L’attività della Rete Nemo a Trieste sembra essere proseguita anche nel dopoguerra

Trieste: Piazza Unità

Solo grazie alla gentile segnalazione di un vostro collaboratore sono venuto a conoscenza della pubblicazione in questo giornale di una mia ricerca [sulla Missione Nemo] già stampata nel 1997 dal periodico “Aurora” col titolo: “Nome MSI – Paternità SIM”. Sempre il vostro collaboratore mi ha poi segnalato il successivo intervento polemico, relativo ad alcune parti del citato articolo, da parte del signor Ernesto Roli (v.”Romualdi: Ristabiliamo la verità”): Pur non avendo nulla da eccepire sulla riproduzione tale e quale di una ricerca ormai datata, avrei forse preferito accordarmi per la stesura di un nuovo testo possibilmente aggiornato con nuovi riscontri.
[…] Secondo l’oleografia resistenziale in vigore a Parma, considerata attendibile fino all’uscita degli ultimi documenti, Don Anelli avrebbe varcato la linea Gotica per conto del CLN locale al solo scopo di reperire finanziamenti, finanziamenti che pare gli furono effettivamente forniti nella misura di 13 milioni dell’epoca [3].
Si può invece tranquillamente escludere che egli sia stato inviato in missione a Roma dal CLN di Parma, poiché al momento della sua partenza il locale CLN era stato da poco interamente decimato dai Tedeschi.
Don Anelli passava, infatti, la linea del fronte nei primi giorni di novembre, mentre due settimane prima, il 17 ottobre 1944, il Comando Unico partigiano dislocato a Corniglio (PR) era stato attaccato e sgominato.
Nella circostanza perdeva la vita anche il capo del CLN-Comando piazza di Parma, il comunista Gino Menconi.
Un nuovo Comando Unico si ricostituì, secondo la testimonianza del comandante partigiano Vincenzo Mezzatesta (Cap. Jack), solo il 15 novembre successivo [4]. Si può pertanto concludere che non solo Don Anelli non aveva ricevuto alcun mandato operativo da parte del CLN di Parma, ma che, di fatto, la “sua” iniziativa nasceva in un eccezionale momento di vuoto politico e militare all’interno della resistenza parmense.
In realtà il vero mandante della missione Anelli era il c.d. “prete- predicatore” e 007 badogliano, Paolino Beltrame Quattrocchi [5], all’epoca capo maglia della rete spionistica NEMO [6], ovvero il superiore diretto di quel tal Gianni Nadotti da lui infiltrato, come già documentato, nella segreteria federale di Pino Romualdi.
Don Paolino Beltrame era anche il tramite, per i contatti più riservati, fra il governo Bonomi e il cardinale di Milano, Schuster.
Già nel febbraio del 1944 il cardinale Schuster, per mezzo del suo segretario, Don Bicchierai, aveva attivato un filo diretto con il capo dell’OSS in Europa dislocato in Svizzera, Allen W. Dulles, fratello di quel tal John Foster Dulles che diventerà presto il più ascoltato consigliere di Truman e che, con l’inizio della guerra fredda, si guadagnerà l’ambito titolo di “nemico numero uno del comunismo”.
E’ quindi abbastanza scontato che le indicazioni circa la futura politica anticomunista degli USA filtrassero da ristretti e selezionati ambienti dell’OSS facenti capo ad Allen W. Dulles.
Il fatto poi che sia stato utilizzato Don Anelli per portare informazioni al sud, fa ritenere che gli stessi ambienti OSS operanti a Roma non ne fossero al corrente e, d’altra parte, perdurando il conflitto non era certo il caso di far trapelare anticipazioni di strategia geopolitica che avrebbero potuto minare la compattezza della coalizione alleata. In effetti, Don Anelli dopo aver incontrato più volte Montini, a conferma dell’importanza delle notizie di cui era latore, ebbe anche colloqui molto riservati sia con il presidente del Consiglio, Bonomi, che con il generale Messe.
C’è piuttosto da chiedersi perché quest’importante missione sia stata affidata ad un così modesto incaricato e non, per es., allo stesso Don Paolino, il quale, fra l’altro, era ben conosciuto negli ambienti politici romani, in quanto la casa dei suoi genitori era di norma frequentata da alti esponenti militari, politici del calibro di Einaudi o giuristi come Carnelutti.
La risposta più logica è che Don Paolino era troppo prezioso e insostituibile, per rischiare anche per puro accidente la vita in quella particolare missione, considerati anche i suoi rapporti diretti con il cardinale Schuster di cui rappresentava la parte più strettamente operativa nella triangolazione Berna-Milano-Parma.
E’ Parma, infatti, e più precisamente San Giovanni – chiesa benedettina che ospitava Don Paolino Beltrame – il luogo dove presero forma e si consolidarono le trame ispirate dalla Svizzera e quindi condivise e fatte proprie dall’arcivescovo di Milano. Come rilevato dalla “Gazzetta di Parma”, perfino l’agente italoamericano dell’OSS che ha accompagnato Don Anelli da Montini a Roma, capitano Alessandro Caggiati, denota un inconfondibile cognome parmense. Nel momento in cui compilo queste note, risulta che Don Paolino è ancora vivo e vegeto e soprattutto silenzioso custode delle grandi trame che hanno inciso profondamente nell’Italia del dopoguerra.
[…] Vi è poi da considerare che qualche giorno prima (25 ottobre 1944), il Comandante delle SS in Italia, Karl Wolff, aveva preso contatto con il cardinale di Torino, Maurillo Fossati, al fine di stabilire contatti con il CLN, per avviare con esso trattative di non belligeranza nell’ipotesi ritenuta ormai prossima di un ritiro delle truppe germaniche dall’Italia, tutto ovviamente all’insaputa e alle spalle dei camerati italiani.
Nell’autunno 1944, infatti, era opinione largamente condivisa che la coalizione nemica avrebbe sferrato un’ultima e decisiva offensiva contro la Linea Gotica per raggiungere la valle del Po e determinare così il collasso militare dell’Italia. Gli ambienti fascisti più ottimisti, perché ignari delle trattative di Wolff, contavano su di un’ultima resistenza sulla linea del Po e nessuno immaginava, comunque, la possibilità di una tregua invernale quale venne poi proclamata, il 13 novembre, da Alexander.
Nel quadro politico militare che si andava profilando nell’autunno 1944, le varie trame in atto non erano dunque ad uno stadio iniziale, ma si stavano anzi perfezionando in attesa dell’esito finale. Così, anche nel nostro caso, la nomina di Romualdi ai vertici del PFR non appare come un punto di partenza ma come un traguardo già stabilito.
Eventuali problemi, per la scalata a quella carica, erano piuttosto marginali quando si consideri che, secondo quanto riportato da un rapporto dei servizi segreti svizzeri del marzo 1945, nella stessa Segreteria del Duce “pare siano molto attivi elementi che lavorano d’accordo con ambienti capitalistici antifascisti militanti, ma di tendenza clericale o monarchica”[11] Questo ritratto d’ambiente di fonte svizzera ci riporta automaticamente ad un certo personaggio che all’epoca era Capo della Segreteria militare di Mussolini, vale a dire il conte-cognato Vanni Teodorani.
Lo stesso personaggio, guarda caso, che cooperò con Romualdi nella resa di Como e che, al pari di lui, riuscì ad involarsi senza apparenti problemi dalla prefettura dove era “custodito”, senza mai peraltro fornire plausibili spiegazioni.[12].
(4) Denuncia cr/Sc del 43° C.M.P. del 14/4/45, indirizzata al Tribunale Militare di Guerra – Sez. del 202° Comando Militare Regionale di Brescia (arch. Morini).
(5) Di questo memoriale ho ricevuto copia fotostatica dall’originale da parte del prof. Marino Viganò, già curatore delle memorie postume di Pino Romualdi edite con il titolo di “Fascismo Repubblicano”, Varese, 1992. Si deve rimarcare che, fatto strano, le memorie dello Scandaliato nel succitato libro sono state epurate proprio della parte di cui sopra senza peraltro segnalarlo al lettore (in op. cit. pag. 216).
(6) P. Romualdi “Fascismo Repubblicano”, op. cit., pag. 172.
(11) P. Romualdi, art. cit. in “l’Italiano”, pag. 37.
(12) P. Romualdi, ibid.
Franco Morini, M.S.I. – C’è poco da salvare, lettera ripubblicata da Antonio Grego in Eurasia Unita il 7 luglio 2006

Sono di grande interesse queste inchieste storiche, che qui sotto riportiamo, del ricercatore storico di Parma, Franco Morini, riguardanti la famosa e famigerata rete spionistica Nemo e di riflesso su Pino Romualdi, Vanni Teodorani, ecc., già pubblicate a puntate sulle pagine della pregevole rivista HISTORICA NUOVA.
Come noto Romualdi, già vicesegretario del PFR, nel dopoguerra venne accusato, da molti reduci fascisti, di un ambiguo comportamento in quel di Como, dove arrivato al mattino del 26 aprile 1945, assieme a oltre 4000 fascisti in armi, nella nottata del 27 aprile, dopo che buona parte dei fascisti si era scompaginata a causa delle incertezze dei comandanti con il fermo della colonna in città, firmò una specie di “tregua”, di fatto una resa ad un inesistente CLN locale, una resa che costò a Mussolini, bloccato 31 Km. più avanti a Menaggio, la successiva cattura per il mancato arrivo della colonna fascista in armi da Como.
Alcuni personaggi, dall’ambiguo operato nel dopoguerra, funzionale alle politiche missiste, come ad esempio Vincenzo Costa, cercarono di far passare il protrarsi del fermo in quel di Como dei fascisti in armi, come una decisione che Mussolini fece pervenire da Menaggio. Una falsità che già nel primo dopoguerra aveva confutato Bruno Spampanato (fu però avallata da Giorgio Pisanò nel suo Storia della Guerra Civile), ma venne poi definitivamente smentita da Elena Curti, figlia naturale di Mussolini con lui nella famosa autoblinda. la quale raccontò di essere stata inviata da Menaggio a Como, dopo le 12 del 26 aprile, proprio per vedere cosa stava facendo Pavolini e perché non arrivava con i suoi uomini!
Oggi sappiamo, come ha anche recentemente rivelato la rivista Storia in Rete, nel suo speciale sulle “Ultime ore di Mussolini” pubblicato a maggio 2014, che quando Pavolini, la notte del 26 aprile riuscì ad arrivare a Menaggio da Mussolini, ma senza scorta armata, Mussolini sconfessò decisamente i suoi uomini a Como che chiedevano insistentemente che egli ritornasse indietro nella città non approvando di certo le varie proposte che erano circolate per una sua “resa” con tanto di consegna agli Alleati che Romualdi stava trattando a Como.
Romualdi poi riuscì a salvare la pelle e squagliarsi da Como (come del resto Vincenzo Costa) e nel dopoguerra venne investito da svariate accuse che vanno dalla negligenza, alla insipienza, fino all’ombra di un possibile tradimento, ma niente fu possibile provare con certezza.
Nel dopoguerra Romualdi, tra i fondatori del MSI e uomo di destra fu, fin da periodo dei FAR, tra gli artefici massimi dello spostamento del MSI su sponde conservatrici e reazionarie e quindi successivamente filo atlantiche. Di fatto una sconfessione di tutto il fascismo repubblicano e per quel partito, un vero tradimento degli interessi nazionali, visto che venne subordinato, fino a divenire una truppa cammellata -e per tutti i suoi 50 anni di vita- in vantaggio degli Stati Uniti e della NATO.
Fu con i primi anni di questo terzo millennio che uno storico di tutto rispetto e di certonon di parte antifascista, Giuseppe Parlato, rettore della Libera Università S. Pio V e vicepresidente della Fondazione Ugo Spirito, diede corpo e documentazioni a quelle che prima erano state solo “voci”, facendo emergere i contatti tra certi esponenti della RSI e l’Amministrazione americana – contatti che risalivano a PRIMA della fine della guerra. Tra questi contatti, in particolare c’erano anche quelli di Romualdi con ambienti dei servizi segreti statunitensi (Cfr.: G. Parlato: “Fascisti senza Mussolini”, Ed. Il Mulino 2006).
Lo storico Parlato, avvalendosi anche di preziose informazioni fornitegli proprio da Franco Morini, documentò che Romualdi era entrato in contatto con l’OSS americano tramite Gianni Nadotti, agente segreto del SIM infiltrato prima nella segreteria federale di Parma e poi nella vice segreteria del PFR a Milano (sempre al seguito di Romualdi).
Forse Romualdi, ci precisa però Franco Morini, non era entrato in contatto con ambienti americani CIA o CIC, attraverso Nadotti, che era interno alla Rete Nemo e all’Intelligence Service, ma per altre vie (per esempio Teodorani, che poi in suoi articoli su “l’Asso di Bastoni”, fece trapelare la sua vicinanza ad ambienti clericali e americani?).
La domanda che quindi tutti si sono posti è stata consequenziale: questi “contatti”, quando ancora si stava combattendo contro gli Alleati. potevano rientrare in compiti di “ufficio”, cioè nell’ambito dei vari contatti che sul finire della guerra si ebbero un po’ con tutte le parti in gioco (a volte autorizzati anche dal Duce), oppure nascondevano qualcosa di altro e di peggio?
Perché nel secondo caso, queste collusioni avrebbero potuto avere anche un ruolo decisivo al momento del crollo militare quando a Como, quel 26 aprile 1945, entrarono in gioco gli agenti americani e del SIM Salvatore Guastoni e Giovanni Dessì con i quali Romualdi trattò la “tregua” della rimanente colonna armata fascista.
Anche su queste basi il ricercatore storico di Parma Franco Morini, che ancor prima di Parlato aveva svolto varie ricerche, a partire dalla sua città, ha ampliato il campo indagativo tirando in ballo la rete spionistica NEMO, che comprendeva oltre a vari prelati e uomini della Resistenza, il su menzionato Nadotti, ecc., anche uomini della RSI, autentici traditori.
Esponiamo adesso le ricerche di Franco Morini, già pubblicate su HISTORICA NUOVA e a cui rimandiamo per una visione d’insieme, più ampia e più esaustiva.
Avvertenza: la raccolta di questi scritti di Morini, l’abbiamo, un po’ arbitrariamente, divisa in otto parti e al termine di ognuna abbiamo inserito le rispettive note.
Nel frattempo il ricercatore Morini ha ancora prodotto altri articoli e allegati, che in seguito faremo conoscere.
Maurizio Barozzi, La rete “Nemo”, Romualdi e altre ricerche storiche di Franco Morini (19 agosto 2014), in SOCIALE, giovedì 21 agosto 2014

All’inizio del 1945 il Servizio segreto militare diventa Ufficio informazioni dello Stato maggiore generale, e la Calderini, che era formata esclusivamente da ufficiali e dislocata per lo più oltre le linee, cioè in territorio occupato, diventa Prima sezione; ne esce il Primo gruppo, che diventa Gruppo speciale all’interno del SIFAR e darà poi origine alla SAD (Sezione addestramento guastatori), base su cui si fonderà la struttura della Gladio. Infatti “più ufficiali che avevano militato in questa specifica struttura del Servizio di sicurezza militare nella fase finale dell’ultimo conflitto mondiale risultavano essere poi stati definitivamente incardinati nel SIFAR e quindi nel SID, con la attribuzione di funzioni proprio all’interno della Sezione che per anni ebbe a fungere motore dell’Operazione Gladio: la Sezione Addestramento Guastatori” […] Il “gruppo di resistenza Bergera” non si sciolse alla fine della guerra, ma continuò ad operare diretto da Niny Rocco, come leggiamo nel suo memoriale. Infatti, “verso il 5 maggio” il comando inglese le telefonò per convocarla dal capitano Weeks dove fu presentata al capitano Robert Milne, che le disse che il suo “Comando” (non meglio specificato) l’aveva messo a sua disposizione alla 55^ Area del Comando alleato, e Weeks le disse che non era ancora chiarita la posizione di Podestà. In seguito furono arrestati dagli Jugoslavi anche Suttora e Montanari, ed il maggiore De Biasio disse a Rocco che essendo lei l’unica che conosceva tutto il gruppo ed il lavoro di esso era lei a dover darsi da fare, quindi la professoressa andò spesso dagli Inglesi (con De Biasio al quale faceva da interprete), ed in seguito convocò Straulino e Lauri per decidere il da farsi: Lauri sarebbe andato a Milano o a Roma per cercare i documenti mancanti, Straulino a Venezia per “vedere dove depositare i milioni”. […] L’attività della Rete Nemo a Trieste sembra essere proseguita anche nel dopoguerra, come apprendiamo dal libro di Gnecchi Ruscone, che ci permette inoltre di comprendere il motivo di altri tre arresti effettuati dalle autorità jugoslave nel maggio 1945, quelli di Vittorio Strukel, di Guido Tassan e di suo padre Luigi […] Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

[…] Dalla lettura della documentazione che ci ha fornito emerge chiaramente (non so se per responsabilità sua, o se lei stesso sia stato male informato e documentato) che la versione che ci è stata data dell’operazione “Gladio” è chiaramente una versione contraffatta, non credibile e che fa acqua da tutte le parti. Infatti, sia dalle posizioni assunte dai magistrati Casson e Mastelloni, sia dalle audizioni tenute presso la Commissione Stragi, è emerso chiaramente che si tratta di una versione che non sta in piedi.
Vorrei ricostruire, partendo da alcune affermazioni contenute nel documento che lei ci ha inviato sull’operazione “Gladio”, la vera storia di questa vicenda che non è neanche qualificabile come un patto stipulato tra la Cia e il Sifar, ma come una imposizione da parte di una potenza occupante, gli Stati Uniti, che hanno costituito ed organizzato nel nostro paese strutture armate clandestine preesistenti a quell’accordo che ora chiamiamo operazione “Gladio”. Ciò viene confermato dalla sua affermazione secondo la quale, nel 1951, da una nota del generale Musco (il primo capo del Sifar) si rendeva noto che, stante la presenza nell’Italia settentrionale di un’organizzazione clandestina, autonomamente costituita dagli Stati Uniti, il Sifar aveva preso in considerazione la necessità di costituire a sua volta una struttura di questo genere e di cercare di arrivare ad un coordinamento con quella preesistente struttura americana.
Vorrei ricordare che questa storia nasce con lo sbarco degli americani in Sicilia. Da quel momento, alcuni personaggi, che facevano contemporaneamente capo a Cosa Nostra (la mafia siculo- americana), all’Oss (che era il corrispondente della Cia di quegli anni) e alla massoneria, hanno operato nel nostro paese costituendo fin da allora una struttura armata. Vorrei inoltre ricordare che il primo intervento che ha utilizzato la strage come azione politica per condizionare le vicende politiche del nostro paese e per impedire una avanzata della sinistra è rappresentato dalla strage di Portella delle Ginestre.
I personaggi dell’Oss che operavano in quegli anni – mi limito a citarne i nomi perché ricostruire tutta la storia sarebbe molto lungo – sono i seguenti: Frank Gigliotti, Max Corvo, Max Scamporino, Charles Poletti – tutti membri della massoneria e della Cia legati a Cosa Nostra – e Carmel Offie (incaricato delle operazioni speciali della Cia nel nostro paese. Quindi, la vicenda inizia da lì e comincia attraverso la costituzione di apparati armati clandestini reclutati dalla Cia […]
Luigi Cipriani, Interventi in aula su Gladio (sedute dell’11 gennaio 1991 e 23 maggio 1991. In Stenografici sedute parlamentari X Legislatura), Fondazione Luigi Cipriani

Le missioni a Trieste dopo la Liberazione.
L’attività della Rete Nemo a Trieste sembra essere proseguita anche nel dopoguerra, come apprendiamo dal libro di Gnecchi Ruscone, che ci permette inoltre di comprendere il motivo di altri tre arresti effettuati dalle autorità jugoslave nel maggio 1945, quelli di Vittorio Strukel, di Guido Tassan e di suo padre Luigi.
Guido Tassan “nei primi dello scorso maggio a Trieste per assolvimento di ultimo delicato incarico è scomparso mentre attraversava, nella uniforme di ufficiale italiano che vestiva con particolare fierezza, un tratto del territorio infestato dal cosiddetto esercito regolare di Tito” [192]. Sorvolando sul linguaggio sfacciatamente antijugoslavo del testo, e sul fatto che, essendo il territorio sotto amministrazione militare alleata, vestire a Trieste all’epoca, sia pure con “particolare fierezza”, l’uniforme di ufficiale italiano non era cosa lecita, leggiamo come sono descritte nelle relazioni di Tassan e di Strukel le modalità del loro arresto [193].
Strukel scrive che il 24/4/45, alla vigilia dell’insurrezione, si trovava a Milano su ordine di Tassan: Elia lo trattenne e convocò Tassan a Milano usando come corriere il principe Pignatelli [194]; Tassan e Strukel furono poi inviati in missione a Trieste “credo a portare ordini a Podestà”.
Tassan a sua volta scrisse che la missione si svolse “in aprile per avere notizie sull’arresto dei principali membri della Rete, avvenuti per il tradimento di un collaboratore”, come Tassan riferì al “capitano Giorgi” (cioè Manes). Ebbe conferma di questo da Podestà e Bergera, che “liberati in quei giorni confermarono la supposizione e considerarono la loro liberazione un caso estremamente fortunato”. Ma se i due erano stati liberati già a febbraio, e sicuramente il modo in cui agì Podestà non può essere definito “un caso estremamente fortunato”, perché avrebbero travisato i fatti quando ne parlarono a Tassan?
Dal bilancio della Rete Nemo risulta che in aprile Podestà ricevette dalla missione 100.000 lire, quindi il motivo del viaggio a Trieste di Tassan poteva essere anche questo trasferimento di fondi.
Tassan aggiunge che il 1° maggio a Milano ricevette l’ordine di scioglimento della maglia ed in concomitanza l’ordine di andare a Trieste per fornire i documenti necessari al maggiore De Biasio, “accompagnandolo possibilmente a Milano” e per “assumere informazioni” su Podestà “del quale nulla si sapeva da tempo” (strana osservazione, dato che si erano incontrati in aprile). Lasciò dunque Milano assieme a Strukel la sera del 5 maggio, con un’auto messa a disposizione dalla Questura (il Questore era Elia…), con gli incarichi che abbiamo visto prima. I due erano in divisa dell’esercito italiano ed in possesso di documenti firmati dal maggiore Page (ISLD [195]) e dal capitano Kane (AMG [196]). Strukel afferma che arrivarono a Trieste il 9 maggio e si recarono subito a casa di Ponzo dove fu detto loro che Ponzo, Podestà e Bergera erano stati arrestati (Tassan non fa parola di ciò), quindi decisero di presentarsi al Comando Alleato, dove fu intimato loro di lasciare subito la Venezia Giulia.
De Biasio scrive che, trovandosi il 10/5/45 “bloccato in seguito ai noti avvenimenti politico-militari” a casa, ricevette la visita della fidanzata di Tassan che gli disse che i due erano arrivati il giorno prima a Trieste in auto vestiti in uniforme da alpini e si erano recati al comando della 55^ Army Area per chiarire la propria posizione, dove fu loro risposto che non potevano proteggerli e quindi dirottati a Monfalcone (cioè fuori dal territorio controllato dall’Esercito jugoslavo). Tassan aveva dato appuntamento in quella città al padre, il quale il giorno stesso ebbe un lasciapassare ed andò a Monfalcone, ma il figlio non si presentò. Probabilmente fu questo il motivo dell’arresto di Luigi Tassan, che morì in prigionia.
De Biasio scrive che nessuna notizia di Tassan era pervenuta alla Military Police, che avvisò Lauri di “rendere edotto Nemo” e che questi si recò a Milano nella terza decade di maggio, ma non aggiunge altri particolari [197].
Tassan e Strukel andarono a Cervignano dove alla stazione dei carabinieri il maresciallo comandante suggerì a Tassan di andare dal “Commissario di una formazione italo-slava operante in loco” identificato come Petronio, che gli diede il permesso di raggiungere Trieste.
Tassan partì in bicicletta, fu fermato a Monfalcone al posto di confine, ed incarcerato in quella cittadina; consegnò ad un detenuto che doveva uscire il giorno dopo un biglietto da far pervenire a Strukel, il quale a sua volta scrive che il giorno 14 “tre partigiani garibaldini vennero a prelevarlo per portarlo da Icaro” (il comandante partigiano) dove gli dissero che Tassan era stato fermato a Monfalcone perché non in regola coi documenti. Strukel fu poi obbligato a seguirli a Monfalcone ed incarcerato con Tassan; i due furono trattenuti fino a fine maggio poi trasferiti ad Idrija ed Ajdovščina e il 12 giugno a Lubiana nel “carcere dell’Ozna”. Strukel sostiene che l’accusa era di essere stati mandati dal governo italiano a Trieste “quali agitatori fascisti”, mentre Tassan dice che erano accusati di appartenere al SIM. Nel corso degli interrogatori Tassan avrebbe risposto: “il nostro gruppo partigiano era incaricato di controllare e riferire i movimenti tedeschi ai superiori del CVL”, che conoscevano solo il loro capogruppo ing. Bocci [198] e nessun appartenente ai servizi segreti; e che l’indicazione Nemo sul lasciapassare del CVL identificava la formazione partigiana; aggiunge Tassan che “per fortuna Strukel non aveva preso con sé i documenti dell’ISLD”.
Furono poi condannati dal “Tribunale del Popolo” ai lavori forzati e riuniti con Podestà e Bergera. Strukel fu rilasciato il 23/5/47, Tassan, Podestà e Bergera in giugno.
Anche Gnecchi Ruscone afferma di essere stato inviato nel maggio 1945 a Monfalcone per aggregarsi come ufficiale di collegamento a un battaglione neozelandese che doveva entrare a Trieste; ed nella citata conferenza di Padova disse che per lui la guerra non era finita nella primavera del ‘45 ma in autunno, perché fino ad ottobre era stato mandato in “missione per fare la guerra agli Jugoslavi a Trieste”. Non specifica le date in cui giunse a Monfalcone e quando si sarebbe spostato a Trieste, ma dalla frase “dopo qualche giorno di incertezza a Monfalcone il battaglione ha avuto l’ordine di entrare a Trieste da dove gli jugoslavi avevano accettato di ritirare almeno i loro reparti regolari”, supponiamo che sia arrivato a Trieste dopo il 12 giugno, quando gli Jugoslavi lasciarono la città all’amministrazione angloamericana.
Dopo queste affermazioni piuttosto gravi, Gnecchi Ruscone ne aggiunge altre invece fuorvianti: “gli jugoslavi avevano dichiarato apertamente l’intenzione di annettersi tutte le province della Venezia Giulia fino all’Isonzo e anche oltre e avevano iniziato in tutti i territori dove erano riusciti ad arrivare prima dell’8^ armata una durissima campagna di maltrattamenti ed intimidazioni sulla popolazione italiana. Adesso si chiama ‘pulizia etnica’ ma anche allora era una vicenda sordida e sanguinosa. Uccisioni e sparizioni degli italiani più in vista erano frequentissime ed erano giustificate agli Alleati come esecuzioni di fascisti o rappresaglie spontanee incontrollabili” [199].
Sarebbe interessante sapere da chi Gnecchi Ruscone ha attinto queste notizie false e se le aveva girate, al tempo, ai suoi superiori.
[192] “Missione Nemo”, op. cit., p. 197.
[193] Le citazioni che seguono sono tratte dalle relazioni di Vittorio Strukel (9/10/47), e di Guido Tassan (2/9/47), AUSSME, rispettivamente busta 91, n. 83004 e busta 90, n. 81769. Va detto che non sempre le due relazioni concordano.
[194] C’erano due Pignatelli collaboratori della Nemo, i fratelli Paolo e Andrea. Un’informativa di Alpino segnala che Pignatelli (non specifica quale dei due) in una villa di Milano dove saltuariamente risiedeva ospitava una squadra della GAP; una sera De Haag vi trovò la polizia fascista e riuscì a liberarsi “con gravi difficoltà”, avvisò il principe e questi riparò in Svizzera, senza informare la rete. De Haag denuncia che la “sconsideratezza di Pignatelli” aveva causato il controllo dei suoi documenti e la conseguente richiesta di informazioni su di lui a Trieste (AUSSME, b. 91, n. 82317). I Pignatelli erano nipoti del principe “nero” di Napoli Valerio Pignatelli di Cerchiara, di cui abbiamo parlato precedentemente.
[195] Inter Service Liaison Department. Letteralmente Dipartimento di collegamento tra i servizi, era il nome di copertura del SIS (poi MI6) britannico durante la Seconda guerra mondiale.
[196] Allied Military Governement (Governo Militare Alleato).
[197] AUSSME, b. 91, n. 83035.
[198] Abbiamo già visto che Bocci era Elia.
[199] “Missione Nemo”, op. cit., p. 113.
Claudia Cernigoi, Op. cit.

Gli americani diedero vita alla democrazia in Italia nel 1943, e presero in considerazione l’idea di soffocarla nel 1948. Era una loro creatura, ma minacciava di mettersi su una cattiva strada.
Un rapporto della Cia, rimasto segreto finora, rivela come il padre padrone ebbe per un attimo la tentazione dell’infanticidio.
Il rapporto, intitolato «Conseguenze di un accesso dei comunisti al potere in Italia con mezzi legali», reca la data del 5 marzo 1948 e risponde a una serie di quesiti angosciosi del governo di Washington.
In Italia manca poco più di un mese alle elezioni. Da Roma l’ambasciatore James Dunn manda telegrammi sempre più pessimisti: una vittoria del «Fronte Popolare» socialcomunista sembra probabile. Il National Security Council, che riferisce direttamente al presidente Harry Truman, ha chiesto ai servizi segreti di valutare la situazione che si creerebbe se il partito di Togliatti andasse al governo.
«Nel futuro prevedibile – risponde la Cia – questa situazione potrebbe verificarsi soltanto come risultato di una vittoria del Fronte Popolare nelle elezioni del 18 aprile. Almeno un mese dovrebbe passare tra tali elezioni e l’insediamento di un nuovo governo. Anche se il Fronte Popolare vincesse con il voto la maggioranza dei seggi in parlamento, il suo effettivo accesso al potere potrebbe essere impedito falsificando i risultati, oppure con la forza».
Chi potrebbe usare la forza?
Il governo americano di Truman, quello italiano di De Gasperi, oppure le formazioni di destra come il «Gladio» che gli americani stanno incoraggiando segretamente in Italia per reagire alla minaccia comunista?
Il documento della Cia non lo precisa, ma fa presente che in caso di guerra civile gli anticomunisti non potrebbero vincere «senza immediati e sostanziosi aiuti dall’estero».
Ennio CarettoBruno Marolo, Made in Usa, Rizzoli, 1996

A differenza della Turchia, dal secondo dopoguerra in poi sono state create in Italia, all’interno della rete Stay Behind coordinata dalla NATO, strutture con compiti e centri di comando differenti. Oltre alla Gladio (gestita dai servizi segreti militari), sono state create strutture quali i Nuclei di difesa dello Stato (o NdS, diretti dalle forze armate) e l’Anello (o Noto servizio, organo segreto di coordinamento dei vari servizi segreti coordinato da ambienti politici). A fianco di questa rete muovevano altre istituzioni appartenenti a diverso titolo e con diverse funzioni al cosiddetto doppio Stato: la P2, la massoneria atlantica, la mafia.
Diversi studi hanno ipotizzato che la struttura Stay Behind avesse una duplice struttura organizzativa: per “cerchi concentrici” ovvero per “ambiti distinti”, ciascun cerchio o ambito attivabile a seconda dell’obiettivo specifico che di volta in volta si sarebbe voluto perseguire. Se ad esempio il tentativo di colpo di stato del 1964, il cosiddetto Piano Solo del generale De Lorenzo (così chiamato poiché portato avanti dalla sola arma dei carabinieri) aveva l’appoggio della Gladio, della quale il generale De Lorenzo era a capo, il tentativo di colpo di stato della Rosa dei Venti del 1974 vedeva un più ampio coinvolgimento degli apparati militari e neofascisti inquadrati nei NdS.
Sin dal secondo dopoguerra il sistema clandestino di queste strutture era di potenzialità operativa e sottoponeva le strutture visibili a una tensione continua, per il semplice fatto di esistere e di essere percepibili nella loro possibilità di attivazione. Da ciò, una forte influenza sullo svolgimento degli esempi visibili. Esemplare in tal senso fu la crisi politica del 1964 e l’ingerenza nella stessa del generale De Lorenzo mediante la predisposizione del Piano Solo. E’ ormai provato come la struttura Gladio fosse ‘deragliata’ nel corso degli anni dal suo compito specifico di contenere una possibile invasione sovietica ad altri compiti, tra cui la contro-insorgenza e il contrasto delle forze politiche legalmente riconosciute e in particolare del Pci. < 44
44 Giuseppe De Lutiis. (1996). Il lato oscuro del potere: Associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1946 a oggi. Roma: Editori riuniti.
Giulia Fiordelli, Dalla Konterguerilla ad Ergenekon. Evoluzioni del Derin Devlet, tra mito e realtà nella Turchia contemporanea: analogia con la stay-behind italiana, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2012/2013