I servizi segreti alleati e la Resistenza in Italia

La Liberazione nelle Marche, foto del fondo Roger Absalom – Fonte: ANSA

La partecipazione alle attività di collegamento tra il Comando supremo italiano e le autorità alleate in Italia non si limitò alle missioni militari analizzate nel primo paragrafo di questo saggio, né ai nuclei distaccati dai comandi italiani toccati nel secondo. Un terzo importante contributo giungeva infatti dall’Ufficio informazioni dello Stato maggiore del Regio esercito, ricostituito nel settembre 1943 in sostituzione del disciolto Servizio informazioni militare (Sim) <64. L’ufficio I partecipò alle operazioni fornendo un apporto diretto alle Forze armate alleate presenti nella penisola, svolgendo importanti compiti di tramite fra le Forze armate italiane e i corrispondenti organi alleati, ma ebbe notevole rilievo anche nell’assistenza alle bande irregolari e nell’organizzazione delle attività partigiane.
Le storie dell’ufficio I e del contributo italiano allo sforzo bellico alleato nel periodo della cobelligeranza sono infatti indistricabilmente legate fra loro.
[…] Tra i compiti che dovevano spettare alla versione ricostituita dell’ufficio informazioni figuravano la riorganizzazione e il coordinamento dei nuclei periferici esistenti degli uffici I nell’Italia liberata; l’immediato ripristino dei contatti con quanto rimaneva delle cellule ex Sim nei territori occupati; l’opera di ostacolo da frapporre alle attività dei simpatizzanti filotedeschi e filorepubblicani al Sud. Per far fronte a queste necessità nasceva il primo nucleo dell’I, l’Ufficio informazioni e collegamento, affidato al generale Silvio Rossi. In mancanza di membri del Sim disponibili, venivano arruolati ufficiali dello Stato maggiore provenienti da Roma, privi quindi di esperienza specifica nel settore. Nelle sue fasi iniziali, l’ufficio soffriva a causa di una scarsa affluenza di personale qualificato o, per essere più precisi, di personale tout court: in settembre, soltanto quattro erano i nuovi arrivi dall’Italia occupata. Le difficoltà erano inoltre acuite dalle difficili condizioni materiali in cui l’ente si ritrovava ad operare, condizioni che rispecchiavano quelle precarie in cui era costretto a lavorare il governo provvisorio guidato da Badoglio. La ristrettezza della sede, una casetta a due piani con cinque vani presso i quali si assisteva ad un viavai di ufficiali alleati e di soldati italiani rientrati dalle zone occupate, non costituiva un ambiente assai più idoneo rispetto all’appartamento nel quale mosse i primi passi il ministero degli Esteri guidato dal segretario generale Renato Prunas <65. Ad inizio ottobre, quando poteva considerarsi terminata la sua fase di impianto, il nuovo ufficio era incaricato dal Comando supremo di occuparsi di compiti riguardanti la raccolta e la diffusione di informazioni di natura militare, logistica e operativa. All’ufficio competevano, dunque, gli interrogatori del personale
militare evaso da zone controllate dai tedeschi, l’organizzazione di una rete informativa nell’Italia occupata, il ripristino delle comunicazioni con le unità militari dislocate nei Balcani e, soprattutto, il collegamento con la Missione militare alleata.
Con una prima risistemazione che prendeva effetto il primo ottobre, l’ufficio I rientrava interamente nell’ambito dello Stato maggiore del Regio esercito e, un mese più tardi, si andava strutturando in quattro sezioni.
[Note:]
64 Un buon punto di partenza per la storia del Sim durante la guerra è l’opera di G. CONTI, Una guerra segreta. Il SIM nel secondo conflitto mondiale, Il Mulino, Bologna 2009; si veda anche il saggio di N. DELLA VOLPE, L’attività di intelligence, contenuto in questo volume.
65 L’isolamento internazionale cui il ministero era soggetto veniva aggravato dalle precarie condizioni nelle quali era costretto a operare a Brindisi, cfr. E. DI NOLFO, M. SERRA, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 93, e G. BORZONI, Renato Prunas diplomatico (1892-1951), Rubbettino, Soveria Mannelli 2004.
Marco Maria Aterrano, Gli uffici di collegamento tra le Forze armate italiane e le autorità anglo-americane nella cobelligeranza in La ricostituzione del Regio esercito dalla resa alla liberazione, 1943-1945, Introduzione di Francesco Anghelone, a cura di Marco Maria Aterrano, Rodorigo editore, 2018

Nonostante la disfunzione evidente nell’organizzazione di Downes, l’OSS trovò ancora successo sul campo.
Una squadra OSS SI guidata dall’allora Primo Tenente Andrew Pacatte sbarcò a Paestum, situata a sud di Salerno, il 9 settembre 1943.
Gli uomini dell’OSS occuparono Paestum e Capaccio e fornirono al sesto corpo del CIC (Counter Intelligence Corps) personale di lingua italiana.
Il gruppo di Pacatte entrò in Agropoli e cominciò subito ad interrogare le locali autorità, nonostante il fatto che il capitano Cowles del CIC avesse scelto di tornare al quartier generale per tema che i tedeschi potessero tornare.
L’OSS e il CIC non riuscirono in questo caso a collaborare, ma la cooperazione complessiva tra il CIC e l’OSS si rivelò fruttuosa per entrambe le organizzazioni, soprattutto per quanto riguardava la condivisione delle informazioni.
[…] Pacatte diede istruzioni ai funzionari locali, rifiutando di estrometterli dalle loro posizioni nonostante le loro affiliazioni o azioni passate.
Pacatte lasciò poi tale lavoro alle subentranti autorità dell’AMG poiché temeva che l’espulsione dei funzionari potesse causare un potenziale caos in tema di sorveglianza a causa del numero limitato di uomini OSS disponibili per scopi di sicurezza, un caos che avrebbe potuto ostacolare l’attività militare alleata.
Due giorni dopo il suo arrivo, Pacatte iniziò a infiltrare, con l’ausilio di Hoagland, degli agenti per raccogliere informazioni militari. Trasmisero le informazioni raccolte al CIC ed alla trentaseiesima divisione.
Da Agropoli, Pacatte si recò all’isola di Ischia agli ordini di Downe.
Da Ischia Pacatte iniziò a infiltrare squadre a Napoli con l’uso intelligente di barche da pesca locali. Tuttavia, diverse squadre non riuscirono a portare a termine il loro incarico a causa delle difficoltà derivanti dalla loro incapacità dei loro componenti a motivare i pescatori locali ad affrontare le pattuglie marittime tedesche. Per queste ragioni, Pacatte decise di far partire le sue operazioni dall’isola di Capri avvalendosi di natanti forniti dall’US Navy, che aveva là già una base.
L’OSS divenne molto attivo ad Ischia e Capri, conducendo operazioni verso Benevento, Castel Volturno, Pozzuoli, la zona di Gaeta e Castellamare.
Gli agenti OSS lavorarono in stretta collaborazione con le autorità militari statunitensi, l’AMG e il CIC, fornendo informazioni sugli agenti tedeschi lasciati indietro e sugli italiani indesiderati.
Ulteriori sforzi di reclutamento coinvolsero diversi importanti volontari, come il generale italiano Pavone, in funzione della possibilità di condurre forze armate o unità di guerriglia dietro le linee nemiche.
[…]
Il SI [Servizio informazioni dell’OSS] ricevette delle buone notizie. Nel centro-nord Italia, il SI infiltrò con successo una missione in Piemonte, inviata allo scopo di rafforzare i membri OSS già presenti sul campo. Inoltre, dodici agenti ricevettero un addestramento con il paracadute presso la scuola britannica di San Vito, dimostrando una buona, o almeno efficace, cooperazione tra l’OSS e le sue controparti britanniche. Il SI riuscì anche a stabilire una comunicazione radio diretta tra le basi OSS di Brindisi e Siena dopo i traslochi dei mesi precedenti.
Il SI attivò un totale di ventiquattro stazioni clandestine in tutto il nord Italia nella fase finale della campagna d’Italia nel 1945 grazie all’opera di Brennan, Scamporino, Ricca, Corvo ed altri. Queste stazioni trasmettevano una media di 125.000 gruppi di cifratura al mese, di cui il novantacinque per cento conteneva traffico di intelligence.
Il SI italiano istituì e fornì l’unico collegamento di comunicazione diretto tra CLNAI, AFHQ ed il Quindicesimo Gruppo di Armate.
Il SI aveva reclutato, addestrato e paracadutato una sua squadra nell’Italia occupata molto prima, nel febbraio 1944, una squadra che continuò a funzionare per il resto del 1944.
Il SACMED [Supremo Comandante Alleato del teatro di operazioni del Mediterraneo] e il Comandante Generale del XV Gruppo di Armate utilizzarono questo collegamento per trasmettere tutte le loro direttive militari ai gruppi partigiani del settentrione d’Italia.
Una sezione SI componeva il personale di intelligence del CLNAI e ne dirigeva le attività di intelligence.
Quando il capo del servizio di intelligence OSS del 15° Gruppo d’Armate si paracadutò in Italia nel febbraio 1945, l’IS ottenne il controllo completo di tutte le attività di intelligence del CLNAI.
Nell’ultimo trimestre del 1944, la SO presso la compagnia “D” sotto il maggiore Smith si concentrò sulle operazioni italiane che avevano luogo a nord di Firenze. L’assistente capo delle operazioni, il tenente colonnello C. Martin Wood, Jr., preferì adottare un approccio irrituale, procurando a Suhling e Smith della compagnia “D” ben poche interferenze. Sia Suhling che Smith si dimostrarono ufficiali estremamente capaci e furono abilmente diretti dal colonnello Riepe, del G-3, Operazioni speciali, Quindicesimo Gruppo d’Armate. Anche se non si trattava di ordini specifici, questi ufficiali ricevettero comunque aiuti dall’OSS per le loro operazioni. La principale forma di supporto si manifestò con i ponti aerei verso le zone operative e l’approvvigionamento di personale per la Compagnia “D.” Tuttavia, il personale rimase sempre limitato a causa della costante mancanza di ufficiali e agenti con adeguate competenze linguistiche.
Nonostante tutta la sua espansione, l’OSS faticava ancora a riempire i suoi ranghi con personale qualificato.
La maturità e la professionalità dell’OSS si manifestarono non tanto nella gestione dell’esecuzione degli ordini, ma nel supportare abilmente i comandanti indicando loro il necessario per consentire operazioni di successo.
Il problema più grande che affliggeva le operazioni OSS rimaneva la ricerca di traduttori qualificati per le operazioni, soprattutto, nel 1945 nel nord Italia, quelle vicino al fronte, riguardanti la Compagnia “D”, 2677° Reggimento.
Nonostante i limiti di personale, il SO [Servizio operazioni dell’OSS] lavorò all’attuazione di piani per addestrare, istruire, equipaggiare, inviare e dirigere piccole squadre di ufficiali americani e uomini arruolati per missioni di collegamento con i partigiani nel nord Italia.
I rappresentanti del SO fecero gli straordinari controllando tutto il personale disponibile. Gli uomini SO ritenuti qualificati vennero inviati alla compagnia “D” nei cui ranghi il capitano Suhling aveva organizzato nuove squadre SO di 5-8 uomini ciascuna. Nonostante la mancanza di ufficiali disponibili, un sufficiente aiuto di segreteria civile presso il quartier generale del reggimento permise a tutti gli uomini arruolati di trasferirsi alla compagnia “D” per aumentare le capacità.
Per un certo periodo, Smith operò come comandante del SO mentre Suhling gestiva i problemi logistici.
La compagnia “D” presiedeva anche all’impiego dei partigiani in prima linea. Smith inizialmente istituì un nuovo piano operativo già mentre si trovava a Firenze alla fine di ottobre 1944. A partire da ottobre, il numero dei partigiani in prima linea crebbe fino a raggiungere “proporzioni molto considerevoli”. L’aumento del numero consentì operazioni più ampie e ardite aumentando il livello di interdizione contro le retrovie tedesche.
I partigiani e le squadre dell’OSS avrebbero in seguito ricevuto elogi per il loro lavoro con la Quinta Armata americana. Il tenente colonnello Lazar, G-3, Quinta Armata, si avvicinò ai partigiani e iniziò a considerare l’assistenza ai partigiani come indispensabile. Nel dicembre 1944 richiese con urgenza ulteriori aiuti ai partigiani. Sulla base di questa segnalazazione, l’OSS inoltrò altre mille razioni al giorno insieme alle altre forniture ai partigiani.
Erik K. Griebling, INTELLIGENCE PROFESSIONALISM: A STUDY OF DEVELOPING INTELLIGENCE PROFESSIONALISM IN THE OFFICE OF STRATEGIC SERVICES IN ITALY AND THE CENTRAL MEDITERRANEAN 1941-1945, A Dissertation Submitted to The Temple University Graduate Board, In Partial Fulfillment Of the Requirements for the Degree DOCTOR OF PHILOSOPHY, August 2017

Downes non era uno qualunque. Consigliere di Roosevelt alla Casa Bianca, professore nell’università di Yale, era a capo del gruppo OSS aggregato al corpo di spedizione sbarcato a Salerno il 9 settembre 1943, all’indomani dell’annuncio dell’armistizio. Si sarebbe dimesso dopo pochi giorni non approvando il sostegno degli Alleati a Vittorio Emanuele III e a Badoglio.
Massimo Rendina, E il maggiore Tompkins sempre insieme ai partigiani, Patria Indipendente, n° 2, febbraio 2007

Propaganda, missioni e «operazioni speciali» degli Alleati in Italia di Roger N. Absalom
Parliamo adesso del volume e della struttura di esso.
Abbiamo ritenuto di aprire con il saggio di Roger Absalom «I servizi segreti alleati e la Resistenza italiana» (qui rinnoviamo pubblicamente il ringraziamento più vivo all’Osservatore politico letterario per averci concesso di riprodurlo e al quale noi abbiamo apportato alcune correzioni di forma e di improprietà di traduzione) per entrare subito in medias res della trattazione. Il saggio è importante, ricco di spunti critici e basato su una documentazione di fonte inglese, in larga misura, poco nota o addirittura inedita. Inoltre Max Salvadori (II) ha testimoniato un’esperienza fondamentale, seria, vissuta direttamente e poggiata sul rifiuto etico della guerra e dei suoi orrori e una testimonianza sulla sua lunga milizia politica.
Appena un accenno al documento rinvenuto nei «National Archives» di Washington (III) al quale abbiamo premesso una nota assai breve, su cosa si è inteso e si deve intendere per «Operazioni Speciali». All’allegato A di tale documento, v’è menzione dell’Ufficio dei Servizi Strategici (OSS) e le funzioni di esso svolte in Italia nel corso della guerra.
L’articolo del comandante Richard M. Kelly (IV), oggi ammiraglio della flotta degli Stati Uniti d’America, risale al 1948 e noi lo abbiamo proposto per la prima volta in lingua italiana, con i nomi non più di copertura come era stato ad essi imposto per lungo tempo. È la puntuale applicazione, se così si può dire, più direttamente operativa a quanto è fatto cenno nel documento di cui abbiamo appena parlato. La testimonianza (V) dell’amico Federico Bora (Eric), bene fotografa la situazione del Biellese anche dal punto di vista operativo e pone in risalto l’importanza ch’ebbe la zona per l’appoggio alle Missioni inglesi dello «Special Force 1» che operavano anche in terra di Francia. I due «racconti» possono esser letti quasi come una vicenda romanzesca e le cose ch’essi raccontano hanno avuto influenza sulla nostra vita non meno di quanto ne abbiano avute le cronache di questi ultimi anni.
Di spiccato interesse ci è parso il documento (VI) rinvenuto negli archivi della sezione italiana del Ministero delle Informazioni di S.M. britannica sul ruolo della propaganda inglese contro l’Italia e gli italiani. Anche la datazione di esso (20 settembre 1940) è importante per meglio comprendere, anche in vista di risultati storici più definitivi, quale effettivamente poi fu il ruolo della propaganda britannica alla quale circa due anni dopo si aggiunse quella americana, con tante altre simbologie e di prestanza più rumorosa. Sarebbe paralizzante generalizzazione affermare che molto giocarono i luoghi comuni degli inglesi, frutto non recente e soltanto generatore di stereotipi verso gli italiani che il fatto bellico aveva rinverdito con tutta la forza della decisione che il momento richiedeva. È certo che il discorso, senza lunghe digressioni, è complicato da una gamma di mescolanze diverse e ancora tutto da ricostruire. Non a caso Absalom ha dedicato alcune significative pagine al commento di esso, indicando alcune interessanti direttrici di marcia per arrivare a conclusioni non generiche ma qualitativamente più alte.
Il documento (VII), redatto in forma telegrafica, originato direttamente da Washington e ritrasmesso ai vari enti subordinati (Allied Force Supreme Headquarters, PWB Doc. relating… in North African & Italian campaigns – D810 – P 7A43 roll 3, Hoover Institution) non ha bisogno di alcun commento. Si potrà osservare che i due documenti (VI e VII) possono esser esaurienti per un primo approccio al problema ma piuttosto evasivi per il teatro italiano nel suo insieme. Ma il «pragmatismo» apparentemente senza principi veri e propri dei «creatori di opinione» alleati non può non colpire il lettore anche dal punto di vista della comparazione fra culture e civiltà diverse. A parte gli altri aspetti di una situazione assai complessa che richiederebbe approfondimenti e scavi ben più capillari.
Il rapporto del magg. Oldham del 20 gennaio 1945 ai suoi superiori (VIII) intorno alle vicende della missione TURDUS che operò a ridosso della Linea Gotica è interessante per più versi. Uno scritto senza fronzoli in cui l’attività bellica tra le linee nemiche risalta sotto la polvere del momento magico ed è anche, infantilmente, pieno di riti. L’altro pregio del rapporto viene dalla fornitura di dati e conoscenze relativi non solo all’aspetto umano di questo personale italiano (assai significativo è il ritratto di Roberto Battaglia (il cap. R. Barocci e noi siamo lieti di questo riconoscimento che arriva a tanti anni dalla sua prematura scomparsa), ma anche alle informazioni sulle condizioni di vita delle popolazioni, su eccidi di cittadini italiani per rappresaglia da parte di tedeschi e fascisti e sul discutibile comportamento del CLN di Apuania, un’informazione corretta, certo più produttiva e ricca d’avvenire della paccottiglia che in quegli anni (e immediatamente dopo) si formò tanto che il passaggio dall’avvenimento alla mitologia, avvenne talvolta quasi senza accorgercene.
Se è vero (ed è vero) quel che osservava Leo Valiani, in occasione della pubblicazione dei documenti sulle Brigate Garibaldi che «la storiografia della Resistenza italiana si è articolata per parecchio tempo in due diverse interpretazioni: quella che considerava la guerra partigiana come lo sbocco diretto di venti anni di lotta politica antifascista e quella che ne rivendicava l’assoluta autonomia, facendola scaturire dalla rivolta patriottica all’occupazione tedesca della penisola, l’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943» si è trattato di una contrapposizione rigida che ha resistito troppo a lungo con risultati del tutto intuibili. Non sappiamo se i materiali qui proposti potranno esser utili o importanti; ad una lettura o rilettura di fatti od eventi noti da un angolo di visuale diverso o parzialmente diverso, certamente sì. Chi li legge, con qualche attenzione, potrà aggiungere poi per proprio conto altre notazioni e, per esempio, ristabilire la verità su dati di fatto inoppugnabili. Se si farà chiarezza intorno alle vicende controverse o veri e propri punti oscuri oppure non noti o volutamente ignorati, come ad esempio, i reali rapporti che intercorsero, da una parte gli Alleati, dirigenza politica e militare (il personale delle Missioni merita, a nostro parere, un discorso a parte) e dall’altra il movimento di Liberazione e la realtà italiana nel suo assieme, ciò può significare l’attivazione di una discussione approfondita e non formale che noi riterremo particolarmente utile.
Senza la pretesa dell’esame di problemi troppo vasti e arrivare ad ambiziosi giudizi globali, questi documenti, al contrario, sono all’insegna della comprensione corretta dei fenomeni, una comprensione senza illusioni elemento necessario – a nostro parere – per la naturale vocazione intellettuale. Studiare, documentare, suggerire senza preclusioni di tipo storicistico ma senza i rischi di fuga dalla storia: si può esser fiduciosi che il capire non porterà di certo alla catastrofe.
I
ROGER N. ABSALOM
I SERVIZI SEGRETI ALLEATI E LA RESISTENZA ITALIANA
Il 13 novembre 1944, mentre l’offensiva alleata contro la linea Gotica che proteggeva l’Italia settentrionale veniva fermata da piogge torrenziali, neve e fango, Radio Bari e Radio Londra trasmisero ai partigiani un messaggio «en clair» da parte del Maresciallo Alexander, C in C of AAI[1] con il quale si invitavano i partigiani a cessare le operazioni su larga scala, ad andare a casa per l’inverno e a tenersi pronti a riprendere i combattimenti quando fosse iniziata l’offensiva di primavera[2]. Sembrava quindi che la Resistenza fosse stata abbandonata alla mercé dei tedeschi e dei fascisti, che iniziarono immediatamente una grande controffensiva.
Soltanto tre settimane più tardi una delegazione del CLNAI, guidata da Ferruccio Parri, andò a Caserta per negoziare i termini di un accordo con gli Alleati, accordo che avrebbe garantito alla Resistenza ulteriori aiuti finanziari e logistici in cambio del riconoscimento dell’autorità, non ben definita, del comando militare alleato. Questo accordo[3] fu firmato formalmente dalla delegazione del CLNAI e da Sir John Maitland-Wilson, SACMED[4], il 7 dicembre a Roma e fu ratificato dal governo italiano, con l’approvazione degli Alleati, il 26 dicembre in un altro protocollo che designava il CLNAI quale rappresentante di quel governo in tutto il territorio italiano occupato dai tedeschi.
Il contrasto drammatico fra questi due fatti illustra la diversa gamma di atteggiamenti degli Alleati nei confronti della Resistenza in Italia e suscita, inevitabilmente, degli interrogativi di notevole interesse sulla natura del processo di formazione della linea politica e quindi delle decisioni prese e che influenzeranno le relazioni tra gli Alleati e gli italiani. In realtà, il periodo della resistenza armata in Italia, che va dal settembre del 1943 all’aprile del 1945, è rimasto, comprensibilmente, un argomento di inesauribile interesse per gli storici italiani e sembra fornire sempre nuovo materiale per l’esegesi[5]. Agli uomini politici italiani fornisce poi un’arena per combattere e ricombattere le battaglie di ieri e di oggi[6]. Di contro l’argomento è stato fatto oggetto di un’attenzione relativamente più modesta da parte di studiosi inglesi e americani[7], anche da parte di coloro più direttamente interessati alla Resistenza in Europa[8]; per essi la Resistenza italiana è rimasta un caso in qualche modo anomalo e certamente di secondaria importanza nel contesto della grande strategia della seconda guerra mondiale[9].
In termini generali sarebbe difficile sfidare le priorità storiche implicite in questo punto di vista[10]. Ma in termini di sfida alla capacità dello storico di districare gli avvenimenti del passato e di raccontare, come afferma Meinecke, «quello che è veramente accaduto», il periodo di cui si parla è un vaso di Pandora di notevoli proporzioni. Bisogna aggiungere che il lavoro di ricerca su questo periodo da parte di storici non italiani ha un certo valore soprattutto in termini di «fare le dovute correzioni», dato che la critica nei confronti anche delle interpretazioni più tendenziose degli italiani è stata trascurata.
Per gli italianisti che si interessano della storia recente, in particolare, l’argomento è reso ancora più affascinante e complesso a causa del ruolo importante, nella mediazione delle operazioni tra gli Alleati e gli italiani, di un particolare nuovo tipo di «questione della lingua»[11].
Un campo di ricerca, dove quelli che si possono definire per comodità stereotipici culturali e linguistici sembrano aver avuto una importanza particolare, e quello che riguarda le relazioni tra i servizi di informazione alleati e le missioni operative speciali inviate nell’Italia ancora occupata dai tedeschi e il personale amministrativo civile del «AMG » e «ACC»* nei territori già liberati da una parte, e i vari interlocutori tra i partigiani e i membri del CLN dall’altra. Sebbene esistano dubbi sul fatto che la strategia generale degli Alleati nei confronti della Resistenza in Italia sia stata influenzata in modo rilevante da fattori interni alla politica del paese, sia nelle zone liberate che in quelle occupate, sembra esistano prove che sia le decisioni tattiche e locali che le linee di politica adottate[12] ne siano state influenzate in larga misura, e che il ruolo giocato dai fenomeni di «interferenza linguistico-culturale» non si debba trascurare. Questo tipo di interferenza nei processi di comunicazione si può osservare in primo luogo a tre livelli:
1) nei problemi di collegamento, problemi incontrati sia dalle missioni alleate inviate nelle formazioni partigiane, sia nei casi dei tentativi di cooperazione fra queste ultime e le unità militari alleate dislocate al fronte;
2) nelle trattative tra gli ufficiali di affari civili di AMG e ACC e i CLN locali nelle zone occupate dagli alleati;
3) nella valutazione dei rapporti dei servizi segreti riguardanti la Resistenza, rapporti che avevano una parte nel processo che portava alle decisioni in campo militare e politico ai vari livelli di potere militare e civile in Italia.
Questo studio comprende un’analisi preliminare del terzo di questi punti[13] e si basa su un preliminare esame di importanti documenti del «War Office» (Ministero della Guerra) e di altri documenti.
Prima di iniziare l’analisi dettagliata delle prove a disposizione può risultare utile dare un rapido quadro dello sfondo strategico sia in termini militari che politici[14].
La seconda guerra mondiale – è noto – viene generalmente considerata unica nella storia di tutte le guerre: il peso delle considerazioni ideologiche da entrambe le parti[15], il coinvolgimento totale nelle ostilità delle popolazioni civili, il fenomeno dei movimenti di Resistenza di massa nei territori occupati[16], gli scopi e l’impatto della guerra di propaganda non avevano precedenti. In Italia questi fattori erano complicati dalla ricerca, di pari passo con la «crociata per la democrazia»[17], di alcuni obiettivi geopolitici che derivavano da considerazioni di realpolitik, per cui la posizione dell’Italia di paese ex-nemico, vincolato dai termini rigidi della resa incondizionata, forniva un pretesto plausibile[18]. Pur tenendo conto delle inevitabili pecche di una tale schematizzazione, le strategie politico-militari che operavano in Italia tra il 1943 e il 1945 possono essere considerate più propriamente come un parallelogrammo di forze. Le forze di cui si parla sono le inglesi e le americane (i due lati più lunghi del parallelogrammo) e quelle russe e italiane (i lati più corti).
La linea politica degli inglesi era in pratica quella di assicurarsi il controllo indiscusso dell’area mediterranea (che allora veniva considerata la linea vitale di un impero che Churchill non aveva alcuna intenzione di abbandonare) e, per ottenere ciò, era necessaria un’Italia senza territori africani, pronta ad ingoiare la medicina amara della sconfitta. A questo fine la monarchia sabauda sembrava essere lo strumento ideale, dato che essa esisteva grazie all’accettazione dei termini dell’armistizio ed era interamente devota agli Alleati[19]. La «sigla popolare» per questa politica era KID (Keep Italy Down) e il personale inglese coinvolto nell’amministrazione dell’Italia l’aveva accettata e accolta perfino con entusiasmo, perché negli ambienti militari inglesi esisteva un generale e profondo disprezzo per gli italiani, considerati come voltagabbana e codardi da quando Mussolini era entrato in guerra nel 1940 e durante l’interminabile campagna d’Africa[20].
La considerazione che gli americani avevano dell’Italia divergeva da quella inglese. Roosevelt aveva un vasto elettorato di origine italiana da tenere in considerazione e si era schierato più esplicitamente a favore della democrazia in Italia. C’era anche, da parte degli americani, la diffidenza per le pretese coloniali inglesi e questo fu certamente uno dei motivi, anche se non il più importante, che portarono al loro rifiuto della strategia del Mediterraneo, considerata di punta da Churchill[21]. In linea generale, comunque, gli americani accettarono il fatto che l’Italia si trovava entro la sfera d’influenza britannica e, di norma, cedevano alle pressioni inglesi quando nascevano dispute sulla linea politica da adottare nei riguardi dell’Italia[22]. In un campo però gli americani erano la potenza suprema: in campo economico avevano già gettato le basi per un vasto disegno che prevedeva l’estensione e il consolidamento di quello che sarebbe stato, nel dopoguerra, il dominio assoluto del commercio mondiale e degli investimenti[23].
Per l’Unione Sovietica, l’Italia in sé non aveva molta importanza, se non per il fatto che l’invasione e l’amministrazione di questo paese da parte degli Alleati dava a Stalin l’opportunità di rafforzare la sua politica, tesa a raggiungere un accordo con gli altri alleati sulla divisione dell’Europa, a guerra finita, in sfere di influenza che avrebbe permesso alla Russia di essere al sicuro dietro un cordon sanitaire di stati-cuscinetto. Anche prima del famoso patto di Churchill con Stalin nell’ottobre del 1944[24], l’Unione Sovietica si era sempre rimessa al ruolo del predominio inglese in Italia[25]. L’astuta mossa diplomatica del riconoscimento del governo Badoglio nel marzo del 1944 non implicava l’intenzione dell’Unione Sovietica di interferire negli affari italiani, ma aveva piuttosto lo scopo di assicurarsi il maggior contributo possibile dell’Italia alla lotta comune, con la speranza che ciò avrebbe alleggerito lo sforzo alleato sul fronte italiano e avrebbe, quindi, permesso lo sganciamento delle forze per l’apertura di quel secondo fronte nell’Europa nord-occidentale che era già stata ritardata tante volte[26]. Di conseguenza Stalin favorì in pieno la linea dura di Churchill nei confronti dell’Italia.
Gli italiani, che dipendevano in tutto e per tutto dagli Alleati per la sopravvivenza politica ed economica, non avevano molto spazio di manovre. Se il loro obiettivo sotterraneo si può vedere nell’esistenza continuata come nazione vitale, le iniziative che potevano intraprendere per raggiungere questo ?ne erano limitate. Mentre essi, per usare una frase di Churchill, «were working their passage»* per aiutare a vincere la guerra, erano impegnati in una guerra civile che coinvolgeva non solo i governi di Roma e di Salò, ma chiamava anche in causa l’intera struttura istituzionale dello Stato post-risorgimentale. Le interminabili polemiche correnti su «continuità» e «frattura» nascono proprio dalla divisione radicale nel 1943-45 tra quelle forze in Italia che cercarono una continuazione dei rapporti già esistenti sia in campo sociale che in quello economico, e avevano bisogno delle forme tradizionali dello Stato liberale per garantirsi contro cambiamenti radicali, e coloro che volevano sfruttare la lotta contro il fascismo per arrivare a un cambiamento radicale dello Stato e della società. Queste forze guardavano perciò alla Resistenza o come ad una espressione potenzialmente pericolosa di tendenze centrifughe, oppure come a qualcosa che era precursore e strumento di cambiamenti rivoluzionari. Nessuno dei due gruppi comunque poteva permettersi di estremizzare i loro atteggiamenti: la Monarchia e la destra avevano infatti bisogno di un legame con la Resistenza per sostenere la loro posizione nei confronti degli Alleati e fruire di una parte nell’enorme entusiasmo popolare per i partigiani, mentre la sinistra repubblicana non voleva mettere in pericolo le prospettive delle trasformazioni nel dopoguerra, seguendo i greci sulla strada del confronto diretto e aperto con gli Alleati. La Resistenza nel nord fu, nel vero senso della parola, l’ultima roccaforte dell’autonomia nazionale italiana: l’uso che se ne sarebbe potuto fare aveva però dei limiti, sia in termini di forza militare, sia in quelli del consenso popolare[27].
[1] Comandante in capo delle forze alleate in Italia
[2] Il testo italiano del proclama è citato integralmente in P. Spriano. Storia del partito comunista italiano, vol. V, Torino 1975, p. 440. Una nota, nella stessa pagina, cita la testimonianza di Ferruccio Parri in merito al successivo «imbarazzo» di Alexander e alla sua spiegazione che egli, personalmente, non era stato l’autore del proclama, alla cui stesura aveva delegato un «pastore evangelico del Psychological Warfare»: «ben lontana da lui l’intenzione di offenderci e di mandarci a casa» (F. Parri: Intervento alla conferenza sui Momenti cruciali della politica della Resistenza nel 1944, in Movimento di Liberazione in Italia, n. 52-53, 1958, pp. 193-194). Da un’altra testimonianza, di un esponente comunista del governo italiano del tempo, risulta che Alexander aveva attribuito a Roosevelt la responsabilità del messaggio (M. Palermo, Memorie di un comunista napoletano, Parma 1975, p. 182).
[3] Il testo inglese integrale sta in C.R.S. Harris, Allied Military Administration of Italy 1943-1945, Londra 1957, pp. 292-293
[4] Comandante Supremo Alleato zona del Mediterraneo
[5] Quasi ogni settimana nuovo materiale si aggiunge alle numerose pubblicazioni esistenti in italiano su questo argomento. Alcuni titoli recenti di particolare interesse: G. Quazza, Resistenza e Storia d’Italia – Problemi ed ipotesi di ricerca, Milano 1976; L. Mercuri 1943-1945 Gli alleati e l’Italia, Napoli 1975; G. Amendola, Fascismo e movimento operaio, Roma 1975 (in particolare il saggio La «continuità» dello Stato ed i limiti storici dell’antifascismo italiano, pp. 143-174); L. Bergonzini, La lotta armata, Bari 1975; e anche Spriano, op.cit.
[6] Cfr. R.N. Absalom, The Armed Resistance in Italy 1943-1945, the politics of History in «Journal of the ATI», n. 21, 1977.
[7] Se si escludono le pubblicazioni di testimonianze e ricordi di guerra da parte di ufficiali alleati che sono stati coinvolti direttamente nella Resistenza italiana, solo tre storici di lingua inglese hanno pubblicato studi importanti che riguardano il movimento della Resistenza in Italia: N. Kogan, Italy and the Allies, Harvard 1961, C. F. Delzell, Mussolini’s Enemies: the Italian Anti-Fascist Resistance, Princeton 1961; F. W. Deakin, The Brutal Friendship; Mussolini, Hitler and the Fall of Italian Fascism, Londra 1962 (tratta principalmente della Repubblica Sociale Italiana, ma fa riferimenti anche alla Resistenza). L’unica storia completa della Resistenza in Italia in lingua inglese è la traduzione ridotta di Battaglia, op. cit., pubblicata come The Story of the Italian Resistance, Londra 1956. Ci sono due testi importanti in inglese che trattano dell’amministrazione Alleata in Italia e che trattano brevemente anche della Resistenza: Harris, op. cit., e H. L. Coles, A. K. Weinberg, Civil Affairs: Soldiers become Governors, Washington D.C. 1964. La storia militare più completa della campagna d’Italia è G. F. Jackson, The Battle for Italy, Londra 1969 che fa solo brevi riferimenti alla Resistenza. Una importante testimonianza della politica Alleata nei confronti dell’Italia si può trovare in H. MacMillan, The Blast of War 1939-1945, Londra 1967. M. Howard, The Mediterranean strategy in the Second World War, Londra 1968, fornisce una eccellente analisi della strategia alleata nella zona.
[8] Per esempio, M.R.D. Foot, Resistance in Europe, Londra 1975: la cui unica fonte italiana è una traduzione di un articolo di Parri e Venturi pubblicato in traduzione in European Resistance Movements, vol. 2. Gli altri riferimenti dell’autore sono le testimonianze e i ricordi di partecipanti inglesi e americani e trattati di storia del periodo
[9] Cfr. P. Calvacoressi e G. Wint, Total War, Londra 1972; K. Macksey, The Partisans of Europe in World War Two, Londra 1975; R. H. Smith, OSS, University of California Press. 1972.
[10] Sebbene alcuni partecipanti-storici lo abbiano fatto: cfr. F. Parri, Intervento, op. cit., pp. 193-194
[11] Cfr. R.N.L. Absalom, Il peso degli stereotipi nazionali e militari nella lotta di Liberazione – una ipotesi di lavoro, uno scritto presentato alla Conferenza su Italia e Inghilterra nella lotta di Liberazione tenutasi a Bagni di Lucca, aprile 1975 (in corso di pubblicazione)
* Governo Militare Alleato e Commissione di Controllo Alleata
[12] La loro rilevanza ristretta a quei tempi non deve portare a sottovalutare la loro importanza in tempi lunghi a livello politico: l’ostilità reciproca tra inglesi e italiani, così come si manifesta negli stereotipi che ognuno attribuisce all’altro, fu rafforzata piuttosto che indebolita dal fatto di combattere insieme in Italia.
[13] Si spera di poter trattare il primo e il secondo punto in una fase ulteriore della ricerca
[14] Cfr. Howard, op. cit., Calvacoressi e Wint, op. cit., Jackson, op. cit., MacMillan, op. cit., H. Maitland-Wilson, Eight Years Overseas, Londra 1950, A. Bryant (ed.), The Turn of the Tide, New York 1957 (the Alanbrooke diaries), W. S. Churchill Closing the Ring, (vol. I, di The Second World War, Londra 1950); H.R.L.G. Alexander of Tunis, Report by the SACMED to the CCS on the Italian Campaign, pt. 4, 12-12-44/2-5-45, Londra 1951.
[15] In nessuna guerra dei tempi moderni, prima della seconda guerra mondiale, c’è stata la politica di «resa incondizionata» come base della strategia, né c’è stato alcun precedente ai processi «ai crimini di guerra« dopo la fine della seconda guerra mondiale
[16] Cfr. Foot, op. cit.
[17] Un esempio illuminato del «double-think» si trova in D. Ellwood, La politica degli USA nei confronti dell’Italia (saggio presentato alla conferenza su L’Italia dalla Liberazione alla Repubblica, Firenze, marzo 1976) p. 2, dove si cita da Diaries of Sir Alexander Cadogan (ed. D. Dilks, Londra 1971): Alexander chiese a Churchill a Yalta «Non è stato forse per il progresso sociale e politico delle popolazioni come quella italiana che si è combattuta la guerra?» «Niente affatto» rispose Churchill «si è combattuto per far rispettare il popolo inglese»
[18] Cfr. Kogan, op. cit., Mercuri, op. cit., pp. 124 e seg.
[19] Sia Churchill che Eden, e in misura ancora maggiore il «British War Cabinet» temevano che l’Italia potesse tentare di migliorare la propria condizione e di sfuggire a alcune delle conseguenze della sconfitta. La loro insistenza sul fatto che, sia il primo che il secondo governo Bonomi che il CLNAI garantissero l’accettazione incondizionata dei termini dell’Armistizio prima di ricevere il riconoscimento da parte degli Alleati, era il segno evidente delle loro preoccupazioni al riguardo. Una ampia discussione su questi punti si trova in Spriano, op. cit., pp. 38-56; e ancora cfr. Mercuri, op. cit.; Kogan, op. cit.
[20] Perfino nel maggio 1945, quando l’Italia faceva pressioni sugli Alleati per ottenere il consenso di dichiarare guerra al Giappone, il Sottosegretario Permanente al Ministero degli Esteri sottopose all’attenzione di Eden la seguente nota ufficiale: «(…) se il governo italiano desidera prendersi la soddisfazione di colpire ancora una volta alle spalle, e questa volta chi ne fa le spese è il Giappone, non vedo perché dovremmo impedirglielo. In fin dei conti un’azione del genere fa parte della loro natura (…)». Eden annotò a margine: «Sono d’accordo con Sir O. Sargent, AE». In FO 371/49756/03120
[21] Cfr. Howard, op. cit., Churchill, anche dopo lo sbarco in Normandia, continuò a insistere con Wilson e Alexander finché lanciassero un attacco a Lubiana, con lo scopo, precipuo, di limitare il dominio sovietico nell’Europa Centrale.
[22] A. Gambino, Storia del dopoguerra dalla liberazione al potere DC, Bari 1975, p. 9; Harris, op. cit.
[23] Cfr. G. Perona, Le forze economiche e sociali della Resistenza e l’intervento Alleato, saggio presentato alla Conferenza, cit., Firenze 1976
[24] Una discussione incisiva delle implicazioni per l’Italia in Spriano, op. cit., pp. 420-450
[25] Ibid., p. 425
[26] Un’acuta analisi della politica sovietica nei confronti dell’Italia si trova in Gambino, op. cit., pp. 32-41
* «Stavano guadagnandosi il biglietto di ritorno lavorando»
[27] Cfr. R.N.L. Absalom, op. cit., pp. 15-22
Lamberto Mercuri, INTELLIGENCE. Propaganda, missioni e “operazioni speciali” degli Alleati in Italia, Quaderni della FIAP, n.34