Dalla Resistenza all’Europa: il federalismo di Luciano Bolis

Luciano Bolis – Fonte: Gruppo Laico di Ricerca

Luciano Bolis nacque a Milano il 17 aprile 1918 ed iniziò la frequentazione degli ambienti antifascisti già quando era studente di lettere presso l’Università di Pavia. Conseguita la laurea entrò in contatto con Ugo La Malfa e Ferruccio Parri.
Nel 1942 fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale a due anni di reclusione per attività clandestina. Grazie ad una amnistia venne però liberato dal penitenziario di Castel Franco d’Emilia il 28 agosto 1943 insieme a Vittorio Foa.
Dopo aver riparato in Svizzera rientrò in Italia nel settembre 1944 per partecipare alla Resistenza con il nome di battaglia Fabio. Venne quindi arrestato a Genova dai fascisti nel febbraio 1945 allorché ricopriva la carica di Segretario dell’Unione Ligure del Partito d’Azione e di Ispettore Regionale delle formazioni Giustizia e Libertà. Venne tradotto alla Casa dello Studente ed alla caserma delle Brigate Nere subendo orribili torture.
La Casa dello Studente venne occupata di proposito dalle SS quale luogo di sevizie e gravi afflizioni. Centinaia di Partigiani passarono in quelle celle e subirono torture inenarrabili. Chi comandava era un Ufficiale tedesco denominato “Angelo”, nome che non si addiceva per le sue crudeltà, ma invece “l’Angelo dei demoni” come scrisse poi Luciano Bolis.
Fabio tentò il suicidio, tagliandosi polsi e gola, per non rivelare il nome dei compagni. Fu trovato in fin di vita dai suoi aguzzini e ricoverato all’Ospedale di San Martino. Successivamente, una rocambolesca azione partigiana, nella quale rivestì un ruolo importante la futura moglie Ines, portò alla sua liberazione.
Nel dopoguerra ricoprì dapprima importanti cariche del Partito d’Azione, sia a livello regionale che nazionale, quindi fu tra i fondatori dell’Istituto storico della Resistenza in Liguria e suo direttore fino al 1953.
Morì a Roma il 20 febbraio 1993.
Inoltre mio padre nella sua pubblicazione “Resistenza. Cinquant’anni dopo 25 aprile 1995” [Romano Della Valentina – Tipografia Mazzoli – Maniago (PN)], ricorda un altro sopravvissuto miracolato ligure, ovvero il garibaldino Arrigo Diodati “Franco”, scampato alla strage di Cravasco, dove 18 Patrioti furono fucilati, il 18mo era Diodati, che durante la fucilazione venne colpito di striscio in varie parti del corpo e dopo ore di permanenza sotto i corpi degli amici morti, riuscì a portarsi verso il cimitero, si arrampicò su un cipresso e dopo essersi accertato che i tedeschi si erano allontanati, raggiunse la gente del luogo e quindi ritornò sui monti con i Partigiani.
Renzo Della Valentina, Il partigiano azionista Luciano Bolis “Fabio” ed il garibaldino Arrigo Diodati “Franco”, Friuli Occidentale la storia…, 14 febbraio 2021

Fonte: pietredellamemoria.it

[Luciano Bolis] La svolta della sua vita è legata all’esperienza universitaria a Pavia. Fu in quegli ambienti che maturò politicamente e che lo spinsero alla cospirazione. Chiamato sotto le armi nel 1941, frequentò la scuola militare di alpinismo di Aosta passando poi come allievo ufficiale a Bassano del Grappa dove lo raggiunse l’ordine di arresto da parte del Tribunale Speciale per l’attività cospirativa degli anni precedenti. Questa sua attività consisteva soprattutto nella distribuzione di volantini e nella diffusione di opere vietate. I gruppi studenteschi milanesi e pavesi avevano inoltre preso contatti con Ugo La Malfa e Ferruccio Parri. Bolis considerò Parri un punto di riferimento etico-politico fondamentale della sua vita. Restò nel carcere di Castelfranco d’Emilia fino al 1943. Nel passaggio in altre carceri aveva avuto contatti con militanti del vecchio socialismo popolare. Uscito dal carcere e sapendo che i genitori erano sfollati a causa dei bombardamenti, non si recò a Milano ma rimase ospite di antifascisti locali, quindi non potè partecipare alla riunione del 28 agosto 1943 in casa Rollier, dove si svolse la fondazione del Movimento Federalista. Quando fu esule in Svizzera a Lugano e Zurigo, per sfuggire alle persecuzioni della Repubblica di Salò, instaurò i primi fondamentali rapporti con i promotori del Movimento, tra i quali c’erano Altiero Spinelli, Ernesto e Ada Rossi. Si trovava internato nel campo per rifugiati politici presso Zurigo quando conobbe Fernado Schiavetti che lo aiutò anche materialmente agevolandolo per l’uscita e passandogli lezioni private che servirono a farlo maturare politicamente. Schiavetti aveva fatto parte di ” Giustizia e Libertà” a Parigi e parlò a Bolis di Carlo Rosselli. Come Schiavetti anche Bolis aderì al Partito d’Azione, fondato nel 1942, i cui esponenti principali come La Malfa e Parri egli già conosceva. Lavorò come rappresentante del Partito e del Movimento Federalista nella Svizzera tedesca, e si trovò a dover fare il maestro nei confronti di tutti quei giovani che in gran parte avevano espatriato per sottrarsi alla leva della Repubblica Sociale e che erano completamente sprovvisti di bagaglio politico. Ma Bolis desiderava rientrare in Italia e combattere nella Resistenza. L’occasione capitò quando Parri chiese il suo aiuto e lo mandò a combattere in Liguria. Dopo Pavia, Genova fu la città più importante nella vita di Bolis perché ad essa si legarono la stesura de ” Il mio granello di sabbia”, l’impegno politico come segretario regionale del Partito d’Azione, la fondazione e la direzione dell’Istituto Storico della Resistenza in Liguria. La situazione che trovò era difficile e disgregata ed egli lavorò come segretario regionale del Partito d’Azione e ispettore delle Brigate di “Giustizia e Libertà” sia in città, sia mantenendosi in contatto con le formazioni in montagna e con il centro di Milano. Fu fermato il 6 febbraio 1945 come sospetto dai fascisti genovesi e torturato in modo bestiale. Venne trasportato nel caserma delle Brigate Nere di via Monticelli. Appena arrivato gli venne dato il “marchio di fabbrica” che, consisteva in un morso all’orecchio dato però appoggiando le mani sulle spalle del torturato per avere la controspinta e dare maggior forza al morso. La sua cella era buia e piccola e lui, siamo in febbraio, vi venne rinchiuso seminudo. Lo lasciarono senza cibo e senza acqua per 2 giorni. Nonostante ciò Bolis non si perse mai d’animo, anzi imparò a distendere le articolazioni durante i pestaggi per smorzare i colpi e attutire il dolore e a simulare svenimenti che gli garantivano un po’ di tregua, perché i suoi aguzzini non si divertivano a percuoterlo quando vedevano che non soffriva. Oltre ai pestaggi veniva sottoposto alle cosiddette “torture scientifiche”. Consistevano nel legarlo, torso nudo, a cavalcioni su una sedia, dopodichè venivano frustato con scudisci di varia forma: alcuni avevano delle striscioline intrecciate di cuoio con dei pallini di metallo in fondo ad ogni strisciolina, il più doloroso era formato da anelli di metallo uno dentro l’altro. Neanche con le frustate riuscirono a farlo parlare così tentarono con un’altra strada. Lo fecero sedere sulla sedia e mentre qualcuno gli reggeva la testa indietro, gli introdussero nella gola uno straccio imbevuto con chissà quale sostanza e contemporaneamente gli versavano dell’acqua direttamente nel naso. Niente, da lui non ebbero un nome, un indizio, nulla. Le torture continuarono per giorni e pur di tacere Bolis si tagliò le vene dei polsi e la carotide. Fu casualmente soccorso da un secondino e trasferito all’ospedale con l’unico scopo di strappargli anche in quelle condizioni i nomi dei suoi compagni di lotta. Qui conobbe colei che sarebbe diventata la sua compagna, Ines, un’infermiera che intuì la situazione e divenne collaboratrice dei partigiani genovesi che organizzarono la sua evasione. Dal 18 aprile 1945 al febbraio 1946 Bolis fu tagliato fuori dalla vita politica, giacché le condizioni di salute precarie, la mancanza assoluta di voce rendevano impossibile ogni vita di relazione. In quelle condizioni, comunque, pensò che fosse doverosa la sua testimonianza e scrisse di getto la sua esperienza ne “Il mio granello di sabbia”. Bolis ha sempre sentito questo bisogno di testimoniare i valori e gli ideali della Resistenza con l’azione e anche con lo scritto che lui concepiva come una diversa forma dell’operare. Viveva tra Genova e Milano, seguendo attentamente le vicende di quell’anno tumultuoso che vide la liberazione e il governo Parri, recandosi spesso presso la redazione di Milano del giornale “L’Italia libera” diretta da Schiavetti. Il racconto della sua esperienza lo fece diventare un mito, una sorta di martire vivente. Al Congresso dei Partiti d’Azione del febbraio 1946 Parri, nel ricordare i caduti, i martiri e i combattenti eroici fece anche il nome di Bolis. Nella primavera del 1947 Giorgio Vaccarino, esponente di spicco della Resistenza piemontese, si recò a Genova per incontrare Luciano Bolis, diventato ormai Segretario regionale del Partito d’Azione e contemporaneamente depositario degli atti e dei documenti del CLN regionale. Scopo dell’incontro era di comunicargli la decisione presa a Torino da tutti i membri dei partiti del CLN, di creare un Istituto storico della Resistenza con il fine di raccogliere e ordinare la documentazione relativa al periodo della lotta di liberazione, sottraendola così al rischio della dispersione. L’idea entusiasmò Bolis anche perché così avrebbe avuto la possibilità di sistemare quei documenti che lui custodiva. Ai primi di settembre del 1947 indirizzò ai sei partiti del CLN regionale ( azionista, liberale, socialista, comunista, democratico cristiano, repubblicano ) l’invito a partecipare con i propri rappresentanti ad una riunione nella quale prendere una decisione analoga a quella piemontese. La riunione ebbe luogo esattamente l’8 settembre 1947 e fu approvata all’unanimità la proposta di costituire quello che poi venne denominato “Istituto storico della Resistenza in Liguria”. In una successiva riunione fu deciso di prendere accordi con l’Archivio di Stato per il deposito presso di esso degli atti e dei documenti del CLN regionale e lo stesso Bolis venne nominato direttore dell’istituto genovese, carica che lasciò nel 1953 per ricoprire incarichi relativi al suo impegno federalista europeo. Nel 1964 divenne infatti funzionario presso il Consiglio d’Europa di Strasburgo, dove poté portare avanti i suoi ideali federalisti. La permanenza a Strasburgo fu per Bolis come un esilio dorato perché il ruolo di funzionario non soddisfaceva pienamente le sue aspirazioni. Appena poté andare in pensione ( 1978 ) si trasferì a Roma e partecipò alle elezioni politiche europee del 1979 nelle liste del PRI, ma non venne eletto. Incurante dell’insuccesso elettorale, continuò il suo incessante lavoro di apostolo ed educatore in tutti i luoghi possibili e in tutte le occasioni: dall’ANPI alle tante Associazioni Europeiste. Nel 1963 costituì con la sua compagna Ines la “Fondazione Europea Luciano Bolis” con l’obiettivo di approfondire la teoria del federalismo e avviare una riflessione sui problemi della pace nel mondo e promuovere studi e ricerche riguardanti la storia del processo di unificazione europea. Per realizzare tali obiettivi fondò una rivista in lingua inglese, francese e italiana ,”Il federalista”, ed ha successivamente avviato la “Biblioteca Federalista” presso la casa editrice il Mulino di Bologna. Luciano Bolis morì a Roma il 20 febbraio 1993. Il 7 febbraio 1998 il Movimento Federalista di Genova depose questa targa nel luogo in cui Bolis fu arrestato dai fascisti nel 1945:
Luciano Bolis
1908-1993
In questa piazza, il 6 febbraio 1945
Fu arrestato dai fascisti
Torturato tentò il suicidio per non
Rivelare i nomi dei compagni
Dedicò la vita alla causa della pace e dell’Unità europea
a cura di Giovanna Giannini, Luciano Bolis, Storia XXI secolo

Milano, Via Ancona: la lapide commemorativa dell’attività clandestina antifascista di Carlo Rosselli nel capoluogo lombardo

Il volume è una documentata e dettagliata biografia di Luciano Bolis, figura minore ma significativa dell’antifascismo democratico e del federalismo europeo. Figlio di una famiglia della media borghesia milanese, Bolis si conformò ai dettami dell’ideologia fascista, prima di avviare una lenta ma radicale conversione ai principi liberal-democratici tra la fine degli anni ’30 e l’inizio degli anni ’40. Scontata una condanna per attività cospirativa, si rifugiò in Svizzera, dove entrò in contatto con gli ambienti del fuoriuscitismo italiano e, in particolare, con i principali esponenti del neonato Partito d’Azione e del neonato Movimento Federalista Europeo. Rientrato in Italia, raggiunse le Brigate di Giustizia e Libertà attive in Liguria, per poi essere nuovamente arrestato e incarcerato. Finita la guerra, proseguì il proprio impegno politico, ricoprendo ruoli di dirigente nazionale, regionale e locale nel Partito d’Azione. Dopo lo scioglimento di questa formazione politica, partecipò ai vari tentativi di creare un socialismo autonomo sia rispetto alla Democrazia Cristiana sia rispetto al Partito Comunista e, soprattutto, cominciò a legarsi alle attività e alle iniziative federaliste promosse da Ernesto Rossi e da Altiero Spinelli. In questo ambito, tra la fine degli anni ’40 e la fine degli anni ’50, affiancò Spinelli alla guida del Movimento Federalista Europeo, occupandosi prevalentemente di questioni organizzative.
Simone Paoli, Cinzia Rognoni Vercelli, Luciano Bolis dall’Italia all’Europa, Bologna, il Mulino, 525 pp., Euro 35,00, 2007, SISSCO

La decisione era presa: non già veramente l’estrema di uccidermi, ma quella di prepararmi materialmente e spiritualmente a darmi la morte, qualora gli avvenimenti avessero preso una piega tale da richiedere il gran passo. Sentivo infatti di poter sopportare ancora un giro di vite alla serie delle mie torture, ma non di più. La preparazione materiale fu presto fatta. Col pretesto di prendere fazzoletti dalla valigetta che mi era stata sequestrata al momento dell’arresto, riuscii a sottrarre il pacchetto delle lamette Gilette: ne nascosi una nel sapone, un’altra nell’impiantito e una terza in una cucitura dei pantaloni. Non potrò mai descrivere l’ondata impetuosa di sensazioni che mi travolse quando, riuscitami questa preliminare operazione, io mi sdraiai nuovamente sul tavolaccio: fu una sensazione acutissima e complessa, preludio ad altre sensazioni più acute e complesse ancora, ma la cui nota predominante era la gioa. Ormai non ero più un semplice strumento nelle loro mani, ma a un certo momento, in conseguenza di un atto della mia volontà, potevo anche definitivamente scornarli nella loro bramosia di sapere e assurgere a nuova vita ch’essi non sospettavano neppure, ma che allora io sentivo per la prima volta con tutta certezza. E così la fantasia, già accesa, pregustava l’ebbrezza di quell’attimo in cui l’anima, già trapassante, cogliesse nei loro volti la beffa subita, e il corpo, gia’ martoriato, cessasse una volta per sempre di soffrire. […] Mi vidi per 15 giorni appeso per aria, fustigato, arso. E non ignoravo quello che mi avrebbe aspettato poi se non avessi parlato: i bagni nella pece bollente, le camere refrigeranti, il casco di ferro, le scosse elettriche, insomma tutto quello che non avevo ancora provato. Una paura folle mi prese: e se non resistessi a tutto questo? E vedevo già i compagni braccati e torturati a loro volta, e una sequela interminabile di arresti, e la insurrezione che da tempo progettavamo forse rimandata, forse anche compromessa.
Intanto la lametta stava lì, nella cucitura dei calzoni, a pochi centimetri, che aspettava soltanto d’esser presa e mi gridava che la salvezza mia e di tutti dipendeva soltanto da lei. […] Quello che si svolse allora fu questione di un lampo, ma lo spirito in quei momenti raggiunge una vitalità di cui non si ha idea. In un baleno ebbi tutta la vita polarizzata nella coscienza. I miei pensieri erano dei concentrati di pensieri. Tutto, di me, era presente. Con la lametta a mezz’aria tra l’indice e il pollice destro, non diedi forma ad alcun pensiero particolare, perché in quel momento avevo bisogno di concentrarmi sulla totalità di me stesso. Io comunicavo e ricevevo con tutta la persona, e la voce (o
forza) che veniva a me sapeva così di profondo che ho creduto un istante che altri, da altri mondi, mi comunicasse. Volendo tradurre in parole quel dialogo, forse si potrebbe ricostruire così: -Allora, Luciano, sei pronto? -Sì. -Devi proprio? -Sì. -Allora forza! -Dio perdonami, Tu che vedi perché lo faccio! E giu’ un gran colpo sul polso sinistro. Il sangue sprizzò altissimo ed io me ne sentii uscire un gran fiotto dal cuore. Barcollai. Temetti di cadere e di far accorrere il piantone, richiamato dal rumore. Mi adagiai pertanto lungo disteso per terra, mentre il sangue continuava a sgorgare abbondantemente dalla vena aperta, e passai la lametta dalla destra alla sinistra. Questa, a sua volta,
vibro’ il suo colpo al polso destro, ma il sangue ne uscì con minor veemenza. Allora distesi i nervi, composi le membra e mi dissi: “Ormai è fatta! Pensiamo a morir bene, voglio dire a vivere intensamente e degnamente questi ultimi momenti”. Sapevo che la fine non sarebbe sopravvissuta subito. Di quei momenti dirò una cosa sola: il rammarico, non già di morire, perchè è mia abitudine non trovare ne’ bella ne’ brutta una cosa che si ha la coscienza di dover fare, ma il rammarico di morire così, senza poter scrivere un estremo messaggio che dicesse ciò che avevo sofferto e proclamasse che all’ultimo quella che che avevo sentito più forte era stata la voce della virtù. Io invece non sarei stato un martire della libertà, ma un disperso, e i miei cari mi avrebbero forse aspettato per anni prima di chiudere il cuore alla mia morta speranza. E un altro pensiero ricordo infine, che io mi limito a citare qui senza commenti, per quanto, lo confessi lo trovi strano: la preoccupazione per il mio corpo che io lasciavo e che gli aguzzini avrebbero mutilato, come avevan promesso, e poi abbandonato chi sa dove. Mentre tali pensieri mi occupavano e una gran pace mi scendeva nel cuore, constatai con sorpresa che il sangue aveva smesso di defluire e gli sbocchi delle vene recise erano ostrutiti da sangue coagulato. “E’ il freddo – pensai – Ci vorrebbe dell’acqua calda”. Ma la mia sorpresa si fece desolazione quando mi accorsi, ripetuta per parecchie volte l’operazione di strapparmi il sangue rappreso, che comunque il deflusso era cessato. Furono momenti di disperazione profonda, perché tutto in quei frangenti si colora di tinte superlative. Fu con terrore che riconobbi le conseguenze del fatto: o non morivo, e l’indomani sarei stato trovato ancora in condizione tale che avrebbero cercato di farmi parlare, e naturalmente anche di farmi pagare il gesto tentato, oppure…. dovevo uccidermi una seconda volta. Una terza soluzione non c’era, e fu così che, già adagiato in una morte che stavo gustando dolce come un sogno (la prima cosa dolce dopo il parossismo di tante angustie), dovetti nuovamente far ricorso a tutte le fibre della mia volontà, perché una altra volta mi soccorresse. “Bisogna tagliare più profondo mi dicevo” ma le mani ormai paralizzate non ce la facevano più a vibrare il colpo con la forza necessaria. […] Fu soltanto allora che pensai alla carotide. Nuovo richiamo di energie, nuovo stridor di denti per la tensione dello sforzo. Le dita, malcerte ed ormai fredde, stringono ancora la lametta, mentre io pongo ogni cura a che essa non mi scivoli inavvertitamente via, perchè certo più non l’avrei trovata tra il buio e l’anestesia che ormai mi prendeva tutta la mano, ciò che avrebbe significato restare una volta di piu’ a mezza strada tra la vita e la morte. Il colpo parte e colpisce giusto (annoto tra parentesi che debbo la vita, oltre alle miracolose circostanze che esporrò nel seguito, anche alla mia ignoranza in fatto di anatomia, perchè io credevo che le carotidi stessero nel mezzo anzichè ai lati
della gola). Istantaneamente sento che, all’alzarsi e abbassarsi del petto in forza del movimento di respirazione, corrisponde un passaggio di aria attraverso l’apertura praticatami, né mi riesce più di respirare con la bocca o col naso. “Qualcosa ho colpito, – mi son detto, – ma perchè non muoio? si vede che i vasi interessanti sono più sotto”. E allora giù colpi su colpi.
Luciano Bolis, Il mio Granello di Sabbia, Einaudi, 1946

[…] Restò [Luciano Bolis] nella prigione di Castelfranco d’Emilia fino al 27 agosto 1943 e perciò non potè partecipare alla riunione di fondazione, il 28 agosto in casa Rollier a Milano, del Movimento Federalista. Per sfuggire alla persecuzione della repubblica nazifascista di Salò fu esule in Svizzera, a Lugano e a Zurigo, collegandosi con Altiero Spinelli e soprattutto con Ernesto Rossi e la sua compagna Ada, stringendo un legame che durò per tutta la vita. Qui lesse Socialismo liberale di Carlo Rosselli, che impresse una tendenza liberalsocialista alla sua formazione. Già in Svizzera aderì al Partito d’Azione, fondato nel 1942, e lavorò per il partito e per il Movimento Federalista Europeo nella Svizzera tedesca.
Parri lo mandò clandestinamente a Genova per dirigere la Resistenza per il Partito d’Azione, come segretario regionale e come ispettore delle Brigate di Giustizia e Libertà in città e sulle montagne. Fu fermato dai fascisti il 6 febbraio 1945 e torturato in modo bestiale. Per non parlare tentò di uccidersi, ma, casualmente soccorso, fu portato in ospedale. Con l’aiuto della Resistenza genovese e la collaborazione di una infermiera, Ines, che diverrà poi sua moglie, riuscì a fuggire.
Impossibilitato alla vita di relazione, perché mutilato ed invalido (è stato decorato poi di medaglia d’argento al valor militare), scrisse di getto, su invito di Parri, la sua testimonianza, che divenne uno (se non il più importante) dei libri della Resistenza italiana, Il mio granello di sabbia, pubblicato nel 1946 da Einaudi, che ha avuto diverse edizioni e, recentemente, anche una traduzione in francese. Lavorò nel Partito d’Azione, fino a diventarne a 28 anni il vicesegretario, con Fernando Schiavetti, battendosi soprattutto per la storica vittoria del referendum del 2 giugno 1946, che portò all’avvento di quella Repubblica sognata nel Risorgimento da Mazzini e da Cattaneo. Dietro il ministro Romita, che annunziava il risultato del referendum dal balcone del Viminale, c’era anche Bolis, come rappresentante del Partito d’Azione.
Non si ritirò nel privato, come fecero diversi azionisti, delusi per il risultato non positivo alle elezioni per la Costituente. Ha scritto: «Non accettavo la tesi che si dovesse abbandonare tutto e lasciare che la politica fosse fatta da ”professionisti”, sentivo invece mazzinianamente che la politica è l’affare di tutti i cittadini, quindi come cittadino sentivo anch’io il dovere di continuare a farla nei limiti delle mie possibilità». Con Parri condivideva il comandamento che nessuna delusione deve portare alla resa. Continuò pertanto l’attività politica con gli azionisti che non vollero confluire né nel PSI di Nenni, subalterno ai comunisti, né nel PSLI di Saragat, subalterno ai democristiani, né nel PRI di La Malfa, per lo stesso motivo di prima, contribuendo a fondare il Movimento d’Azione Socialista Giustizia e Libertà con Garosci, Tristano Codignola, Carlo Levi, Bruno Zevi, Aldo Visalberghi. Si presentò nelle liste di Unità Socialista nel 1948, visse l’esperienza del Partito Socialista Unitario nel 1950 e poi di Unità
Popolare nel 1953. Accompagnò sempre all’attività politica un’intensa azione culturale, con la fondazione e la direzione ad esempio dell’Istituto Storico della Resistenza in Liguria. Ma aveva preso sempre più rilievo nella sua vita l’impegno nel Movimento Federalista Europeo fin dal 1946 e, nel secondo convegno nazionale a Milano del febbraio 1948, si ebbe la segreteria Spinelli-Bolis, che portò alle stagioni più incisive e famose nella storia del Movimento. Vi furono prestigiose adesioni, come quella del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Bolis è stato il testimone e il protagonista d’eccezione della lunga traversata che ha portato l’Europa a costruire alcuni fondamentali organismi sopranazionali, a tenere per la prima volta le elezioni politiche dirette nel 1979. Creare una coscienza europea, stimolare le forze politiche e gli uomini di governo affinché si uscisse dal guscio nazionale, è stata un’impresa titanica, dove i sacrifici sono stati tanti, a scapito anche di legittime esigenze personali e di famiglia, scontando la solitudine, andando incontro spesso a delusioni.
[…] Nel 1954 venne meno, con il fallimento del tentativo della Comunità Europea di Difesa (CED), la via delle intese dei governi, e allora iniziò il grande tentativo di mobilitazione dell’opinione pubblica
europea con l’idea di un Congresso del Popolo Europeo (CPE), assemblea di delegati eletti in elezioni primarie e proponenti una Costituente. Bolis fu il segretario generale del Congresso prima a Roma dal 1958, poi a Parigi dal 1960 alla fine del 1962. Ma il fallimento del CPE, non sostenuto dalle forze politiche che pure formalmente si erano impegnate in tal senso, lo portò a lavorare nel 1964, dopo un breve periodo di corrispondente della RAI a Parigi, al Consiglio d’Europa a Strasburgo come alto funzionario, in modo da poter portare avanti, in una delle poche sedi sopranazionali esistenti, il suo impegno federalista.
[…] A Strasburgo Bolis è vissuto per quindici anni, insegnando anche presso il Centro di alti studi europei della locale Università. La sua casa divenne un luogo privilegiato di discussione federalista non solo per il Movimento, ma per qualsiasi personalità italiana si trovasse in città. Ha ricordato Bolis nelle sue memorie del 1991: «Strasburgo resterà sempre il simbolo dell’Europa e del mio stesso impegno per essa. Qui ho conosciuto e visto lavorare da vicino uomini come Sforza, Schuman, De Gasperi, Spaak, Churchill, Parri e tanti altri, sempre cercando di contattarli utilmente, come e quando potevo… Qui ho sostituito infinite volte Spinelli, che spesso preferiva restarsene a Roma.
E qui torno ora, sempre all’ombra di Spinelli e per portare avanti il suo progetto di Unione».
Andato in pensione nel 1978, si trasferì a Roma, partecipò alle prime elezioni politiche europee del 1979 (ma non fu eletto, scandalo nella storia di questo paese così superficiale e spesso ingrato). Ma Bolis, incurante dei mancati riconoscimenti, continuò il suo incessante lavoro di apostolo e di educatore, in tutti i luoghi possibili, in tutte le occasioni: dall’Associazione Mazziniana Italiana alla Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane (FIAP) – di cui fu vicepresidente – alla stessa ANPI, alle tante Associazioni Europeiste, per diffondere i valori della Resistenza e dell’Europeismo, mantenendo rapporti epistolari con personalità e umili corrispondenti (sono migliaia le sue lettere e
in molte lingue), scrivendo articoli, recensioni, tenendo conferenze e lezioni (stava preparando, nei mesi precedenti la scomparsa, un corso sul federalismo presso l’Università di Pavia).
Il legame tra Resistenza e Federalismo Europeo era ed è fondamentale, giacchè è stata la tragedia dei nazionalismi, incarnati dal nazifascismo, a spingere in profondità verso l’obbligato, unico, doveroso approdo sopranazionale europeo, onde evitare in futuro, sperabilmente per sempre, per noi e per i nostri figli la tragica, disumana esperienza delle guerre civili europee, di cui è intessuta la storia moderna e contemporanea del nostro continente. La spinta etico-politica dell’antifascismo e dell’antinazismo, impegnata a contrastare, debellare, superare le forze più negatrici dell’Europa unita, libera e democratica, va continuamente rinnovata e ritrovata, se si vogliono cogliere, mantenere e
sviluppare i valori profondi dell’unificazione europea, che non va fatta vivere pertanto solo a livello monetario e mercantile.
Bolis mantenne il ritmo frenetico di vita di apostolo e di educatore, anche quando la salute cominciò a vacillare e fu costretto ad affrontare una delicata operazione al cuore nel 1987 (durante la quale, per non stare in ozio, scrisse un diario, che poi diverrà il libro di memorie Il mio filo di Arianna, uscito nel 1991 e poco diffuso).
Presiedeva la Federazione delle Case d’Europa per l’Italia, seguendole amorevolmente una a una e registrandone la vita anche minima nel suo foglio “L’Avvenire degli Europei”, che aveva la sede redazionale nella sua casa di Roma.
Nel 1983 aveva costituito, con lnes, la “Fondazione Europea Luciano Bolis“ con l’obiettivo di approfondire la teoria del federalismo, avviare una riflessione di grande respiro sui problemi della pace nel mondo e promuovere studi e ricerche riguardanti la storia del processo dell’unificazione europea. Per realizzare questi obiettivi la Fondazione ha sostenuto la pubblicazione di una rivista in lingua inglese, francese e italiana, “Il Federalista”, ha avviato la “Biblioteca Federalista” presso la casa editrice il Mulino di Bologna, che ha ristampato opere classiche di Kant, Spinelli, Einaudi, Robbins, Hamilton e il Manifesto di Ventotene. Oltre a una biblioteca specializzata, la Fondazione possiede tra l’altro gli archivi del Movimento Federalista Europeo relativi agli anni 1945-60, gli archivi personali di
Albertini, Bolis, Teresa Caizzi, Lombardo, Ernesto Rossi, Bersellini. […]
Nicola Terracciano, Dalla Resistenza all’Europa: il federalismo di Luciano Bolis, Circolo Carlo Rosselli Milano, 19 aprile 2009