è che diversi contadini di Tassara e del Moglio appoggiano i partigiani, rifornendoli di cibo e, dopo aver chiesto ed ottenuto armi, partecipano direttamente allo scontro. Intanto i fascisti ricevono rinforzi e tornano l’attacco con armi pesanti. In aiuto dei matteottini intervengono partigiani della brigata “Balladore”, mentre tra le case di Costa Piaggi, Silvio Marchi e Joseph Zavdorni impediscono la risalita della strada dell’Ortaiolo. Da ricordare l’aiuto della giovane Luisa Acciardi, che prepara i caricatori per la mitragliatrice di Marchi, ad ulteriore testimonianza del ruolo svolto dalla popolazione. Per qualche ora la situazione sembra bloccata, poi i partigiani passano all’attacco, scendendo verso Colombarone. Per i rastrellatori è l’ora della fuga verso Santa Maria della Versa. Fiorentini ordina al tenente Livio Campagnolo (dal novembre ’44 al comando della sede di Cigognola, fucilatore di partigiani) di difendere la ritirata a Casa Genta, ma viene ucciso con altri tre militi della Sicherheit. Le perdite repubblichine sono di almeno 10 caduti, mentre i partigiani contano due feriti. La rabbia dei fascisti in fuga si scatena però a Santa Maria della Versa con la fucilazione di Mario Cavalleri e Cesare Magnani, padre di un partigiano.
La vittoria delle forze partigiane dimostra che la lunga notte del rastrellamento invernale è finita: la popolazione esulta e festeggia apertamente in diversi paesi e frazioni. Come immediato risultato della battaglia, la sera del 18 febbraio “Fusco” ed alcuni partigiani scendono a Stradella e nell’Albergo “La milanese” eliminano il brigatista nero Gipèn, (Giuseppe Vercesi, tristemente famoso per le sue imprese contro gli antifascisti) ed altri quattro presenti nel locale. Ferito un solo partigiano. Un segnale ulteriore che le forze partigiane sono passate all’offensiva.».
Proposte bibliografiche
“L’Altra guerra” Giulio Guderzo ed. Il Mulino 2002
“La Resistenza scolpita nella pietra” Ugo Scagni ed. Guardamagna 2003
“Il coraggio del NO” a cura di U. Alfassio Grimaldi ed. Amm. Prov. di Pavia 1976
“Oltrepo partigiano” a cura di C. Ferrario e Fulco Lanchester ed. Amm. Prov. di Pavia 1973
“Storia della Resistenza in provincia di Pavia” A. Barioli, A. Casati, M. Cassinelli ed. Quaderni Amm. Prov. di Pavia 1961
“La 1° brigata Matteotti in Oltrepo Pavese” Bruno Meriggi ed. Assoc. Partigiani Matteotti Oltrepo pavese 1996
“La Matteotti dalla brigata alla Divisione” Bruno Meriggi ed. Assoc. Partigiani Matteotti Oltrepo pavese 2000
Redazione, La battaglia delle Ceneri, ANPI Voghera

Nel tentativo di rioccupare il territorio collinare, tedeschi e fascisti sferrano una robusta operazione (impegnando forze e mezzi ) ai primi di marzo del 1945.
I partigiani però non sono impreparati, e contrastano in maniera efficace l’attacco concentrico nazifascista che, partendo dalle valli Ardivestra e Scuropasso, nonché dalla direttrice Varzi- Pietragavina, mira a scardinare il sistema difensivo partigiano imperniato su Zavattarello.
L’apice di questi scontri si svolge nel brullo territorio collinare di Costa Pelata in Val Coppa.
L’11 marzo 1945 sono i garibaldini di “Maino” (Luchino Dal Verme), della “Crespi” e dai giellisti di “Capitan Giovanni” (Giovanni Antoninetti), coadiuvati dal Reparto Cecoslovacco, a fronteggiare l’urto nemico.
Costa Pelata è una battaglia che si spezza in una serie di scontri intensi.
Ai partigiani arriva anche l’aiuto di due caccia bombardieri inglesi. Scendono in picchiata sulla collina, sollevando dei timori anche tra le file partigiane, vista la mobilità delle posizioni. L’effetto positivo è dovuto più alla loro presenza, la quale getta scompiglio tra le file nazifasciste, che non all’efficacia delle raffiche, che si perdono sui pendii della costa.
Per l’intera giornata la collina viene persa e ripresa più volte dai partigiani, che la risalgono per ben quattro volte.
Il giorno dopo (12 marzo 1945) gli attaccanti repubblichini e tedeschi lasciano il campo sconfitti.
Costa Pelata sanziona così il crollo del disegno nazifascista di riportare sotto il proprio controllo il territorio collinare oltrepavese.
A seguire vi proponiamo la scheda informativa della battaglia:
«LA BATTAGLIA DI COSTA PELATA segna la fine dell’ultimo massiccio e coordinato rastrellamento che impegna diverse centinaia di fascisti (GNR, BN, Fiamme Bianche e della famigerata Sicherheit) oltre ad alcuni reparti tedeschi, con tre direzioni d’attacco: da Broni verso valle Scuropasso, da Godiasco verso valle Ardivestra, da Varzi per la zona di Pietragavina. Analoga puntata è effettuata nel tortonese nelle Valli Curone e Grue dalla BN di Alessandria.
La prima direttrice investe i partigiani della “Togni” e della “Balladore” che rispondono all’attacco guidato dal colonnello Fiorentini della Sicherheit, che ha attrezzato una corriera ed una autoblindata. Si ripresentano scene di distruzione, razzia e violenza: a Bosco di Montecalvo viene uccisa una bambina di 12 anni Giuseppina Cocchi, a Casone sono fucilati due contadini, Carlo Pisani (54 anni) e Pietro Maini (42 anni), accusati di aiuto ai partigiani. Lungo il percorso la colonna fascista, che si fa scudo di un ostaggio, cattura il partigiano della “Togni” Renato Moretti (21 anni, che verrà fucilato per rappresaglia il 14 marzo a Cigognola su richiesta di Fiorentini, che rifiuta ogni possibile scambio di prigionieri).
La reazione dei partigiani, sostenuti ancora una volta attivamente dalla popolazione, riesce a bloccare l’attacco ed a conquistare sia la corriera che l’autoblindata, respingendo i fascisti. Da ricordare anche la rapida apparizione di due aerei (forse inglesi) che scendono a mitragliare le colonne dei rastrellatori, con l’effetto di galvanizzare i partigiani e di sorprendere gli attaccanti.
Nel settore di Pietragavina la colonna nazifascista riesce ad occupare Valverde ed a Cascina Riassa uccide Umberto Negruzzi “Berto” di Tovazza, (32 anni), valoroso comandante di un distaccamento della “Crespi” da poco nominato capo di stato maggiore della brigata. Una perdita durissima per la divisione “Aliotta”.
Dopo avere raggiunto Costa Cavalieri i rastrellatori sono attaccati dal distaccamento “Missori” della brigata “Casotti” che li respinge su Costa Pelata mentre a Valverde i garibaldini della “Crespi” con i giellisti di Giovanni Antoninetti “Capitano Giovanni” combattono contro il presidio fascista lasciato in paese.
Sono fasi convulse, la collinetta viene persa e ripresa più volte, dagli uomini di Luchino dal Verme “Maino”, con scontri ravvicinati.
L’autoblindata catturata il giorno prima viene colpita e resa inutilizzabile, mentre una colonna che arriva in soccorso dei fascisti viene attaccata dal distaccamento “Bixio” della “Casotti” che vede cadere il suo comandante, Luigi Migliarini “Vento” (22 anni, nato a Rimini e trasferitosi quasi subito a Roma con la famiglia, entrato nei partigiani dopo l’8 settembre).
Giovanni Antoninetti Agli uomini della “Casotti” giungono in appoggio anche le brigate “Sandri”, “Balladore” e “Togni”.
In questa fase cadono Giovanni Antonielli (58 anni) e Giuseppe Bonelli (64 anni) uccisi mentre cercano di salvare la loro cascina colpita dal fuoco dei fascisti, ed è ferito gravemente anche il partigiano Gino Molinari “Pio” (23 anni) – accorso a dare man forte con altri reparti giellisti piacentini, muniti di armi anticarro – che morirà all’ospedale di Bobbio dopo alcuni giorni.
La fuga dei rastrellatori da Costa Pelata corrisponde a quella da Valverde: nella fretta fanno caricare dai contadini di Costa Cavalieri i morti ed i feriti, dimenticando anche un caduto che verrà poi recuperato da uno dei contadini, Alessandro Schiavi, mandato da Godiasco dopo aver trattenuto in ostaggio il figlio per la durata del trasporto. La collina è ormai fuori dal controllo dei nazifascisti. La liberazione si avvicina».
Redazione, La battaglia di Costa Pelata, ANPI Voghera

La lezione della Resistenza, di ciò che significarono quei 23 mesi di lotta per la democrazia e la libertà, l’ha appresa dal padre Alessandro, il partigiano Pollarolo, originario di Sant’Angelo Lodigiano, trasferitosi con la famiglia a Pometo [n.d.r.: frazione del comune di Colli Verdi in provincia di Piacenza], soldato del 228° reggimento di fanteria sorpreso dall’armistizio a Torino, quindi resistente con la banda del Greco (Andrea Spanoyannis) una delle prime formazioni ribelli dell’Oltrepo, poi con la brigata piacentina Ciancio di Pippo Comolli.
Antonio Magri, ispettore di polizia in pensione, per 15 anni consigliere comunale a Ruino, ha voluto con Il cuore sulle colline (Guardamagna editore) ripercorrere i luoghi in cui si battè il padre, nelle valli dell’Oltrepo e del Piacentino dove aspro e determinato fu lo scontro con il nazifascismo, e dove più feroce e cieca furono la repressione e il tentativo di schiacciare il movimento partigiano, dal grande rastrellamento dell’inverno 1944-45 alle temibili, ma vane, offensive della Sicherheits di Fiorentini nei primi mesi del ’45 (battaglia delle Ceneri collegata alla resa del presidio di Nibbiano della Gnr, battaglia di Costa Pelata). Magri ha raccolto decine di testimonianze, molte delle quali inedite, di protagonisti della Resistenza, uomini ormai ultranovantenni ma che non dimenticano il valore della loro scelta.
«Sono venute fuori storie incredibili, alcune praticamente sconosciute – spiega – come quella che mi ha raccontato Ottavio Ghelfi, partigiano di Versa (Santa Maria), di quando con Gino Villani (padre del consigliere regionale ed ex sindaco di Pinarolo, Giuseppe) vennero catturati dalla Sicherheits, ma riuscirono a saltare giù dal carro che li stava portando al castello di Cigognola (“Villa Triste” della Sa dove i prigionieri venivano torturati e poi scaraventati in un pozzo) e a nascondersi. Ghelfi si unì poi alle formazioni di “Americano” (Domenico Mezzadra), partecipando alla battaglia di Costa Pelata. Significativa anche la testimonianza di Rino Mutti, di Brevi (Romagnese) che fu con i giellisti di Capitan Giovanni (Giovanni Antoninetti)». Toccante la vicenda di Ennio Delmonte, ventenne di Ruino freddato dai tedeschi. E i luoghi? «Ce ne sono tanti. Parliamo della zona in cui la Resistenza si organizzò presto, seconda solo ad alcune valli del Piemonte e alla Val d’Ossola. Grazie alla descrizione di Giovanni Lanzetti, il “Ballonaio”, ho scoperto i resti della trincea scavata alle pendici del monte Bissolo, dietro Trebecco, dove si era appostato con una mitragliatrice per cercare di fermare l’aganzata dei “mongoli” della divisione Turkestan».
Il ricordo indelebile del grande rastrellamento, la fame, il freddo, la ferocia inumana dei calmucchi che bruciavano le case e violentavano le donne, emerge praticamente in ogni racconto: «Mio padre – spiega Antonio Magri – si ritirò con altri compagni fino a Santo Stefano d’Aveto. Avevano scavato una buca per proteggersi dal gelo e nascondersi, ma un ragazzino del posto li vide e li tradì, forse senza neanche rendersi conto della gravità di ciò che stava facendo, e furono costretti a fuggire di nuovo». Un libro, insomma, che aggiunge qualcosa di nuovo e di interessante alla vicenda già ampiamente scandagliata, ma sempre meritevole di attenzione, della guerra partigiana. E che dunque merita una lettura non superficiale.
Roberto Lodigiani, Personaggi e luoghi-simbolo della Resistenza tra le valli dell’Oltrepo e del Piacentino, 21 aprile 2021