I primi partigiani di Val Taleggio

San Giovanni Bianco (BG) – Fonte: Wikipedia

Come si è ricordato, alla fine del settembre 1943, in Val Taleggio avevano trovato rifugio alcuni nuclei di sbandati e di ex prigionieri. La loro presenza era nota agli organismi clandestini provinciali, ma non si erano ancora effettuati sforzi organizzativi per collegarli e coordinarli. D’altra parte il principale sforzo del CLN di Bergamo in quel momento consisteva nell’organizzare l’esodo verso la Svizzera di chi non si sentiva di rimanere entro i nostri confini. E si trattava di un impegno non indifferente; il numero degli ex prigionieri alleati che volevano passare il confine e quello dei politici in pericolo era rilevante. Comunque non si trascura nemmeno di organizzare i gruppi alla macchia, di sostenerli economicamente e di dotarli, nei limiti del possibile, di armi.
Per la Val Taleggio si sforza in questa direzione il gruppo clandestino di Zogno che riesce a stabilire contatti con Milano specie attraverso le figure di Antonio Manzi e Giulio Alonzi.
Anche l’ing. Giannino Cima di San Giovanni Bianco, membro del CLN di Bergamo, stabilisce contatti con gli uomini della Val Taleggio e li mantiene anche dopo la grave crisi attraversata da tale organismo in ottobre.
Entrambi questi collegamenti ci conducono ad una matrice unica: il Partito d’azione, che in quel momento nel bergamasco era particolarmente attivo e raggruppava nel suo seno uomini della più svariata provenienza, proletari come P. Sottocornola, artigiani come M. Colombo, capitalisti d’importanti settori dell’industria come G. Cima (5) i quali, convinti che la guerra volga definitivamente a favore degli alleati, abbandonano con decisione il cavallo fascista e cavalcano quello partigiano, non senza ambiguità in certi casi.
Un rapporto riservato del fascio repubblicano ne fornisce forse la miglior testimonianza: “Fatti del 25 luglio. Come da ogni parte venne fatto scempio di emblemi fascisti. Alla presenza del podestà fascista Cima, del dottore Riva, del dott. Lumini, del notaio Arizzi, che commentavano allegramente i fatti, venne strappato il fascio del comune da ragazzi appartenenti alla GIL. Costoro sono i figli della levatrice F. […], quelli dell’elettricista M. […]; M. Dante che prese il fascio e lo buttò in Brembo, i figli del fabbroferraio G. […], i figli di M. […] Giacomo, negoziante di legna. A questi davano manforte gli impiegati della Lips-Vago, società di costruzioni aeronautiche sfollata a San Giovanni presso l’albergo Girardelli e dell’ex cinema dopolavoro. Si hanno forti dubbi su attività non solari di detti impiegati, da sorvegliare specialmente nei loro uffici. Ex podestà Cima Adelchi. Oltre a quanto già riferito a suo carico come ex podestà fascista: eccessivo zelo nel far togliere nomi di vie, in particolare piazza 28 ottobre è sostituita con piazza Libertà. Non ha rilevato l’opportunità di dare le dimissioni da podestà fascista rimanendo tale per tutto il periodo badogliano. Segno evidente che tra lui e i badogliani correva buon sangue. Ha atteso di dare le dimissioni, per ragioni di natura politica, non appena salvato Mussolini. E’ da rilevare, per meglio intuire la doppiezza dell’uomo e del suo agire, che, appena liberato Mussolini, fece nuovamente levare la targa di piazza Libertà non sostituendola. Come fascista iscritto dal 1922 la sera del 25 luglio, appena a conoscenza della caduta del duce e fino alle 4 del mattino, nell’osteria di via Fonte proprietà Milesi, rimase a bere bottiglie su bottiglie inneggiando continuamente alla libertà con il dottor Lumini, dott. Riva ed altri. Tra l’altro si divertì come un bambino a lanciare in aria il distintivo in segno di disprezzo mettendolo sui turaccioli delle bottiglie da sturare. Risulta poi che il 26 luglio agli operai della cartiera diede tre litri di vino a testa. Certamente per solennizzare il 25 luglio”.
Indubbiamente la dedizione dello sconosciuto relatore alla causa fascista è commovente, ma ciò che più conta è che egli ci documenta in modo inconfutabile, insieme con l’orientamento antifascista di un gran numero di persone (dalle maestre alle levatrici, dai medici ai tabaccai, agli impiegati e così via), il definitivo cambiamento di rotta del principale centro economico della zona; non casualmente il relatore prosegue affermando: “Il pensiero politico del paese è sempre stato dominato dalla consorteria Cima. Anche ai tempi migliori il fascio non rispose mai bene perché tutta l’economia del paese è legata ai Cima che fanno l’alto e il basso come a loro pare. Se si approfondisse un poco lo studio di tutte le attività politiche dei 20 anni passati, si dimostrerebbe che tutte le file sono state serrate alla luce o all’oscuro degli interessi dominati dai Cima. Si ritiene che nulla di veramente rivoluzionario si potrà attuare nella zona se non si arriverà a sistemare in modo definitivo ed annullare la potenza veramente esistente dei Cima”.
A fine settembre, o poco dopo, anche grazie ai finanziamenti dei Cima si riesce ad organizzare un gruppo di uomini in Val Taleggio. Emergono tre personalità: quella del maggiore Enzo (Vincenzo Aulisio) (6), il comandante riconosciuto del gruppo; quella di Gastone (Gastone Nulli), un personaggio che in questo periodo rimane in ombra; quella di Giorgio Issel (7), cugino di G. Cima e quindi utile tramite per il finanziamento del gruppo.
In contatto con Manzi e cioè con gli organi provinciali e regionali della resistenza, il gruppo si stabilisce a Cantiglio [piccolo borgo nel territorio del comune di San Giovanni Bianco], dove nel breve volgere di poche settimane raggiunge le 50/60 unità.
L’espansione del gruppo coincide con la dispersione della formazione partigiana del Pizzo d’Erna, avvenuta dopo gli scontri del 18/20 ottobre.
Sono quelli i giorni (in particolare il 17 ottobre) in cui i montanari della Val Taleggio assistono per la prima volta all’invasione della loro vallata da parte di truppe rastrellanti, che non risparmiano paure e violenze.
Tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre 1943 il gruppo di Cantiglio non lascia traccia di azioni: esso appare in fase organizzativa contando sull’appoggio della gente di Taleggio e sul sostegno finanziario dei Cima.
Ciò dà al reparto un certo qual senso di sicurezza e lo induce a trasgredire le direttive provinciali sul modo di affrontare l’ormai prossimo inverno. (8)
Forse non si tratta però di un atteggiamento consapevolmente autonomista: il fatto è che non si può sapere quale valore abbiano le indicazioni provinciali, dato lo stato di crisi del CLN e dato che comunque non si è ancora definito quale rapporto vada stabilito tra organi centrali e formazioni periferiche.
Ai primi di dicembre, i nazifascisti, dopo aver smantellato la rete del CLN di Bergamo, decidono di eliminare anche il gruppo di Cantiglio perché non si ripetano in Val Brembana episodi simili a quelli di Lovere, che hanno dato un potente scossone a tutto il fascismo bergamasco. (9)
E’ della notte tra il 3/4 dicembre il rastrellamento che distrugge il gruppo di Cantiglio e provoca la morte di G. Issel, E. Galizzi e M. Jabine (l0).
Sotto la pressione del rastrellamento il grosso della formazione si sposta e riesce a mettersi in salvo, ma la sua struttura è troppo fragile e la maggior parte degli uomini si disperde. Si perdono anche le tracce dei suoi comandanti. Gli scarsi dati sul gruppo di Cantiglio non permettono di dare una valutazione esatta, ma è certo che i suoi moduli organizzativi, pur tanto deboli, appaiono più solidi di quelli adottati da altri gruppi aggregatisi in Val Taleggio a partire dal mese di ottobre attorno a posizioni decisamente attendiste motivate dall’esigenza di non creare difficoltà alla popolazione della Val Taleggio.
Si tratta delle cosiddette formazioni “Penna Nera”; esse, a differenza del gruppo di Cantiglio, raccolgono prevalentemente elementi locali ed ex prigionieri e vivono nei paesi della vallata nascosti e protetti direttamente dalla popolazione; non intendono agire subito, ma prepararsi a combattere ed entrare in azione quando il momento sarà favorevole; applicano rigorosi criteri cospirativi che impediscono loro di conoscere perfino il loro comandante “Penna Nera” (P. Pallini).
Uno di questi gruppi si trova a Peghera, fa capo al parroco di quel paese don A. Formenti ed è comandato da un ex prigioniero greco Costantino; un secondo gruppo riunisce nel suo seno un buon numero di valligiani al comando di Guglielmo (G. Locatelli): i suoi uomini sono nascosti qua e là a Pizzino, Sottochiesa, Olda e Vedeseta.
Le formazioni “Penna Nera” sono in fondo un’entità fantasma ai fini della lotta, ma non si può trascurare il loro insegnamento: è possibile rimanere in valle, in stretto contatto con la popolazione, a patto di evitare la costituzione di grossi nuclei e di compiere azioni di guerriglia.
Siamo in pieno attendismo. Non si può comunque escludere il fatto che questi gruppi abbiano in qualche modo contribuito a formare una certa qual base locale alla futura resistenza taleggina e ad allargare le basi del consenso al movimento che si sarebbe sviluppato nella vallata.
I gruppi “Penna Nera” infatti resisteranno all’inverno 1943 – 44 e con la primavera alcuni uomini ad essi collegati collaboreranno all’organizzazione di nuovi raggruppamenti.
[NOTE]
(5) In “Le prime fasi della lotta resistenziale in Val Taleggio”, di L. Marzoli, si legge: “[…..] la famiglia Cima è una potenza non soltanto nella zona di S. Giovanni Bianco, dove sono dislocate appunto le cartiere Cima, ma anche a Villa d’Almè, dove ha sede la grossa industria tessile dei Carugati i quali, come i Guzzi di Lecco, sono imparentati con i Cima. Per comprendere la posizione che questa famiglia assunse durante il fascismo, e soprattutto durante la guerra bisogna aver presente la progressiva crisi che aveva duramente colpito sia l’industria cartaria che quella tessile dal ’39/’40 in poi. Era quindi pressoché scontato che i Cima non trovassero più nel fascismo quella garanzia che aveva per tanto tempo rappresentato. Da ciò allo sganciamento il passo è breve e si realizza palesemente il 25 luglio.
(6) Nato ad Ascoli Satriano nel 1904 era un pubblicista di idee comuniste. Fu catturato nell’inverno del 1943/44 e morì in campo di concentramento.
(7) Ebreo, originario di Genova. La sua famiglia non è solo legata all’ambiente industriale bergamasco e lecchese, ma anche a quello imprenditoriale genovese.
(8) ISML; CVL 4895, 4896: “L’avvicinarsi dell’inverno, che renderà più aleatorie le vie di rifornimento, sconsiglia per ora il concentramento di reparti più forti [del nucleo, composto di 12 uomini] in località di montagna.”
(9) Per i fatti di Lovere del 29 novembre 1944, vedere: N.Verdina-C.Bosco “La resistenza nel loverese”, Bergamo, 1975, pp. 133-224.
(10) Una ricostruzione dell’episodio in N. Mazzolà, “Pietro aspetta il sole”, Roma, 1960, pp. 58-59. “Alla reazione poliziesca – ricorda N. Mazzolà – si accompagnò ai primi di dicembre nelle valli bergamasche una severa rappresaglia militare che riuscimmo a frustrare in parte, valendoci delle notizie del maresciallo Farina. Sapemmo che le SS e la GNR avrebbero eseguito diversi rastrellamenti: a Schilpario dove risiedeva la famiglia dell’avvocato Maj; nella zona di Cantiglio, base di un gruppo di cui facevano parte Giorgio Issel e Gastone [….]; a Pianca ove in contatto con quegli ufficiali si trovava Pier Giuseppe Locatelli-Milesi. Noi avvertimmo il Milesi il quale diede a sua volta l’allarme nelle zone minacciate riuscendo a sventare in parte i piani del nemico. Il rastrellamento a Schilpario infatti fallì e così quello alla Pianca, mentre l’attacco a Cantiglio, sebbene finito in modo tragico, non ebbe tutte le conseguenze temute, perché numerosi partigiani abbandonarono subito la zona. Purtroppo all’imminenza del rastrellamento non volle credere Giorgio Issel. Egli rimase sul posto con alcuni compagni perché si sentiva protetto dall’abbondante nevicata di quei giorni. Sennonché la notte fra il 3 e il 4 dicembre, verso le tre, un centinaio di militi GNR e una cinquantina di SS germaniche salirono alla Pianca e svegliarono il parroco don Ugo Gerosa, costringendolo a far loro da guida, verso Cantiglio. Il sacerdote, protettore di molti giovani, fece quanto poté per dare l’allarme a Issel. Cominciò con l’accendere ripetutamente la luce in casa, nonostante l’oscuramento e la presenza dei soldati, poi, sempre sorvegliato, lungo la strada, col pretesto di fumare, consumò grande quantità di fiammiferi, ma i militi lo fecero smettere in malo modo. Ogni segnale tuttavia sarebbe stato inutile perché i giovani non avevano sentinella, dormivano e si accorsero troppo tardi del pericolo. Ai colpi di rivoltella sparati da Issel in un tentativo di resistenza, rispose tutto intorno una nutrita scarica di mitra. Insieme con Issel caddero il soldato Evaristo Galizzi da S. Giovanni Bianco e il francese maresciallo Raimond Albert Jabine, il nostro Gollista già sfuggito al rastrellamento del 9 ottobre a casa Preparì. Due soldati sbandati ed un ex prigioniero inglese dovettero arrendersi.”
Maria Grazia Calderoli, Aspetti politici e militari della Resistenza taleggina. Luglio 1944-aprile 1945, Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno accademico 1975-1976 qui ripresa da Associazione Culturale Banlieu