L’indicazione della zona di attività manca per molte delle missioni

Dichiarazione di appartenenza di un marinaio alla 24a Brigata “Fontanot” XVIII Divisione – Fonte: Giuliano Manzari, Op. cit. infra

Nel Nord gli Alleati usarono subito, verso le grosse bande partigiane guidate unitariamente dal C.L.N., dello stesso metodo, già applicato in misura minore verso le esigue forze del gen. Pavone.
Essi volevano una resistenza frazionata in piccoli e mobili gruppi di sabotatori alle dipendenze delle loro missioni, anziché una resistenza organizzata, centralizzata e unitaria.
E questa frantumazione della Resistenza italiana essi evidentemente favorivano con la molteplicità delle missioni e dei servizi di informazione, apparentemente indipendenti gli uni dagli altri ma sovente tra loro in concorrenza; alle quali missioni si aggiungevano quelle inviate, dopo la metà del 1944, dal Comando supremo italiano del maresciallo Messe.
A questa molteplicità di contatti, che pure pericolosamente favoriva l’infiltrazione di informatori nemici, si aggiungeva da parte delle formazioni partigiane, già inclini per italico individualismo a far parte per se stesse, la ricerca di comunicazioni dirette con gli Alleati, per ottenerne favori e aiuti particolari. Accadeva talora che una formazione, visitata dalla Missione alleata, tenesse questa segretamente per se, e non ne informasse il Comando regionale o generale.
Il già faticoso controllo dal centro si rendeva vieppiù difficile, e ciò non perchè le formazioni periferiche rigettassero i fini politici della Resistenza unitaria, ma perchè le dure esigenze di vita le portavano sovente ad arrangiarsi, del che evidentemente approfittavano gli Alleati per dare applicazione ai loro metodi di guerra ed insieme per conseguire determinati fini politici.
In tali criteri di organizzazione quali erano per gli Alleati i motivi prevalenti: quelli tecnici o quelli politici?
[…] Abbiamo in merito le utili testimonianze di Ferruccio Parri e di Leo Valiani, recatisi in Svizzera nel novembre 1943 per incontrarsi con i rappresentanti alleati e con essi concertare, sul piano puramente tecnico, i rifornimenti in armi, viveri e indumenti.
L ’inglese John Mac Caffery e l’americano Allan Dulles, con cui essi conferirono, erano personaggi assai influenti. Ferruccio Parri non fece mistero del significato ideologico, democratico e repubblicano della guerra partigiana. Gli esponenti alleati provarono con tutta evidenza una umana simpatia per gli uomini che avevano dinnanzi, anche perchè sapevano dell’aiuto considerevole dato fin dai primi mesi dalla Resistenza italiana alle masse dei prigionieri anglo-americani.
Sembravano persuasi della sincerità con cui le ragioni di una lotta, del tutto nuova per essi, venivano esposte e un’accordo favorevole parve esser raggiunto. Ma una perplessità di fondo rimaneva: una guerra di grosse bande, sino a raggiungere le proporzioni di un esercito di popolo, sotto una guida politica propria, era al di fuori delle aspettative e dei desideri degli Alleati: essi certo temevano che essa finisse con lo sfuggire loro di mano e che dal disordine e dall’autonomia militare nascesse il moto rivoluzionario. Ricordiamo quanto lo stesso Mac Caffery, quasi un anno dopo, il 16 agosto 1944, scrivendo a Parri che si lagnava dell’insufficiente aiuto alleato, dichiarava: «Le bande hanno lavorato bene. Lo sappiamo. Ma avete voluto farne degli eserciti. Chi vi ha chiesto di fare questo? non noi».
Giorgio Vaccarino, I rapporti con gli Alleati e la Missione al Sud (1943-1944) <Atti del 3. Convegno di studi sulla storia del movimento di liberazione ‘Momenti cruciali della politica della Resistenza nel 1944’>, rivista Il movimento di liberazione in Italia n. 52/53, 1958, Rete Parri

Nell’assoluta necessità di reperire informazioni sulla consistenza, la dislocazione, i movimenti delle truppe tedesche, gli Alleati fecero ricorso ai propri servizi segreti (Special Operations Executive, SOE, britannico e Office of Strategic Services, OSS, degli Stati Uniti). Nella difficile situazione brindisina, con mancanza di uomini, di mezzi, di spazio e con le continue interferenze alleate, il S.I.M. fu faticosamente ricostituito; al suo comando fu posto il colonnello Pompeo Agrifoglio, già appartenente al Servizio, caduto prigioniero in Africa e fatto rientrare apposta dagli Alleati dal campo di prigionia negli Stati Uniti dove si trovava […] I Servizi alleati presero quindi contatto con organizzazioni partigiane già impiantate che agivano più che altro a fini informativi. Fu questo il caso dell’Organizzazione Otto del professore Ottorino Balduzzi, costituita a Genova […] Il secondo capo Piccinini era imbarcato, quale sottufficiale radiotelegrafista, sul sommergibile Onice; entrò nell’O.S.S. e passò le linee a piedi, il 3 dicembre 1943, nella zona di Castelnuovo di Benevento; il giorno successivo, a Colleferro, fu catturato, ma riuscì a evadere portandosi dietro l’apparecchio radio e proseguì nella missione affidatagli raggiungendo Milano a fine febbraio 1944. Da questa città trasmetteva le informazioni reperite dalla Brigata partigiana […]
Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa

I documenti britannici offrono senza dubbio un angolo di visuale da prendere in esame al momento di leggere, in sede interpretativa, la Resistenza [80]. Virtuale ridimensionamento del contributo militare partigiano, i file dell’SOE non possono essere la base per fare un bilancio negativo della Resistenza italiana [81]. Per prima cosa, infatti, è chiaro che le esperienze di guerriglia, pur di minoranza e (almeno per gli inglesi) militarmente “residuali”, maturarono una nuova coscienza sociale e politica in chi vi partecipò, direttamente o indirettamente. Secondariamente sarebbe riduttivo limitare lo sguardo al solo aspetto “bellico” per giungere ad un bilancio storico sulla Resistenza; un concetto che non si esaurisce nella guerra per bande. L’ampliamento dell’interesse storiografico, infatti, da tempo ha superato la centralità dell’evento militare nella Resistenza e ha contribuito ad allargarne il concetto [82].
La documentazione britannica è importante soprattutto perché può aiutare ad avanzare delle ipotesi sui motivi per cui gli inglesi non appoggiarono totalmente i piani più ambiziosi di alcuni dei massimi dirigenti della Resistenza italiana, individuandoli in questioni tanto di carattere interno quanto di carattere internazionale. Da un lato, la sottovalutazione delle possibilità di mobilitazione antifascista che derivava dagli scarsi risultati della sovversione guidata dall’SOE durante il primo triennio di guerra [83]. Dall’altro, è bene ricordare che la Special Force era stata concepita, ed organizzata, per combattere un altro tipo di conflitto [84]; gli irrealizzabili progetti inglesi in merito alla guerra clandestina vennero cancellati già con la “nascita” della Grande Alleanza. Da quel momento l’SOE avrebbe dovuto concentrarsi su azioni di guerriglia condotte a livello tattico e non strategico [85].
[80] Una proposta più articolata in Mireno Berrettini, La Resistenza italiana e lo Special Operations Executive britannico (1943-1945), Firenze, Le Lettere, 2014.
[81] Su questo si rimanda a Santo Peli, La Resistenza in Italia. Storica e critica, Torino, Einaudi, 2004.
[82] Indicazioni utili in Santo Peli, Alcune idee sullo stato degli studi sulla Resistenza in Italia, “Italia Contemporanea”, 255 (2009), pp. 244-249.
[83] Alcuni esempi in Mireno Berrettini, «To set Italy Ablaze!». Special Operations Executive e i reclutamenti di agenti tra Enemy Aliens e Prisoners of War italiani (Regno Unito, Stati Uniti e Canada), “Altreitalie”, 40 (2010), pp. 5-25.
[84] Per un quadro delle attività dell’SOE e dell’antifascismo antecedente all’8 settembre 1943 si rimanda a Mireno Berrettini, Set Italy Ablaze! Lo Special Operations Executive e l’Italia 1940-1943, “Italia Contemporanea”, 252-253 (2008), pp. 409-434.
[85] Su questo Mireno Berrettini, La Gran Bretagna e l’Antifascismo italiano. Diplomazia clandestina, Intelligence, Operazioni speciali (1940-1943), Firenze, Le Lettere, 2010.
Mireno Berrettini, Resistenza italiana e approccio internazionale, Officina della Storia, 29 settembre 2014

Intanto l’O.S.S./Italy si trasferì a Siena, nella Villa Poggio in Pini, mentre l’O.S.S./AFHQ, il 12 luglio 1944, si spostava da Algeri a Caserta (San Leucio). Il comando della N° 1SF si trasferiva sul Lago di Bolsena e passava al comando del tenente colonnello R.T. Hewitt.
In questo periodo le truppe alleate, dopo aver faticosamente conquistato Arezzo (11 luglio), Livorno e Ancona (19 luglio) e Firenze (13 agosto), raggiunsero finalmente la Linea Gotica.
[…] Continuò, nel frattempo, l’azione di appoggio alla Resistenza con l’invio di altre missioni speciali, mentre quelle già sul campo s’impegnavano a fornire ulteriori informazioni e a coordinare l’azione delle formazioni partigiane presso le quali erano distaccate.
Aumentò anche l’interesse per le regioni del confine orientale italiano, e l’O.S.S. richiese personale alla Marina da impiegare nella zona. Fu messo a disposizione il comandante Luigi Podestà, già impiegato a Roma, che conosceva la zona, e questi, nel settembre 1944, fu inviato a Trieste. La zona aveva sempre rivestito interesse per la Marina, che aveva impiegato alcuni suoi uomini sia nelle missioni speciali alleate, sia per proprio conto.
L’obiettivo della Marina era quello di conservare il controllo del confine orientale come era prima delle ostilità e a tal fine furono presi contatti con elementi significativi della Marina Repubblicana, poiché alcuni degli ufficiali e dei sottufficiali di essa svolgevano attività pro-italiana ed erano pronti a collaborare se lo scopo era quello di non far cadere l’Istria in mano agli iugoslavi. Così il segretario del comandante di Marina Trieste, capo furiere Arturo Bergera, che aveva aderito alla RSI, lasciò il servizio nel novembre 1943 per dedicare tutta la sua attività al campo informativo clandestino, incarico che svolse fino all’arrivo a Trieste del comandante Podestà. Questi radunò attorno a sé molti degli uomini che fin dal marzo 1944 avevano collaborato con il gruppo Nemo (del comandante Elia), così con Podestà lavorarono i tenenti di vascello Agostino Straulino e Stelio Bugada, i sottotenenti di vascello Bruno Suttora e Stelio Montanari, il sottotenente di porto Giuseppe La Porta, il sottotenente C.R.E.M. Gaetano De Caro, il capo furiere di 1ª classe Guido Capopresi, il secondo capo furiere Luigi Paoletta e il sergente Giuseppe Malligoi.
All’arrivo a Trieste delle truppe iugoslave (2 maggio 1945), il comandante Podestà fu immediatamente arrestato e, in base a un documento datato 30 maggio 1945, che lo accusava di passare informazioni ai nemici della Iugoslavia e della causa partigiana, fu imprigionato a Lubiana, per due anni, e fu rilasciato solo il 9 luglio 1947. Anche il tenente Montanari fu arrestato dagli iugoslavi, e a metà gennaio 1946 era ancora in un campo di concentramento slavo.
Il sottotenente di vascello Elio Wochiecevich fu impiegato in zona dal giugno 1944 per dare impulso al movimento di liberazione; partecipò attivamente alla lotta prendendo parte a vari scontri armati, dimostrando decisione, capacità e coraggio; riuscì a costituire una forte formazione di partigiani con la quale condusse attacchi contro i presidi e le linee di comunicazione nemiche. In uno dei combattimenti rimase gravemente ferito, ma restò sul posto per dirigere la lotta fino a che essa si concluse vittoriosamente. Fu successivamente paracadutato nelle retrovie nemiche, ove organizzò audaci e brillanti operazioni che furono tutte coronate da successo.
Rientrò in Italia solo nel febbraio 1946.
Altri appartenenti all’organizzazione della Marina furono arrestati dagli iugoslavi e alcuni finirono nelle foibe.
Giuliano Manzari, Op. cit.

Lasciamo ora Trieste e vediamo cosa si sa in generale di questa misteriosa Rete Nemo, che non tutti i torti aveva il ricercatore Franco Morini nel definire “nebulosissima” [203], visti i pochissimi e contraddittori dati noti fino al momento della pubblicazione del libro di Gnecchi Ruscone.
Il primo dubbio non chiarito è proprio il nome ufficiale di essa: abbiamo già visto che sulla carta intestata pubblicata sulla copertina di “Missione Nemo” si legge: Stato Maggiore Regio Esercito. Ufficio Informazioni – Gruppo Speciale Missione Nemo “Op. Sand II”. Invece in un altro documento, presumibilmente databile all’agosto 1944, in cui si parla di finanziamenti alla “rete”, l’intestazione è “Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia – Rete informativa Nemo-Op. Sand. II” (dove il Sand è seguito da un punto, come se si trattasse di un’abbreviazione, e così si trova anche nei documenti che abbiamo visto nell’Archivio storico), e la firma è del “Capo della Rete Inf. Nemo Cap. di Corvetta E. Elia” [204].
Un altro documento porta invece questa intestazione “Stato Maggiore Regio Esercito Ufficio I – Gruppo Speciale (Rete Informativa Nemo Op. – Sand II)” [205].
In un vecchio articolo di Giacomo Ferrari, che parla dei finanziamenti dati dagli industriali del Nord ad organizzazioni partigiane, leggiamo che “il dirigente di un’azienda Fiat di Cameri, nel Novarese, l’ingegner Ugo Graneri, parla (…) di 10 milioni elargiti all’Operative Band (seconda rete Nemo, colonna Elia)” [206].
Peter Tompkins, parlando della “segretissima missione britannica Nemo”, che avrebbe fatto capo al SIS britannico, scrive che “lo scopo principale del SIS attraverso la Nemo era tener d’occhio tedeschi, fascisti e soprattutto partigiani in vista della liberazione, al momento del passaggio dei poteri” [207].
E Giovanni Pesce, il leggendario comandante Visone della Gap di Torino e Milano, parlò di una “collaborazione ambigua” a proposito dell’attività di diversi funzionari di polizia della questura di Milano (tra i quali nomina Nicola Mancini) che “facevano quasi tutti capo alla rete Memo attraverso il comandante Emilio Elia che nei giorni dell’insurrezione venne nominato questore” [208].
Morini a sua volta scrive che dopo la pubblicazione di un articolo sull’attività di Giuseppe Cancarini Ghisetti, si rivelava l’esistenza di un’altra rete Nemo (Op. Sand. II) “operante fra Reggio Emilia, Parma e Milano” oltre a quella operante a Parma e di cui era a capo don Paolino Beltrame [209].
Ma se la rete Nemo di Elia era la II (secondo Morini e secondo Ferrari), ciò vuol dire che c’era anche una prima Rete Nemo? Viganò parla di una “Op. Sand I”, missione portata avanti dal sottotenente Massimo Rosicarelli, che faceva parte del Gruppo Speciale dello SMRE partito da Brindisi e “spiaggiato” in Toscana con il marconista Carlo Manzoni Umberto [210] (che si unì poi alla Rete Nemo, ma di questa missione parleremo dopo).
Operative Band (non Sand, probabilmente per un errore di trascrizione) scrive Ferrari; e Viganò ipotizza che Op. stia per Operation, mentre Sand sia un riferimento allo “spiaggiamento della missione sulla riviera delle Cinque Terre” [211].
Dopo avere considerato che in inglese sand significa anche “insabbiamento”, e viene usato a volte col significato di “polvere negli occhi”, una possibile spiegazione per la denominazione di Sand come “spiaggiamento” la troviamo in un documento dell’Archivio storico di Bolzano: da Brindisi, da dove partivano le missioni per il nord, gli agenti venivano trasportati con due sommergibili, il Nichelio ed il Platino; il sommergibile “si fermava quando si insabbiava, (corsivo nostro) lontano dalla riva, e con gommone e pagaie” gli agenti raggiungevano la terraferma [212].
Da una ricerca in rete digitando “Op. Sand”, dopo una serie di wargames dove la “Operazione sabbia” si riferisce a sbarchi di marines, abbiamo trovato nel sito delle forze armate rhodesiane un testo firmato da Ed Potterton, nel quale leggiamo che “l’operazione Sabbia è nata nel 1972, in seguito ad uno scambio di opinioni al College dell’Aeronautica militare sudafricana. L’intenzione era di costituire per l’Africa meridionale una sorta di organizzazione simile a quella della Nato. Quest’idea morì di morte naturale con il collasso del governo portoghese (cioè della dittatura di Caetano, n.d.a.) ed il ritiro dai territori coloniali” [213].
Una rete con tante maglie.
Lasciando perdere le disquisizioni semantiche, l’analisi dei documenti conservati presso l’AUSSME ci permette di ricostruire, con integrazioni tratte da altri documenti che citeremo di volta in volta, l’attività di alcune missioni della Nemo.
La busta 90 comprende una serie di cartelle che raccolgono documenti firmati da Elia e catalogate come Barley, ma troviamo anche un documento, intestato “Stato Maggiore Regio Esercito Ufficio Informazioni Nucleo Stralcio 1^ sezione e Gruppo Speciale”, indirizzato al capitano Collinson [214] dell’ISLD nel quale si legge che la Missione Nemo era “dipendente dal 810th Service Squadron (ISLD)” [215].
Nella busta 50 si trovano elenchi di personale inviato in missione con l’indicazione delle missioni di cui aveva fatto parte, e nei tre fogli che elencano “ufficiali”, “sottufficiali” e “truppa” scopriamo che sotto la dicitura “Nemo” erano comprese missioni diverse, con svariati nomi e svariati luoghi di attività [216]. Sono elencate in totale 37 missioni, con 76 nominativi, per 4 dei quali non c’è l’indicazione della missione di appartenenza, ed uno di essi, l’ufficiale Giacomo De Palma, risulta avere operato da “isolato” [217]; troviamo qui la missione Sand di Rosicarelli e dell’operatore Urbano.
La missione di Elia, che comprendeva anche De Haag, Beltrame, Tassan, Manzoni, aveva il nome di Barley, ed era stanziata in Lombardia (il “depositario” della Barley viene indicato in Narciso, cioè il cugino di Nemo, Enrico Elia), mentre la missione di Podestà per il Veneto si chiamava Corn e l’altro membro è indicato come “Porto Martino Att” non meglio identificato. In questo elenco non c’è il nome di Girardelli.
L’indicazione della zona di attività manca per molte delle missioni, come ad esempio la Fair II, nota però a Trieste come “Missione Molina” dal nome del suo capo, Valentino Molina, che sbarcò in Istria assieme al radiotelegrafista Enzo Barzellato nel gennaio del 1944. Secondo un processo svoltosi nel dopoguerra, Barzellato avrebbe iniziato a collaborare coi tedeschi non appena catturato (le leggerezze dei due in materia di sicurezza sarebbero state molte) e fatto arrestare Molina ed i suoi collaboratori (Gino Pelagalli e Sante de Fortis), poi uccisi nella Risiera di San Sabba il 21/9/44 [218].
Nell’archivio dello SME si trovano alcuni documenti in cui è ricostruita meglio la vicenda. Giunto a Trieste, il tenente Molina cercò di riprendere contatto con alcuni ex colleghi dell’Ufficio Statistica (dove aveva prestato servizio prima dell’8 settembre), senza sapere che i militari di questa sezione erano stati inquadrati in un servizio informativo (Rete Baldo) dipendente dal Kommando 150 (nome in codice Erika) istituito dai nazisti per installare cellule di penetrazione nelle formazioni partigiane a Trieste e in Istria (altre cellule formate a Treviso, Venezia, Udine e Ravenna). In seguito a questi contatti la missione di Molina fu scoperta e l’autore della memoria, Nicola Mallardi (uno dei militari contattati da Molina) attribuisce la responsabilità dell’arresto a Francesco Ciollaro [219].
Troviamo poi il nome di Giuseppe (Beppe) Croce, tenente della missione Flock (Liguria) assieme ad Ernesto Salvestrini; Croce guidò a Genova una poco nota Missione Dubhe, della quale si sa qualcosa solo dal necrologio che Carlo Milan gli dedicò nel 2005: “Beppe Croce, velista fra i migliori (…) Comandante della Missione Militare Alleata Dubhe, che ha operato nel genovese sino alla Liberazione”, che aiutò le missioni militari alleate delle altre regioni che necessitavano di un appoggio in Ligura e che “malgrado i tanti controlli dei tedeschi, è potuta arrivare alla fine del conflitto senza aver subìto l’arresto dei suoi componenti” [220]. Croce (che era un buon amico dello Straulino della Decima) era membro della Franchi [221] (come Milan), quindi la Dubhe potrebbe essere stata parte di questa organizzazione.
Nel Diario del dottor Ottorino Balduzzi (il capo dell’organizzazione Otto di Genova) è nominato il radiotelegrafista Salvestrini, Amilcare, come unico componente della missione Lan1flock; nell’aprile 1944 Salvestrini sarebbe andato a Cuneo e ritornato a Genova nel luglio ’44, dove collaborò con Nino Bellegrandi Annibale, membro della missione Ll2-Charterhouse (anch’essa di collegamento con gli Alleati, che non risulta tra le missioni della Nemo ma è descritta da Martini Mauri in un suo studio sulle formazioni autonome [222]). Gli altri due membri della missione (Italo Cavallini Siro e Secondo Balestri Biagio) furono arrestati nel marzo ‘44 (Siro causò gli arresti di vari membri della Otto, compreso il capo, il medico comunista Ottorino Balduzzi, e fu rilasciato mesi dopo, mentre Balestri riuscì a fuggire ed a riunirsi alla Resistenza), mentre Bellegrandi continuò a lavorare a Genova fino al suo arresto avvenuto il 23/1/45, assieme a Salvestrini: i due furono fucilati a Cravasco (SV) il 23 marzo successivo assieme ad altri 15 partigiani.
Nella busta 149 dell’AUSSME sono raccolti diari e documenti relativi ad alcune missioni di Nemo. Abbiamo trovato la Blade, attiva a Belgrado, il cui responsabile fu Romeo Morten Fortunato del SIM, già in servizio all’estero al momento dell’armistizio assieme al radiotelegrafista Giorgio Porcheddu. A Belgrado Morten collaborò con un certo Felice (non identificato) dell’Abwehrstelle, che faceva il doppio gioco. Morten e Porcheddu furono dapprima internati dai nazisti e poi liberati; nel giugno 1944 Morten prese accordi con Draža Mihajlovic in funzione di contatto con il governo di Badoglio, ma perse la vita in un incidente d’auto mentre si recava al comando del leader nazionalista serbo [223]. In seguito la missione fu presa in carico dal fratello Dario Beppe ed ebbe tra gli agenti Enzo Serrati Enzo, che dall’agosto ‘44 fu a Roma e poi nella Oat, ed accettò incarichi informativi dai tedeschi per fare il doppio gioco.
In Toscana operò la Flax [224] di Guido Giorgio cui si unì Alcide Vincenzetto Restelli della Grass, che passò poi alla “banda Fausto” (cioè con De Haag).
A Rho (ma con zona d’operazione Emilia Romagna e parte del Veneto) fu inviata la Malt [225] di Giuseppe Arbizzani (Aldo Brandani) capo e Giuseppe Valenti (Giuseppe Morelli) radiotelegrafista, finanziati “in partenza” dalla Sezione Calderini e con punto d’appoggio sulla missione Furrow [226]: i due furono arrestati il 15/2/45 e “costretti a fare il doppio gioco”, ma “evasi il 15/4/45” [227], l’8/2/45 fu però fucilato il collaboratore Aldo Arbizzani (Bruno Renzi), di Parma.
Anche la Oat [228] risulta partita con copertura della Calderini (finanziamenti e documenti); sbarcata a Jesolo nel gennaio 1944 e poi con zone d’operazione Milano, Grosseto (contatti con la Flax) e l’astigiano (contatti con la Forest); operatività: agganciamento “in ambiente tedesco” (infatti nei documenti si trovano vari nominativi di ufficiali tedeschi). Nel febbraio 1945 l’agente Luigi Onofri fu arrestato dalle SS ma poi rilasciato.
A Milano la Oat ebbe come capo Attilio (Andrea Dadone, che aveva lavorato con Grange a Torino) e radiotelegrafista Riccardo Maitan. Le vicende della Oat e della Forest si intrecciano con quelle della Catone di Grange, che riceveva i messaggi da ritrasmettere alla Franchi.
Parliamo ora delle missioni attive in Friuli. La prima è la Tavern di Jacopo Manzini Arturo, da marzo 1945 a Tomba di Meretto poi a Udine e Tricesimo dove fu sistemata la stazione radio. La relazione di Manzini è piuttosto confusa e contraddittoria: narra che fu arrestato il 13/4/45 dalle SS e rinchiuso nel carcere di Udine come “ostaggio per atti di sabotaggio e sospetto” perché gli erano state trovate addosso “banconote macchiate di sangue” (“incidente liquidato al suo sorgere”, scrive il protagonista); rilasciato il 20 aprile, il 27 ricevette l’ordine di andare a Tarvisio, e durante una perquisizione delle SS avrebbe fatto sparire lo zaino con l’apparecchio radio senza insospettire i tedeschi (lanciandolo giù dal treno, da quanto è dato capire); poi sarebbe andato fino a Tarvisio su un camion delle SS, ma nella cittadina avrebbe verificato che la stazione radio non funzionava (considerando che prima aveva scritto di averla fatta sparire ma non dice quando e come l’avrebbe recuperata, la storia non è molto coerente). In seguito tornò indietro e durante le verifiche dei bagagli a Venzone si ripeté la scena di “sparizione” della radio; riprese a trasmettere una volta giunto a Gemona alla base del CLN dove fu riparato l’alimentatore [229].
Poi troviamo la Grain [230] di Italo Guidi I (zona di operazioni Mereto di Tomba) e la Acre II [231] di Tullio Recchia e Antonio Marzi: di quest’ultima leggiamo anche in “Argo 16”.
Il capitano dei Carabinieri Tullio Recchia, capo della missione, che aveva prestato servizio in Africa presso il SIM nel 1936, ebbe contatti con la Osoppo: il 10/6/45 da Udine inviò al comandante della Special Force Luigi Marchesi una lista di ufficiali e sottufficiali (per lo più udinesi e veronesi, ma anche di Padova, Bari e Brescia) che avevano “attivamente collaborato” sia alla missione Rye (che operò nel Veneto) che alla missione Acre II; tra essi troviamo l’udinese tenente degli alpini Aldo Specogna (il futuro capozona della Gladio in Friuli), che viene segnalato per la concessione della Croce di guerra al valor militare. Scrive Recchia che “nel corso dello svolgimento della missione Acre II” ebbe modo di “entrare in relazione” con Specogna (che dopo la ritirata dalla Russia si trovava in Friuli come organizzatore della Osoppo) e trovò in lui “dall’ottobre 1944 alla fine delle ostilità” un “collaboratore zelante, intelligente e coraggioso” [232].
Della Rye [233] fecero invece parte l’ufficiale Carlo Perucci Eugenio (erroneamente indicato come Ferrucci nei documenti di Nemo) e come “truppa” Bruno Avigo, Riccardo Lo Russo e Gian Paolo Marocco. Di questa missione, che sarebbe partita “dal porto di Brindisi a bordo del sommergibile italiano Nichelio alla fine di novembre del 1943”, ed operò nel veronese, leggiamo quanto scrisse, piuttosto criticamente, il comunista Romano Marchi Miro, comandante della Divisione Avesani: “Pare che fosse stata sbarcata tra la fine di novembre e i primi di dicembre del 1943 alle foci del Po da un sommergibile italiano proveniente dall’Italia liberata. Ne facevano parte il tenente Carlo Perucci, in veste di capo missione, e due suoi collaboratori, inviati al di qua delle linee tedesche dallo stato maggiore dell’esercito italiano con il compito di raccogliere informazioni sui movimenti delle forze tedesche fasciste, e di trasmetterle al comando delle truppe alleate a mezzo delle apparecchiature ricetrasmittenti di cui erano stati dotati. Inoltre la missione Rye aveva l’incarico di fornire dati sugli obiettivi militari da colpire con gli aerei, e di coordinare gli aiuti alle forze partigiane dislocate sulle montagne e nelle valli; e forse di effettuare qualche sabotaggio, frutto più che altro di iniziative personali” [234].
La missione Rye, “dipendente dal SIM”, è criticata da Marchi, che sostiene che i suoi esponenti “hanno spesso agito in funzione disgregante del movimento armato di liberazione” ed addirittura un tale “colonnello Ricca” si era presentato alla Divisione Avesani asserendo di rappresentare la Rye e di avere il compito di “assumere il comando” della Avesani. Non se ne fece nulla e Ricca se ne andò come era venuto. Il colonnello Ricca, già capo di stato maggiore della Divisione Pasubio dal 1939 [235], era rientrato a Verona dopo l’armistizio con documenti falsi ottenuti a Trieste, allo scopo di organizzare delle formazioni armate al cui comando intendeva porre ufficiali reduci dalla Russia; dopo l’arresto dei vertici del CLN locale con i quali era in contatto, fu avvicinato da Perucci ed organizzò il Gruppo bande armate Pasubio con le formazioni Medusa ed Aquila [236]. A fine novembre 1943 quasi tutti i membri della missione Rye furono catturati dai nazisti, come narra uno dei suoi componenti, Luigi Schievano, che si salvò “per puro caso”. Furono arrestati la staffetta di Perucci, Luigi Gottardo, che morì a Mauthausen; i fratelli Corrà, morti nel lager di Flossemburg; il tenente Barbieri che fu deportato a Mauthausen ma riusciì a sopravvivere e Bruno Cappelletti, un insegnante che fungeva da collegamento tra la Rye ed i gruppi partigiani, massacrato di botte ed imprigionato a Venezia, fu “restituito alla vita in condizioni spaventose” [237].
Marocco fu invece portato a Bolzano, dove fu fucilato il 12/9/44 assieme ad altri 22 esponenti della Resistenza, tra i quali Dante Lenci, “ex ufficiale della regia marina impegnato nella missione, di matrice interamente statunitense, OSS, Croft, di carattere informativo, avente lo scopo di collegare la Resistenza toscana con il Regno del Sud” [238].
Ma la Croft era una delle missioni della Nemo e Dante Lenci è indicato come Pleuci Dante assieme al radiotelegrafista Lorenzo Iacopi (o Jacopi) nel più volte citato elenco [239]; i due furono arrestati il 18/3/44 in Versilia e “condotti in Alta Italia”, dove Lenci fu appunto fucilato mentre “Jacopi riuscirà a fuggire e tornare in Versilia” [240].
Giacomozzi parla anche di due membri della missione Rick (o Berardinelli/Rick), il veneziano Cesare Berardinelli ed il bolognese Antonio Baldanello [241] che furono inviati nella zona di Treviso assieme ai componenti della missione Rye, arrestati con Marocco l’1/12/43 e poi internati a Bolzano, dove furono fucilati [242].
Degli arresti di Berardinelli (già direttore dell’aeroporto civile di Venezia), Baldanello, Marocco e di un “sig. Torchio di Varese” parla un rapporto redatto dalla missione Orchard (della quale avrebbe fatto parte Torchio), che riporta le dichiarazioni di un anonimo interprete che prese parte all’interrogatorio di Baldanello. La fonte riferisce che i quattro erano sbarcati a metà dicembre 1943 presso la laguna di Adria “da sommergibili inglesi, inviati dall’IS dell’8^ Armata inglese” ed erano stati subito catturati dal “distaccamento di Torri” (non ne è specificata l’arma di appartenenza), soppresso il 19 dicembre, per cui i prigionieri furono passati quasi subito alle SS, che poi li condussero a Verona nella prigione del Forte San Mattia.
Nel corso degli interrogatori (poi condotti dall’interprete di fiducia delle SS, caporale Widmann) i quattro avrebbero fatto i nomi del maggiore Page e del tenente “Hard o Hart” dell’IS, e del maggiore Marchesi del SIM ed avrebbero riferito in via confidenziale alla fonte di avere fatto parte di una spedizione di undici persone (gli altri erano riusciti a salvarsi) e di avere gettato via il denaro e distrutto una parte dei codici prima di essere catturati, ma i tedeschi avevano preso gli apparecchi radio [243].
Della missione Orchard relaziona (se pure in modo piuttosto confuso) anche Gianfranco Comotti di Bergamo. Giunto sulle coste venete a bordo del sommergibile Nichelio il 30/11/43 assieme ad altri agenti (sembra di capire che si trattasse di due gruppi di due persone ed un gruppo di tre, quindi sette persone in tutto), quattro dei quali rimasero nascosti in un capanno dopo lo sbarco e catturati. Comotti si trasferì a Brescia da dove riprese a comunicare con Brindisi, mettendosi in contatto col tenente colonnello Leonardi. Saputo che i prigionieri erano stati condotti a Verona riuscì a “comunicare indirettamente” con Torchio, che gli domandò un parere sul fatto che i tedeschi gli avevano proposto di collaborare. Comotti gli disse di accettare, ed aggiunge nella relazione che Torchio gli aveva fatto arrivare, tramite un sacerdote che era stato incarcerato con lui, la notizia “che dal suo interrogatorio era sicuro che fossero stati segnalati in partenza da Brindisi”: il che può far pensare sia a delazioni in alto loco, sia ad un progetto di vertice per raggiungere contatti con il nemico [244].
Successivamente Comotti prese contatto con gruppi di Bergamo e con “la stazione del Capitano Di Leone a Milano”; fu arrestato “in seguito alla delazione di una spia” il 28/2/44, ma all’interrogatorio “da parte tedesca” assistette “per fortuna” il maggiore dei Carabinieri del SID Onnis [245], che lo fece mettere a sua disposizione “col pretesto di più dettagliati interrogatori sull’organizzazione del servizio informazioni nell’Italia meridionale”, impedendone così il trasferimento a Verona, dove Comotti rischiava la fucilazione; fu condannato diverso tempo dopo dal Tribunale speciale a sei anni di reclusione “soltanto per avere accettato un incarico informativo” [246].
In “Argo 16” troviamo un marconigramma inviato dal Comando del SIM il 2/5/45 alla missione Rye III “operante nel Veneto”, nel quale si chiedevano informazioni sul colonnello Duca, e la risposta di un altro agente della Nemo, il capitano Giuseppe Annese Ercole, liberato per “insufficienza di prove”, dove si legge che Duca era stato fucilato perché organizzatore “di un vasto movimento clandestino con sede in Roma” [247]. Annese risulta nel più volte citato elenco agente della missione Turf in Veneto assieme a Benedetto Coen. C’è poi una “Relazione del sottotenente Clementi Vitaliano alias Italo per la missione effettuata dal 25/1/44 al 1/5/45” [248], con un elenco di prigionieri detenuti dai nazifascisti a San Leonardo [249]. Si tratta di Cesare Berardinelli, che Clementi asserisce essere stato fucilato assieme al radiotelegrafista Marocco ed “un certo Baldo” poco dopo che lui lasciò il San Leonardo [250].
Nella busta 149 troviamo anche documentazione relativa ad una missione Dick (che non risulta, né risultano i suoi componenti negli elenchi delle missioni della Nemo), attiva nei primi mesi del 1945, i cui membri Rasmo Venturini, Bruno Espedito e Antonio Sabbadini operarono a nord di Verona (sede a Desenzano) per cercare collegamenti con ufficiali nazisti allo scopo di “costituire cellule informative in Austria”. Questa missione ebbe collegamenti con la Rye di Allievo ma non con Professore (non abbiamo identificato i due).
Citiamo infine un particolare interessante da un telegramma inviato dal maggiore Page dell’ISLD a “Kray n. 1 della Special Force CMF il 14/9/44, relativamente ad un “ricevimento andato a vuoto” alla Acre e alla Seed ad ovest di Biella, dove ad attendere il lancio era presente il colonnello Aldo Beolchini, l’agente della Calderini a capo del servizio informativo del CLN [251].
[203] F. Morini, “Nome Gladio…”, art. cit.
[204] AUSSME, b. 90, n. 81684.
[205] “Materiale controinformativo raccolto dal nucleo C. S. della rete “Nemo” Op. Sand II, durante il periodo cospirativo, 1 luglio 1945” Nara, rg 226, s. 174, b. 161, f. 1195, Archivio Giuseppe Casarrubea.
[206] G. Ferrari, Corriere della Sera 22/7/03. Il corsivo è nostro: probabilmente Band sta per Sand. L’azienda era la Cansa di Novara che fabbricava aerei militari. Nell’elenco dei “collaboratori” di Nemo c’è l’ing. Ugo Granieri, proposto per un “diploma di benemerenza” (nota: “depennato”) per avere “fattivamente collaborato col capo maglia di Novara” e fatto avere alla missione “un notevole contributo finanziario” (“Missione Nemo”, op. cit. p. 220).
[207] P. Tompkins, op. cit., p. 343.
[208] G. Pesce “Quando cessarono gli spari”, Feltrinelli 1977, p. 38. Gli stessi contenuti di Pesce sono ripresi da Antonio Sannino ne “Il fantasma dell’Ovra”, Greco&Greco 2011. Ovviamente Memo è Nemo.
[209] F. Morini, “Nome Gladio…, art. cit., che riprende Ugo Pellini, “Giuseppe Cancarini Ghisetti il partigiano combattente dei servizi segreti”, in Ricerche Storiche, Istoreco di Reggio Emilia n. 105 – aprile 2008.
[210] “Missione Nemo”, op. cit., p. 22. La relazione di Rosicarelli (datata “Roma 1944?”) è pubblicata alle pagine 123 e seguenti.
[211] “Missione Nemo” op. cit., p. 21.
[212] Carla Giacomozzi, “Un eccidio a Bolzano”, Quaderni di Storia cittadina n. 4, Bolzano 2011.
[213] http://www.rhodesianforces.org/opsand.htmlOPERATION SAND 1972,
[214] Non avendo trovato il nome di Collinson in altri documenti, non sappiamo quale ruolo avesse ricoperto esattamente, né se questo fosse il suo vero nome.
[215] AUSSME, b. 90, n. 81648.
[216] AUSSME, b. 50, n. 46409 (ufficiali), 46407 (sottufficiali), 46408 (truppa).
[217] Un deputato democristiano che faceva parte della Costituente portava questo nome, ma non ho trovato elementi per valutare se si tratti della stessa persona.
[218] R. Spazzali, op. cit., p. 193-195.
[219] Relazione di Mallardi Nicola al FSS d.d. 16/5/45, dopo l’arresto da parte delle autorità jugoslave di alcuni membri del gruppo Baldo, AUSSME, b. 149, n. 124577-124591. Sulla Rete Baldo si veda D. Gurrey, “La guerra segreta nell’Italia liberata”, LEG 2004, p. 127, 137, 174, 230.
[220] Il Secolo XIX, 22/9/05.
[221] F. Fucci, op. cit., p. 155.
[222] E. Martini, “Partigiani penne nere”, Mondadori 1968.
[223] Relazione di Giorgio Porcheddu, 25/5/45, AUSSME, b. 149, n. 124770.
[224] AUSSME, b. 149, Fascicolo 664.
[225] AUSSME, b. 149, Fascicolo 675.
[226] AUSSME, b. 149, Fascicolo 669.
[227] AUSSME, b. 149, n. 124959; Arbizzani e Valenti ricevettero la medaglia d’argento al VM.
[228] AUSSME, b. 149, n. 124781.
[229] AUSSME, b. 149, n. 124647-124648.
[230] AUSSME, b. 149, Fascicolo 668.
[231] AUSSME, b. 149, Fascicolo 665.
[232] “Argo 16” p. 1.717 e seguenti. Nel dopoguerra Recchia fu al Centro CS di Pordenone, dove (agosto 1945) condusse un’inchiesta sull’eventuale responsabilità del brigadiere Sebastiano Vido del CS (che, in attesa di discriminazione, nel luglio agosto 1945 si trovava a Trieste temporaneamente assunto nel servizio I dello SMRE del costituendo CS di Trieste) nella cattura da parte delle SS di un ufficiale dell’OSS, Ruggero Zago di Bassano, mentre si trovava in missione a Caorle nell’aprile 1944 ed ucciso a Verona quattro mesi dopo. Recchia escluse qualsiasi responsabilità da parte di Vido (AUSSME, b. 314, n. 178017). “Colonnello dei servizi segreti passato poi alla politica”, fu vicesindaco di Negrar (paesino della Valpolicella) dal 1965 al 1970, ed avrebbe consigliato di nascondere nel locale cimitero una “santabarbara” della Gladio, recuperata dai Carabinieri agli ordini dell’allora capitano Giampaolo Ganzer (R. Bianchin, La Repubblica, 22/11/90).
[233] AUSSME, b. 149, Fascicolo 682.
[234] http://www.usitmedia.com/editoriali/polArticles.cfm?doctype_code=Editor%20Article&doc_id=345 Paola Milli, “Nel lager di Bolzano”.
[235] Nel 1940 fu inviato al confine orientale, nella zona di Fiume e Klana; nel 1941 la Divisione occupò la città di Sebenico in Dalmazia; poi andò sul fronte russo. Dopo il 25/7/43 assunse il comando di un reggimento della Guardia alla frontiera (GAF) a Selz (presso Monfalcone), e dopo l’8 settembre a Trieste ottenne documenti falsi per sfuggire ai tedeschi. Negli anni ’50 Ricca entrò nel PCI ma ne uscì tempo dopo “su posizioni di sinistra” (scheda INSMLI a cura di Andrea Torre, in http://beniculturali.ilc.cnr.it )
[236] L’Aquila era stata organizzata dalla triestina Rita Rosani, con la quale Ricca ebbe una relazione; fu catturata durante un rastrellamento presso Negrar ed uccisa da un sottufficiale repubblichino il 17/9/44.
[237] In www.tarmassia.it.
[238] P. Milli, “Nel lager di Bolzano”, art. cit..
[239] AUSSME, b. 50, n. 46409-46408.
[240] http://www.anpiginolombardiversilia.it/cronologia_res.htm.
[241] Berardinelli però non risulta nei documenti di Nemo.
[242] C. Giacomozzi, “Un eccidio a Bolzano”, art. cit..
[243] AUSSME, b. 149, n. 124608.
[244] Abbiamo già accennato alla possibile “non casualità” di questi arresti.
[245] Anacleto Onnis, (si trova a volte come Omnis), già a capo del controspionaggio della RSI a Bergamo come risulta dal n. 2 (25/8/44) del Bollettino di controspionaggio curato dal servizio informativo di Boeri (F. Fucci, op. cit., p. 296).
[246] AUSSME, b. 149, n. 124612.
[247] Giovanni Duca, il primo capo della Sezione Calderini, che al momento dell’armistizio comandava l’Accademia militare di Modena, fu incaricato dal comando supremo del Regno del Sud di organizzare una resistenza militare; arrestato nel corso di una missione, fu incarcerato a Verona ed ucciso sotto tortura nell’agosto del 1944.
[248] Sottotenente di fanteria dopo l’8/9/43, Clementi risulta avere fatto parte della missione Grain della Nemo. “Militò in provincia di Padova presso il comando della div. Padova. Venne ricoverato a Verona dal gennaio al settembre 1994. Riconosciuto partigiano dall’1/9/44 all’1/5/45”, nel “Dizionario Biografico Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945)”, a cura di A. Albertazzi, L. Arbizzani, N. S. Onofri.
[249] Il Forte San Leonardo di Verona fu usato come luogo di detenzione ed esecuzione dai nazifascisti
[250] “Argo 16”, p. 1.622 e seguenti.
[251] AUSSME, b. 149, n. 124638.  Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

Anche la missione Dick (Anita) fu inizialmente impedita dalle avverse condizioni meteorologiche e non poté partire prima del 31 gennaio 1945. Il 13 febbraio eseguì un primo tentativo di mettersi in contatto con la base, ma senza successo. Vi riuscì solo il 23 febbraio quando informò la base che tutti i membri della squadra erano atterrati sani e salvi, ancorché si fosse imbattuta in qualche difficoltà nel sistemare tutto il materiale lanciato. Inoltre, nel lancio una parte del materiale andò perso e, pertanto, la squadra ne chiese il reintegro. Fino al 26 febbraio la missione mandò sette messaggi alla base. Nel periodo successivo la missione fu sempre attiva e mantenne un collegamento regolare con la base: elaborò e inviò molti rapporti d’intelligence militare che descrissero, in particolare, i risultati dei bombardamenti nemici nell’area di sua competenza nonché eccellenti informazioni sugli obiettivi dell’aviazione nemica che consentirono all’alleata XII Tactical Airforce di agire velocemente ed efficacemente <7.
7 Si vedano: Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 28 February 1945 cit., p. 4; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to March 1945 cit., p. 2; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to April 1945 cit., pp. 4 e 11; Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to May 1945 cit, p. 6.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012

Quanto appreso dall’esperienza della lotta antinazista sarebbe stato messo a frutto per combattere clandestinamente il comunismo nei paesi in cui si fosse dimostrato essere una minaccia. Il generale Donovan sottopose al presidente Roosevelt le esigenze di lungo e breve termine dell’organizzazione, consegnandogli un progetto – curato nei minimi dettagli, soprannominato poi “Donovan Plan” – nel quale chiedeva di porre il controllo dell’intelligence statunitense direttamente nelle mani del presidente. In questo modo il direttore del servizio segreto avrebbe avuto un controllo assoluto sulla materia, non dovendo rispondere ad altri che al presidente stesso. Nel progetto il generale sottolineava con forza la necessità di dotare il servizio segreto di una capacità reale di portare a termine complesse operazioni sovversive all’estero: tale servizio avrebbe permesso di pianificare e portare avanti la politica e le strategie nazionali <173. Il piano fu presentato al presidente il 18 novembre 1944: la reazione di Roosevelt fu immediatamente negativa, avendo egli avuto l’impressione che l’idea di Donovan fosse quella di creare un braccio segreto pronto a condizionare oltre misura la politica estera americana, e ad usare spregiudicatamente una forza che avrebbe basato la sua azione su operazioni clandestine illegali <174.
Nel gennaio del ’45 Roosevelt ordinò al consigliere militare alla Casa Bianca, il colonnello Park, di avviare un’indagine segreta sulle operazioni portate avanti dall’OSS fino a quel momento. L’idea che il presidente si era fatto era che ciò che Donovan aveva in mente si avvicinasse di più ad una sorta di nuova grande Gestapo, che ad un servizio di informazioni in grado con il suo lavoro di intelligence di mettere al riparo la nazione da futuri disastri come quello accaduto nel dicembre del ’41 <175. Inoltre Roosevelt aveva dato ordine al segretario di Stato Stettinius di produrre insieme a Forrestal e al general attorney <176 Francis Biddle un piano per la creazione di un servizio di intelligence per il dopoguerra <177.
Ma la conclusione dell’indagine ordinata da Roosevelt, per un oscuro disegno del fato, doveva arrivare solamente il 12 aprile: il colonnello Park entrò alla Casa Bianca con in mano il rapporto che presentava l’organizzazione condotta da Donovan come uno dei mali più gravi dell’America, convinto di consegnarlo nelle mani di colui che lo attendeva, scoprendo invece che il presidente aveva appena lasciato il mondo dei vivi.
[NOTE]
173 Cfr., T. F. Troy, Donovan and the Cia: A History of the Establishment of the Central Intelligence Agency, University Publications of America, 1981, pp. 445-447.
174 Cfr., T. Weiner, Legacy of Ashes: the History of the CIA, Doubleday, 2007, pp. 18-19.
175 Sulle reazioni negative di Roosevelt al piano cfr., fra gli altri, l’articolo Donovan’s Plan, The Washington Post, 16 febbraio 1945, p. 6. Sulla comparazione del piano con una super-Gestapo cfr. l’articolo Donovan Upheld on Peace Spy Plan: Comparison of Proposal for Intelligence Service to the Gestapo, The York Times, 13 febbraio 1945, p. 14.
176 Alto funzionario dello stato, presente nei sistemi di common law, la cui funzione principale è fornire consulenza giuridica al governo.
177 Cfr. FRUS, 1945-1950, op. cit., p.180.
Vincenzo Aristotele Sei, Italia e Stati Uniti. L’alleato ingombrante (1943-1949), Tesi di laurea, Università della Calabria, 2014

Intanto, fu deciso di chiudere le basi del SI di Brindisi, Fasano e Ostuni e, alla metà di febbraio 1945, sotto la personale direzione di Max Corvo, gli agenti nonché il personale militare e amministrativo furono trasferiti alle basi di Siena e del Serraglio. Il comando del SI e il personale amministrativo e militare furono sistemati a Villa Poggio ai Pini, mentre il Quartier Generale per l’addestramento e lo Stato Maggiore furono collocati al Serraglio.
Siena era vicina al comando operativo della Company D che si trovava a Firenze e, pertanto, il trasferimento del comando del SI a Siena avrebbe migliorato il coordinamento tra le due Divisioni e, in particolare, con la Sezione operativa del SI, in vista dell’imminente fase finale della campagna d’Italia dell’OSS. Dopo un’iniziale confusione, i corsi di addestramento iniziarono e il Comando del SI si accordò con quello degli Operational Groups (OG) per le forniture in favore degli ufficiali che avrebbero istruito le reclute all’uso dei materiali esplosivi e le armi da fuoco; nonché con la XII Divisione aerea di stanza a Siena per l’utilizzo dei servizi pubblici in comune. Furono, altresì, trasferite le guardie dell’esercito italiano che avevano lavorato presso i centri di Brindisi, Ostuni e Fasano <16.
Allo scopo di preparare l’insurrezione armata, i capi delle varie missioni nell’Italia occupata dal nemico ritornarono al di qua delle linee verso gli Alleati, presentarono rapporti sulle operazioni compiute e, dopo aver ricevuto nuove istruzioni, s’infiltrarono ancora una volta oltre le linee nemiche.
A marzo, il traffico d’informazioni tra le missioni sul campo e la base s’incrementò in maniera considerevole, perché gli agenti dell’OSS, in cooperazione con quelli del CLNAI, accelerarono le loro attività per assicurare una copertura sempre più estesa dei piani e i movimenti del nemico nell’Italia occupata. Durante questo periodo, il traffico d’informazioni, sia in entrata sia in uscita, ammontò a settantaquattromila e quattrocentodue (74.402) gruppi, dei quali sessantaduemila e quattrocentosessantatre (62.463) in entrata e novemila e novecentotrentanove (9.939) in uscita. Nello stesso periodo, furono ricevuti dalle squadre sul campo messaggi, per un totale complessivo di ottocentonove (809), dei quali seicentodue (602) d’intelligence e duecentosette (207) operativi.
16 Cfr. Report on Operational Activities and Political and Economic Intelligence (…) Period Covered: 1 to 31 March 1945 cit., pp. 6 e 7
Michaela Sapio, Op. cit.