Il SIM nel marzo 1944 infiltra nell’Italia occupata dai tedeschi una missione denominata Nemo

Trieste – Fonte: Wikipedia

Nell’Italia occupata dal nemico operò, fra il marzo 1944 e il febbraio 1945, in due successive missioni informative militari importantissime il capitano di corvetta Emilio Elia, Nemo. Egli dipendeva dallo stato maggiore dell’Esercito, Ufficio “I” (informazioni), Gruppo Speciale. Nell’ambito della missione Sand II, Elia creò la rete Nemo, della quale entrò a far parte, dal novembre-dicembre 1944, anche il gruppo Pavia. Superando difficoltà notevoli e pericoli mortali, tale rete fornì giornalmente notizie militari che furono preziose per la condotta delle operazioni militari, tanto da meritare il più alto apprezzamento del Comando alleato e di quello italiano. La rete da lui costituita in Venezia Giulia
fu successivamente rilevata dal comandante Podestà. Per sfuggire all’arresto, nel febbraio 1945, Elia dovette interrompere i collegamenti con il gruppo Pavia e, allora, fu sostituito dal comandante Dessy, che provvide affinché il materiale informativo raccolto fosse trasmesso al Gruppo Speciale mediante un apparato radio appartenente a un’altra missione informativa. All’atto della liberazione di Milano il C.L.N.A.I. nominò Elia questore di Milano. Per la sua opera fu decorato di Medaglia d’Argento al Valore Militare “sul campo” e insignito di una delle sei Croci di Cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia concesse a ufficiali di Marina per l’opera svolta durante la Guerra di Liberazione. Giuliano Manzari, La partecipazione della Marina alla guerra di liberazione (1943-1945) in Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, Periodico trimestrale – Anno XXIX – 2015, Editore Ministero della Difesa

Il Servizio Informazioni Militari nel marzo 1944 infiltra nell’Italia occupata dai tedeschi una missione denominata Nemo Op. Sand II. Obiettivo: trasmettere notizie militari, industriali e politiche all’Intelligence britannica per affiancare gli alleati nella Campagna d’Italia nella salvaguarda di bacini idroelettrici, impianti industriali e neutralizzare cellule nemiche di spionaggio. La coordina il capitano di corvetta Emilio Elia. In un’operazione complessa e ad alto rischio non potevano mancare gli alpini. La rete articolata in sette gruppi ha al comando il capitano Riccardo De Hagg, una penna nera che opera col nome di copertura “Alpino”. ANA

Il contatto ricercato a Milano potrebbe essere proprio il tenente colonnello Girolamo La Neve (anche Laneve) Albrizio alias Biancardi o Setti. <104 È stato agente del Sim a Lubiana, non ha aderito alla Rsi, ed è logico farlo confluire nella rete di militari legati al Regno del Sud e che tentano di organizzarsi dietro le linee tedesche nell’Italia occupata.
Laneve Albrizio sarà poi inquadrato nella missione Nemo come responsabile del 2° gruppo Franzi <106, il grado militare di Laneve ci conduce a considerarlo un superiore del capitano Motta. Da altre fonti però la missione è indicata «operativa al di qua della linea gotica dal 18 marzo 1944 al 2 maggio 1945» da qui uno scarto temporale che può benissimo essere dovuto sia al carattere stesso della missione, sia alla ricostruzione post 25 aprile, sia al fatto che Motta poteva non essere organico alla missione. Da tenere in considerazione anche il giudizio su «Gerolamo La Neva [sic] (alias Franzi), del corpo Alpini, Franzi che aveva molte conoscenze nei circoli militari e civili, si è dimostrato
elemento non valido nel nostro servizio <107». Questa relazione è certamente da collocarsi tra l’estate ed il settembre del 1945.
104 Girolamo Albrizio Laneve, Biancardi, è un nome che ricorre soprattutto nella zona di Varese, viene indicato come elemento di contatto con i «membri del CLN di Milano ». Cfr. C. BERMANI, Documenti della lotta partigiana: il caso Pomiati, in Primo Maggio n. 3/4 settembre 1974, Calusca Editrice, Milano; F. Boldrini, Se non ci ammazza i crucchi… ne avrem da raccontar: la battaglia di San Martino-Varese, 13-15 novembre 1943, Mimosa, Milano, 2006, p. 103. Cfr. A. LANEVE, Le formazioni militari clandestine che operano nella provincia di Varese, in La Prealpina del 27 febbraio 1975, p. 7, 2a puntata.Il colonnello degli alpini Albrizio Laneve diventato il maggiore Biancardi è anche tramite con un commando della Special Force 1 (il SOE inglese) ed è in grado di fornire oltre ad una radio ricetrasmittente anche cifrari, cfr. F. GIANNANTONI, Fascismo, Guerra e società nella Repubblica Sociale Italiana (Varese 1943-1945), cit., p.
690. http://archivio.camera.it/patrimonio/archivi_privati/ap07/documento/CD2200004283. Girolamo Laneve Albrizio, 1943 / 1946, busta 497. Descrizione del contenuto: documentazione in fotocopia relativa alla sua attività all’interno della «Brigata Biancardi», tra cui si segnalano: relazioni manoscritte e dattiloscritte, corrispondenza, una carta topografica di Varese, una corografica di Gorizia ed il verbale dattiloscritto dell’Associazione nazionale partigiani autonomi. Come si rileva da una lettera del 24 luglio 1971 inviata da Laneve Albrizio a Vittorio Badini Confalonieri, il materiale doveva servire per la compilazione di una storia della resistenza del Pli.
106 Cfr. F. GNECCHI RUSCONE, MARINO VIGANÒ (a Cura di), Missione «Nemo»,
Un’operazione Segreta della Resistenza militare italiana 1944-1945, Mursia, Milano, 2011, p. 25.
107 Relazione del comandante Emilio Elia sulla missione Nemo; P. TOMPKINS, L’altra Resistenza, cit., p. 281.
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu

Motta, “capitano di fanteria al momento dell’armistizio, era il responsabile del SIM di Lubiana alle dipendenze del Centro di Trieste[20] e “prima dell’8 settembre 1943 aveva preso parte alla repressione antipartigiana in Croazia” [21]. Dopo l’armistizio non riuscì a raggiungere la sede del governo a Brindisi e fu inviato direttamente da Venezia, dove si trovava, in Valtellina; non avendo aderito alla RSI riparò a Milano, dove ebbe un incontro con il colonnello La Neve (Biancardi) della Nemo, poi prese contatti con i Comandi alleati cui fornì “numerose ed importanti notizie militari” (tra cui anche le piante del porto di Trieste), trasmettendole al dottor Piero Fojanini, che si trovava in Svizzera come ufficiale di collegamento con l’OSS. […] Nella carta intestata della Nemo si legge: “Stato Maggiore Regio Esercito Ufficio I – Gruppo Speciale (Rete Informativa Nemo Op. – Sand II)”. Il Gruppo Speciale dello SMRE era diretto dal maggiore Luigi Marchesi, già ufficiale degli Alpini (aveva operato nella Jugoslavia occupata), poi capo di una sezione del SIM del Regno del Sud [33]. Marchesi si trasferì col governo a Brindisi, e fu contattato dal maggiore Maurice Page [34] e dal capitano Teddy De Han dell’Intelligence Service che gli proposero di creare un gruppo alle dirette dipendenze del Servizio ed in collaborazione con lo stesso Page. Questo gruppo prese il nome di 810° Italian Service Squadron n. 1 e faceva parte della Special Force 1 (in sostanza la sezione italiana del Servizio britannico), comandato da Page e Marchesi; ebbe sede dapprima a Brindisi, poi a Monopoli, Roma e Siena [35]; aveva lo scopo di organizzare un servizio di informazioni e sabotaggio in territorio nemico. Le “missioni” erano, di norma, formate da due persone: un ufficiale ed un radiotelegrafista: il primo reclutamento fu quello di Fabrizio Vassalli, che inviato oltre le linee nemiche nell’ottobre 1943, operò per alcuni mesi a Roma, fu arrestato il 13/3/44 e fucilato il 24 maggio successivo [36]. Nel suo libro Marchesi accennò anche ad una missione a Trieste, fallita, ma senza fare i nomi degli agenti coinvolti [37]. Il Gruppo Speciale, scrive Marchesi, si trasferì a Napoli nel dicembre del 1943, dipendeva direttamente dall’Intelligence Service, mentre dal SIM aveva “soltanto una dipendenza amministrativa” ed aveva “saltuariamente rapporti anche con il G2”, l’ufficio informazioni Usa della 5^ armata [38]. Quindi, se la Missione Nemo faceva parte del Gruppo Speciale è corretto dire che era una missione britannica, ma non ha neppure del tutto torto Spazzali, quando scrive che dipendeva dai servizi segreti statunitensi. Leggiamo ancora (con beneficio d’inventario…) che la Missione Nemo fu “avviata dal SIM per conto dell’OSS” [39]; che “fu raggiunta ad un certo punto dal suo capo effettivo, il maggiore dell’Intelligence Service Page” [40], e che i nuclei informativi coordinati dall’810° Italian Service Squadron n. 1 si avvalevano tra l’altro della “branca” (branch in inglese) Operazioni Civili, diretta dal maggiore De Han con la sezione “sovversione” diretta da Page. Girardelli ci dà qui i primi dati relativi alla Rete Nemo, di cui scopriamo, leggendo il testo di Gnecchi Ruscone, che faceva parte anch’egli [65]. E prendiamo nota dello scopo da lui dichiarato delle riunioni del CLN locale (scopo peraltro confermato da svariata documentazione, come vedremo nelle pagine seguenti): la difesa dell’italianità di Trieste […] …] A Trieste conobbe Riccardo De Haag in casa del colonnello Ponzo, lo condusse a Roma e lo mise in contatto con alcuni ufficiali del SIM della Marina: Podestà, il “comandante Resio”, il “maggiore Aldo Magri (nome di battaglia)” ed il “maggiore Basile”, senza altre indicazioni [87]. Abbiamo già incontrato il barone De Haag nella vicenda dell’arresto di Parri: triestino di origine olandese, ingegnere, maggiore degli alpini, era l’ufficiale di collegamento tra la Franchi di Sogno, per il quale era noto come “tenente Fausto della Corte” e della quale a Milano utilizzava la radio) e la Nemo; per l’OSS era Fausto, mentre come Alpino era “vicecomandante della Nemo” [88]. Un altro triestino che fece parte della Nemo era Vittorio Strukel, il quale scrisse in una relazione che dopo l’8 settembre si unì assieme a De Haag al Battaglione triestino, da cui si allontanarono però quando “gli slavi vollero che tutto il battaglione passasse nelle file jugoslave”. Dato che prosegue affermando che ritornarono a Trieste il 20/10/43 immaginiamo che questo non meglio chiarito “Battaglione triestino” non sia lo stesso che fu poi organizzato da Giovanni Zol ed operò nell’Alta Istria, ma il “nucleo di giovani triestini (che) prese la via del Carso sotto l’impulso del barone De Haag (…) l’esperienza fu di breve durata e nel marzo 1944, largamente decimato, si aggregò alle formazioni lombarde” [89]. Strukel e De Haag andarono poi a Parma dove quest’ultimo aveva preso contatti con il CLN locale; Strukel fece da staffetta fino all’aprile ‘44. Il 1° aprile don Paolino Beltrame conobbe Nemo, cioè il capitano Emilio Elia, che stava organizzando la rete informativa di tipo militare che avrebbe preso il suo nome, e lo presentò a De Haag, che divenne in seguito il vice capo della Missione Nemo [90]. Strukel fu inviato a Trieste a prendere contatti con Ponzo e Girardelli e dal maggio ‘44 lavorò a Milano con un altro triestino, Guido Tassan Corriere Primo: a questo punto Elia disse loro di averli inseriti nella Nemo. A sua volta Tassan, sottotenente nella divisione alpina Julia in Grecia e Russia, scrive [91] che dal settembre 1943 aveva mantenuto “i contatti di amicizia” con Riccardo De Haag, “al quale prestavo”, spiega “ su sua richiesta talvolta la mia collaborazione in Trieste”. Nell’aprile del ’44 però decise di “prestare un’opera più proficua alla Patria” ed andò a Milano per mettersi “a continua disposizione” di De Haag. Fu in quella circostanza che conobbe Elia, che lo accettò come “ufficiale informatore”. Il suo incarico fu di “stabilire le modalità di collegamento con i patrioti di Borgo Taro (Parma)”. Il reparto lavorava in totale confusione, afferma De Haag, e per questo motivo ne prese il comando e riuscirono in tal modo a catturare un paio di automezzi tedeschi con a bordo un corriere dell’esercito germanico e molti documenti che Tassan consegnò a De Haag. Ed ancora “tra aprile e maggio 1944 “a Trieste si costituiva una maglia alle dipendenze del Capitano Girardelli”, al quale Tassan prestò l’opera di “corriere e collaboratore”, poi nel giugno ‘44 fu richiamato a Milano ed inviato a Pisa da dove trasportò la radio trasmittente a Milano. Non fece più ritorno a Trieste perché vi sarebbe stato chiamato di leva e rimase come ufficiale di collegamento tra Parma e De Haag [92]. Tra novembre ‘44 e gennaio ’45, mentre si trovava nel Veneto per costituire la maglia della Rete, Tassan tenne anche (tramite la famiglia Robaud di Vicenza) i collegamenti con la “Rete costituita a Trieste dal Capitano di Vascello Podestà Luigi”; per la loro attività informativa si avvalsero del corriere triestino Giuseppe Cettin e nel febbraio ‘45, dopo che Elia su richiesta di Tassan aveva mandato una radio trasmittente, iniziarono anche a trasmettere informazioni. Tassan andò una prima volta in missione a Trieste nel dicembre 1944 per consegnare a Podestà alcuni ordini da Roma e portare di ritorno le “prime informazioni raccolte dal nuovo comandante”; della seconda che si svolse in aprile parleremo dopo. […] Riassumiamo qui una relazione firmata dalla rete Nemo, intitolata “situazione triestina” e datata Roma 27/2/45, che fu inviata a Roma al SIM tramite una missione che vide protagonisti don Paolino e De Haag [101]. […] Ai primi di febbraio, dunque, sarebbero giunti a Trieste “due rappresentanti del CLN triveneto”. Locardi scrisse che il 12/1/45 giunse in regione una “missione dal Veneto”, costituita da 3 ufficiali (l’avvocato liberale Carlo Tullio Antonio; il socialista dottor Pasini Angelo, ed il tenente di cavalleria Fabio Mangilli Dardo, come esponente militare), per prendere contatti con il CLN giuliano, che presentò loro le proprie formazioni militari. Tale missione prese contatti anche con il prefetto Bruno Coceani, con il podestà Cesare Pagnini (ambedue di nomina nazifascista), con il commissario Vincenzo Politi (il capo della Compagnia Speciale di ordine pubblico composta da agenti ausiliari di PS di via del Bosco, che poi costituirono la Brigata San Sergio del CVL), con la “medaglia d’oro” Stuparich e con il professor Schiffrer (“autore di un testo di prossima pubblicazione trattante la questione dell’italianità di Trieste e la situazione etnica giuliana”) [108]. Paladin a sua volta scrive che questa missione giunse a Trieste il 16 gennaio, proveniente dal Friuli; sarebbe stata formata da un socialista (Longo), da un liberale e da un apolitico (le appartenenze corrispondono alla relazione di Locardi, ma non il nome del socialista), con il compito di unificare sotto comando unico i volontari della libertà. La mattina del 7 febbraio “ricomparvero a Trieste due ufficiali del Comando triveneto” (forse i due di cui parla la relazione della Nemo?) per procedere alla nomina di un comandante in capo delle forze locali del CVL, e per tale motivo quella stessa sera, alle 19, il CLN si riunì in casa di Paladin. Miani rifiutò l’incarico e don Marzari propose il tenente colonnello Emanuele Peranna, dirigente dell’UNPA [109]. Secondo Spazzali, Peranna sarebbe stato presentato nel gennaio del 1945 al capitano Carra Monti dal generale dei Carabinieri della riserva Flavio Landi (che sarebbe stato inviato a Trieste dal SIM di Venezia con l’incarico di entrare nel CVL per “organizzare i carabinieri sbandati” [110] e dando origine al Gruppo Landi, che raccoglieva informazioni politico-militari poi inviate a Carra), e sarebbe stato poi Carra a proporre Peranna come comandante di piazza [111]. […] Fu catturato in quei giorni anche il rappresentante della DC, Paolo Reti, già impiegato all’Ansaldo di Genova e collaboratore in quella città dell’Organizzazione Otto del medico comunista Ottorino Balduzzi; giunto a Trieste nel maggio 1944, tenne per alcuni mesi i contatti con Milano. Dopo l’arresto fu rinchiuso nella Risiera di San Sabba ed ucciso in aprile. […] Podestà scrive che la sua prima missione nell’Italia settentrionale era stata progettata già nel giugno 1944, ma che appena il 5 settembre, accompagnato fino alla linea gotica dai maggiori Visconti [132] e Page, era giunto assieme al suo “esploratore”, il capitano Attilio Marchini, in una zona ad una ventina di chilometri ad ovest di Urbino; i due furono quasi subito arrestati dai nazisti e “furono ristretti in attesa di deportazione”, dalla quale riuscirono a sottrarsi “grazie alla complicità di una guardia italiana”. Il 21 settembre Podestà e Marchini andarono a Milano, dove si misero in contatto con l’organizzazione Nemo e con l’industriale Alberto Pirelli che finanziò Podestà fino al momento in cui partì per Trieste. A Milano, “nel periodo che va dal 21 settembre al 4 dicembre 1944” Podestà rimase “in costante contatto con Nemo e con De Haag” ai quali fornì “tutte le informazioni che da varie fonti mi fu possibile raccogliere e procurai l’agganciamento alla rete Nemo di un gruppo di ufficiali di marina che desiderava collaborare con gli Alleati nell’azione antitedesca e antifascista”. All’inizio intendeva recarsi nel Trentino per continuare la sua missione ma per una serie di motivi decise invece di andare a Trieste. Partì quindi da Milano con Marchini ma senza l’operatore radio (avrebbe dovuto raggiungerlo in un momento successivo ma non giunse mai a Trieste); il viaggio “fu a cura del Gruppo Nemo, essendo accompagnato dal De Haag [133]” il quale gli aveva assicurato un contatto con “personalità eminenti” che avrebbero potuto fornire una copertura a lui ed a Marchini. Infatti lo mise in contatto con i membri del CLN di Trieste che incontrò nella casa del colonnello del Genio Navale Mario Ponzo, dove conobbe il capitano Giuliano Girardelli [134]. Podestà prese alloggio “presso i Gesuiti di via del Ronco 12” [135] e rimandò indietro quasi subito Marchini, perché questi era “terrorizzato all’idea di mostrarsi in pubblico” senza avere i documenti adatti e poteva diventare pericoloso; decise poi di organizzare un’altra “rete informativa del tutto indipendente” assieme a Girardelli, che gli aveva presentato il tenente dei carabinieri Armando Lauri (che faceva parte del Gruppo Landi), il quale, a seguito di una richiesta fatta a Podestà da Nemo, “fece la ricognizione della linea pedemontana compresa tra Valdobbiadene e Gemona, riportando notizie dettagliate e sicure che gli valsero un elogio da parte del Comando alleato”. Lauri avrebbe “fornito utili notizie, informazioni sul suo conto dovranno essere fornite da Giuliano e Puccini” [136]. […] Claudia Cernigoi, Alla ricerca di Nemo. Una spy- story non solo italiana su La Nuova Alabarda e la Coda del Diavolo, supplemento al n. 303, Trieste, 2013

da Trieste nella lotta per la democrazia, edito a settembre 1945 da Comitato cittadino dell’U.A.I.S. Trieste, pubblicato sul Web da www.diecifebbraio.info
da Trieste nella lotta per la democrazia, edito a settembre 1945 da Comitato cittadino dell’U.A.I.S. Trieste, pubblicato sul Web da www.diecifebbraio.info

Francesco Gnecchi Ruscone, nato nel 1924, era un giovanotto della buona società milanese. Famiglia borghese vissuta nel culto del Risorgimento, ostile al comunismo ma anche estranea alla retorica del fascismo. Il padre diffidava di quello stile pomposo, metteva in termini frivoli il suo rifiuto del regime: «Un signore porta camicie bianche, al massimo con righine blu, nere mai: per nessun motivo». Così era stato schedato come «elemento ostile». Il figlio aveva sedici anni quando l’Italia era entrata in guerra. Non ha tempo di andare sotto le armi prima dell’8 settembre. Allora, però, sa perfettamente che suo dovere è opporsi agli invasori. Ovvero, ormai, i tedeschi. E così, con la famiglia, comincia a darsi da fare. Dapprima aiuta a nascondere i tanti prigionieri alleati sperduti nel Nord Italia dopo l’armistizio. Poi entra nei Giovani liberali della resistenza milanese. Da lì diventa, nell’estate del 1944, un agente della rete segreta «Nemo». La sua memoria – finora nota solo attraverso una pubblicazione privata in inglese, When being italian was difficult («Quando essere italiano era difficile») – si deposita ora in un libro edito da Mursia (Missione «Nemo». Un’operazione segreta della Resistenza militare italiana) corredato e integrato dalle ricerche di Marino Viganò e Susanna Sala Massari. Un’autobiografia che è anche un saggio su uno dei risvolti meno esplorati della Resistenza in Italia. Perché la «Nemo» – anzi, missione «Nemo Op. Stand II» – è un esempio significativo del contributo dato alla Liberazione dall’esercito italiano rimasto fedele al re, dal Sim, anzi, ossia dal servizio segreto che a lungo ha sofferto ombre di ambiguità e doppiezze non del tutto ingiustificate. […] La «Nemo» – comandata da Emilio Elia e definita in un rapporto dell’Oss «forse la più vasta ed efficiente rete di spionaggio nel Nord Italia» – è un nucleo del «nuovo Sim», il servizio segreto militare che, peraltro, ha molti e brutti precedenti sotto il fascismo, a partire dal delitto Rosselli. È impegnata in missioni importantissime: infiltrazioni, denunce di collaborazionisti, contatti coi partigiani, controllo delle forze nemiche. È coinvolta nelle complesse trattative per la resa delle forze tedesche in Italia (un rapporto della missione, anzi, anticipa all’estate 1944 i contatti in questo senso con Eugen Dollmann, il rappresentante di Hitler in Italia). Enrico Mannucci in Corriere della Sera, 16 febbraio 2011