Rientrai in Valtellina in attesa di ordini

Valtellina: il Passo di Gavia – Fonte: Wikipedia

Eppure la rete dei militari che nella regione a nord di Milano fa riferimento al Regio Governo del Sud non è poca cosa: a Lecco troviamo i colonnelli Umberto Morandi e Alberto Prampolini affiancati dal capitano Guido Brugger; a Mandello del Lario c’è il colonnello Galdino Pini mentre a Bellano il referente è Umberto Osio, salendo nella Valsassina Mario Cerati e il dott. Pietro Magni; nella zona della valle Taleggio Piero Pallini cerca di tessere una rete di collegamenti in contatto con il gruppo di Carlo Basile mentre un altro militare, Davide Paganoni di Lenna assume una posizione più distaccata. Nella stessa zona si muove uno strano prete-combattente che abbiamo già incontrato, don Antonio Milesi che a fine guerra esibirà il suo legame con il Soe, nella zona della Valcamonica i vari militari che daranno poi vita alle Fiamme Verdi e che avranno nel generale Luigi Masini il loro referente.
I militari trovano il loro terreno, quello delle armi, conteso da forme organizzative che, o disprezzano come le bande infestate dal comunismo o che fanno fatica a comprendere: i civili armati. Forse frastornati dall’apparire di questi nuovi soggetti, le ombre che raccolgono le armi che i militari abbandonano, coscienti di un loro ruolo e legati a un giuramento che sembra restare l’unica cosa certa, questi uomini che fanno parte della rete dei militari in Spe che non aderiscono alla Rsi spesso vanno incontro a un tragico destino. Ne è un esempio, il generale di brigata Giuseppe Robolotti nato a Cremona il 27 dicembre 1885. Comandante della Zona militare di Trieste nell’aprile del 1943, dopo l’armistizio ha tentato di opporre resistenza alle truppe tedesche. Sfuggito alla cattura e riparato a Milano, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia gli affidò il comando militare della Piazza nel capoluogo lombardo. Assolse l’incarico fino al 25 maggio 1944, quando fu arrestato a Milano col generale Bortolo Zambon e altri resistenti, nell’ambito di una operazione tesa alla cattura dei militari che collaboratori del Cln. Robolotti fu incarcerato a San Vittore sino al mese di giugno, quando è deportato nel campo di transito di Fossoli. All’alba del 12 luglio i nazisti lo fucilarono nel Poligono di tiro nella frazione Cibeno con altri 66 resistenti. La condizione di debolezza nella costruzione di una Resistenza monarchica non vuole però significare che i militari, e comunque casa Savoia e il Regno del Sud, non siano poi in grado di recuperare il terreno e presentarsi, all’appuntamento del 25 aprile 1945 con molte cartucce nelle giberne.
[…] Umberto Osio e Galdino Pini provengono dalla Grande Guerra ed hanno maturato una avversione ai tedeschi che si riattiva vedendoli invadere l’Italia, altri hanno combattuto assieme in Jugoslavia, magari passando prima dalla esperienza della guerra di Russia. L’esperienza del generale Masini è indicativa: è stato con la 8a Divisione nella campagna di Russia poi con la III Brigata è inviato a Bergamo. Nell’aprile 1943 la brigata è posta a disposizione del XXIII Corpo d’Armata e, nell’ambito della Difesa Territoriale delle provincie di Gorizia e Trieste, è impiegata in azioni di controguerriglia nella zona di confine con la Jugoslavia (Tolmino – Circhina). Il Comando di brigata e tre reggimenti sono sciolti il 31 agosto 1943; il personale dei reparti è utilizzato per la ricostituzione delle Divisioni Alpine «Julia», «Tridentina» e «Cuneense» rientrate dal fronte russo. Masini è stato il comandante della III Brigata dal 20 dicembre 1942, ai suoi ordini Alberto Prampolini è stato uno dei comandanti del 6° reggimento alpini. Sono uomini che si conoscono e che professano le stese idee, militari che hanno fatto il giuramento al re e che si sentono a esso legati. Naturale quindi che questo gruppo si senta spinto ad attuare una sorta di rete di collegamento e a ridefinire le proprie funzioni. Quelli che sono stati impegnati in Jugoslavia o in Russia in operazioni contro i partigiani sanno come questi si muovevano, hanno acquisito un’esperienza di cosa sono la guerriglia e la controguerriglia. Sono uomini importanti e per questo saranno anche cercati e ambiti dalle nascenti formazioni militari sia in montagna ma anche in città.
Il capitano Giuseppe Motta (Camillo), 32 anni, nato a Caiolo alle porte di Sondrio, capitano dell’esercito in servizio permanente effettivo (Spe), partecipa con la 65° Cmp. Fucilieri del btg. Feltre del 7° rgt. Alpini e inquadrato nella 5° Divisione alpina Pusteria alla guerra di Etiopia e poi di Grecia. Dal registro matricolare si rileva che nel maggio del 1942 viene trasferito nello S.M. del Regio Esercito nel Servizio Informazioni e il 31 maggio del 1943 è nello Stato Maggiore Superiore del Regio Esercito.
Giuseppe Motta regge le sorti del gruppo di uomini armati che formano la 1a divisione alpina Valtellina. La presenza dei militari del regio esercito nelle fila dei resistenti non è un assolutamente un caso sporadico, la loro partecipazione è diffusa e massiccia. Occorre fare certamente una differenza tra chi assume un ruolo di direzione e gestione delle bande avendo come riferimento il Regno del Sud e chi invece partecipa alla Resistenza accettando la scommessa di una realtà nuova e ha come riferimento il Cvl. La storia tradizionale della Resistenza evita di puntare i riflettori sulle reti e sugli uomini che guardano con attenzione al Regno del Sud, anche perché il loro ruolo si determinerà principalmente o nella costruzione di reti informative o nella costituzione di bande autonome; un’attenzione particolare è riservata a chi entrerà a pieno titolo nelle formazioni che fanno riferimento al Cln assumendo anche ruoli di rilievo durante e alla fine della Resistenza. La lotta politica che attraversa il Cln, Centrale nell’Italia liberata ma anche il Clnai milanese nella zona occupata, non trascura assolutamente le reti informative e le formazioni che fanno riferimento al Regno del Sud; il racconto della Storia semplicemente mette una sordina a questa realtà, a volte sorvolando a volte facendo finta di nulla. Illuminante e chiara, appare la relazione che Giuseppe Motta redige a fine guerra, senza data e non ha destinatario e riporta come intestazione:
“Relazione sull’attività dall’ 8/9/1943 del Cap. S.P.E frontiera (A) MOTTA GIUSEPPE di Andrea-classe 1911 (Comandante della 1° Divisione Alpina Valtellina con la presentazione di Camillo) Alla data dell’8 settembre 1943 prestavo servizio a Lubiana con l’incarico di capo di quel centro SIM alle dirette dipendenze della sezione statistica di Trieste (Comandante Ten. Col. S.M. Antonio Scaramuzza. Impartite al personale di Lubiana le disposizioni per l’attuazione del piano di emergenza, raggiunsi Trieste alle ore 11. […] Fallito il tentativo di partenza via mare [ per raggiungere il sud nda ] ritornai a Venezia dove come da disposizioni ricevute rientrai in Valtellina in attesa di ordini. In Valtellina e precisamente a Sondrio, presi contatti con i componenti locali della resistenza: Ten. Col. Alessi – Dott. Foianini [ sic ] – Dott. Torti – Piero Sertori: con questi si provvide alle prime sottrazioni di armi e di materiale . […] il 2 dicembre 1943 mi presentai al Comando provinciale e [ … ] sotto scrissi la dichiarazione di non adesione nell’esercito repubblicano. […]”
Antonio Scaramuzza de Marco, citato da Motta, è un personaggio che attira la nostra attenzione, anche se al momento è difficile tracciarne un ritratto per scarsità di dati, così come occorre prestare attenzione all’occupazione italiana della Croazia. Per militari di professione l’occupazione di un territorio, la guerra ai partigiani non sono momenti eccezionali, ma parte integrante della loro vita. Scaramuzza con il grado di capitano partecipa alle campagne di guerra sul fronte greco-albanese con il 7° rgt. Alpini in cui si distingue per ardore e capacità di combattimento. In seguito è incaricato di dirigere un servizio informazioni in Jugoslavia, su questo scacchiere il suo nome di copertura è dott. Baraldi. Non sembra essere un uomo d’ufficio e l’attentato dinamitardo di cui rimane vittima può a ragione non essere casuale. La bomba messa in un ristorante frequentato da italiani a Lubiana, lo costringe ad un ricoverato in ospedale, guarito rientra in servizio. Dopo l’otto settembre rientra in Italia, non aderisce alla Rsi ed è destinato al collegamento con la 5a Armata americana.
[…] La relazione di Motta prosegue aggiungendo che all’inizio di gennaio deve andarsene dalla Valtellina e si rifugia a Milano. I suoi contatti milanesi sono possibile solo quando: “verso la fine di febbraio mi furono possibili i primi contatti con esponenti della resistenza di quella città. Ebbi i primi contatti con i sig. Perego (via Meravigli 4 – Via Posa 10) con un certo Rossi, conoscente del Perego e con Como impiegato della Edison. Successivamente presi contatto con il Magg. La Neve (nome di battaglia Biancardi) e con questi cooperai per l’organizzazione e il rifornimento delle formazioni armate del Varesotto sistemate in massima parte nella zona di Intra e nel gruppo del monte Zeda. Successivamente per incarico del soprannominato Como e dei rappresentanti del Comitato di Varese (Lucchini e De Grandi) mi occupai dell’organizzazione delle squadre Sap del Varesotto. Sfruttando la conoscenza di un certo Sandro, agente del servizio alleato e a contatto con Gildo de Palas e con Edcardo Ghigor (abitante a Chiasso Svizzera) mi fu possibile recarmi più volte oltre confine, in territorio elvetico, dove mi misi in relazione con il generale Nicolini e con il col. De Rico, nell’intento di ottenere mezzi ed armi per l’organizzazione delle formazioni, sia in provincia di Varese che in provincia di Sondrio”.
Il contatto ricercato a Milano potrebbe essere proprio il tenente colonnello Girolamo La Neve (anche Laneve) Albrizio alias Biancardi o Setti. È stato agente del Sim a Lubiana, non ha aderito alla Rsi, ed è logico farlo confluire nella rete di militari legati al Regno del Sud e che tentano di organizzarsi dietro le linee tedesche nell’Italia occupata. Laneve Albrizio sarà poi inquadrato nella missione Nemo come responsabile del 2° gruppo Franzi, il grado militare di Laneve ci conduce a considerarlo un superiore del capitano Motta. Da altre fonti però la missione è indicata «operativa al di qua della linea gotica dal 18 marzo 1944 al 2 maggio 1945» da qui uno scarto temporale che può benissimo essere dovuto sia al carattere stesso della missione, sia alla ricostruzione post 25 aprile, sia al fatto che Motta poteva non essere organico alla missione. Da tenere in considerazione anche il giudizio su «Gerolamo La Neva [sic] (alias Franzi), del corpo Alpini, Franzi che aveva molte conoscenze nei circoli militari e civili, si è dimostrato elemento non valido nel nostro servizio». Questa relazione è certamente da collocarsi tra l’estate ed il settembre del 1945. Il
generale Giovan Battista Nicolini, livornese, vi era nato nel 1882, si era presentato il 12 settembre 1943 al valico di Chiasso assieme ai generali di Corpo d’Armata Filiberto Ludovico di Savoia, duca di Padova e Vittorio Emanuele, conte di Torino. Il generale è anche, con il nome di Bernardo, facente parte di una rete che nel canton Ticino faceva capo al capitano Gino Bustelli del servizio Informazioni dell’Esercito Svizzero. Il compito di questa rete era la raccolta di notizie che si riferiscono alla situazione di là dal confine con l’Italia. Sempre il generale a riposo Nicolini ha partecipato, in quel di Como, a un’organizzazione clandestina antifascista nel 1942 denominata Lega insurrezionale Italia Libera la cui anima era l’avv. Perretta. Difficile è individuare «Como impiegato di Edison» se non farlo risalire a Sandro Beltramini che è sbarcato con Peter Tompkins, Wanda Malvezzi e l’operatore Gianni Barelli a Fosso Tafone. Beltramini è inviato a Milano, dove ottiene documenti falsi e costruisce una rete che ha contatti con gli uomini della Resistenza sulle Alpi. Quello che è certo è che Motta non si muove a tentoni lasciata la sua Valtellina, ma conosce contatti, sa come rintracciarli e come inserirsi nelle strutture della Resistenza come nel caso di Varese; il suo muoversi sembra la naturale continuazione di quanto aveva dichiarato precedentemente “come da disposizioni ricevute rientrai in Valtellina in attesa di ordini.»
La confusione nella primavera del 1944 doveva essere tangibile sul terreno se Motta rivendica l’invio «tramite Nando Ciocca a Nicola che aveva organizzato un primo nucleo armato nella zona di Buglio in Monte (Sondrio) L. 30.000, materiale sanitario e altri mezzi.». Nicola, che allora era Diego per i riferimenti a Milano, è Dionisio Gambaruto, militante della 3a brg. Garibaldi Lombardia, catturato dai saloini è riuscito a fuggire ed è stato inviato in montagna per dare inizio alla costituzione della Divisione Garibaldi Valtellina che poi diventerà 40a brg. Garibaldi G. Matteotti fronte nord (ma sempre 3 brigata Garibaldi per i milanesi catturati a Buglio il 16 giugno 1944).
Motta diventa l’autore della costituzione della Divisione Alpina G.L. Valtellina con «l’autorizzazione del Comando Regionale Lombardo [Maurizio (Parri) Castelli e Giulio], […] ai primi di luglio ‘44» a cui viene affidato il comando «unitamente all’avvocato Corti Plinio (Ricci) al quale venne dato il grado di Commissario di Divisione». Le dimenticanze sono sempre possibili, ma una comunicazione al «Capitano BONFADINI Romualdo» datata 20 maggio 1944 e firmata da Camillo (Il Comandante) e Fojanini (il Commissario) porta il timbro C.L.N. Comando Corpo della Libertà, Divisione alpina GL Valtellina. Nulla di particolare, in genere le date di origine delle formazione sono come degli elastici che sono tirati o rilasciati in rapporto agli interessi sia degli scriventi sia del momento. Il particolare è che non compare Corti ma Fojanini, il primo poi ricomparirà alla fine della guerra con la carica di Commissario di Zona.
Queste contraddizioni appaiono di difficile comprensione solo se consideriamo la resistenza, un processo lineare in cui tutto ruota attorno al Clnai, mal che vada le contraddizioni sono tra le forze politiche che sono lì rappresentate e non influenzano quanto avviene fuori. Poiché gli attori sul campo non sono solo le forze politiche rappresentate nel Clnai, ma comprendono sicuramente anche chi fa riferimento al Regno del Sud e chi guarda con particolare attenzione agli alleati nulla, impedisce a Motta e al gruppo di valtellinesi che a lui fanno riferimento di usare la sigla GL e lo stesso Corti come una specie di autobus su cui son saliti nella primavera del 1944 e da cui scendono dopo circa un anno. Corrobora questa impressione la mancanza assoluta di contatti con la Divisione Orobica di GL che si sviluppa nella bergamasca mentre appare sempre più intenso il legame con Edison, che è proprietaria delle dighe e con il Cln di Lugano.
Su quest’ultima struttura poi vale la pena di considerare che nascondersi dietro il facile contatto con la Svizzera e il difficile con il Clnai di Milano in realtà non regge. È proprio la rete telefonica dell’Aem che consentirebbe veloci contatti con Milano, ma anche i permessi che consentono ai dirigenti di andare e venire con relativa facilità, Corti in particolare lavora presso la Edison, e può agevolmente rapportarsi con la sede di Milano del Clnai. Rimarcare che la rete telefonica che collega le centrali con Milano è espressiva della possibilità e facilità dei collegamenti è superfluo. Queste considerazioni però sembrano non valere, vero è che ci sono ripetute lamentele perché non funzionano le staffette e i contatti e il centro milanese non riesce a trovarne ragione. Voluta o meno questa situazione spinge al contatto con il Cln di Lugano che però appare lo schermo per i diretti contatti con la delegazione di Berna del Regno del Sud e con gli alleati.
Motta non è il militare che transita nella Resistenza e che poi proseguirà la sua vita fuori dagli schemi militari, come succederà invece ad altri militari come per es. Masini, ma proseguirà la sua carriera militare tant’è che lo vediamo come elemento del Sifar nel contrasto ai terroristi altoatesini negli anni ’60. Il periodo della Resistenza è, per lui, un momento della sua carriera di militare, dove deve assolvere compiti che gli sono stati assegnati.
Massimo Fumagalli e Gabriele Fontana, Formazioni Patriottiche e Milizie di fabbrica in Alta Valtellina. 1943-1945, Associazione Culturale Banlieu