Un grande matematico, pluridecorato della Resistenza

Mario Fiorentini in una foto degli anni Quaranta – Fonte: Pietro Nastasi, art. cit. infra

Mario Fiorentini entrò in contatto con gli ambienti antifascisti di Roma alla fine degli anni Trenta. A seguito della caduta del fascismo e dell’armistizio dell’8 settembre 1943 Fiorentini organizzò a Roma, sotto la direzione del Partito comunista, a partire dall’ottobre del 1943, le formazioni armate dei Gruppi di azione patriottica (Gap), dirette da Antonello Trombadori e Carlo Salinari. Dopo i primi sette mesi di guerriglia urbana a Roma, fu inviato nelle zone di Tivoli e dei Castelli Romani per organizzarvi la lotta partigiana. A seguito della Liberazione di Roma fu arruolato dall’Office of Strategic Service (Oss) statunitense e paracadutato nel Nord-Italia alla guida di una missione alleata denominata “Dingo”. Al termine del conflitto venne insignito di tre medaglie d’argento al valor militare, tre croci al merito di guerra, una medaglia William Donovan statunitense, una medaglia della Special Force inglese per il suo operato nella Special Operation Executive (Soe). Nel dopoguerra avviò gli studi di matematica, divenendo nel 1971 professore ordinario all’Università di Ferrara. I suoi studi di algebra commutativa e di geometria algebrica lo hanno accreditato come studioso di caratura internazionale.
Il fondo archivistico conserva materiale documentario riguardante in prevalenza l’antifascismo, la seconda guerra mondiale, la lotta di Liberazione nazionale. In particolare sono presenti documenti relativi all’attività di Mario Fiorentini come partigiano combattente sia nei Gap a Roma, nelle zone di Tivoli e dei Castelli Romani sia poi, a partire dal luglio 1944, nel Nord-Italia nell’ambito delle missioni alleate dell’Office of Strategic Service e della Special Force inglese. Il fondo conserva scritti di e su Mario Fiorentini, sulla Resistenza a Roma e sulle missioni alleate, uno specifico sub-fondo sui Gap di Roma; opuscoli, pubblicazioni e stralci di pubblicazioni sulla lotta di Liberazione; copie della stampa clandestina antifascista del 1943-1945; documentazione del ministero dell’Interno durante il regime fascista; documenti sulle leggi razziali in Italia; una raccolta di fotografie riguardanti la sfera pubblica, professionale e privata di Fiorentini; periodici e pubblicazioni sulla Resistenza e sul Pci; corrispondenza di Fiorentini con personalità della politica e della cultura; una rassegna stampa selezionata da Fiorentini; una foto autografa di Ho Chi Min indirizzata a Fiorentini e Lucia Ottobrini; documenti su Lucia Ottobrini, partigiana combattente dei Gap, medaglia d’argento al valor militare e, nel dopoguerra, moglie di Fiorentini.
Il fondo, integrato da raccolte rilegate di giornali e riviste politiche dell’Ottocento riguardanti il Risorgimento italiano e da una raccolta di riviste politico-satiriche francesi degli anni 1900-1930, ha una consistenza di 12 buste, 57 fascicoli, 7 volumi rilegati, 10 supporti audio-video, 332 fotografie.
Davide Conti, La resistenza di Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini dai Gap alle missioni alleate. Inventario del Fondo Mario Fiorentini, Senato della Repubblica

Pubblichiamo l’intervista di Pietro Nastasi a Mario Fiorentini, matematico, esponente di primo piano della Resistenza, già comparsa sul numero 39-40 di Lettera Matematica PRISTEM.
Mario Fiorentini è nato a Roma il 7 novembre 1918. Autodidatta, con giovanili interessi per l’arte e la cultura in genere, partecipa alla lotta partigiana al comando del Gruppo di Azione Patriottica (GAP) “Antonio Gramsci”. Insieme alla compagna della sua vita, Lucia Ottobrini (“Maria”, “Leda”), una giovanissima alsaziana che amava i tedeschi e combatteva i nazisti, partecipa alle più importanti azioni militari dei GAP romani, compresa quella di via Rasella. Ancora assieme, combattono in montagna, dietro le linee tedesche nel Lazio. Nel luglio ’44, al Comando della missione “Dingo”, dell’Office Strategics Services (OSS), raggiunge Giorgio Amendola e Sandro Pertini nel Nord Italia (Emilia, Liguria, Lombardia e Piemonte).
Nel Nord, Mario assume i nomi di battaglia di “Gandi”, “Fringuello” o “Dino” e varie volte viene rinchiuso nelle carceri tedesche e delle brigate Nere. Per le loro imprese, sia Mario che Lucia sono pluridecorati al valor militare.
Professore ordinario di Geometria superiore all’Università di Ferrara dal 1° novembre 1971, alle ricerche di Mario Fiorentini è stato dedicato nel 1996 un convegno di Algebra commutativa e di Geometria algebrica
[…] Non è stato il solo tra i matematici a distinguersi nella lotta al nazi-fascismo nella partecipazione attiva alla Resistenza. A parte il caso ben noto di Lucio Lombardo Radice, anche Jacopo Barsotti passò le linee e combatté contro i tedeschi. Carlo Pucci partecipò come volontario alla battaglia del Senio (tra Ferrara e Ravenna), a fianco degli anglo-americani.
[…] Tu, Lucia, Carla Capponi e Rosario Bentivegna eravate a via Rasella il 23 marzo del ’44 e avete poi assistito alla successiva rappresaglia delle Fosse Ardeatine, in cui 335 ostaggi furono massacrati dai nazisti. Le dichiarazioni di Kesserling e Kappler in tribunale hanno dimostrato la improponibilità della tesi che voi consegnandovi ai tedeschi avreste evitato l’eccidio. Sai meglio di chiunque altro che, a più di 50 anni di distanza da quell’episodio, il dibattito sulla legittimità di questo tipo di azioni della Resistenza non si è ancora chiuso. Come hai vissuto il trauma delle leggi razziali? Come è avvenuta la tua adesione alla Resistenza? Qual è la tua opinione sui fatti di via Rasella e le recenti polemiche?
Ascolta: il 16 ottobre 1943, vennero i tedeschi a via Capo le Case (una traversa di via del Tritone, a Roma), dove abitavo con la mia famiglia. Mio padre era ebreo, ma non aveva mai avuto rapporti con la comunità e perciò non era nelle loro liste. I tedeschi in realtà cercavano un mio zio, di cui in qualche modo avevano avuto il nome. Io ero già nella Resistenza. Li vidi arrivare e feci in tempo a scappare, rifugiandomi in via Margutta, a casa dei pittori Emilio Vedova e Giulio Turcato. I tedeschi presero i miei genitori e li portarono via con tutti gli altri rastrellati; poi mia madre inventò uno stratagemma e riuscirono a fuggire. Cambiavamo continuamente nascondiglio e qualche volta dormivo presso una zia che abitava dall’altro lato di via del Tritone, proprio vicino a via Rasella. Fu da lì che vidi passare il battaglione Bozen (non passavano tutti i giorni, come poi si è detto). Mi misi in allerta, subito. Ho rivisto il verde marcio di quelli che erano venuti a prendere i miei genitori. Psicologicamente l’ho vissuta così. E questo può darsi che non sia un sentimento molto nobile, quasi di vendetta, però io ci ho messo anche quello.
In un certo senso, come ha scritto Alessandro Portelli, via Rasella comincia il 16 ottobre ed è una risposta anche alla retata e alla deportazione degli ebrei romani. Bisogna tener conto di questo perché, in tutte le discussioni sulla vicenda, la polemica antipartigiana parla della rappresaglia come se fosse solo la reazione a posteriori ad una provocazione partigiana, come se la violenza a Roma cominciasse da via Rasella. Ma Roma era tutt’altro che una “città aperta”; era una città occupata e in guerra, dove le violenze degli occupanti erano quotidiane.
Roma era usata dai tedeschi come un retrovia del fronte, continuamente attraversata dai convogli militari tedeschi; anche per questo gli alleati non la riconobbero mai come “città aperta”. Una città aperta non può essere occupata. Perciò l’azione di via Rasella – non da sola, perché va vista insieme a tutte le altre azioni che abbiamo fatto – è stata in un certo senso il culmine, il coronamento di un programma che ci eravamo dati già dal mese di ottobre del ’43 e che ci veniva indicato anche dagli Alleati e dalla direzione politica del movimento di liberazione. Dovevamo attaccare i fascisti e i tedeschi, rendere insicura la loro permanenza a Roma. Gli Alleati erano in serie difficoltà sul fronte di Anzio, stavano per essere rigettati in mare con conseguenze catastrofiche per la guerra. La Special Force inglese e l’OSS statunitense avevano mandato delle missioni paracadutate a Roma e continuavano ad esortare ad attaccare duramente i tedeschi. Non dovevano essere padroni della città. In questo senso vanno intese le azioni che precedettero via Rasella: l’attacco ai tedeschi fuori dal cinema Barberini, all’albergo Flora a via Veneto, alla sfilata fascista a via Tomacelli (solo per citare le più clamorose); e poi, ancora, in via Veneto, a piazza dell’Opera, in via Crispi, a Villa Borghese. A nessuna seguì automaticamente una rappresaglia. Via Rasella fu solo una delle azioni che avevamo programmato per quei giorni: stavamo preparando un assalto al carcere di via Tasso e un’altra azione contro l’adunata fascista per l’anniversario della fondazione del partito, lo stesso giorno. Poi le circostanze fecero sì che le altre azioni non si potessero realizzare.
Una critica all’azione di via Rasella riguarda la sua presunta inutilità militare. Tu, più volte, hai invece sostenuto che ha avuto un peso rilevante anche sul piano militare strategico.
Ne sono stato convinto fin dall’inizio e la mia convinzione è stata poi suffragata da alcuni fatti delle settimane successive. Il primo è stata la decisione del comando militare tedesco di fare divieto alle sue truppe di utilizzare la città per i trasporti di truppe o di materiale o di uomini. Questo è un primo risultato di natura militare e strategica rilevante, perché i tedeschi furono costretti a “allargare” e ad aumentare il percorso, girando intorno alla città o anche a esporsi ai bombardamenti e alle azioni partigiane lungo le strade. Il secondo fatto è rappresentato dall’enfasi e dal rilievo dato alle azioni dei partigiani romani dalle radio alleate. Roma è stata l’unica capitale europea che ha opposto una resistenza così massiccia all’occupazione tedesca. La terza conferma mi è venuta quando, attraversate le linee, sono andato al Comando del corpo di spedizione francese. Là, sotto una grande tenda, insieme allo stato maggiore, abbiamo discusso e mi sono reso conto che conoscevano bene l’attività dei partigiani romani. Sapevano che avevamo attaccato i tedeschi ripetutamente, e in particolare a via Rasella, colpendo duramente la gendarmeria tedesca. Ma non solo a via Rasella. In quella occasione, feci una relazione generale che li impressionò molto. Il generale Alphonse Juin a un certo momento intervenne, pronunciando due volte la parola: formidable, formidable!
Si parla poco del ruolo delle donne nella Resistenza. Scriveva Ada Gobetti: “nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”. Carla Capponi, nel suo bellissimo volume “Con cuore di donna” (Il Saggiatore, Milano, 2000), ha finalmente rotto il silenzio perché, per dirla con i versi di Ismail Matter, “i ricordi sono come uova d’uccello nel nido:/ l’anima li riscalda per lunghi anni/ e d’un tratto essi rompono il guscio/ disordinatamente, inesorabilmente”. Carla Capponi è uscita dal riserbo per raccontare la “sua versione dei fatti” e spiegare ai giovani che voi eravate esattamente come loro, che la misura dei sentimenti è la stessa, sia che si superi un esame difficile a scuola sia che si riesca a sfuggire ad un arresto delle SS gettandosi da una finestra. Lucia, la compagna della tua vita, ha detto a Marina Addis Saba, (autrice di un saggio sulle “Partigiane”; Mursia, Milano, 1998) di non voler raccontare niente di particolarmente eroico: “eravamo gente costretta a lottare e non guerrieri in cerca di gloria”. È stato veramente così? Quali sono state le motivazioni che, per esempio, hanno spinto Lucia a diventare antifascista?
Sì, è stato così. Per quanto riguarda Lucia, conviene cedere la parola a lei stessa.
Lucia Ottobrini: La principale motivazione della mia scelta antifascista fu sicuramente l’entrata in guerra contro la Francia, la mia seconda patria, l’infamia di un’aggressione contro un Paese che era stato già piegato dai tedeschi.
Poi le leggi razziali. Molta gente, specie nel “popolino”, aveva creduto in una matrice proletaria del fascismo e in una certa propensione ad occuparsi della povera gente e questo spiega il consenso di massa che il fascismo, e il fascino personale di Mussolini, avevano conseguito.
Con i fallimenti della campagna di Grecia e di Russia, si capì subito però che la guerra non sarebbe stata la passeggiata imprudentemente promessa. Fu il fatto di aver passato la prima parte della mia esistenza in un ambiente proletario e i miei trascorsi in Francia che fecero maturare in me la coscienza di stare dalla parte degli operai e del popolo.
All’inizio del 1943 (sono nata nell’ottobre 1924, avevo da poco compiuto 18 anni) conobbi Mario. Fu una fiammata che non si è mai spenta né attenuata. Fu subito il mio ragazzo e il mio compagno di tutta una vita; insieme a lui ho superato vicende difficili. Tramite Laura Lombardo Radice, mi fu assegnato il primo incarico politico: la raccolta di indumenti, medicine e cibo per i prigioneri politici. Così conobbi le sofferenze dei perseguitati antifascisti. Per me fu una rivelazione. Incontrai, accanto a Mario, uomini e donne antifascisti, persone di estrazione borghese che poi sarebbero diventate famose, ma anche operai, artigiani e piccoli negozianti.
Fu un periodo splendido: Mario e Plinio De Martiis avevano formato una compagnia teatrale, che doveva far conoscere gli autori classici del teatro di prosa al popolo, evitando le rappresentazioni degli autori cosiddetti borghesi. Avevano pensato ai cinema di periferia, in modo da raggiungere un pubblico popolare fino ad allora escluso dal teatro. Iniziammo dal cinema Mazzini con una meravigliosa interpretazione di Gassmann dell’Uomo dal fiore in bocca di Pirandello, ma incontrammo subito delle difficoltà finanziarie perché né il proletariato né il ceto medio corsero ai nostri spettacoli. Attori e registi si ridussero la paga e qualcuno addirittura vi rinunciò. Facemmo una sola rappresentazione al Teatro delle Arti. Avevamo progettato che Gassmann saltasse sopra un tavolo e cantasse l’Internazionale in francese. I registi della nostra compagnia erano Luigi Squarzina, Adolfo Celi, Gerardo Guerreri, Vito Pandolfi, Mario Landi. Gli attori erano Gassmann (stupendo per la sua classe, il suo ardore, la sua cultura), Lea Padovani, Nora Ricci, Antonio Pierfederici, Vittorio Caprioli, Carlo Mazzarella, Alberto Bonucci, Gianni Santuccio, Ave Ninchi, Nino Dal Fabbro, i fratelli Ettore e Corrado Gaipone e tanti altri. Ho dimenticato molti nomi, ma eravamo tutti giovani, entusiasti e antifascisti. Dopo l’8 settembre, la situazione divenne confusa sia sul piano militare sia su quello politico. Subito dopo l’armistizio, entrai tra i partigiani combattenti nella quarta zona, poi nei GAP di zona, quindi nel GAP centrale “Antonio Gramsci” diretto da Mario (in stretto contatto con il GAP “Carlo Pisacane”, diretto da Rosario Bentivegna). Ho combattuto avendo al mio fianco carabinieri, graduati, ufficiali, civili di idee liberali o socialiste, comunisti e democristiani, ebrei e preti, monarchici e repubblicani, tutti uniti dal comune intento di cacciare i nazisti. Il fascismo, il nazismo, il franchismo erano modelli da respingere, perché avevano calpestato le libertà, e la stragrande maggioranza dei partigiani si batteva per la libertà. […]
Pietro Nastasi, Ero in via Rasella, Bocconi MATEpristem

[…] Subito mi mostra una bella foto di Lucia Ottobrini – la compagna di una vita venuta a mancare nel settembre scorso, pochi giorni dopo il loro 70° anniversario di matrimonio – sistemata proprio al centro della libreria che occupa l’intera parete.
Un’unione, la loro, iniziata nel 1943, non molto tempo prima l’8 settembre: “Eravamo all’angolo di via Zucchelli: arrivano i carri armati tedeschi e noi li vediamo, siamo atterriti, sembrava che Roma venisse liberata e invece veniva occupata. Io la prendo per mano, per tutta la vita ci siamo tenuti per mano, e le dico: ‘Nous sommes dans un cul de lampe'”.
Mario e Lucia, “la coppia di volpi argentate”, perché, mi racconta, “insieme abbiamo 4 medaglie d’argento al valor militare”. Oltre che – spiega – cinque passaporti e innumerevoli nomi di copertura (L’uomo dai quattro nomi è il titolo di un bellissimo film documentario girato qualche anno fa da Claudio Costa).
Mario e Lucia, i due partigiani, lui comandante e lei vice del gruppo d’azione Gramsci della rete dei Gap centrali di Roma diretta da Carlo Salinari.
Tantissime le azioni portate a termine insieme: tra le altre anche l’attacco al battaglione Bozen di via Rasella, l’attentato partigiano dove, il 23 marzo del 1944, morirono trentatré soldati tedeschi e a seguito del quale i nazisti, come rappresaglia, ordinarono, il giorno dopo, la strage delle Fosse Ardeatine, in cui vennero fucilate 355 persone.
Via Rasella si trova proprio qui a due passi. La zona di via del Tritone e di piazza Barberini fu teatro di molte azioni dei gappisti.
Quando scoppiò la bomba che i partigiani avevano nascosto in un carretto della spazzatura trainato da Rosario Bentivegna (che per l’occasione si camuffò da netturbino), Mario Fiorentini era lì insieme agli altri compagni. Di quell’azione fu il principale ideatore. Roma veniva da sei mesi di occupazione nazista, sei mesi terribili, fatti di rastrellamenti (quello del ghetto ebraico ci fu il 16 ottobre del 1943), stragi, fucilazioni – come quelle di Forte Bravetta (72 morti) e Pietralata (dieci morti) – fame, freddo, paura. Gli Alleati erano sbarcati da poco a Anzio ma erano in seria difficoltà. Serviva un’azione forte, un “innalzamento del livello dello scontro”: “bisognava reagire alla tristezza e allo sconforto, attaccare i tedeschi era l’unico modo che avevamo per reagire a quella cappa di piombo che avvolgeva la città”.
Su via Rasella, sulla Resistenza, sulla guerriglia urbana condotta dai gappisti romani nei sette mesi di occupazione nazista ho preparato molte domande ma ben presto mi rendo conto che di fronte a un personaggio del carisma e dello spessore di Mario Fiorentini la mia idea iniziale di fare un’intervista basata sul classico schema domanda/risposta è impraticabile.
Mario è un vulcano, un fiume in piena che ti travolge.
[…] La reticenza di Mario sulla sua storia di gappista non mi meraviglia. Primo, perché non ci sono nuove rivelazioni o scoop da fare su via Rasella e le Fosse Ardeatine: come andarono gli avvenimenti, in fondo, si sa. Come ha scritto Alessandro Portelli nel fondamentale L’ordine è già stato eseguito “sull’andamento degli eventi ci sono le conclusioni della storiografia esistente; le fonti scritte, bibliografiche, giornalistiche sono essenzialmente fonti già pubbliche”.
In secondo luogo perché quella di via Rasella, ma in generale quella della Resistenza, è una memoria difficile: “La guerriglia urbana a Roma è stata fame, freddo, umidità e sudiciume e non avere dove dormire” mi dice ricordando quanto era solita ripetere Lucia Ottobrini. E in queste parole, forse, c’è anche la volontà di sottrarsi a quella che lo storico (antifascista) Sergio Luzzatto ha definito “la componente reducistica” della Resistenza, “l’eccesso d’enfasi, epica e retorica” sorto intorno all’esperienza partigiana.
Questo non vuol dire, naturalmente, che Mario Fiorentini abbia rinnegato il suo passato da combattente. Al contrario, in tutti questi anni ha sempre rivendicato con fierezza e orgoglio sia la sua esperienza di gappista – difendendola dalla polemica antipartigiana sulla legittimità di azioni come quella di via Rasella e sulla loro presunta inutilità militare – sia la propria idea di cittadinanza intesa come militanza, di italianità concepita come appartenenza programmaticamente antifascista.
Per anni, ha scritto sempre Alessandro Portelli nel già citato L’ordine è già stato eseguito, su via Rasella e le Fosse Ardeatine “si è addensato un senso comune intriso di disinformazione, che ha rovesciato la responsabilità del massacro sui partigiani, rei di non aver prevenuto la rappresaglia consegnandosi ai nazisti” quando invece non ci fu, da parte dei tedeschi, “nessun manifesto affisso ai muri, nessun serio tentativo di catturare chi aveva compiuto l’azione”, come confermarono anche le dichiarazioni di Kesserling e Kappler in tribunale.
“Senza via Rasella la Resistenza romana sarebbe uscita molto ridimensionata. Forse tra cinquant’anni ci condanneranno perché magari verrà fuori l’idea che una guerra è sempre sbagliata, che uccidere una persona è sempre sbagliato. Però in quel momento siamo stati noi a decidere, su questo non ci piove”.
Parole che riecheggiano quelle dell’amico e compagno Rosario “Sasà” Bentivegna: “Io a via Rasella ci sono stato perché ci volevo stare. Ci sono sempre rimasto e ci sto ancora”. Penso che anche Mario, in fondo, non è mai andato via.
Come ultima cosa, gli chiedo se, oltre a Lucia Ottobrini, esiste un filo che collega le sue due vite, quella dell’impegno politico giovanile e della lotta partigiana e quella della maturità tutta dedicata alla ricerca matematica avanzata.
Mi risponde facendomi leggere quello che disse a Pietro Nastasi in un’intervista pubblicata qualche anno fa dalla rivista Lettera matematica: “Forse la volontà. Una volontà di ferro che mi ha sempre sostenuto, era la stessa. Avevo fatto le scuole commerciali. Dopo la guerra, per prendere da privatista la maturità scientifica, iscrivermi a Matematica e laurearmi, ci è voluta la stessa volontà che ci voleva nei momenti difficili della Resistenza, richiedendo spesso sacrifici non minori. Ti dico anche un’altra cosa. Dopo la laurea, sono andato a insegnare Scienze naturali in una scuola media inferiore, a indirizzo commerciale. A quel tempo, nella scuola media c’era una grande selezione. Al primo consiglio di classe, gli insegnanti erano molto duri con i voti, molto selettivi. Un mio collega mi disse subito la sua “filosofia”: all’inizio dell’anno, assegno dei compiti molto difficili e salvo cinque o sei studenti, gli altri li butto a mare e quando li interrogo faccio sempre domande difficili. Io venivo da un’esperienza sociale, di un’altra “pasta”. Rimasi molto impressionato da questo discorso e da allora assunsi la mia “filosofia”: mi occuperò soprattutto degli studenti più deboli e parlerò sempre, a voce alta, a quelli dell’ultimo banco. La mia etica è questa e da allora – anche all’Università – l’ho seguita sempre”.
Roberto Ciuffini, Roma, via Rasella, i Gap: incontro con Mario Fiorentini, l’ultimo partigiano, News Town, 25 aprile 2016