Il comandante partigiano Cirillo-Franco

Padova: Prato della Valle. Foto: Woudloper su Wikipedia

L’inverno tra il 1944 e il 1945 fu a Padova aggravato dalla mancanza di riscaldamento, dalla penuria di viveri e dal persistere di bombardamenti aerei notturni e diurni e attacchi di cacciabombardieri alleati. La Resistenza padovana fu sottoposta a durissime prove, subendo arresti, deportazioni, torture e la perdita di esponenti del C.L.N. e di combattenti partigiani, soprattutto ad opera di uno speciale reparto investigativo della Guardia repubblicana alle dipendenze delle SS, la cosiddetta “Banda Carità”, formata da fanatici sanguinari fascisti toscani, tristemente già noti anche per la loro azione squadristica.
Nel palazzo Giusti di via San Francesco, trasformato in prigione e luogo di tortura, passarono, tra gli altri, molti dei protagonisti della Resistenza padovana e veneta: Egidio Meneghetti, Giovanni Ponti, Attilio Casilli del C.L.N. regionale; Adolfo Zamboni, Sebastiano Giacomelli, Giuseppe Banchieri e Giuseppe Berin del C.L.N. provinciale; Attilio Gonibia e Luigi Martignoni del Comando militare veneto del Corpo volontari della libertà; don Giovanni Apolloni, il tenente colonnello Luigi Marziano, Aldo Cestari, Francesco De Vivo, Tanta Baricolo Dogo, Valentino Filato.
Agenti della stessa “Banda Carità” uccisero nelle vie cittadine il professore di ingegneria e ufficiale di artiglieria Otello Pighin “Renato”, comandante della brigata G.L. “S. Trentin”, e Francesco Sabatucci “Cirillo”, ufficiale di cavalleria, comandante della brigata Garibaldi, cui fu dato il suo nome.
Beatrice Motta, La Resistenza a Padova: luoghi e personaggi della nostra identità, Tesi di specializzazione, SPS Veneto Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario, Anno accademico 2007/2008

Francesco Sabatucci. Fonte: Tele Vignole art. cit.

Francesco Sabatucci, il partigiano “Cirillo-Franco”, Comandante della Brigata Garibaldi “Padova” fu catturato e ucciso all’età di 23 anni, dalla “banda Carità”. Ne propongo oggi la storia, prima di altre testimonianze dei “prigionieri” di Villa Triste a Padova e i primi atti processuali.
Ecco quanto scrive Alessandro Naccarato:
« Francesco Sabatucci nacque a Bologna il 22 febbraio 1921. Iscritto alla facoltà di Magistero a Roma, fu chiamato alle armi nel marzo del 1941. L’8 settembre del 1943 si trovò a Spalato, in Jugoslavia, come sottotenente carrista dell’esercito, presso il Reggimento corazzato “Lancieri Vittorio Emanuele II”.
Il 12 settembre, giunto a Dubrovnik, si rifiutò di consegnare le armi e combatté contro i tedeschi fino all’ordine di resa. Sabatucci, fatto prigioniero, fuggì dal treno che lo stava trasportando in Germania e si unì alle formazioni partigiane jugoslave come istruttore e comandante di un reparto di carristi. Rientrò in Italia nel novembre del 1943 e operò con i partigiani nelle zone di Bologna e di Reggio nell’Emilia.
Il 28 maggio 1944 partì da Bologna e si aggregò al distaccamento partigiano “Tollot”, operante sul Col Visentin; dopo pochi giorni raggiunse le formazioni garibaldine “Mazzini” nell’alto trevigiano con il nome di battaglia “Cirillo”.
Il 15 luglio comandò il leggendario attacco al Ponte della Priula. Con un gruppo di pochi uomini disarmò e catturò i soldati cecoslovacchi di guardia al ponte ferroviario, importantissimo obiettivo strategico e militare, più volte bombardato invano dall’aviazione alleata, e lo fece saltare.
In seguito a questa azione fu nominato da Amerigo Clocchiatti, allora Commissario politico di tutte le Brigate del Veneto, comandante di battaglione. Nelle settimane successive fu protagonista di numerose iniziative che culminarono nella conquista e nel controllo della zona a nord del Piave comprendente i comuni di Soligo, Solighetto, Col San Martin.
Durante l’offensiva tedesca e fascista di fine estate 1944 e i violentissimi rastrellamenti sul Cansiglio, “Cirillo” guidò la ritirata e lo sganciamento di circa 800 partigiani durante 5 giorni di continui combattimenti. Sabatucci mantenne in collegamento i singoli gruppi esponendosi a rischi enormi e dimostrando un coraggio eccezionale.
Portate in salvo le formazioni partigiane, si trasferì a Treviso, dove, attivamente ricercato da tedeschi e fascisti, sfuggì più volte per miracolo alla cattura.
Nel settembre 1944, ormai sempre più popolare e stimato tra i partigiani, fu incaricato dal commissario politico della Nannetti di risolvere il caso di un gruppo, vicino alla Resistenza, dedito al furto e alla rapina. E così dopo il processo e la condanna contro la “banda del Min”, fu proprio “Cirillo” a eseguire la sentenza di morte contro i due colpevoli.
Dopo questa vicenda Clocchiatti nominò Sabatucci comandante della Mazzini. A metà del mese di novembre 1944 il Comando regionale delle brigate “Garibaldi” lo nominò comandante della brigata Padova.
La situazione in città era critica: dopo l’offensiva di ottobre, infatti, la brigata Garibaldi stava subendo i rastrellamenti e la violenta reazione dei tedeschi e delle Brigate Nere. Inoltre il proclama del generale Alexander del 13 novembre iniziava ad avere i primi effetti di disorientamento e sfiducia da parte dei resistenti.
Prima dell’arrivo e dell’effettivo insediamento di Sabatucci, il 27 novembre, venne arrestato, in seguito alla delazione di una spia, quasi tutto il gruppo dirigente della brigata “Garibaldi”.
Nel pomeriggio soldati tedeschi e italiani fecero irruzione nella sede del Comando Militare regionale garibaldino in Riviera Paleocapa e nella sede dell’Intendenza in via Cristofori.
Furono catturate circa 200 persone, tra cui Attilio Gombia (Ascanio), Rino Gruppioni (Spartaco), Giuseppe Banchieri, i massimi dirigenti politici e militari del Partito Comunista in clandestinità.
Questi furono condotti a Palazzo Giusti e torturati ripetutamente dalla banda Carità, ma non rivelarono alcuna informazione utile ai nazi-fascisti.
Sabatucci, che nel frattempo aveva cambiato il nome di battaglia da “Cirillo” in ”Franco” per cercare di sfuggire alla fama che lo accompagnava ormai in tutto il Veneto, iniziò subito a lavorare per riorganizzare la brigata “Garibaldi” e impostò le condizioni per una nuova offensiva generale per il mese di gennaio 1945. Non fece in tempo vedere realizzato il suo progetto.
Sono rimasti alcuni documenti che attestano il lavoro preparatorio di Sabatucci e che aiutano a delineare un profilo non solo militare e pratico dell’uomo ma anche le notevoli capacità politiche, teoriche e umane.
L’esperienza di quasi sedici mesi di lotta partigiana ha reso “Franco” un combattente lucido e meticoloso, preoccupato della tenuta organizzativa della brigata di fronte alla feroce offensiva del nemico, e attento al rapporto con la popolazione, soprattutto quella contadina, che rischiava di allontanarsi dai partigiani per paura delle rappresaglie nazi-fasciste che seguivano ogni azione della Resistenza.
Sabatucci insisteva molto sulla disciplina interna alla brigata, condizione fondamentale per essere apprezzati dalla cittadinanza; per questo specificava che il furto, di qualsiasi genere e di qualsiasi entità, e l’ubriachezza sarebbero stati puniti con la pena di morte.
Del resto “Franco” aveva imparato dall’esperienza diretta della “banda del Min” cosa significava il furto per le Brigate Garibaldi: un danno a tutto il movimento della Resistenza, che colpiva alla radice la credibilità e la dignità dei partigiani.
I nazisti e i fascisti, rincuorati dai recenti successi repressivi, dalla brusca frenata dell’avanzata anglo-americana e dal proclama del generale Alexander, pensavano che l’inverno del 1944 avrebbe segnato la fine delle attività partigiane.
Questa aspettativa doveva scontrarsi con una ripresa intensa delle azioni della brigata, azioni mosse dall’obiettivo di fondo della tattica dei GAP e delle formazioni garibaldine: colpire il nemico nel momento e nei luoghi dove si sentiva più sicuro.
“Franco” aveva bene presente che le rappresaglie e le violenze bestiali dei nazi-fascisti avevano l’unico obiettivo di impaurire i partigiani e le popolazioni civili; perché il nemico aveva un unico mezzo per battere la Resistenza: il terrore.
“Ma – ammoniva il comandante della brigata, parlando anche a se stesso – il terrore convince solo i pavidi”. I coraggiosi, le persone mosse da un’ideale alto e giusto, non si piegano, non si lasciano fermare dalla paura. Per questo, secondo Sabatucci, il patriota doveva avere disciplina, coscienza di lotta, fede nell’ideale di libertà e abitudine al rischio.
[…] Il destino era in agguato. Fu proprio la paura a spingere un ex partigiano a tradire il suo comandante. Fu proprio Sabatucci, come si addice a un vero capo, a dare l’esempio di come si muore in maniera coraggiosa, senza timori.
L’intendente della brigata, Cesare Broggin, arrestato dalla banda Carità in seguito alla retata di fine novembre, tradì “Franco” e lo attirò in un falso appuntamento.
Il 19 dicembre 1944, su ordine del maggiore Mario Carità, comandante della omonima banda, tristemente famosa per i tanti delitti commessi, un gruppo di uomini si appostò in attesa di “Franco”. E così all’incontro nei pressi di Prato della Valle, vicino al palazzo Esedra, Sabatucci trovò ad aspettarlo non solo Broggin, ma anche i sicari di Carità.
Antonio Corradeschi e Ferdinando Falugiani fermarono Sabatucci e, mentre lo stavano conducendo verso Mario Chiarotto, che aspettava nascosto dietro all’edicola di via IV Novembre, “Franco” si divincolò e iniziò a correre. Dopo un brevissimo inseguimento, Corradeschi sparò per primo con la pistola, subito seguito da Chiarotto e Falugiani che fecero fuoco con i mitra.
Sabatucci cadde colpito all’inizio di via Configliacchi da almeno trenta colpi, come venne accertato a posteriori dai testimoni oculari dell’omicidio. Impotenti, videro l’arresto e la fuga Aronne Molinari, che prese nei giorni successivi il posto di Sabatucci, e il partigiano dei GAP, Boris.
Entrambi avevano appuntamento con “Franco” e lo stavano aspettando davanti a palazzo Esedra. Si salvarono grazie a lui, generoso ed eroico anche nella morte, che scappò in direzione opposta alla loro, senza farli scoprire.
Udirono i colpi di mitra e fuggirono con ordine e circospezione, come previsto dalle regole della clandestinità. I partigiani riuscirono, caso unico durante la Resistenza, a fare pubblicare su “Il Gazzettino” il giorno dopo, il 20 dicembre, il necrologio per Franco Sabatucci. Il fatto fu davvero eccezionale, tanto che in poche ore, quando qualcuno si accorse del testo, il giornale venne ritirato dalle edicole.
La brigata “Garibaldi” prese subito il nome di Sabatucci, che ricevette, postuma, la medaglia d’oro al valor militare. A guerra conclusa vennero celebrati i funerali di “Franco” insieme a quelli di altri tre valorosi partigiani, Manlio Silvestri, Gustavo Levorin, Giulio Contin. La cittadinanza onorò i caduti in forma solenne con una partecipazione straordinaria e commossa.
Per volontà della madre, il corpo di Sabatucci venne sepolto a Pieve di Soligo, tra i caduti garibaldini della brigata “Mazzini” e vicino ai luoghi che lo videro coraggioso protagonista della guerra di liberazione. […] »
Cornelio Galas, Le atrocità della Banda Carità (8), Tele Vignole, 2 settembre 2016

Il ponte della Priula a Nervesa della Battaglia (TV). Fonte: Wikipedia
Francesco Sabatucci. Fonte: Tele Vignole art. cit.

Numerose le azioni di sabotaggio alla rete viaria e ferroviaria, gli attacchi a reparti fascisti e tedeschi e la liberazione ed il controllo di alcuni comuni della zona (Soligo, Solighetto, Col San Martin). Il 15 luglio successivo Francesco Sabatucci scese nella zona del comune di Nervesa della Battaglia nei pressi del quale si trovava il ponte ferroviario della Priula, importante punto di transito dei rifornimenti all’esercito tedesco in Italia.
Gli Alleati anglo-americani avevano più volte tentato di bombardare il ponte senza mai aver successo. Sabatucci con soli sette uomini riuscì a disarmare tutti i militari cecoslovacchi di guardia al ponte ed a minarlo in tre punti con un forte quantitativo di dinamite facendolo saltare.
Sempre nell’estate ’44 riuscì con abile azione tattica a far sganciare più di ottocento partigiani dall’accerchiamento tedesco sul Cansiglio. Nel novembre dello stesso anno gli venne chiesto di spostarsi nella zona di Padova, col ruolo comandante della Brigata Garibaldi “Padova” cambiando il nome di battaglia in “Franco”.
Nella città veneta il 19 dicembre tradito da un suo intendente fu attirato in una imboscata nei pressi di Prato della Valle dove lo aspettavano tre fascisti della famigerata banda Carità. Tentò la fuga ma fu raggiunto in via Configliachi e colpito da una scarica di arma da fuoco.
Antonio Sciolino, Il sottotenente Sabatucci da lanciere a partigiano, Resistenza, Organo dell’ANPI Provinciale di Bologna – Anno X – Numero 1 – Marzo 2013

Alcune note vergate di proprio pugno da Sabatucci. Fonte: Resistenze in Cirenaica art. cit. infra
Francesco Sabatucci. Fonte: Tele Vignole art. cit.
Altre note vergate di proprio pugno da Sabatucci. Fonte: Tele Vignole art. cit.

Ci rimane anche un documento scritto da Sabatucci: la circolare ufficiale n° 144 inviata dal comando della Brigata il 4 dicembre 1944 a tutti i comandi di battaglione, intitolata “Nuove direttive del Comandante Franco”:
« Rendendomi conto delle difficoltà che certi Btg. della Brigata Padova incontrano per la riorganizzazione dei propri reparti dopo gli ultimi rastrellamenti – dopo essermi consigliato coi diretti collaboratori che mi hanno prospettato chiaramente la situazione attuale -ritengo opportuno consigliare a tutti i Btg. della Brigata un periodo di tranquillità. Periodo che deve essere sfruttato al massimo per riassettare i quadri, per riprendere i collegamenti perduti per cause di forza maggiore, per riesaminare le possibilità di azione ora che si approssima l’inverno, per rendersi conto delle armi che abbiamo e del rispettivo munizionamento. Si nota nella zona Padovana un concentramento sempre maggiore di forze nemiche dovuto e al prolungamento della guerra e alla rarefazione forzata delle nostre azioni nelle ultime settimane. Bisogna che in questo breve periodo di tempo ogni comandante di Btg. di Comp. di Sq. di nucleo si preoccupi di sopperire con la buona volontà e con l’esperienza alle manchevolezze riscontrate nel proprio reparto.
Intensificare il lavoro cospirativo, vagliare le possibilità di ogni formazione sinceramente, mettendo da parte ogni pregiudizio dovuto all’influenza indubbia dell’atteggiamento ostile della popolazione terrorizzata dalle dure rappresaglie dei nazi-fascisti. Il popolo deve comprendere che la nostra lotta la sosteniamo per lui, per dargli domani la possibilità di sollevarsi dai 22 anni di oppressione fascista.
[…] Ogni comandante di Btg. deve anche a costo di diradare le file, poter contare all’inizio della dura lotta invernale su uomini sicuri che diano la massima garanzia di onestà, di coraggio, di fedeltà all’idea antifascista e antitedesca. Non deve essere abbandonato il lavoro politico sulla massa meno spinta. Anzi i partigiani migliori devono con l’esempio continuo far comprendere che il momento della lotta a fondo è già suonato da un pezzo. Bisogna che tutti si rendano bene conto che se i tedeschi e i fascisti ricorrono a rappresaglie per imporci di tralasciare il lavoro è perché non hanno altro mezzo che il terrore per batterci. E il terrore non convince che i pavidi. Dovremo riuscire, malgrado tutto, a vincere la reazione nemica con una contro reazione. Questo potrà avvenire con una organizzazione partigiana perfetta. Disciplina, coscienza di lotta, fede nel nostro ideale di libertà, abitudine al rischio, Ogni patriota deve avere questi requisiti.
Morte ai nazi-fascisti.
Il Comandante Franco »
AAVV, Francesco Sabatucci. Il partigiano Cirillo-Franco. Comandante della Brigata Garibaldi “Padova”, Secondo volume, A cura della Federazione Provinciale dei Democratici di Sinistra di Padova “Enrico Berlinguer” – Con la collaborazione del Centro Studi “Ettore Luccini”, 2005

Sabatucci e la fidanzata Mimma. Fonte: Resistenze in Cirenaica art. cit. infra
Francesco Sabatucci. Fonte: Tele Vignole art. cit.

Se il cognome è in qualche modo di dominio pubblico, è molto più difficile trovare qualcuno che conosca la sua storia, quella di un giovane partigiano bolognese che si chiamava Francesco ma che, nei giorni della Resistenza, si portava appresso due nomi di battaglia: “Cirillo” e “Franco”. Francesco era uno di quei ragazzi “tosti e giusti”, uno di quei giovani cavalieri dell’ideale che sacrificarono, da antifascisti, la loro vita per la libertà e per la giustizia sociale.
Il suo assassinio avvenne per mano dei fascisti in un’imboscata a Padova il 19 dicembre 1944.
Raccontando la sua storia, rivolgiamo un pensiero agli altri partigiani, caduti durante la lotta di liberazione, che hanno dato il nome a molte delle strade rione Cirenaica.
Molti di queste ragazze e di questi ragazzi non erano diversi dai loro coetanei, ma loro non ebbero il tempo di diventare adulti. Scelsero di imbracciare le armi per combattere i soprusi e le angherie di una dittatura che durava da più di vent’anni.
Sabatucci, nato a Bologna nel 1921, era di famiglia antifascista. I suoi genitori, con enormi sacrifici, erano riusciti a mandarlo a scuola. Dopo il liceo, seguendo il padre Umberto che per lavoro si era trasferito a Roma, si iscrisse alla Facoltà di Magistero nella capitale. […] Tra la fine del ’43 e l’inizio del 1944 i comandi della Resistenza emiliana decisero di diminuire drasticamente il numero delle bande partigiane che operavano nell’Appennino. Le condizioni ambientali e geografiche delle montagne bolognesi non erano ritenute tra le più idonee per lo sviluppo della guerriglia. Erano sprovviste di boschi e le tante vie di comunicazione tra i vari paesi avrebbero consentito rappresaglie troppo facili. Inoltre, in quei territori, la popolazione era ancora succube del fascismo. Dopo l’8 settembre non c’erano state reazioni significative, l’antifascismo era ancora molto debole e i tentativi per organizzare nuove basi erano quasi tutti finiti nel nulla.
Tra l’organizzazione clandestina del Partito comunista bolognese e quella padovana si stipulò quindi un accordo dove venne deciso che un centinaio di giovani partigiani sarebbe partito da Bologna per trasferirsi nelle Prealpi bellunesi. Dopo una “lunga marcia”, piena di pericoli e difficoltà, questi ribelli andarono costituire il primo nucleo della Divisione “Nannetti”, che combatté fino alla Liberazione nelle valli del Mis e di Mesazzo e poi nel Vajont e sull’Altipiano del Cansiglio.
La strana migrazione venne organizzata segretamente e per piccoli gruppi e si trattò del più massiccio trasferimento di uomini armati avvenuto nella Resistenza italiana.
Anche Francesco Sabatucci partì e, il 28 maggio 1944, si aggregò al distaccamento partigiano “Tollot” che operava sul Col Visentin. Dopo qualche settimana si trasferì nell’alto trevigiano dove era attiva la Brigata Garibaldi “Mazzini”. Qui prese il nome di battaglia “Cirillo” e dopo qualche tempo divenne il comandante della brigata.
[…] La straordinarietà di Francesco sta anche nella lettera che qualche tempo dopo ricevette la sua fidanzata Mimma.
“Forse quando tu leggerai queste righe io non ci sarò più.
Eppure mai mi sono accinto a scrivere qualcosa con tanta tranquillità e serenità come oggi.
E’ la prima volta che prendo in considerazione la possibilità di una mia morte violenta.
Mimma cara ti ho adorata solo come tu sai.
Tu, con la grandezza del tuo amore, hai saputo fare di me un altro uomo.
Non concepivo un affetto duraturo, non credevo nell’amore per sempre di una donna… E tu mi hai trasformato in tutto.
Mai un’adorazione per una donna è stata così completa e sincera come la mia.
Tu sai con quanta decisione ho sempre tentato di realizzare i miei ideali, senza mai lesinare nell’offerta di tutto me stesso.
La nostra vita è troppo povera cosa se non è sostenuta efficacemente da un’idea seguita fino in fondo.
Sono morto bene, stanne certa, dando tutto fino all’ultimo attimo… Senza temerla quella morte.”
Aveva 23 anni Francesco, era un ragazzo che sentiva il bisogno di correre… di correre forte… verso quella libertà che ci voleva regalare.
A quella sua corsa noi non possiamo restare indifferenti ed è proprio dal suo ricordo che dobbiamo sentirci esortati, spronati dall’impegno di batterci con tutte le nostre forze per impedire che fascisti e razzisti riprendano di nuovo il sopravvento.
Non sarà facile, ma ce la possiamo fare.
Lo dobbiamo a “Cirillo” e a tutti quei ragazzi e quelle ragazze che, caduti nella lotta di Liberazione, non ebbero il tempo e la fortuna di rimanere giovani.
E che le parole di Francesco ci servano da spinta: “Il terrore può essere vinto soltanto da una fede ferrea e ben radicata nell’animo di ciascuno di noi e dalla coscienza della lotta giusta che si sta combattendo… Non dimentichiamo che la porta della libertà si apre soltanto a chi sa cosa significa questa parola prodigiosa…”.
Redazione, In ricordo di Francesco Sabatucci, Resistenze in Cirenaica, 21 aprile 2020

Francesco Sabatucci
Classe 1921 – da Bologna
Sottotenente di complemento di cavalleria
Partigiano combattente
Partigiano tra i primi, eccelse per valore e sprezzo del pericolo. Con soli sette uomini dopo aver catturato le sentinelle, fece brillare le mine da lui deposte al Ponte della Priula, danneggiandolo gravemente.
Comandante della brigata “Mazzini”, tenne fronte col suo reparto per ben cinque giorni all’attacco massiccio sferrato da schiaccianti forze avversarie. Sganciata la brigata, la guidava superbamente in altri combattimenti.
Fatto prigioniero tentava di evadere, ma cadeva colpito a morte dal piombo nazifascista. Luminoso esempio di sacrificio e di suprema dedizione alla causa.
Ponte della Priula – Padova, 19 dicembre 1944
Motivazione della Medaglia d’oro alla memoria di Francesco Sabatucci